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domenica 28 maggio 2017

Non si combatte il cambiamento climatico con la Pepsi Cola

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR




Da "powertechnology.com", Un articolo di Julian Turner. Non è sbagliato, ma è possibile che non possiamo discutere più di niente senza trasformarlo in un “fatto rivoluzionario”, una “grande scoperta” e tutto il resto? Un po' meno clamore in questi rapporti aiuterebbe molto. 

Di Ugo Bardi

Qualche tempo fa, mi sono ritrovato a spiegare ad un giornalista il perché mi oppongo all'estrazione di CO2 in Toscana. Ho detto una cosa tipo “non ha senso che la regione spenda soldi per ridurre le emissioni di CO2 e, allo stesso tempo, permetta a questa azienda di estrarre CO2 che, altrimenti, rimarrebbe sottoterra”. “Ma”, ha detto il giornalista, “ho intervistato quelli dell'azienda e dicono che il CO2 che estraggono non viene disperso in atmosfera – viene immagazzinato”. “E dove viene immagazzinato?” ho chiesto. “Lo vendono alle società che fanno bibite gasate”. Ho cercato di spiegargli che produrre Coca Cola o Pepsi non è il modo di combattere il cambiamento climatico, ma non credo che abbia capito.

Questo è un esempio tipico di quanto sia difficile fare passare alcuni messaggi nel dibattito pubblico. Fra i tanti modi possibili di mitigare il riscaldamento globale, il carbon capture and sequestration (Cattura e sequestro del carbonio), o stoccaggio – CCS – è il meno compreso, più complicato ed è quello che più probabilmente porterà a pseudo soluzioni. Non sorprende, visto che è una storia complessa che coinvolge chimica, geologia, ingegneria ed economia.

Circa un mese fa, è apparso un post di Julian Turner su “Power Technology” dal titolo piuttosto ambizioso di “Finalmente ottenuta la cattura del carbonio”. Il post è pieno di enfasi su una grande scoperta nel processo che purifica il CO2 in uscita da un impianto a carbone – un processo chiamato “lavaggio del CO2”. Il nuovo processo, viene detto, è migliore, meno costoso, più rapido, efficiente e “cambia le regole del gioco”. Sharma, amministratore delegato della società che ha sviluppato il processo, ha dichiarato:

“Il TACL sarà in grado di catturare il CO2 dalle emissioni delle loro caldaie e quindi riusarlo”, conferma Sharma. “per l'utente finale, l'elettricità prodotta catturando il biossido di carbonio sarà elettricità pulita a il vapore prodotto sarà energia pulita. Per questa ragione, possiamo dire che è 'senza emissioni'”.

Non ho dubbi che ci sia qualcosa di buono nel nuovo processo. Pulire il CO2 usando solventi è una tecnologia nota e può certamente essere migliorata. La tecnologia è buona nel fare esattamente questo: migliorare processi noti. Il problema è un altro: si tratta davvero di un processo “senza emissioni”? E la risposta è, sfortunatamente, “niente affatto”, perlomeno nella forma in cui viene presentata l'idea. Il problema, qui, è che tutta l'enfasi è sulla cattura del carbonio, ma non c'è nulla in queste affermazioni sul sequestro del carbonio. Infatti l'articolo discute di “cattura ed utilizzo del carbonio” (CCU) e non di “cattura e sequestro del carbonio” (CCS). Ora, è la CCS che deve mitigare il riscaldamento globale, la CCU NON lo fa.

Torniamo ai concetti fondamentali: se si vuol capire cosa sia la CCS, un buon punto di partenza è il rapporto speciale del IPCC sulla materia (un documento massiccio di 443 pagine). Più di dieci anni dopo la sua pubblicazione, la situazione non è cambiata granché, come confermato da un rapporto più recente. L'idea di fondo rimane la stessa: trasformare il CO2 in qualcosa che sia stabile e non inquinante. E quando diciamo “stabile”, intendiamo qualcosa che rimanga stabile nell'ordine delle migliaia di anni, almeno. E' questo che chiamiamo “sequestro” o “stoccaggio”.

Un compito difficile, se ce ne è mai stato uno, ma non impossibile e, come è spesso il caso, il problema non è la fattibilità, ma il costo. Il modo più sicuro di stoccare il CO2 per tempi molto lunghi è quello di imitare il processo naturale di “degradazione dei silicati” e trasformare il CO2 in carbonati stabili di calcio e magnesio, per esempio. E' quello che fa un ecosistema per regolare la temperatura del pianeta. Ma il processo naturale è estremamente lento; parliamo di tempi nell'ordine delle centinaia di migliaia di anni, non proprio ciò di cui abbiamo bisogno ora. Possiamo, naturalmente, accelerare il processo di degradazione, ma ci vuole un sacco di energia, principalmente per schiacciare e polverizzare i silicati. Un metodo meno costoso è lo “stoccaggio geologico”, cioè pompare CO2 dentro un bacino sotterraneo. E sperare che se ne starà lì per decine di migliaia di anni. Ma è l'obbiettivo principale della CCS, oggigiorno.

Detto questo, il modo per valutare la fattibilità e l'opportunità dell'intero concetto di CCS è di esaminare il ciclo di vita di tutto il processo; vedere quanta energia richiede (il suo ritorno energetico sull'investimento, EROEI) e quindi confrontarlo coi dati di processi alternativi – per esempio investire le stesse risorse in energia rinnovabili piuttosto che in CCS (e l'energia rinnovabile potrebbe già essere meno costosa dell'elettricità prodotta col carbone). Ma sembra che questa analisi comparativa non sia stata fatta, finora, nonostante le diverse analisi dei costi delle CCS. Una cosa che possiamo desumere dal rapporto del 2005 (a pagina 338) è che, anche senza lavaggio, l'energia necessaria per l'intero processo potrebbe essere non lontana da valori che potrebbero renderlo un esercizio simile allo scavare buche per poi riempirle di nuovo, come pare abbia detto John Maynard Keynes. La situazione è migliore se consideriamo lo stoccaggio geologico, ma anche in questo caso il lavaggio è solo una frazione del costo totale.

A questo punto, potete capire cosa c'è di sbagliato nel definire il nuovo processo di lavaggio un “fatto rivoluzionario”. Non lo è. E' un processo che migliora una delle fasi della catena che porta allo stoccaggio del carbonio, ma che potrebbe avere poco valore per la CCS, a meno che uesta non sia valutata all'interno dell'intero ciclo di vita del processo.

Poi, in tutto l'articolo di Turner non c'è menzione alla CCS/stoccaggio. Parlano soltanto di cattura ed utilizzo del carbonio (CCU) e dicono che il CO2 verrà venduto ad un'altra azienda che lo trasformerà in carbonato di sodio (Na2CO3). Questo composto potrebbe quindi venire usato per fare il vetro, l'urea e scopi simili. Ma quasi tutti questi processi alla fine dei conti riporteranno il CO2 catturato nell'atmosfera!. Nessuno stoccaggio, nessuna mitigazione del riscaldamento globale. Potrebbero altrettanto bene vendere il CO2 all'industria delle bevande gassate. Non è questa la grande scoperta di cui abbiamo bisogno.

Così, che senso ha fare tutto questo baccano su “energia pulita”, “elettricità pulita” ed energia “senza emissioni”, quando il nuovo processo non mira a niente di quel genere? Non sorprende, fa tutto parte del dibattito “privo di fatti” in corso.

Per concludere, lasciatemi osservare che questo nuovo processo di lavaggio potrebbe essere solo uno di quei modi di “tirare le leve dalla parte sbagliata”, secondo la definizione di Jay Forrester. Cioè, potrebbe essere controproduttivo per gli stessi scopi per i quali è stato sviluppato. Il problema è che il CO2 puro è un prodotto industriale che ha un certo valore di mercato, come sanno molto bene le persone che lo estraggono dal sottosuolo in Toscana. Finora, il costo del lavaggio ha impedito che lo scarto delle centrali alimentate a combustibili fossili avesse un valore di mercato, ma un nuovo processo efficiente potrebbe rendere fattibile la sua trasformazione in un prodotto vendibile. Ciò renderebbe gli le centrali a carbone più redditizie ed incoraggerebbe le persone ad investire nella costruzione di altre centrali e questo non genererebbe riduzioni di emissioni di CO2! Sarebbe anche peggio se l'industria del carbone dovesse vendere ai governi il loro processo di lavaggio per sfuggire alle tasse sul carbonio. Vedete? Ancora una volta, il ruolo delle conseguenze impreviste si manifesta.

mercoledì 16 dicembre 2015

Clima: camminare su un sentiero di montagna con gli occhi chiusi sperando che il burrone sia ancora molto lontano...

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questo post è stato leggermente modificato rispetto alla versione apparsa in inglese




Il pericolo del cambiamento climatico continua ad essere ampiamente frainteso o ignorato. 


Il cambiamento climatico, a quanto pare, viene visto come qualcosa di lontano, la sua importanza viene sminuita da minacce più immediate, dal terrorismo alle preoccupazioni finanziarie. E i governi sembrano soffrire di sindrome di sdoppiamento della personalità, con i politici che si accalcano a Parigi per dichiarare l'assoluta necessità di salvare il pianeta per le future generazioni e poi tornano a casa e dichiarano l'assoluta necessità di far ripartire la crescita.

Ma la minaccia climatica non riguarda le future generazioni. E' una cosa che avviene adesso, che è avvenuta per un secolo e che continua ad avvenire, portandoci lungo un sentiero pericoloso che finisce da qualche parte, probabilmente in un burrone ripido.

Ecco un riassunto della situazione ad oggi. Non è da intendersi come esauriente, ma come un tentativo di cogliere i punti principali di quello che sta avvenendo.


1. Gas serra.  Il biossido di carbonio e il metano sono i principali gas serra generati come risultato delle attività umane. Il loro accumulo nell'atmosfera continua. Riguardo al CO2, il 2015 probabilmente è stato l'ultimo anno della storia durante il quale gli esseri umani hanno potuto respirare un'aria che ne contiene meno di 400 ppm. Da adesso in poi, le concentrazioni saranno maggiori. Non sappiamo quali effetti avranno queste concentrazioni sulle persone, ma sappiamo che gli esseri umani non hanno mai sperimentato un'atmosfera con più di 300 ppm di CO2 per più di 100.000 anni della loro esistenza come specie. Sappiamo anche che il processo cognitivo umano è già compromesso in modo misurabile a concentrazioni al di sopra delle 600-800 ppm. Riguardo al metano, anche le sue concentrazioni stanno aumentando dopo un periodo di stasi che è durato fino al 2006. Esistono possibilità preoccupanti che le temperature in aumento genereranno un “punto di non ritorno” in cui il rilascio di metano intrappolato nel permafrost delle alte latitudini diventerebbe una fonte indipendente e fuori controllo di gas serra. Finora, non ci sono prove che ciò stia avvenendo, ma ci sono rapporti preoccupanti di esplosioni di metano rilasciate da crateri in Siberia.

2. Temperature. Il cambiamento climatico non significa solo aumento delle temperature, ma questa probabilmente ne è la manifestazione più diretta e visibile. La Terra è diventata sempre più calda durante l'ultimo secolo, più o meno, ed oggi la cosiddetta “pausa” è finita, se è mai esistita. Il 2015 sta per diventare l'anno più caldo mai registrato, con buone possibilità che il 2016 sia anche più caldo. Siamo molto vicini, o abbiamo già superato, ad 1°C di aumento della temperatura media rispetto al periodo preindustriale. Gli effetti di questo riscaldamento sono molteplici: siccità, ondate di calore, fusione dei ghiacciai, aumento del livello del mare ed altro. E più la Terra si riscalda, più questi effetti sono importanti.

3. Fusione dei ghiacci e livelli del mare. La fusione celle calotte glaciali e dei ghiacciai continua inarrestabile, anche se non si è verificato nessun evento spettacolare, finora. Alcuni studi sembrano indicare che l'Antartide abbia guadagnato un po' di calotta glaciale dal 2008 a causa dell'aumento delle nevicate ma, anche se questo risultasse essere vero, la tendenza complessiva alla fusione è evidente. La fusione dei ghiacciai continentali sta destabilizzando le montagne, causando frane estese. L'acqua dolce che fluisce nell'oceano è uno dei fattori principali che causano un aumento dei livelli dei mari. Al momento ci troviamo ad un livello di circa 20 cm più alto di quando sono iniziate le misurazioni, alla fine del XIX secolo. Finora, nessuna città costiera o isola abitata è finita sott'acqua in modo permanente, ma se la tendenza ad aumentare continua questo sarà un problema enorme.

4. Disastri legati al meteo e al clima. Gli schemi meteorologici che cambiano sono uno dei fattori che hanno generato un rapido aumento dei disastri naturali nel XX secolo. Il numero di disastri sembra aver raggiunto un picco intorno al 2004-2006, anche se il danno arrecato continua ad aumentare in termini monetari. Il cambiamento degli schemi meteorologici sta causando danni considerevoli all'agricoltura, colpita dalle siccità (come sta succedendo negli Stati Uniti) e dagli instabili schemi delle precipitazioni. Finora, la produzione di cibo non è stata colpita pesantemente, perlomeno in media e la produzione di cereali rimane stabile, o persino in crescita. Tuttavia, i paesi poveri sono particolarmente a rischio, visto che i contadini non hanno le risorse finanziarie necessarie per adattarsi. La produzione ittica è in declino quasi ovunque, in gran parte a causa della pesca eccessiva, ma anche a causa del riscaldamento degli oceani.

5. Altri effetti. Tutti quelli precedenti sono effetti che possono essere classificati sotto l'etichetta del “cambiamento climatico”, a sua volta un effetto del riscaldamento causato dalla forzante serra. Tuttavia, i cambiamenti in corso nell'ecosistema sono molto più complessi ed estesi. Per esempio, l'acidificazione degli oceani si sta verificando come un effetto del discioglimento del CO2 ad un livello di circa 0,1 unità di pH e che potrebbe avere effetti negativi sui coralli. Dovremmo considerare l'eutrofizzazione, l'erosione del suolo, la dispersione di metalli pesanti, la copertura del terreno con strutture permanenti, le estinzioni multiple, la deforestazione e molto altro.

Anche se breve, questo elenco mostra quanto siano giganteschi e in gran parte irreversibili i cambiamenti che hanno luogo. La Terra sta cambiando, viene trasformata in un pianeta diverso, un ambiente che i nostri antenati non hanno mai conosciuto, ma che non possiamo evitare di affrontare. In questa situazione, un certo grado di adattamento è sicuramente possibile per gli esseri umani. L'aria condizionata può aiutare contro le ondate di calore, l'agricoltura si può adattare alle siccità con l'irrigazione o passando a varietà diverse di piante, le opere ingegneristiche possono aiutare contro le alluvioni e gli incendi possono essere spenti con vari metodi. Ma ci sono limiti all'adattamento e i problemi tendono ad arrivare non gradualmente, ma tutti in una volta. Per esempio, quando New York ha subito la disastrosa inondazione del 2012, l'aumento del livello del mare è stato sicuramente un fattore che ha peggiorato il problema.

In molti casi vediamo una situazione in cui le grandi emergenze legate al clima potrebbero avvenire in ogni momento. Ci sono varie possibilità, come quella di nuove ondate di calore paragonabili, o peggiori, di quella del 2003, che ha rivendicato circa 70.000 vittime in Europa. Potremmo vedere il collasso di grandi masse di ghiaccio dall'Antartide o dalla Groenlandia che porterebbero ad un disastroso e rapido aumento del livello del mare. Oppure cambiamenti degli schemi meteorologici che colpiscono negativamente l'agricolture e quindi la produzione di cibo. O qualcos'altro. In ogni caso, man mano che la forzante serra continua ad aumentare, queste possibilità diventano sempre più probabili.

In cima a tutto questo, c'è la terribile possibilità di un “punto di non ritorno climatico”, il fatto che dopo aver raggiunto un certo grado di riscaldamento, l'intero ecosistema, comincerà a rilasciare il metano immagazzinato nel permafrost, spingendo sé stesso in un nuovo stato di temperatura. Questo nuovo stato potrebbe essere così caldo da rendere gran parte del pianeta inabitabile per gli esseri umani. Ovviamente, non c'è modo di adattarsi ad un evento del genere.

Eppure, non sarebbe impossibile stabilizzare il clima passando ad un'economia completamente alimentata dall'energia rinnovabile prima che sia troppo tardi. Ma ciò richiede sacrifici che, al momento, nessuno è disposto a fare. Quindi, continuiamo a camminare lungo il sentiero di montagna con gli occhi chiusi, sperando che il burrone sia ancora molto lontano...



lunedì 30 novembre 2015

Alcuni fatterelli sulla CO2

di Bodhi Paul Chefurka
traduzione di Stefano Ceccarelli



Alcuni interessanti fatterelli (e qualche opinione) sulla CO2:
  • Per ogni 16 gigatonnellate (GT) di CO2 che emettiamo, la sua concentrazione atmosferica sale di 1 parte per milione (ppm).
  • L’umanità oggi emette circa 40 GT di CO2 l’anno, risultante dalla combinazione di combustibili fossili, produzione di cemento e modifiche dell’uso dei suoli (deforestazione).
  • Come conseguenza, le concentrazioni di CO2 stanno aumentando di circa 2,5 ppm l’anno.
  • Il lungo tempo di permanenza della CO2 in atmosfera fa sì che fintanto che emettiamo CO2, la sua concentrazione atmosferica continuerà a crescere.
  • Ogni dollaro di PIL mondiale prodotto negli ultimi 15 anni ha richiesto l’emissione di una media di 0,6 kg di CO2, anche con l’aumento nella produzione di energie rinnovabili.
  • Se vogliamo che la concentrazione atmosferica di CO2 smetta di crescere, dobbiamo fermare tutte le attività economiche.
  • Anche se cessassimo oggi tutte le emissioni di CO2 fermando tutte le attività economiche, avremmo ancora una quantità pericolosa di CO2 nell’atmosfera.
  • Nessuno ha sviluppato un metodo per portar via quantità industriali di CO2 dall’aria, eccetto (forse) con la riforestazione di vaste distese di quello che sono oggi le aree coltivate.
  • Il mondo non cesserà le sue attività economiche dalla sera alla mattina. Non riusciremo neanche a ridurle significativamente nei prossimi uno o due decenni, a meno che non si verifichi un collasso economico globale – nel qual caso cercheremmo disperatamente di ripristinarle.
  • I prossimi due decenni di emissioni generate dall’economia faranno salire la CO2 atmosferica a oltre 450 ppm.
  • Secondo Wasdell et al., l’aumento di temperatura all’equilibrio a lungo termine prodotto da 450 ppm di CO2 è di circa 5°C.
  • Non sappiamo quanto tempo ci vorrà per stabilizzarci a quell’aumento di temperatura, ma è lì che alla fine arriveremo.
  • Un tale aumento di temperatura non è favorevole alla sopravvivenza di molte specie di piante ed animali, compreso l’uomo. E’ del tutto incompatibile con la nostra attuale civilizzazione.
Ecco perché io credo che noi siamo oggi irreversibilmente fottuti.



Nota di UB: questo pezzo di Chefurka è indubbiamente interessante e l'abbiamo pubblicato come stimolo alla discussione. Però è semplicemente falso dire che "Se vogliamo che la concentrazione atmosferica di CO2 smetta di crescere, dobbiamo fermare tutte le attività economiche." Può esistere un agricoltura sostenibile, e può anche esistere un'attività industriale sostenibile. Non sono magari facili da ottenere, ma sono tutte e due "attività economiche". Tutti abbiamo i nostri limiti, qui Chefurka si  fatto prendere un po' la mano dal pessimismo e non gli possiamo dare tutti i torti, visto quello che sta succedendo in giro.


sabato 10 ottobre 2015

Quello che la Exxon sapeva del cambiamento climatico

Da  “The New Yorker”. Traduzione di MR (via Skeptical Science)

Di Bill McKibben



Pompe di benzina Exxon e Mobil, New York 1979. Due anni prima, secondo un nuovo rapporto, gli scienziati della Exxon hanno detto alla società che il loro prodotto principale contribuiva al riscaldamento globale. Foto di Brian Alpert/Keystone/Hulton Archive/Getty

Mercoledì mattina, i giornalisti di InsideClimate News (ICN), un sito Web che ha vinto il Premio Pulitzer per i suoi servizi sulle perdite di petrolio, ha pubblicato la prima dispensa di una denuncia i più parti che apparirà nei prossimi mesi. I documenti che hanno raccolto e le interviste che hanno fatto agli impiegati in pensione ed ai funzionari mostrano che, già nel 1977, la Exxon (ora ExxonMobil, una delle società più grandi del pianeta) sapeva che il proprio prodotto principale avrebbe scaldato disastrosamente il pianeta. Ciò non ha impedito alla società di passare da allora decenni a organizzare le campagne di disinformazione e negazione che hanno rallentato  - forse fatalmente – la risposta del pianeta al riscaldamento globale.

domenica 9 agosto 2015

Le emissioni di CO2 minacciano una crisi degli oceani

Da “BBC”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

Di Roger Harrabin, analista ambientale della BBC


Un rapporto importante avverte che la vita nei mari verrà cambiata in modo irreversibile, a meno che le emissioni di CO2 della società industriale non vengano tagliate drasticamente.


Gli scienziati hanno avvertito che la vita marina sarà irreversibilmente cambiata a meno che le emissioni di CO2 non vengano tagliate drasticamente.

Scrivendo su Science, gli esperti dicono che gli oceani si stanno riscaldando, stanno perdendo ossigeno e stanno diventando più acidi a causa del CO2. Avvertono che l'aumento massimo di temperatura di 2°C del cambiamento climatico concordato dai governi non impedirà impatti drammatici sui sistemi oceanici. E dicono che la gamma di opzioni si sta riducendo man mano che il costo di quelle opzioni va alle stelle. Ventidue grandi scienziati del mare a livello mondiale hanno collaborato al rapporto di sintesi in una sezione speciale della rivista Science. Gli scienziati dicono che gli oceani sono in grave pericolo a causa della combinazione di minacce collegate al CO2. Credono che i politici che stanno provando a risolvere il cambiamento climatico abbiano dato troppo poca attenzione agli impatti del cambiamento climatico sugli oceani. E' chiaro, dicono, che il CO2 risultato dalla combustione di combustibili fossili sta cambiando la chimica dei mari più rapidamente di qualsiasi altro periodo dall'evento catastrofico conosciuto come la Grande Moria, 250 milioni di anni fa. Avvertono che l'oceano ha assorbito quasi il 30% del biossido di carbonio che abbiamo prodotto dal 1750 e, visto che il CO2 è un gas leggermente acido, sta rendendo l'acqua di mare acida. Ha anche tamponato il cambiamento climatico assorbendo oltre il 90% del calore addizionale creato dalla società industriale dal 1970. Il calore supplementare rende più difficile per l'oceano trattenere l'ossigeno.

'Cambiamento radicale'

Diversi esperimenti recenti suggeriscono che molti organismi possono sopportare il riscaldamento futuro che ci si attende che il CO2 porti, o la diminuzione del pH, o la minore quantità di ossigeno... ma non tutto insieme. Jean-Pierre Gattuso, autore principale dello studio, ha detto: “L'oceano è stato considerato poco nei precedenti negoziati sul clima. Il nostro studio fornisce argomentazioni convincenti per un cambiamento radicale alla conferenza dell'ONU (a Parigi) sul cambiamento climatico”.



Gli oceani sono a forte rischio a causa di una combinazione di minacce

Gli scienziati avvertono che il carbonio che emettiamo oggi potrebbe cambiare il sistema terrestre in modo irreversibile per molte generazioni a venire. Carol Turley, del Laboratori Marino di Plymouth e coautrice, ha detto: “L'oceano è la linea del fronte del cambiamento climatico con la sua fisica e chimica che vengono alterate ad un tasso senza precedenti, tant'è vero che gli ecosistemi e gli organismi stanno già cambiando e continueranno a farlo man mano che emettiamo più CO2. “L'oceano ci fornisce cibo, energia, minerali, medicamenti e metà dell'ossigeno dell'atmosfera e regola il clima e il meteo. Stiamo chiedendo ai legislatori di riconoscere le potenziali conseguenze di questi cambiamenti drammatici e innalzare il profilo dell'oceano nei colloqui internazionali dove, fino ad ora, sono stati a malapena menzionati”. Gli scienziati dicono che è probabile che l'acidificazione alteri la riproduzione, la sopravvivenza delle larve e la loro alimentazione e i tassi di crescita degli organismi marini – specialmente quelli con gusci o scheletri di carbonato di calcio.

Strada pericolosa

Gli autori dicono che quanto diversi fattori di stress lavorano insieme, di tanto in tanto si cancellano a vicenda, ma più spesso moltiplicano gli effetti negativi. Gli esperti dicono che protezione delle coste, pesca, acquacoltura, salute umana e turismo saranno condizionati dai cambiamenti. Avvertono che: “Serve una immediata e sostanziale riduzione delle emissioni di CO2 per impedire impatti massicci e di fatto irreversibili sugli ecosistemi oceanici ed i loro servizi”. Il professor Manuel Barange, direttore del Laboratorio Marino di Plymouth, ha detto: “Il cambiamento climatico continuerà a colpire gli ecosistemi oceanici in modi molto significativi e la società deve prenderne atto e rispondere. Alcuni ecosistemi e servizi avranno un beneficio dal cambiamento climatico, specialmente a breve termine, ma nel complesso gli impatti sono prevalentemente negativi. “impatti negativi sono in particolare attesi nelle regioni tropicali ed in via di sviluppo, aumentando così potenzialmente difficoltà già esistenti in termini di sicurezza alimentare e di mezzi di sussistenza. Ci stiamo permettendo di viaggiare su una strada strada eccezionalmente pericolosa e lo stiamo facendo senza una valutazione delle conseguenze che avremo di fronte”.

domenica 12 luglio 2015

Alti livelli di carbonio possono rendere più difficile la crescita delle piante

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR (via Luca Pardi)

Di Natasha Geiling



Contrariamente alla popolare tesi conservatrice, un nuovo studio ha scoperto che l'aumento del biossido di carbonio atmosferico non necessariamente è un vantaggio per la crescita delle piante – piuttosto, causa maggiori difficoltà alla piante nell'assorbimento di azoto nel tempo, un nutriente cruciale per la crescita e la salute della pianta. Pubblicato sulla rivista Global Change Biology, lo studio ha scoperto che man mano che i livelli di biossido di carbonio nell'aria aumentano, la concentrazione di azoto nelle piante diminuisce, diminuendo così i livelli di proteine nelle piante e la capacità di crescita. La squadra di ricercatori internazionali ha studiato l'impatto dell'aumento di carbonio atmosferico su tipi di ecosistemi molteplici – dalle praterie alle foreste – osservando esperimenti sul campo di vasta scala condotti in otto paesi in quattro diversi continenti.

“In tutti i tipi di ecosistema i risultati mostrano che alti livelli di biossido di carbonio possono inibire la capacità delle piante di assorbire azoto e che questo effetto negativo è dovuto in parte al fatto che l'aumento di biossido di carbonio ha un effetto marginale o inesistente sulla crescita di molti ecosistemi”, ha detto in una dichiarazione alla stampa Johan Uddling, docente di lungo corso al Dipartimento di Scienze Biologiche ed Ambientali dell'Università di Gothenburg e principale ricercatore del progetto. Fra i conservatori – e fra alcuni scienziati – per lungo tempo c'è stata la speranza che il cambiamento climatico potesse realmente stimolare la crescita delle piante sul breve termine, man mano che l'atmosfera diventa più ricca di biossido di carbonio. Il Senatore James Inhofe (Ok, repubblicano) ha detto che il cambiamento climatico ha “contribuito ad aumentare la produttività agricola”, sostenendo che “il CO2 è un fertilizzante”E mentre alcuni studi hanno sostenuto la dichiarazione di Inhofe, altri – come quello più recente – hanno scoperto che è vero l'opposto. “Le scoperte dello studio sono inequivocabili. Il contenuto di azoto nelle colture è ridotto nelle atmosfere con livelli maggiori di biossido di carbonio in tutti e tre i tipi di ecosistema. Inoltre, possiamo vedere che questo effetto negativo c'è a prescindere dal fatto che la crescita della pianta aumenti ed anche se viene aggiunto del fertilizzante. Ciò è nuovo ed inaspettato”, ha detto Uddling. Lo studio ha scoperto che sia per il grano che per il riso, l'aumento del biossido di carbonio in atmosfera ha portato a colture meno nutrienti. Il grano ed il riso sono due dei cereali globalmente più importanti – insieme al mais, il grano e il riso forniscono oltre il 50% dell'energia mondiale derivata da piante, secondo il Centro Internazionale di Ricerca sullo Sviluppo.

Gli studi precedenti hanno a loro volta visto le riduzioni del contenuto di azoto nelle piante cresciute in ambienti ad alto contenuto di carbonio, ma lo hanno tradizionalmente attribuito a una specie di diluizione – sulla base dell'idea che man mano che il carbonio stimola la crescita della pianta e il tasso di fotosintesi aumenta, l'assorbimento dell'azoto semplicemente non era in grado di tenere il passo. Quella teoria, ha detto Uddling, ora è stata messa in dubbio. “Le scoperte di questo studio mostrano che questa interpretazione è semplificata e parzialmente sbagliata. Stiamo osservando un ridotto contenuto di azoto anche quando la crescita non viene condizionata. Inoltre, l'effetto c'è anche in prove con potenti fertilizzanti, il che indica che la cosa non si riduce ad un limitato accesso all'azoto nel suolo”, ha detto Uddling. “Gli studi futuri dovranno cercare cosa causa l'effetto, ma sembra essere collegato alla capacità delle piante di assorbire azoto piuttosto che alla variazione dei suoi livelli nel suolo”.

sabato 28 febbraio 2015

Le immagini satellitari rivelano l'acidificazione dell'oceano dallo spazio

Da “Phys.org”. Traduzione di MR


Alcalinità totale dell'oceano dallo spazio. Foto: Ifremer/ESA/CNES

Le tecniche pionieristiche che usano i satelliti per monitorare l'acidificazione dell'oceano stanno per rivoluzionare il modo in cui i biologi marini e gli scienziati del clima studiano l'oceano. Questo nuovo approccio, che verrà pubblicato il 17 febbraio 2015 sulla rivista Environmental Science and Technology, offre un monitoraggio remoto di ampie fasce di oceano inaccessibili da parte di satelliti che orbitano intorno alla Terra a circa 700 km al di sopra delle nostre teste. Ogni anno, più di un quarto delle emissioni globali di CO2 provenienti dalla combustione di combustibili fossili e dalla produzione di cemento vengono catturate dagli oceani terrestri. Questo processo rende l'acqua di mare più acida, rendendo più difficile la vita di alcune specie marine. Le emissioni di CO2 in aumento e l'aumento dell'acidità dell'acqua di mare del secolo scorso ha il potenziale di devastare alcuni ecosistemi marini, una risorsa di cibo dalla quale dipendiamo, quindi il monitoraggio accurato dei cambiamenti dell'acidità dell'oceano è cruciale.

domenica 11 gennaio 2015

Gli alberi ci salveranno! O forse no......

Da “Scientific American”. Traduzione di MR (h/t Paul Chefurka)

Il biossido di carbonio cresce, gli alberi tropicali no







Gli scienziati avevano ipotizzato che gli alberi avrebbero utilizzato l'aumento delle concentrazioni di CO2 per crescere di più, ma la ricerca mostra che non è così

Di Elizabeth Harball e ClimateWire


Una nuova ricerca suggerisce che le foreste potrebbero non essere utili quanto avevamo sperato. Foto: A. Duarte/Flickr

Gli alberi sono assolutamente nostri alleati quando si tratta di catturare gas serra, aiutando così nella lotta contro il cambiamento climatico. Ma una nuova ricerca suggerisce che le foreste potrebbero non essere utili quanto avevamo sperato. I modelli computerizzati che prevedono come avverrà il cambiamento climatico ipotizzano che quando le concentrazioni di gas serra salgono, le foreste si avvantaggeranno del biossido di carbonio aggiuntivo e crescono un po' di più, aumentando la loro capacità di mitigare il riscaldamento globale. Ma dopo l'analisi di decine di migliaia di anelli degli alberi presi da foreste tropicali in Bolivia, Camerun e Thailandia, una squadra internazionale di scienziati sta mettendo in discussione questa ipotesi. La loro ricerca, pubblicata ieri nella rivista Nature Geoscience, non ha scoperto alcuna correlazione fra l'aumento delle concentrazioni di biossido di carbonio degli ultimi 150 anni e la crescita della foresta, come evidenziato dagli anelli degli alberi. Le foreste tropicali “sono riserve di cabonio molto importanti”, ha detto l'autore principale Peter van der Sleen Gruppo di Gestione ed Ecologia delle foreste dell'Università di Wageningen, in Olanda. Ma, ha detto van der Sleen, la sua ricerca mette in discussione la capacità delle foreste tropicali di mitigare il cambiamento climatico. Questa scoperta ha il potenziale di cambiare le nostre previsioni climatiche, ha spiegato Lucas Cernusak del College delle Scienze Marine ed Ambientali dell'Università James Cook a Cairns, in Australia. “Le attuali formulazioni del modello prevedono un aumento della biomassa tropicale in questo secolo”, ha scritto in una email Cernusak, che è stato coinvolto nello studio. “Se questo non avviene, il tasso di crescita del CO2 atmosferico aumenterà e il riscaldamento globale accelererà”.

Gli anelli degli alberi raccontano una storia 'sorprendente'

E' probabile che il nuovo studio sia giunto a conclusioni diverse a causa delle differenze nei metodi di ricerca. I primi studi erano basati sull'analisi della biomassa contenuta in piccoli lotti di foresta piuttosto che in una campionatura casuale di alberi sparsi in tutta una foresta come nello studio di van der Sleen. Inoltre, senza i dati a lungo termine forniti dagli anelli degli alberi, i primi esperimenti osservavano la crescita degli alberi su una scala temporale minore. Van der Sleen ed i suoi coautori hanno pensato che se gli alberi fossero effettivamente cresciuti di più con l'aumento del CO2 in atmosfera, i loro anelli si sarebbero ispessiti nel tempo. Ed hanno trovato prove che gli alberi hanno reagito al maggiore CO2 in atmosfera. Analizzando gli isotopi di carbonio nel legno, hanno scoperto che gli alberi avevano usato l'acqua in modo più efficiente e probabilmente sono diventati anche più efficienti nella fotosintesi, il processo in cui la luce viene trasformata in energia. Per una qualche ragione, però, nessuna di queste cose si è tradotta in anelli più spessi o alberi più grandi, come sospettano i ricercatori. “Un aumento nell'efficienza dell'uso dell'acqua è una delle risposte osservate più affidabili degli alberi all'aumento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera”, ha scritto Cernusak a in un pezzo di accompagnamento allo studio di van der Sleen su “News and Views”, pubblicato anche sulla rivista Nature Geoscience. “Ma l'aumento dell'efficienza nell'uso di acqua osservato nelle foreste rende ancora più sorprendente il fatto che i tassi di crescita stagnassero”.

Potrebbero esserci più alberi?

Perché mai dovrebbe essere così? Lo studio offre tre spunti. Il primo è che è possibile che un altro fattore di stress collegato al cambiamento climatico, come l'aumento delle temperature, stia impedendo agli alberi di crescere di più. La seconda teoria è che altre parti dell'albero, come i frutti o le radici, siano cresciute di più, ma non gli anelli. La terza teoria, che sia van der Sleen sia Cernusak indicano come quella preferita, è che la crescita degli alberi sia limitata da altre risorse che non hanno a che fare con CO2 o acqua, come la quantità di nutrienti nel suolo. Ma non è ancora il momento di abbandonare l'idea che le foreste potrebbero compensare l'aumento delle emissioni – van der Sleen ha avvertito che i suoi risultati “non sono definitivi”. Ha detto che è possibile che anche se i singoli alberi non stanno crescendo di più, il numero di alberi potrebbe essere in aumento in reazione al maggior CO2 in atmosfera. “Si può pensare che forse il CO2 non stia aumentando la crescita degli alberi, ma la crescita degli alberi non è la sola cosa che determina la biomassa”, ha detto van der Sleen.

domenica 14 dicembre 2014

Ecco come il cambiamento climatico ha alterato la Vita sulla Terra negli ultimi 20 anni

Da “Business Insider”. Traduzione di MR

Di Seth Borenstein

WASHINGTON (Associated Press) — Negli oltre due decenni da quando i leader mondiali si sono riuniti per cercare di risolvere il riscaldamento globale, la vita sulla Terra è cambiata, non solo il clima. Si è fatto più caldo, più inquinato di gas serra, più affollato ed è decisamente proprio peggiorato. I numeri sono crudi. Emissioni di biossido di carbonio: più 60%. Temperatura globale: più 6/10 di grado (°C), Popolazione: più 1,7 miliardi di persone. Livello del mare: più 7,6 cm. Meteo estremo negli Stati Uniti: più 30%. Calotte glaciali in Groenlandia ed in Antartide: meno 4,9 trilioni di tonnellate di ghiaccio.

"Per farla semplice, stiamo rapidamente trasformando il pianeta e cominciando a soffrirne le conseguenze”, dice Michael Oppenheimer, professore di geo-scienze e affari internazionali all'Università di Princeton. I diplomatici di oltre 190 nazioni hanno aperto le relazioni alla conferenza della Nazioni Unite sul riscaldamento globale a Lima, in Perù, per spinare la strada ad un trattato internazionale che sperano di stringere il prossimo anno. Per vedere quanto sia cambiato il mondo dalla prima di queste conferenze – il Summit sulla Terra di Rio de Janeiro del 1992 – la Associated Press (AP) ha esaminato i database di tutto il mondo. L'analisi, che ha riguardato dati dal 1983, si è concentrata su intervalli che terminano nel 1992 e nel 2013. Questo perché gli scienziati dicono che i singoli anni possono essere fuorvianti e le tendenze più a longo termine sono più rappresentative. Il nostro mondo che cambia in numeri:


REUTERS/Lucas Jackson – Un uomo cammina su una strada allagata ad Islip, New York, il 13 agosto 2014.

Meteo impazzito

Dal 1992, ci sono stati più di 6.600 grandi disastri climatici, meteorologici e legati all'acqua in tutto il mondo, che hanno causato più di 1,6 trilioni di dollari di danni e la morte di più di 600.000 persone, secondo il Centro per la Ricerca sull'Epidemiologia dei Disastri in Belgio, che registra le catastrofi mondiali. Pur essendoci un collegamento col clima, non tutto può essere attribuito al riscaldamento antropogenico o al cambiamento climatico. Tuttavia, il meteo estremo è notevolmente aumentato negli anni, dice Debby Sapir, che dirige il centro ed il suo database. Dal 1983 al 1992 il mondo ha avuto in media 147 disastri all'anno collegati al clima, al meteo e all'acqua. Negli ultimi 10 anni, il numero è saltato ad una media di 306 all'anno. Negli Stati Uniti, un indice degli estremi climatici – caldo, freddo, umido e secco – tenuto dalla Amministrazione Oceanica ed Atmosferica Nazionale (NOAA) ha fatto un salto del 30% dal 1992 al 2013, senza contare gli uragani, sulla base di medie di 10 anni.

Il NOAA traccia anche i disastri meteo degli Stati uniti che costano più di un miliardo di dollari, al netto dell'inflazione. Dal 1992, ci sono stati 136 di tali eventi dal costo miliardi di dollari. In tutto il mondo, la media di 10 anni delle perdite legate a fenomeni meteorologici al netto dell'inflazione è stata di 30 miliardi all'anno dal 1983 al 1992, secondo il gigante assicurativo SwissRe. Dal 2004 al 2013, il costo è stato più di tre volte tanto in media, cioè 131 miliardi all'anno. Sapir ed altri dicono che sarebbe sbagliato attribuire tutti, o la maggior parte, di questi aumenti al solo cambiamento climatico. Popolazione e povertà sono fattori a loro volta importanti. Ma osservano una tendenza di aumento dei disastri e di disastri più estremi e ciò corrisponde a quello che gli scienziati stanno dicendo da molto tempo sul riscaldamento globale. E' questo aumento che è “di gran lunga più spaventoso” del semplice aumento della temperatura, dice lo scienziato del clima Donald Wuebbles dell'Università dell'Illinois.


Tifosi di tennis al torneo ATP di Melbourne raccolti intorno ad un nebulizzatore di acqua fredda per raffreddarsi durante gli Australian Open in Australia.

Temperatura

E' quasi certo che il 2014 sarà ricordato come l'anno più caldo in 135 anni di registrazioni, dicono i meteorologi del Centro Nazionale per i Dati sul Clima del NOAA. Se così fosse, questa sarebbe la sesta volta dal 1992 che il mondo stabilisce un nuovo record annuale per l'anno più caldo o lo pareggia. Il globo ha infranto sei record mensili nel 2014 e 47 dal 1992. L'ultimo record di freddo su base mensile è stato stabilito nel 1916. Quindi la temperatura media annuale del 2014 è sulla strada per essere di circa 58,2°F (14,6°C), in confronto ai 57,4°F (14,1°C) del 1992. Gli ultimi 10 anni hanno avuto una media di poco inferiore ai 58,1°F (14,5°C) – 6/10 di grado più alta della media fra il 1983 e il 1992.


Flickr / Ricardo Mangual

Gli Oceani

Gli oceani del mondo sono saliti di circa 7,6 cm dal 1992 e sono diventati un po' più acidi – di circa lo 0,5% - grazie alla reazione chimica causata dall'assorbimento di biossido di carbonio, dicono gli scienziati del NOAA e dell'Università del Colorado. Ogni anno a settembre, la copertura di ghiaccio marino dell'Artico si riduce ad una misura annuale minima – una misurazione che è considerata un indicatore chiave del cambiamento climatico. Dal 1983 al 1992, il massimo che è scesa in media è stato 2,62 milioni di miglia quadrate. Ora la media su dieci anni è scesa a 1,83 milioni di miglia quadrate, secondo il Centro Nazionale per i Dati su Neve e Ghiaccio. Questa perdita – una media di 790.000 miglia quadrate dal 1992 – eclissa il leggero guadagno in ghiaccio marino dell'Antartide, che ha visto un aumento medio di 110.000 miglia quadrate di ghiaccio marino negli ultimi 22 anni.


AP Photo/Nick Ut

La Terraferma

La popolazione mondiale nel 1992 era di 5,46 miliardi di persone. Oggi è quasi di un terzo maggiore, 7,18 miliardi di persone. Ciò significa più inquinamento da carbonio e più persone che possono essere vulnerabili al riscaldamento globale. Gli effetti del cambiamento climatico si possono vedere da più severe stagioni degli incendi. Gli incendi nell'Ovest degli Stati Uniti hanno bruciato una media di 2,7 milioni di acri ogni anno dal 1983 al 1992; ora questa media è salita a 7,3 milioni di acri dal 1994 al 2013, secondo il Centro Nazionale Interagenzie per gli Incendi. Es alcuni degli effetti maggiori del cambiamento climatico sulla terraferma sono localizzati vicino ai poli, dove le persone non li possono vedere spesso. Dal 1992 al 2011, la calotta glaciale della Groenlandia ha perso 3,35 trilioni di tonnellate di ghiaccio, secondo i calcoli fatti dagli scienziati usando misurazioni del satellite GRACE della NASA. L'Antartide ha perso 1,56 trilioni di tonnellate di ghiaccio durante lo stesso periodo.


REUTERS - Smog in Cina.

L'Aria

Gli scienziati indicano semplicemente le emissioni di gas serra, in gran parte biossido di carbonio, che formano una coperta che intrappola il calore nella nostra aria. Non è necessario fare la media annuale della quantità di inquinamento da biossido di carbonio: è aumentata costantemente, del 60%, dal 1992 al 2013. Nel 1992, il mondo ha emesso 24,9 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio; ora sono 39,8 miliardi, secondo il Global Carbon Project, un consosrzio internazionale. La Cina ha triplicato le sue emissioni da 3 miliardi di tonnellate ad 11 tonnellate all'anno. Le emissioni degli Stati Uniti sono aumentate più lentamente, di circa il 6%, da 5,4 miliardi di tonnellate a 5,8. Anche l'India ha triplicato le sue emissioni, da 860 milioni di tonnellate a 2,6 miliardi. Solo i paesi europei hanno visto le proprie emissioni scendere, da 4,5 miliardi a 3,8 miliardi di tonnellate.
Cosa dicono gli scienziati

“In generale, ciò che mi colpisce davvero è l'opportunità mancata”, ha detto in una e-mail Andrew Dessler, uno scienziato del clima all'Università A&M del Texas. “Sapevamo dai primi anni 90 che il riscaldamento globale stava arrivando, eppure non abbiamo fatto sostanzialmente niente per scongiurare il rischio. Penso che le future generazioni potrebbero essere giustificabilmente arrabbiate per questo”. “I numeri non mentono”, ha detto Michael Mann, uno scienziato del clima alla Penn State. “I gas serra stanno aumentando costantemente e la causa è la combustione di combustibili fossili ed altre attività umane. Il globo si sta scaldando, il ghiaccio fonde e il nostro clima sta cambiando di conseguenza”
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Potete seguire Seth Borenstein su Twitter at http://twitter.com/borenbears

martedì 3 giugno 2014

La perdita di carbonio dal suolo accelera il cambiamento climatico

Da “Science Daily”. Traduzione di MR

Università del Nord dell'Arizona, 24 aprile 2014

Una nuova ricerca ha scoperto che l'aumento dei livelli di biossido di carbonio nell'atmosfera spinge i microbi del suolo a produrre più biossido di carbonio, accelerando il cambiamento climatico. Questa ricerca sfida la nostra comprensione precedente su come si accumula il carbonio nel suolo.

 Una ricerca pubblicata su Science  ha scoperto che l'aumento dei livelli di biossido di carbonio nell'atmosfera spinge i microbi del suolo a produrre più biossido di carbonio, accelerando il cambiamento climatico. 

Due ricercatori dell'Università del Nord dell'Arizona hanno condotto uno studio che sfida le conoscenze precedenti su come si accumula il carbonio nel suolo. L'aumento del livelli di CO2 accelera la crescita delle piante, che a sua volta provoca più assorbimento di CO2 attraverso la fotosintesi. Fino ad ora, l'opinione accettata era che il carbonio viene immagazzinato nel legno e nel suolo per lungo tempo, rallentando il cambiamento climatico. Tuttavia, questa nuova ricerca suggerisce che il carbonio supplementare fornisce combustibile ai microorganismi nel suolo i cui sottoprodotti (come il CO2) vengono rilasciati nell'atmosfera, contribuendo al cambiamento climatico.

“Le nostre scoperte significano che la natura non è così efficiente nel rallentare il riscaldamento globale come pensavamo in precedenza”, ha detto Kees Jan van Groenigen, ricercatore al Centro per la Scienza dell'Ecosistema e della Società alla NAU (Northern Arizona University) e autore principale dello studio. “Trascurando questo effetto dell'aumento del CO2 sui microbi del suolo, i modelli usati dal IPCC potrebbero aver sovrastimato il potenziale del suolo di immagazzinare carbonio e mitigare l'effetto serra”. Per capire meglio come rispondono i microbi del suolo alla mutevolezza dell'atmosfera, gli autori dello studio hanno utilizzato tecniche statistiche che confrontano i dati ai modelli e testano gli schemi generali fra gli studi. Hanno analizzato i risultati pubblicati di 53 diversi esperimenti nelle foreste, praterie e campi agricoli in tutto il mondo. Questi esperimenti hanno tutti misurato come il CO2 in eccesso nell'atmosfera condizione la crescita delle piante, la produzione microbica di biossido di carbonio e la quantità totale di carbonio del suolo alla fine dell'esperimento.

“Abbiamo creduto a lungo che i suoli fossero un posto stabile e sicuro per immagazzinare carbonio, ma i nostri risultati mostrano che il carbonio del suolo non è così stabile che pensavamo”, ha detto Bruce Hungate, direttore del Centro per la Scienza dell'Ecosistema e della Società alla NAU e autore dello studio. “Non dovremmo compiacerci dei continui aiuti da parte della natura nel rallentamento del cambiamento climatico”.

Fonte della storia:
La storia sopra è basata su materiali forniti dall'Università dell'Arizona del Nord. Nota: i materiali potrebbero essere modificati in contenuto e lunghezza.  

Rivista di riferimento:
1. Kees Jan van Groenigen, Xuan Qi, Craig W. Osenberg, Yiqi Luo, e Bruce A. Hungate. Faster Decomposition Under Increased Atmospheric CO2 Limits Soil Carbon Storage. Science, 2014 DOI: 10.1126/science.1249534 

domenica 4 maggio 2014

Qual è la tua impronta di carbonio e da dove viene?

Da “Skeptikal Science”. Traduzione di MR

Di Marcin Popkiewicz

Quando ho appreso per la prima volta che un europeo medio è responsabile di emissioni di quasi 10 tonnellate di biossido di carbonio all'anno (e un americano del doppio di quella quantità) sono rimasto molto scioccato.

Volevo sapere quanta di questa impronta di carbonio è collegata ad attività particolari: riscaldamento, guidare la macchina, viaggiare in aereo, produzione di cibo e beni, consumo casalingo di elettricità, ecc. Volevo sapere come è collegata la mia impronta di carbonio alla media del mio paese, degli stati Uniti, della Cina o dell'India. Il mio livello di emissioni era sicuro per la Terra o sembravano piuttosto le tracce di Godzilla? E più di tutto, volevo sapere quali cambiamenti nella mia vita avranno un reale impatto, non solo un miglioramento del mio stato d'animo. Ho lottato per ridurre la mia impronta di carbonio, quindi queste informazioni erano cruciali per prendere decisioni informate.

Se avete pensieri simili, il modo migliore per risponder loro è quello di usare un Calcolatore personale di impronta di carbonio, attrezzo ufficiale del Ministro dell'Ambiente polacco per la conferenza dell'ONU COP14 sul clima (c'è anche una versione locale del calcolatore, potete scaricarla qui, installando prima Adobe AIR). Il calcolatore tradurrà il vostro stile di vita in impronta di carbonio totale, divisa in diverse categorie e mostrata in una forma grafica chiara.


Illustrazione 1. Stile di vita americano: reddito medio statunitense doppio, casa in periferia, SUV, dieta carnivora e viaggi aerei frequenti danno 37 tonnellate di emissioni di CO2 all'anno. 

Il calcolatore mostra anche come cambierebbe la vostra impronta di carbonio dopo alcuni cambiamenti nel vostro stile di vita. 


Illustrazione 2. Stile di vita americano riconsiderato:metà dello stipendio medio statunitensem appartamento in città, bicicletta e trasporto pubblico, dieta vegetariana locale e nessun volo riducono l'impronta a 9 tonnellate di CO2 all'anno. Escludendo le emissioni che non si possono controllare (barra gialla in basso, che rappresenta le emissioni legate alla costruzione e alla manutenzione di strade, gallerie e ponti, illuminazione delle città, amministrazione, esercito e polizia, servizi di soccorso, cliniche ed ospedali, chiese, musei, approvvigionamento d'acqua e sistemi fognari, scuole, ecc.) le emissioni personali si riducono a poco più di 5 tonnellate di CO2/anno. 

Controllate le vostre emissioni e vedete cosa potete fare per ridurre la vostra impronta di carbonio. Fate un esperimento: guardate quali cambiamenti del vostro stile di vita sarebbero necessari per ridurre la vostra impronta fino alla media mondiale (5 tonnellate di CO2/anno). Per me è stata un'esperienza davvero illuminante.

Mi sono reso conto di quante fonti di emissione ci sono e che vivendo in un paese sviluppato è molto difficile ridurre le emissioni – non c'è nessuna bacchetta magica. Mi sono anche reso conto che nel mio tentativo di ridurre la mia impronta di carbonio, spesso mi stavo prendendo in giro, facendo le cose facili, non quelle efficaci.

Uso spesso il calcolatore durante le mie lezioni e laboratori. Di solito simulo una persona che vive uno “stile di vita americano” (diciamo, il signor Jones) e chiedo quindi ai partecipanti al laboratorio di consigliare al signor Jones cosa dovrebbe fare per ridurre la sua impronta in modo significativo. Il primo consiglio di solito è una casa energeticamente efficiente. Ma poi le cose diventano difficili, perché le persone sentono che al signor Jones non necessariamente piacciano i loro consigli: smettere di volare, non usare la macchina (o vendere il SUV e comprare qualcosa di più piccolo molto più efficiente energeticamente – e guidare di meno!), frenare i consumi, smettere di mangiare carne, fare docce anziché bagni e non usare l'aria condizionata.

Il signor Jones, disposto a conservare sia il suo stile di vita ad alto consumo ed un'immagine di buon cittadino responsabile, potrebbe essere tentato l'intero problema passando ad un altro argomento, negare il problema stesso o dire che le sue emissioni sono solo una piccola parte insignificante del problema (o usare numerose altre scuse ben conosciute per non cambiare niente).

Mi sono interrogato molto su questo ed ho deciso che fare del mio meglio per limitare “l'altezza della barra dell'impronta di carbonio” sia la cosa giusta da fare (ora è intorno alle 5,8 tonnellate/anni). Ci sono alcune ragioni per questo:

  • Ci sono punti di non ritorno nel sistema climatico. Potrebbe esserci una tonnellata che sarà “una tonnellata di troppo”. 
  • Una minore impronta di carbonio significa spendere meno, portando così al risparmio anziché al debito, a meno pressione alla rincorsa ai soldi e più tempo per le cose realmente importanti della vita. Sono molto felice di questo atteggiamento. 
  • Perseguire un consumo felicemente egoistico ora, a costo dell'estinzione di innumerevoli specie e di un futuro catastrofico per i nostri figli è un atteggiamento basato su un'etica che non condivido (be', è la mia opinione, alcuni potrebbero pensarla diversamente). 
  • Credibilità: se dici agli altri che dobbiamo ridurre le emissioni mentre guidi un SUV, voli in lungo e in largo e compri un sacco di cose, sarai percepito come un ipocrita. Questo farà più danni che guadagni. Dobbiamo passare dalle parole ai fatti (l'espressione inglese è molto più bella: “we have to walk the talk”, ndt). 
  • Abbiamo una tendenza naturale a dimenticare le cose sconvenienti. Ponendo costantemente in alto nella lista della nostra agenda il “problema dell'impronta di carbonio” lo incorporiamo e lo solidifichiamo, ci educhiamo e cambiamo il modo di vedere il mondo e le nostre priorità. Ciò influenza anche le nostre decisioni non solo nelle nostre vite personali, ma anche nei luoghi di lavoro.  
  • Cambiare l'atteggiamento personale aiuta a cambiare l'atteggiamento generale. Se ci sforziamo noi stessi per un mondo a basse emissioni di carbonio, influenziamo le nostre famiglie, gli amici ed altre persone che incontriamo. In questo modo non spingiamo il clima verso il punto di non ritorno ma la risposta della società alla crisi. 
  • Spendendo i nostri soldi influenziamo ciò che si espanderà e ciò che si contrarrà: sosteniamo il trasporto pubblico, la produzione di apparecchiature energeticamente efficienti e soluzioni a bassa intensità di carbonio, non le aziende che sfornano prodotti business-as-usual.
  • Il cambiamento degli atteggiamenti significa un passaggio culturale che porta al cambiamento delle politiche pubbliche. Come esempio, chi guida un SUV avrà la tendenza a richiedere combustibile a buon mercato e la costruzione di altre strade. Una persona che va in bici ed usa i trasporti pubblici si aspetterà cambiamenti in un'altra direzione. Più persone che richiedono di rivolgersi ad un'economia a minore intensità di carbonio ci daranno una migliore possibilità che alla fine questa verrà adottata. 

Quindi, dal mio punto di vista, dovremmo ridurre la nostra impronta principalmente non perché questa riduca il consumo di combustibili fossili, ma perché questo ci aiuta ad abbracciare il problema, incoraggia l'auto-educazione, cambia la nostra visione del mondo, stimola i cambiamenti culturali intorno a noi ed influenza la prospettiva e le politiche pubbliche.

Vivere una vita a bassa intensità di carbonio in un paese industrializzato non è facile. Inoltre, ridurre le emissioni al di sotto di 1 tonnellata/anno (raccomandato fino al 2050 con l'infrastruttura attuale è quasi impossibile. Dobbiamo ri-svilupparla. Il calcolatore ci permette di verificare il nostro impatto sul pianeta date le altre fonti di energia, i cambiamenti nell'industria e i trasporti.

Ma non aspettate che accada da sé. Riducendo la nostra impronta stimoleremo la transizione. Rimanendo attaccati alle vecchie modalità manteniamo lo status quo.

sabato 3 maggio 2014

L'era glaciale che non fu

Da “Real Climate”. Traduzione di MR (h/t Dario Faccini/ASPO-Italia)

 
William Ruddiman è ben noto per la sua interpretazione del clima dell'Olocene. Secondo questa interpretazione, l'effetto serra causato dalle emissioni di metano da parte dell'agricoltura umana abbiano evitato una nuova era glaciale, una nuova manifestazione dei cicli glaciali/interglaciali particolarmente intensi dell'ultimo milione di anni l circa. L'idea di Ruddiman è stata variamente contestata e sembra oggi che non saremmo comunque ripiombati in un'era glaciale a breve scadenza (intesa come nell'arco di un migliaio di anni circa). Tuttavia, l'interpretazione di Ruddiman rimane interessante: è possibile che l'influenza umana sul clima sia stata intensa fin da epoche molto precedenti a quella dei combustibili fossili. L'articolo che segue è del 2011, ma è sempre valido per capire i concetti fondamentali delle idee di Ruddiman


Di William  Ruddiman

Più di 20 anni fa, le analisi delle concentrazioni di gas serra nelle carote di ghiaccio hanno mostrato che la tendenza al ribasso di CO2 e CH4 che è cominciata circa 10.000 anni fa ha successivamente invertito la direzione ed è aumentata stabilmente durante le ultime migliaia di anni. Le diverse spiegazioni di questi aumenti hanno invocato o i cambiamenti naturali o le emissioni antropogeniche. Sono state avanzate prove ragionevolmente convincenti pro e contro entrambe le cause e il dibattito è continuato per quasi un decennio. La Figura 1 riassume questi diversi punti di vista.



Un'edizione speciale di agosto della rivista The Holocene aiuterà a far fare un passo avanti a questa discussione. Tutti gli scienziati che hanno partecipato a questo dibattito durante l'ultimi decennio sono stati invitati a contribuire al volume. L'elenco degli invitati era ben equilibrato fra i due punti di vista, entrambi i quali sono ben rappresentati nell'edizione. I saggi hanno recentemente iniziato ad essere disponibili online, sfortunatamente a pagamento. Probabilmente, la nuova visione più significativa che emerge da questa pubblicazione proviene da diversi saggi che convergono su una visione dell'uso preindustriale del suolo che è molto diversa da quella che ha prevalso fino a poco tempo fa. Gran parte delle simulazioni dei modelli precedenti si affidavano sull'assunto semplificante che la deforestazione e la coltivazione fossero rimasti minimi e quasi costanti durante il tardo Olocene, ma i dati storici ed archeologici ora rivelano un uso del suolo precedente pro capite molto maggiore di quello usato in questi modelli. L'emergenza di questo punto di vista è stato riportato in diverse presentazioni alla Conferenza di Chapman nel marzo 2011 e ed ha attratto l'attenzione si di Nature sia di Science News. L'articolo che segue riassume questa nuova prova.

I dati storici sull'uso del suolo che risalgono circa fino a 2000 anni fa esistono per due regioni – Europa e Cina. In un saggio del 2009, Jed Kaplan e i suoi colleghi hanno riportato prove che mostrano una deforestazione quasi completa in Europa ad una gamma media di densità di popolazione, ma una deforestazione aggiuntiva molto limitata a densità di popolazione maggiori. Incorporato in questo rapporto storico c'era una tendenza da una deforestazione pro capite molto maggiore 2000 anni fa a valori molto minori nei secoli recenti. Analogamente, un'edizione speciale di Holocene di Ruddiman e colleghi ha indicato uno studio pionieristico dell'agricoltura delle origini in Cina pubblicato nel 1937 J. L. Buck. Accoppiato a stime di popolazione ragionevolmente ben limitate che risalgono alla dinastia Han di 200 anni fa, questi dati mostrano una diminuzione di quattro volte dell'area di suolo coltivata pro capite in Cina da quel tempo al 1800.

Queste due rivalutazioni dell'uso pro capite di suolo hanno implicazioni importanti per le emissioni globali di carbonio preindustriali. Un saggio in edizione speciale di Kaplan e colleghi ha usato i rapporti storici dall'Europa per stimare la deforestazione mondiale, con necessità pro capite di suolo inferiori nelle regioni tropicali a causa della più lunga stagione agricola che permette raccolti multipli su base annuale. Il loro modello ha simulato grandi abbattimenti di foresta migliaia di anni fa non solo in Europa e Cina, ma anche in India, Mezzaluna Fertile, Africa saheliana, Messico e Perù. Lo schema di deforestazione è mostrato bene in una sequenza temporale disponibile nell'articolo di Science News citato sopra. Kaplan e colleghi hanno stimato emissioni cumulative di carbonio di ~340 GtC (1 Gt = miliardi di tonnellate) prima che l'aumento del CO2 dell'era industriale iniziasse nel 1850. Questa stima è da 5 a 7 volte maggiore di quelle basate sull'assunto che i primi agricoltori abbattevano foreste e coltivavano il suolo in piccole quantità pro capite tipiche dei secoli recenti.

Su scale temporali di millenni, circa l'85% delle emissioni di CO2 in atmosfera sono finite nella profondità degli oceani. Di conseguenza, le 340 Gt stimate da Kaplan delle antiche emissioni di carbonio antropogenico in atmosfera sarebbero risultate in un aumento totale di CO2 preindustriale di ~24 ppm (340 Gt diviso per 14.2 Gt per ppm). Riamane tuttavia un disallineamento nella tempistica fra il primo aumento della tendenza delle carote di ghiaccio e l'aumento successivo della stima delle emissioni di carbonio di Kaplan. Una possibilità che viene attualmente investigata da Kaplan e colleghi è una maggiore pratica pro capite dell'incendio di foreste da parte di primi agricoltori (e di quelle culture che erano ancora cacciatori-raccoglitori).


Una storia analoga di diminuzione dell'uso pro capite di suolo vale anche per la pratiche agricole che generano metano. Il saggio di Ruddiman e colleghi cita uno studio del 1977 di Ellis e Wang su Agricultura, Ecosistemi e Ambiente (61: 177-193) che riporta una diminuzione quadrupla dal 1000 al 1800 DC nella dimensione delle risaie pro capite nella bassa valle del fiume Yangtze. A causa della crescita della popolazione in corso e della mancanza di suolo coltivabile addizionale, gli agricoltori sono stati costretti a produrre riso in proprietà terriere sempre più piccole, che ha portato alla tipica agricoltura cinese “a giardino”. Per scale temporali più lunghe, un articolo in via di pubblicazione di Fuller e colleghi sul “Contributo della coltura del riso e dell'allevamento ai livelli di metano preistorici: una valutazione archeologica” ha assemblato prove archeologiche da centinaia di siti ben datati che mostra la diffusione dell'irrigazione del riso nell'Asia meridionale fra 5000 e 1000 anni fa . Sulla base di relazioni regionali moderne, hanno ipotizzato che la coltura del riso in ogni regione si è successivamente riempita col logaritmo della densità di popolazione. Combinando il primo arrivo del riso e il successivo riempimento, Fuller e colleghi hanno proiettato l'aumento progressivo dell'area totale dell'Asia meridionale dedicata al riso.

La loro stima ha mostrato una tendenza esponenziale all'aumento dell'area totale che ha raggiunto più del 35% dei valori moderni di 1000 anni fa, anche se la popolazione nelle aree che coltivavano riso a quel tempo era solo il 5-6% dei livelli moderni. Questo disallineamento indica ancora una volta un uso di suolo pro capite molto più grande all'inizio dell'era storica che nell'ultimo periodo preindustriale. Secondo questa analisi, l'aumento di emissioni di CH4 dall'irrigazione del riso può contare per gran parte dell'aumento di CH4 misurato nelle carote di ghiaccio fra 5000 e 1000 anni fa. Fuller e colleghi hanno anche mappato il primo arrivo di bestiame addomesticato in Asia e in Africa e hanno scoperto che è iniziata una grande espansione della pastorizia nelle aree umide con grandi capacità di carico 5000 anni fa. Hanno osservato che questa diffusione di bestiame avrebbe anche dato un grande contributo alle emissioni ed alle concentrazioni atmosferiche di metano antropogenico, ma non hanno provato a valutarne la quantità.

Le prove in tutti questi saggi recenti convergono verso la stessa conclusione: l'ipotesi semplicistica di un uso costante di suolo pro capite da parte di gran parte dei modelli di studio precedenti ha ignorato sia i dati storici sia la vasta gamma di prove contrarie assemblate dagli scienziati in archeologia e in discipline collegate che fanno il lavoro sporco sul campo necessario per svelare la vera storia degli effetti umani sul suolo. Questo punto di vista basato sul campo è stato sintetizzato molto tempo fa dal lavoro seminale di Ester Boserup dagli anni 60 agli anni 80. La Boserup ha concluso che la grande diminuzione dell'uso di suolo pro capite dal medio al tardo Olocene è avvenuto perché la crescita della popolazione e le usurpazioni dei vicini hanno costretto gli agricoltori a trovare nuovi metodi per produrre cibo per le proprie famiglie con sempre meno terra. Questi saggi nel numero speciale rendono chiaro che i tentativi futuri di modellare l'uso di suolo del passato dovrebbero evitare l'assunto di coltivazione e deforestazione pro capite costante e ridotto.

Questo punto di vista emergente porta una discussione attuale rispetto a se designare o no in intervallo di “Antropocene” (un tempo di grande influenza umana sul sistema terrestre) e, se sì, dove porre il suo inizio. Anche se l'opinione prevalente sembra a favore dell'uso dell'era industriale (gli ultimi due secoli o meno) come inizio, queste nuove prove offrono una prospettiva diversa. L'abbattimento di foreste per la coltivazione e il pascolo sono la più grande trasformazione della superficie della Terra che sia mai avvenuta finora. Se ben oltre metà di questa trasformazione chiave è avvenuta prima dell'era industriale, allora si può discutere per piazzare l'inizio dell'antropocene in un tempo precedente. Una possibile soluzione sarebbe designare due fasi: un “primo antropocene” (un tempo si trasformazioni lente ma crescenti che è cominciato 7000 anni fa per il CO2 e 5000 anni fa per il CH4) ed un “tardo antropocene” per segnare i molti cambiamenti accelerati dell'era industriale.

Altri saggi dell'edizione speciale puntano a loro volta ad una interpretazione rivista di un tipo di prova collegato che si dirige verso una antica deforestazione – le analisi meticolose della composizione degli isotopi di carbonio del CO2 nelle bolle d'aria delle carote di ghiaccio del gruppo di Berna. Elsig et al. in un articolo del 2009 su Nature hanno concluso che la piccola (~0.05o/oo) ampiezza della diminuzione di δ13CO2  durante gli ultimi 7000 anni limita le emissioni nette di carbonio terrestre a ~50 GtC (una Gt è un miliardo di tonnellate), se pienamente bilanciate con l'oceano profondo. Come parte dell'equilibrio da loro proposto di varie sorgenti e pozzi di carbonio, hanno stimato un contributo antropogenico di ~50 GtC alla tendenza del δ13CO2, equivalente ad un aumento di CO2 di 3,5 ppm.

Ma il calcolo dell'equilibrio della massa in Elsig et al. implicava l'ipotesi discutibile che solo 40 Gt di carbonio siano state sepolte nelle torbiere boreali durante gli ultimi 7000 anni, mentre questo valore si trova ben al di sotto di una stima molto rispettata di 300 GtC di  Eville Gorham (vedi, Applicazioni Ecologiche 1: 182-195, 1991; Gajewski et al., Cicli Biogeochimici Globali 15: 297-310; 2001). Una nuova analisi di Zicheng Yu nel numero speciale prende in considerazione sia il seppellimento iniziale della torba sia, per la prima volta in uno studio, la successiva decomposizione e il rilascio della torba dopo il seppellimento. Yu giunge ad una stima di un seppellimento di ~300 Gt di carbonio in torba durante gli ultimi 7000 anni. Questo valore molto più alto (~300 GtC contro 40 GtC) richiede emissioni di compensazione molto più grandi di carbonio terrestre per soddisfare il limite complessivo di δ13CO2, ma il carbonio aggiuntivo è improbabile che sia venuto da fonti naturali. Gli studi dei modelli hanno, in media, posto l'equilibrio netto del carbonio causato da cambiamenti naturali nella vegetazione monsonica e nella fertilizzazione del carbonio vicino alla dimensione di 30 Gt stimate da Elsig e colleghi. Questi cambiamenti non valgono per le emissioni necessarie per compensare la quantità molto più grande di carbonio sepolta sotto forma di torba.

La sola fonte rimasta è l'emissione antropogenica. La stima risultante di >300 GtC di emissioni antropogeniche preindustriali è della stessa quantità della stima di simulazione di uso di suolo di Kaplan e colleghi. Se le prime (Gorham) e le più recenti (Yu) stime del grande seppellimento di carbonio nella torba boreale sono corrette, la piccola tendenza negativa del  δ13CO2 durante gli ultimi 7000 anni non è un argomento contro la prima impotesi antropogenica, ma piuttosto un argomento in suo favore. Le due stime di un aumento del CO2 antropogenico preindustriale di 24 ppm sono molto più grandi delle stime precedenti di 3-5 ppm, ma ancora inferiori ai 40 ppm proposti nella prima ipotesi antropogenica. Tuttavia, un altro fattore che avrebbe contribuito al totale antropogenico preindustriale è stata la retroazione di CO2 da parte di un oceano mantenuto caldo dalle emissioni agricole di CO2 e CH4 nell'atmosfera. Un saggio di Kutzbach e colleghi nell'edizione speciale stima un contributo di 9 ppm da parte della ridotta solubilità del CO2 in un oceano riscaldato dalle prime emissioni antropogeniche di CO2 e Ch4 nell'atmosfera. Questa ed altre possibili retroazioni da parte dell'oceano, pongono l'effetto totale del CO2 preindustriale a >30 ppm, più prossimo ai 40 ppm dell'ipotesi originaria.

Diversi saggi dell'edizione speciale continuano a favorire una spiegazione naturale per le tendenze di CO2 e CH4 del terdo Olocene, quindi il dibattito non è concluso. Tuttavia, le nuove prove indicano la strada verso tre vie di esplorazione che promettono di darci una risoluzione di questo problema: (1) investigazione più accurata delle registrazioni storiche dell'uso del suolo preindustriale; (2) lavoro archeologico supplementare per riempire i vuoti nella copertura spazio/temporale della diffusione dell'agricoltura e (3) ulteriore lavoro di modellazione per trasformare i dati storici ed archeologici in stime quantitative degli effetti della prima agricoltura sulle concentrazioni atmosferiche di CO2 e CH4.

- Altro su: http://www.realclimate.org/index.php/archives/2011/04/an-emerging-view-on-early-land-use#sthash.ZPt1mSwl.dpuf 


domenica 13 aprile 2014

Sempre più acidi gli oceani. E sempre più in fretta

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

Di Emily Atkin




Una barriera corallina norvegese con gorgonie e madrepore in Norvegia. Foto AP Photo/Geomar, Karen Hissmann

E' conoscenza comune nella comunità scientifica che il cambiamento climatico alla fine acidificherà gli oceani rendendoli aspri. Ciò che è una conoscenza meno comune è quando esattamente accadrà. Nell'Oceano Pacifico tropicale, tuttavia, le risposte stanno diventando un po' più chiare – e non sono piacevoli. Secondo uno studio pubblicato da scienziati del NOAA e dell'Università di Washington mercoledì, la quantità di biossido di carbonio ne Pacifico tropicale è aumentata più rapidamente di quanto previsto negli ultimi 14 anni, rendendo quella parte dell'oceano molto più acida di quanto si credesse in precedenza. “Ipotizziamo che gran parte dell'aumento di biossido di carbonio [nel Pacifico tropicale] sia dovuto al CO2 antropogenicoha detto a E&E News Adrienne Sutton, una ricercatrice presso l'Istituto Congiunto per lo Studio dell'Atmosfera e dell'Oceano del NOAA all'Università di Washington. In altre parole, gli scienziati dicono che i loro risultati mostrano che gran parte dell'aumento delle concentrazioni di biossido di carbonio possono essere attribuite al cambiamento climatico antropogenico. Questo perché mentre la quantità di CO2 nell'atmosfera aumenta ad un tasso di circa 2 ppm all'anno, parti del Pacifico tropicale hanno visto un aumento delle concentrazioni di CO2 fino a 3,3 ppm all'anno. Lo studio del NOAA ha monitorato i livelli di CO2 su sette boe nel Pacifico tropicale a partire dal 1998.


E' stata una grossa sorpresa. Non ci aspettavamo di vedere tassi così forti”, ha detto la Sutton. Anche se la frase “riscaldamento globale” in genere evoca immagini di un'atmosfera più calda, il fenomeno probabilmente ha un impatto ugualmente grande sui nostri oceani. Quando grandi concentrazioni di CO2 vengono rilasciate nell'atmosfera, l'oceano finisce per assorbirne circa un quarto, secondo il NOAA. Il CO2, a sua volta, rende l'oceano più acido. Alcuni scienziati sostengono che le nostre emissioni di CO2 cambiano la chimica dell'oceano più rapidamente di quanto sia cambiata in milioni di anni. Questo, secondo un rapporto di mercoledì della BBC News, promette di avere un effetto dannoso sul corallo – una parte vitale dell'ecosistema oceanico. “Siamo molto preoccupati perché i piccoli di corallo trovano molto difficile sopravvivere in alti livelli di CO2, quindi le barriere non saranno in grado di ripristinare sé stesse” ha detto alla BBC Katharina Fabricius dell'Istituto Australiano di Scienze Marine. “E' molto, molto grave”. L'acidificazione danneggia anche i pesci, facendo perdere ad alcuni il senso dell'odorato e facendoli “agire in modo incauto in presenza di predatori”, ha riportato la BBC.

Il rapporto più recente dell'IPCC dell'ONU ha detto che c'era una sicurezza alta che il cambiamento climatico esacerberà l'aumento di CO2 nell'atmosfera, causando quindi un maggiore assorbimento da parte degli oceani che diventano così acidi. Ci sono anche prove emergenti del fatto che il processo di acidificazione dell'oceano possa essere arrivato al limite, contribuendo realmente al cambiamento climatico stesso. Secondo un articolo sulla rivista Nature, l'acqua di mare intrisa di biossido di carbonio causerà il rilascio nell'atmosfera da parte del plancton di alcuni sui composti.


sabato 8 marzo 2014

IPCC: Gli impatti climatici "sono molto evidenti, sono diffusi" e "noi non siamo preparati"

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

La scelta dell'umanità (via IPCC, 2013): l'azione climatica aggressiva (immagine a sinistra) minimizza il riscaldamento futuro. La continua inazione (immagine a destra) porta a livelli di riscaldamento catastrofici, con +7°C su gran parte degli Stati Uniti.

Il prossimo grande rapporto dei maggiori scienziati del clima sarà sugli impatti, atteso per la fine di marzo e non sarà gradevole. Quando AP ha riassunto la bozza del rapporto su “Impatti, adattamento e vulnerabilità” del IPCC, “fame, povertà, alluvioni, ondate di calore, siccità, guerra e malattie è probabile che peggiorino mentre il mondo si scalda a causa del cambiamento climatico antropogenico”. Chris Field di Stanford, che co-presiede il lavoro che sta redigendo il rapporto, ha detto lunedì ai giornalisti che “gli impatti del cambiamento climatico già avvenuti sono molto evidenti, sono diffusi, hanno conseguenze”. Un punto chiave posto da Field è che non siamo preparati per il tipo di meteo estremo peggiorato dal riscaldamento – come alluvioni e siccità – che stiamo già sperimentando: “Penso che se si guarda nel mondo ai danni subiti a causa di una vasta gamma di eventi, è molto chiaro che non siamo preparati per il tipo di eventi cui stiamo già assistendo”. A novembre, Climate Progress ha riferito, su una prima bozza trapelata del rapporto, che in un passaggio dice: “Durante il 21° secolo, gli impatti del cambiamento climatico rallenteranno la crescita economica e la riduzione della povertà, eroderanno ulteriormente la sicurezza alimentare innescando nuove trappole di povertà, la seconda in particolare nelle aree urbane e nelle punti caldi emergenti della fame”. Il rapporto avverte che il cambiamento climatico pone una estrema minaccia alla sicurezza alimentare e a quella dell'acqua per miliardi di persone da metà secolo. Ho chiesto all'eminente climatologo dottor Michael Mann un suo commento. Il direttore del Centro per la Scienza del Sistema Terrestre dell'Università di Stato della Pennsylvania ha detto:

I più recenti rapporti sugli impatti del cambiamento climatico del IPCC rafforzano ciò che già sapevamo: Che il cambiamento climatico sta già avendo un impatto dannoso su di noi e sul nostro ambiente, sia che parliamo di cibo, acqua, terra, sicurezza nazionale o salute dell'ecosistema dal quale dipendiamo in modo cruciale. Il rapporto chiarisce anche che quello che abbiamo visto è solo la punta di un vero e proprio iceberg. Se continuiamo con le emissioni da combustibili fossili come se nulla fosse nei prossimi decenni, come mostra il rapporto, il riscaldamento risultante e il cambiamento del clima infliggerà impatti di gran lunga più pericolosi e potenzialmente irreversibili su di noi e sul pianeta.

La buona notizia è che un mondo in cui gli esseri umani tagliano drasticamente l'inquinamento da carbonio il prima possibile ha impatti sostanzialmente inferiori di uno in cui le emissioni rimangono alte. Field ha notato che, “C'è una differenza davvero molto grande fra quei due mondi”. Potete vederlo nella figura in alto, che proviene dal rapporto di settembre del IPCC “La Scienza Fisica di Base”. La finestra per raggiungere lo scenario  RCP2.6 — cioè una concentrazione atmosferica di biossido di carbonio di 421 ppm – si sta chiudendo rapidamente ma non è ancora chiusa del tutto. Ha una riscaldamento generale modesto rispetto al devastante scenario RCP 8.5, di circa 936 ppm di CO2, che è dove siamo diretti nel nostro attuale percorso del fare poco. Mann aggiunge che il meteo estremo peggiorato dal riscaldamento è qui adesso e è molto costoso:

Non c'è dubbio, quando guardiamo all'aumento del pedaggio che il cambiamento climatico si sta prendendo sotto forma di super tempeste più devastanti, siccità più prolungate e più gravi, eventi alluvionali più estremi, agricoltura e allevamento decimati e massicci incendi, che stiamo già percependo gli impatti avversi del cambiamento climatico. Gli economisti hanno stimato che i danni collegati al clima ci stanno già costando più di un trilione di dollari in tutto il mondo in PIL globale. Quei costi aumenteranno soltanto se non facciamo nulla per questo problema.

Per approfondire sulla stima del trilione di dollari, vedi qui. La IEA ha informato non più tardi del 2009 che “Il mondo dovrà spendere 500 miliardi di dollari per tagliare le emissioni di carbonio per ogni anno di ritardo nell'attuare un grande assalto al riscaldamento globale”.

Il momento di agire è ora.