venerdì 25 settembre 2015

Il gioco di Hubbert: un gioco da tavolo per simulare le dinamiche dell'esaurimento delle risorse

Da “www.academia.edu”. Traduzione di MR

La "curva di Hubberrt" generata dal gioco di simulazione in una sessione con gli studenti del corso di "Risorse, Economia, e ambiente" del corso di laurea SECI (Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale) dell'Università di Firenze. Quello che segue è un articolo scientifico moderatamente formale pubblicato nella forma di "preprint" su academia.edu


Il gioco di Hubbert: un gioco da tavolo per insegnare le dinamiche dell'esaurimento delle risorse

Di Ugo Bardi

Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Firenze
Polo Scientifico di Sesto Fiorentino
Via della Lastruccia 3, 50021 Sesto Fiorentino, Fi, Italy
ugo.bardi@unifi.it


Abstract

Questo articolo descrive una simulazione del processo dinamico dell'esaurimento delle risorse sotto forma di gioco operativo. E' pensato come un semplice gioco da tavolo, concepito per fornire agli studenti un'esperienza pratica che potrebbe aiutarli a capire le caratteristiche fondamentali dell'approccio dinamico all'esaurimento. Il gioco non necessita di computer o di materiali particolari. Può essere giocato da quattro squadre per un tempo di gioco di una-due ore.

1. Introduzione

I giochi hanno una lunga storia come metodo per simulare sistemi complessi. Questi sistemi sono caratterizzati da anelli di retroazione che interagiscono e che li rendono non lineari e li fanno reagire in modo esteso anche per piccoli cambiamenti di alcuni parametri. I fattori umani e gli eventi casuali a loro volta giocano spesso un ruolo importante in questi sistemi. Da qui la necessità di un metodo di studio che colga il loro comportamento in rapida mutazione e la loro imprevedibilità. Quasi ogni sistema può essere trasformato in un gioco e i giochi spesso vengono usati allo scopo di formare gli studenti con un approccio pratico in aree come le simulazioni militari (giochi di guerra) e giochi di commercio. In questa forma, vengono chiamati spesso “giochi operativi”.

mercoledì 23 settembre 2015

Cosa possiamo imparare dal "caso Volkswagen? Principalmente, che il motore a scoppio è obsoleto

Da "Cassandra Legacy", traduzione di UB


Credo che a questo punto non sia rimasto più nessuno sull'intero pianeta che non ha sentito dire che la Volkswagen ha imbrogliato i suoi clienti falsificando i dati dei test di emissione dei suoi motori diesel. Forse ci sono delle buone ragioni per questa caccia alle streghe, ma credo che andrebbe anche presa con una certa cautela. In effetti, con molta cautela.

Ho lavorato per circa vent'anni in progetti in collaborazione con l'industria automobilistica e credo di sapere come funzionano queste ditte. E vi posso dire che non sono attrezzate per "imbrogliare", nel senso di infrangere la legge o ignorarla. Non lo fanno, capiscono benissimo che il risultato potrebbe essere qualcosa tipo quello che sta succedendo oggi alla Volskwagen, che corre seriamente il rischio di scomparire come industria automobilistica. Al contrario, le industrie automobilistiche tendono a un approccio estremamente legalistico e ad applicare alla lettera le regole e le leggi.

Ciò detto, è chiaro anche che le industrie automobilistiche lavorano per il profitto e che i loro manager devono "ottenere risultati". Ne consegue che, se le leggi e le regolazioni non sono chiare, o se non dicono esplicitamente che una certa cosa è proibita, se quella cosa porta un vantaggio all'industria, è possible che la si metta in pratica.

Questo è, credo, quello che è successo in questo caso. E' ben noto che i risultati dei test di emissione fatti in laboratorio sono sempre molto migliori di quelli su strada. Ed è ben noto che le prestazioni dei veicoli sotto test in condizioni standardizzate sono sempre molto migliori di quelli dei veicoli normali. Lo si sa bene, per esempio potete guardare quiqui. (h/t G.Meneghello).

Allora, se tutti imbrogliano (oppure, più gentilmente "interpretano" la legge), perché prendersela in particolare con la Volkswagen? Forse hanno fatto qualcosa di particolarmente orribile, ma non sarei sorpreso se venisse fuori che non erano i soli a usare il trucco di cui sono accusati per nascondere le emissioni di ossidi di azoto. In ogni caso, sono sicuro che, prima di fare quello che hanno fatto, hanno sentito il loro ufficio legale e ne hanno avuto un qualche tipo di autorizzazione a procedere, probabilmente basata sul ragionamento che tutto quello che non è esplicitamente proibito è legale. Lascio comunque ai complottisti di ragionare sulle ovvie implicazioni di questa faccenda.

Piuttosto, vorrei concentrarmi su qualcosa che ho imparato nel mio lavoro con l'industria automobilistica; ovvero che la riduzione dell'inquinamento nei motori a scoppio è un buon esempio dei ritorni decrescenti della tecnologia. E non solo questo; illustra anche come le buone intenzioni sono spesso in conflitto con la realtà, e alle volte danno risultati opposti a quelli sperati.

E' una storia lunga e affascinante che, qui, posso solo riassumere nelle sue linee principali (*). Comunque, il concetto di "inquinamento" era diventato popolare negli anni 1970 e divenne rapidamente chiaro che una delle maggiori sorgenti di inquinamento erano le emissioni dai motori autobobilistici. Questo ha portato a un esteso dibattito: secondo alcuni, bisognava liberarsi dai motori a scoppio e rimpiazzarli con motori elettrici. Secondo altri, era possibile ridurre a livelli accettabili l'inquinamento prodotto dai motori tradizionali. La seconda posizione si è imposta, non senza una dura lotta (vi ricordate il film "chi ha ucciso l'auto elettrica"?). Questo ha portato a promulgare un gran numero di leggi che miravano a produrre motori più efficienti e meno inquinanti. Nel complesso, i risultati sembrano essere stati buoni (vedi, per esempio,qui).

Tuttavia, lo scandalo Volkswagen ci dice che, probabilmente, i miglioramenti degli ultimi anni tempi sono stati ottenuti, se non proprio imbrogliando, perlomeno mediante un'interpretazione creativa delle leggi. Un punto particolarmente importante qui ha a che vedere con lo specifico inquinante che ha condotto all'incriminazione di VOlkswagen: l'abbattimento degli ossidi di azoto. E' un problema particolarmente rognoso perché deriva da esigenze contrastanti. Una è di avere un basso livello di inquinamento, l'altro bassi consumi. Per avere bassi consumi, bisogna migliorare l'efficienza del motore e questo si può fare con il motore diesel, invece di quello convenzionale a benzina. I motori diesel lavorano a più alte temperature e pressioni e questo li rende più efficienti. Ma questo fa anche si che producano più ossidi di azoto. E' un problema che ha a che vedere con la termodinamica della combustione, e tutti sanno (o dovrebbero sapere) che se uno prova a far la guerra alla termodinamica, la termodinamica vince sempre. Il problema è sostanzialmente irrisolvibile, perlomeno a costi compatibili con il prezzo di un veicolo ordinario. E quando uno si trova di fronte a un problema irrisolvibile, la tentazione è spesso quella di imbrogliare. Questo è, evidentemente, quello che è successo con l'industria automobilistica e i risultati ci appaiono evidenti oggi con lo scandalo  Volkswagen.

Tuttavia, se è vero che non possiamo vincere contro la termodinamica, è anche vero che non dobbiamo necessariamente combatterla. Una battaglia contro il motore a scoppio è stata persa negli anni 1970, ma possiamo ancora vincere la guerra. L'auto elettrica sta avendo un ritorno spettacolare. I motori elettrici non producono alcun tipo di inquinamento gassoso, sono molto più efficienti dei motori a scoppio e, in più, sono compatibili con l'energia rinnovabile. Che cosa possiamo chiedere di più? Questa volta, vediamo di evitare gli errori del passato!




 (*) E' una storia che spero di poter raccontare in un nuovo libro sul quale sto lavorando.

Oltre il 99% l'accordo fra gli scienziati sull'origine umana del cambiamento climatico di origine umana

Da “Cleantechnica”. Traduzione di MR (via Dante Lucco)


... E ora parleremo col Dr. Jenkins del National Institute of Health a proposito dei risultati del suo studio di tre anni. E poi per un'opinione differente parleremo con Roger, qui, che mi sembra di capire ha raggiunto conclusioni opposte smplicemente pensandoci sopra mentre era seduto sul divano.


Di Sandy Dechert

James L. Powell, direttore del Consorzio Nazionale di Scienze Fisiche e informatore sul negazionismo del cambiamento climatico, ha la missione di aggiornare media e lettori su quanti scienziati credono che la gente causi il cambiamento climatico. Il numero del cambiamento climatico antropogenico è maggiore di quanto pensiate.

martedì 22 settembre 2015

La nascita del positivismo.

di Jacopo Simonetta

Cercando le tracce della nascita della nostra civiltà, mi sono fatto l’idea che questa sia stata concepita sostanzialmente in casa di Bacone e sia poi stata portata in grembo da Galileo e Descartes, fra gli altri.  Nacque, direi, a cavallo della manica, nella seconda metà del XVIII secolo con l’aiuto di molte levatrici, fra cui le più importanti furono, forse, Adam Smith, Diderot e Condorcet. Nel frattempo, Voltaire e l’intera fratellanza massonica si impegnavano a diffondere la nuova utopia del Progresso.   Un concetto del tutto nuovo per quei tempi e foriero di immense conseguenze.

Appena battezzato da Condorcet, il bimbo ebbe però una grave malattia che rischiò di spacciarlo: il romanticismo.   Tuttavia sopravvisse, dimostrando quella straordinaria resilienza e plasticità che sono necessarie affinché un concetto possa divenire il mito fondante di un’intera civiltà.

Uno che lo aiutò moltissimo in questo periodo particolare fu un altro aristocratico francese: Claude-Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760 – 1825).   Un personaggio singolare che merita di essere conosciuto.

A 17 anni partì volontario con Lafayette per combattere in America.   Tornato, non fece mai più l’errore di farsi coinvolgere di persona in vicende pericolose. Al contrario di parecchi promotori del progresso, riuscì così a passare indenne attraverso la macelleria rivoluzionaria.  Anzi, colse l’occasione per rimpinguare abbondantemente le esauste finanze familiari speculando sui beni requisiti alla Chiesa, ma senza compromettersi troppo.   Riuscì anche ad evitare qualunque coinvolgimento durante la dittatura di Napoleone e, dunque, non ebbe problemi nemmeno con la restaurazione, malgrado ne fosse un dichiarato oppositore.

Potrebbe essere il ritratto di un qualunque furbo, ed invece stiamo parlando di uno dei grandi idealisti del XIX secolo ispiratore, fra gli altri, di nientedimeno che Karl Marx.   Qui mi interessa perché fu anche il padre (o forse meglio dire nonno) di un passaggio cruciale della nostra civiltà: la nascita del Positivismo.

Già durante la Rivoluzione Francese un nutrito gruppo di illuministi “d’assalto” avevano inteso tributare un culto religioso alla “Dea Ragione”: divinizzazione dell’intelletto umano.   Una vera e propria funzione si svolse a Notre Dame di Parigi, con tanto di ragazza in costume da Pallade Atena.   Una carnevalata che non fu replicata, ma l’idea che la mente umana fosse la vera divinità cui fare riferimento rimase e trovò altri modi per affermarsi.   Uno che fece molto in questo senso fu proprio il conte di Saint-Simon.

Dotato di una cultura scientifica eclettica, ancorché superficiale, Saint-Simon era infatti un autentico “fan” della scienza moderna, fino a vagheggiare apertamente di tributarle un vero culto.   La legge di gravitazione Universale di Newton per lui era l’equivalente della Sacra Scrittura per i cristiani.   Anzi di più: era Dio stesso.   Saint-Simon fu il primo a dire chiaro e tondo che ogni decisione politica doveva essere presa sulla base di una rigorosa analisi scientifica e che, su questa base, lo Stato doveva unicamente sviluppare l’economia, l’industria e la meccanizzazione.   Tre aspetti di un unico processo che avrebbe immancabilmente portato al benessere per tutti, all’eliminazione delle ingiustizie, eccetera.   In pratica rilanciando in stile romantico lo stesso copione utopico che era stato degli illuministi e che fu poi fatto proprio tanto dai liberali, quanto dai socialisti.   Non a caso, questo “aristò” riciclatosi industriale fu l’unico personaggio a ricevere onori postumi contemporaneamente in USA ed URSS.

Sul piano scientifico, il conte ebbe un’intuizione importante, che ancora oggi sta alla base di molte realizzazioni rilevanti.   Da imprenditore intelligente qual’era, capì che per garantire lo sviluppo dell’economia e dell’industria era necessario che strade, ferrovie e canali costituissero un sistema integrato, analogo al sistema circolatorio in un organismo.  Un concetto che è andato molto lontano.   Non solo i canali di Suez e di Panama (fra gli altri) furono opera di suoi seguaci, ma la teoria delle reti è oggi un settore di ricerca vivacissimo.   Credo proprio che se Saint-Simon potesse vedere internet penserebbe di aver raggiunto il paradiso.

Un altro punto cardinale per lui era l’eliminazione dei parassiti sociali, identificati con i redditieri, i preti ed i militari.   Un altro dei punti su cui il nostro gode tuttora di un ampio seguito.  Secondo il suo modo di vedere, il vertice della società spettava agli scienziati che dovevano costituire una sorta di clero laico, incaricato di compulsare costantemente la natura alla ricerca di nuove scoperte per spingere la gioiosa macchina del progresso verso sempre più elevate vette.   Viceversa, l’amministrazione doveva essere appannaggio degli industriali, dei mercanti e dei banchieri i quali avrebbero sicuramente provveduto ad evitare la dilapidazione di risorse in attività inutili, così come avrebbero evitato accuratamente ogni guerra e scontro sociale per il semplice fatto che queste cose non convengono a nessuno.

Oggi è facile sorridere di queste idee e, a dire il vero, nell'ultimo periodo della sua vita anche Saint Simon si rese conto che l’interesse privato non era sufficiente a garantire la prosperità e la pace comune.  Andò quindi alla ricerca di un’etica più profonda che trovò, o pensò di trovare, in una versione profondamente rimaneggiata del cristianesimo.   Riforma che teorizzo e descrisse nelle sue ultime opere.

Saint-Simon ebbe un enorme seguito e la sua influenza, più o meno diretta, risulta evidente ancora oggi in moti ambienti.   Ma ancor più di lui ebbe influenza un altro augusto conte, stavolta per nome e non per tutolo.   Intendo Auguste Comte (1798 - 1856), che per circa sei anni fu segretario personale del conte.

Ancor più di Saint Simon, Comte spinse agli estremi la concezione romantica della scienza come valore assoluto; strumento di riscatto e sublimazione definitiva dell’Uomo.   Ma se la scienza voleva essere degna di tanto onore, doveva evitare accuratamente alcune tendenze che, già allora, si manifestavano.  Non doveva infatti suddividersi in specializzazioni: sei e solo sei dovevano essere le scienze e nessuna contaminazione fra queste doveva essere ammessa.  

La sociologia era la scienza suprema, articolata in “statica” e “dinamica” sulla falsariga della meccanica newtoniana.   La Sociologia statica era fondata sul concetto di “Ordine” e doveva studiare le cause del disordine sociale e, dunque, i modi per prevenirlo.   La Sociologia dinamica doveva invece dare attuazione al concetto di “Progresso”, inteso come destino ineluttabile e ragion d’essere di un’umanità divinizzata.

A tal fine, gli scienziati non dovevano sprecare tempo e risorse a ricercare il “PERCHÉ” avvengono i fenomeni in quanto dietro ogni causa se ne cela sempre un altra, all’infinito.  In uno spirito di sobria economia, Il compito della scienza era solo quello di capire “COME” avvengono i fenomeni che ci riguardano e, dunque, come si possono manipolare a nostro vantaggio.

Nelle sue opere più mature, pensò anche che una fede religiosa fosse necessaria per il buon ordine della società positiva.   Si inventò dunque a tavolino una vera e propria dottrina religiosa devoluta all'Umanità, chiamata “Grande Essere”.   Una sorta del Leviatano di Hobbes, ma dotato di una dimensione storica e sacrale del tutto nuova.

Al di la dei dettagli del culto immaginato da Comte, il Positivismo ebbe un’importanza determinante sul successivo sviluppo della civiltà europea prima, e mondiale poi.  In particolare, ebbe grande seguito la tripartizione della storia del pensiero umano in fasi: teologica (ovvero fittizia), metafisica (o astratta) e scientifica (o positiva).   La prima sarebbe caratteristica dei popoli primitivi che, non capendo niente di quello che gli succede intorno, si immaginano degli esseri sovrannaturali che fanno e disfano.  Nella fase metafisica la gente, già un po’ più sveglia, sostituisce gli Dei con dei concetti astratti come l’Essere o la Natura.   Nella fase scientifica, finalmente, la realtà si schiude all’occhio umano per quello che è e l’umanità apprende a dominare la natura.

L’idea che la civiltà industriale europea fosse superiore a tutte le altre in quanto più “avanzata” ha radice soprattutto negli scritti polemici di Voltaire, ma Comte portò l’idea a sistema.   E come sistema è ancora alla radice del nostro modo di vedere noi stessi.   Di qui, ad esempio, la nostra classificazione dei popoli in “sviluppati”, “in via di sviluppo” o “sotto-sviluppati” in rapporto a quanto distano da noi: astro fulgente cui tutti, necessariamente, tendono.

Difficile immaginare qualcosa di più lontano dal “Noi moderni siamo nani assisi sulle spalle di giganti” di uno scienziato del calibro di Blaise Pascal.  Va detto, del resto, che Comte non era uno scienziato e che, per sua stessa dichiarazione, praticava una rigida “igiene mentale”.  Vale a dire che leggeva pochissimo di ciò che non era in linea con le sue idee.   Evidentemente neanche i classici, visto che per cambiare idea gli sarebbe bastato leggere un qualunque autore antico.   Magari solo “nuvole”,  in cui Aristofane si fa beffe, fra gli altri, di un sempliciotto che crede che “a far piovere sia Zeus pisciando nel crivello”.

Destino beffardo.   Comte è stato smentito in praticamente ogni punto del suo pensiero proprio da quel progresso scientifico cui tanto anelava.   Per esempio, contrariamente a quanto da lui previsto, lo studio dei popoli antichi e dei “primitivi” tuttora viventi  ha rivelato conoscenze ed elaborazioni teoretiche sorprendenti.   Le scoperte scientifiche principali sono avvenute nei campi della scienza pura e, soprattutto, nelle interfaccia fra le diverse specializzazioni.   La moltiplicazione di queste, d'altronde, ha non poco favorito la messa a punto di una massa di dettagli senza i quali non sarebbe mai stato possibile verificare l’attendibilità delle teorie generali.   Il progresso della tecnologia ha portato immensi vantaggi, creando nel contempo i presupposti per la più grande catastrofe della storia dell’umanità.    Il calcolo delle probabilità è fondamentale in molti campi d’avanguardia come la fisica delle particelle e le dinamiche caotiche.   L’astronomia ha dato il meglio di se sondando i limiti dell’universo conoscibile.   La microbiologia ha potuto spiegare molti dei segreti del mondo vivente.   Lo studio delle civiltà del passato ha arricchito enormemente la nostra cultura e fertilizzato numerose scienze contemporanee.   Per citare solo i punti principali su cui Comte aveva certamente torto.  

Ciò nondimeno, le idee basilari di Comte ebbero un’immensa eco e si concrezionarono nei manuali scolastici, così come in molte ideologie politiche.   Ancora i miei figli, pochi lustri addietro, tornavano da scuola raccontando, assai poco convinti, che i maestri gli avevano spiegato di come gli antichi, nella loro ignoranza, pesassero che la pioggia fosse l’urina di Zeus e simili amenità.   Che in tempi più moderni i filosofi avevano cercato di spiegare razionalmente il mondo, ma che solo la scienza moderna era stata in grado di svelare ogni segreto e porre finalmente la natura al servizio dell’uomo.

Insomma, anche se la scienza non cessa di smentire il Positivismo, questo continua ad informare di sé gran parte della scienza odierna e l'intera nostra civiltà.  Tanto che quando gli scienziati dicono cosa NON si deve fare e perché vengono perlopiù ignorati (o marginalizzati).   Compito della scienza, si sa, è scoprire come dominare sempre meglio e sempre più i fenomeni naturali, non certo quello di porre dei limiti al Progresso!

Ma spesso un eccesso ne provoca un altro di segno opposto.   E, difatti, proprio negli stessi anni in cui si esaltava il ruolo sommamente “positivo” della scienza, nasceva dalla penna di una donna, Mary Shelley, la figura dello “scienziato pazzo”.   Una contro-narrativa non meno fantasiosa e potente di quella di Comte e, come quella, destinata ad avere un peso nella nostra civiltà.







lunedì 21 settembre 2015

Ce la facciamo a sostituire i fossili con le rinnovabili prima che sia troppo tardi?


Il risultato di uno dei modelli sviluppati da Alessandro Pulvirenti per descrivere la "Transizione Energetica." Vedete il declino della produzione fossile e il rapido aumento di quella rinnovabile.

Dicevano i Cinesi che vivere in tempi interessanti è una maledizione. In effetti, c'è poco da dubitare che viviamo in tempi interessanti. A parte le varie guerre, stermini di massa, migrazioni, e tutto il resto, abbiamo davanti un problema cruciale: Siamo in grado smettere di bruciare combustibili fossili prima che il cambiamento climatico ci spazzi via? E siamo in grado di sostituirli con qualcosa che ci dia altrettanta energia da permetterci di sopravvivere? E siamo in grado di farlo prima che le risorse fossili si esauriscano?

Bella domanda. Diciamo che vale qualche trilione di dollari; il valore monetario di un'intera civiltà. Ci prova a dare una risposta Alessandro Pulvirenti con una serie di calcoli molto dettagliati e molto interessanti. Come vi potete immaginare, non è un calcolo facile e le assunzioni necessarie sono tante e tutte piuttosto incerte. Ma, in breve, comunque, Pulvirenti basa i suoi calcoli su una diminuzione progressiva dell'EROEI (resa energetica) dei fossili, su una "curva di Hubbert" per i consumi fossili, e sull'idea che una certa frazione dell'energia prodotta (fossile e rinnovabile) verrà riutilizzata per costruire nuovi impianti rinnovabili che, alla fine, sostituiranno completamente quelli fossili.

I risultati variano a seconda delle assunzioni iniziali. Ecco le conclusioni alle quali arriva Pulvirenti.

Visti i risultati dei 4 modelli utilizzati, ci si rende conto che:

E' quasi impossibile escludere totalmente l'uso dei combustibili fossili con le sole fonti rinnovabili, utilizzando le tecnologie attuali e la capacità di produzione delle aziende.

Invece, soddisfare le esigenze di energia elettrica attuali e future (il 50% dell'energia primaria) è una cosa fattibile, ma richiede grandi investimenti per gli impianti di produzione (aziende).

Rinviare ulteriormente la transizione e cercare di effettuarla in futuro in minor tempo, richiederà maggiori risorse energetiche annuali, sia per la produzione dei manufatti (celle PV o aerogeneratori) che investimenti per gli impianti delle aziende prodruttrici; con il rischio che l'eccessiva sottrazione di risorse energetiche, causi una crisi economica e sociale molto intensa.

Questi risultati sono diversi da quelli miei e dai miei collaboratori (Sgouridis et al.), dove troviamo che in effetti è possibile sostituire l'energia fossile con altrettanta energia netta di origine rinnovabile in una arco di tempo di una cinquantina di anni. Anche Greenpeace è venuta fuori con una proposta di arrivare al 100% di energia rinnovabile per il 2050.

Ma non mi sembra che ci siano contrasti fondamentali: dipende dalle assunzioni iniziali. Come tutti sappiamo, anche senza bisogno di calcoli dettagliati, la transizione è complessa e richiede dei sacrifici che, al momento, nessuno ha voglia di fare. E se nessuno ha voglia di fare sacrifici, alla transizione non arriveremo mai, di certo.

Comunque, date un'occhiata al post di Pulvirenti, con il quale mi congratulo per il lavoro svolto. Potete commentare qui, su "effetto risorse," che Alessandro segue normalmente.



domenica 20 settembre 2015

La fine annunciata della civiltà

Da “bastamag.net” Traduzione di MR (via Luca Pardi)

Di Ivan Du Roy


Dei nove limiti vitali al funzionamento del “sistema Terra”, almeno quattro sono già stati superati dalle nostre società industriali, con il riscaldamento globale, il declino della biodiversità o il tasso insostenibile di deforestazione. Superare questi limiti significa prendersi il rischio che il nostro ambiente e le nostre società reagiscano “in modo improvviso ed imprevedibile”,avvertono Pablo Servigne e Raphaël Stevens nel loro libro “Come tutto può collassare”. Ricordando tutti i dati e gli avvertimenti scientifici sempre più allarmanti, i due autori fanno appello ad uscire dalla negazione. “Essere catastrofisti non significa né essere pessimisti né ottimisti, significa essere lucidi”. Un'intervista.

sabato 19 settembre 2015

Un Artico più caldo significa inverni più freddi altrove.

Da “Inside Climate News”. Traduzione di MR (via Skeptical Science)

Di Katherine Bagley

L'aumento delle temperature dell'Artico stanno cambiando il jet stream, portando l'aria fredda più a sud, dimostrando che il cambiamento climatico può alimentare il meteo estremo in modi inattesi. 


Il cambiamento climatico si manifesta con inverni più nevosi in luoghi come Boston, grazie ad un Artico più caldo. Foto: Peter Enyeart, via Flickr

La fusione del ghiaccio marino e le temperature più alte nell'Artico sono responsabili per i brutali picchi di freddo che hanno afflitto parti dell'Asia e del Nord America negli ultimi anni, secondo la nuova ricerca di scienziati coreani ed europei pubblicata lunedì.

Lo studio, pubblicato nella rivista peer-review Nature Geoscience, si aggiunge alle prove crescenti che collegano l'aumento delle temperature nell'Artico al cambiamento degli schemi meteorologici in tutto il globo. Aiuta anche a demolire ulteriormente una delle argomentazioni preferite dai negazionisti: il meteo freddo prova che il mondo non si sta scaldando a causa dell'accumulo di gas serra nell'atmosfera.