Di Ugo Bardi
Il 17 Aprile vedremo molto probabilmente un'altra sconfitta epocale per il "fronte del no a tutto".
Per cominciare, vi dico che il 17 Aprile andrò a votare e voterò si. Non per convinzione, in quanto mi rendo conto che esistono anche delle buone argomentazioni per il no su un quesito astruso e difficile a capire come quello sul quale siamo chiamati a esprimerci. Ma, nel complesso, mi sembra il caso di andare a votare per personale coerenza con quello che ho sempre sostenuto sulla necessità di una transizione la più rapida possibile verso l'energia rinnovabile.
Detto questo, fatemi dire che questa cosa del referendum è un grande pasticcio che si risolverà probabilmente in una sconfitta per tutti quelli che stanno lavorando seriamente sulla promozione dell'energia rinnovabile per salvare questo paese dal disastro economico e ambientale.
Da che parte posso cominciare per sdipanare questo pasticcio? Diciamo dal concetto stesso di "referendum abrogativo." Cosa significa esattamente un referendum del genere? Evidentemente, se la democrazia funzionasse bene non ce ne dovrebbe essere bisogno. Il fatto che i cittadini vadano alle urne e il risultato sconfessi l'operato del governo che gli stessi cittadini hanno eletto è una seria rottura di fiducia nelle istituzioni.
Ne consegue che il primo significato di ogni referendum abrogativo è proprio questo: è una misura della fiducia che i cittadini hanno nel loro governo. E per esprimersi su questa fiducia, i cittadini hanno la scelta se andare o non andare a votare. E' inutile dire che votare è un dovere civico; forse lo è, in teoria, ma, in pratica, è una scelta. Non andando a votare, i cittadini fanno una scelta abbastanza precisa. Dicono al governo, "su questo argomento, ci va bene che decidiate voi."
Dal 1997 a oggi, ci sono stati sette referendum e sono andati tutti in buca, ovvero non hanno raggiunto il quorum, escluso quello sul nucleare del 2011. E notate che, su quest'ultimo referendum, per spingere i cittadini ad andare a votare c'è voluto niente di meno che uno tsunami planetario. Dati questi precedenti, cosa ci possiamo aspettare dal referendum sulle trivelle del 17 Aprile? A meno di uno tsunami nell'Adriatico (che, ovviamente, nessuno auspica), considerata l'astruseria del quesito, è abbastanza ovvio che non raggiungeremo il quorum. Questo sarà interpretato come una vittoria per il governo e come una sconfitta per i proponenti. A questo punto, il governo si sentirà legittimato a proseguire con la sua politica a favore dei combustibili fossili. In sostanza, una sconfitta totale: l'esatto contrario di quello che i promotori del referendum speravano di ottenere.
A questo punto, domandiamoci: "com'è che ci siamo messi in questo casino?" In effetti, le colpe non sono tutte del movimento ambientalista. Personalmente credo che l'origine di tutto quello che ci sta succedendo si possa interpretare con l'aumento delle disparità sociali ed economiche della società, un fenomeno particolarmente evidente negli Stati Uniti (come ho descritto qui). Con sempre meno trippa per gatti da distribuire, la competizione per quel poco che resta si fa più accesa e chi ha più potere si accaparra tutto. Ne consegue che la "forbice sociale" si allarga, ovvero i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. E' un fenomeno in corso da decenni in tutto il mondo, e sembra essere inarrestabile.
La reazione politica a una società sempre più divisa fra ricchi e poveri è una polarizzazione che non trova più lo spazio a compromessi (come invece era possibile ai tempi del divino Andreotti). Il risultato è un governo autoritario che non fa più quasi nessun tentativo di mediare. Lo chiamiamo anche "decisionismo" ed è una caratteristica del governo Renzi. Non credo che vi debba fare esempi per notare come questo sia il governo forse più accentratore e autoritario/decisionista dalla nascita della repubblica; anche di più dei vari governi Berlusconi. Il governo Renzi non media, impone. E se ne vanta anche. E favorisce in tutti i modi la lobby dei fossili rispetto a quella delle rinnovabili.
Di fronte a questa situazione, l'opposizione si trova ad avere sempre meno spazi di operazione a disposizione. In un certo senso è inevitabile, ma è anche vero che questi spazi ancora esistono. Bene o male, abbiamo ancora delle elezioni democratiche, abbiamo ancora un parlamento eletto dal popolo, abbiamo ancora persone in parlamento che lavorano seriamente per il paese, abbiamo ancora governi locali con persone di buona volontà. C'è ancora la possibilità di contrastare la lobby dei fossili in vari modi; per esempio in sede legislativa, dirigendo gli investimenti pubblici e privati, facendo delle scelte a livello locale. Sono tutte armi efficaci e, a lungo andare, la lobby dei fossili deve scomparire per forza.
Il problema è che l'opposizione di stampo ambientalista non si rende conto che a fare a cornate con un rinoceronte si rischia quanto meno un certo mal di testa. Così, tende a farsi del male da sola imbarcandosi in scontri diretti contro poteri molto più forti, lanciandosi in una "politica del no" che ormai dovremmo sapere che non funziona. Dire di no a tutto è un arma che si ritorce contro chi la usa; quante volte è successo? E' andata bene col nucleare - grazie allo tsunami - ma non ha quasi mai funzionato in altre occasioni.
E così il movimento ambientalista si è imbarcato allegramente in questo referendum detto "No-Triv" senza troppo ragionare sull'opportunità di farlo e sui rischi che si corrono a essere percepiti di nuovo come a) il fronte del no a tutto e b) quelli che perdono sempre.
Giusto per fare un esempio, non è mai venuto in mente a nessuno di fare un referendum contro il provvedimento "spalma incentivi" o altri provvedimenti che il governo ha preso specificatamente per distruggere l'industria fotovoltaica italiana? E invece no. Se gli "ambientalisti" si impegnano sull'energia rinnovabile è solo per dire di no: no all'energia eolica, no al fotovoltaico, no a questo e no a quello. Ci sarà mai una volta che si potrà fare un azione politica per dire di "si" a qualche cosa?
E così, andiamo a vedere come andrà questo referendum. Vi dirò che spero di sbagliarmi, che con un guizzo al fotofinish si riesca in qualche modo a passare la magica soglia del 50%. Ma anche se ci riuscissimo - e ci vuole veramente un miracolo - valeva la pena di correre questo rischio?
Nota del 17 Aprile: e infatti non ci siamo riusciti.