giovedì 30 settembre 2021

Il Declino della Scienza: Un Post di P.A. Ioannidis

 John P. A. Ioannidis, uno dei massimi esperti di epidemiologia al mondo. 

La sconfitta della scienza

John PA Ioannidis è uno dei massimi esperti di epidemiologia su questo pianeta. Professore di Medicina e Professore di Epidemiologia e Salute della Popolazione, nonché Professore di Scienze Biomediche e Statistica presso la Stanford University. Le sue pubblicazioni complete relative al COVID-19 possono essere trovate qui. E, fra i suoi tanti meriti, c’è quello di non apparire spesso in TV!
Mi è parso il caso di tradurre questo recente articolo di Ioannidis, dove fa un riassunto di come la scienza è uscita con le ossa rotte dall’epidemia del Covid. Distrutta da una combinazione di incompetenza, ignoranza, supponenza, politicizzazione, interessi privati, e, soprattutto, corruzione a tutti i livelli. E questo proprio mentre tutti la osannavano e sostenevano che tutto quello che gli faceva comodo era “Scienza”,
Fa male quasi fisicamente leggere queste note scritte da un grande scienziato come Ioannidis che vede distrutto in breve quello su cui aveva lavorato -- quello su cui tanti scienziati avevano lavorato -- il tentativo di tirar fuori la scienza, quella vera, dalle nebbie della corruzione che l’avevano avvolta e che la stanno avvolgendo sempre di più. Dice Ioannidis “C'è stato uno scontro tra due scuole di pensiero, la salute pubblica autoritaria contro la scienza e la scienza ha perso.”
Riuscirà mai la scienza a riprendersi da questo disastro? Forse si, ma leggete questo pezzo per capire in che condizioni ci siamo ridotti. (Ugo Bardi)


Come la pandemia sta cambiando le norme della scienza

Imperativi come lo scetticismo e il disinteresse vengono scartati per alimentare una guerra politica che non ha nulla in comune con la metodologia scientifica
DI JOHN PA IOANNIDIS
SETTEMBRE 09, 2021
In passato avevo spesso ardentemente desiderato che un giorno tutti potessero essere appassionati ed entusiasti della ricerca scientifica. Avrei dovuto essere più attento a quello che desideravo. La crisi causata dalla letale pandemia di COVID-19 e dalle risposte alla crisi ha reso miliardi di persone in tutto il mondo estremamente interessate e sovraeccitate per la scienza. Le decisioni pronunciate in nome della scienza sono diventate arbitri della vita, della morte e delle libertà fondamentali. Tutto ciò che conta è stato influenzato dalla scienza, dagli scienziati che interpretano la scienza e da coloro che impongono misure basate sulle loro interpretazioni della scienza nel contesto del conflitto politico.

Un problema con questo nuovo impegno di massa con la scienza è che la maggior parte delle persone, inclusa la maggior parte delle persone in Occidente, non era mai stata seriamente esposta alle norme fondamentali del metodo scientifico. Le norme mertoniane del "comunitarismo" (condivisione dei dati), dell'universalismo, del disinteresse e dello scetticismo organizzato purtroppo non sono mai state comuni nell'istruzione, nei media e nemmeno nei musei della scienza e nei documentari televisivi su argomenti scientifici.

Prima della pandemia, la condivisione gratuita di dati, protocolli e scoperte era limitata, compromettendo la condivisione dei dati su cui si basa il metodo scientifico. Era già ampiamente tollerato che la scienza non fosse universale, ma piuttosto il regno di un'élite sempre più gerarchica, una minoranza di esperti. All’ombra della scienza prosperavano giganteschi interessi e conflitti finanziari e di altro tipo, e la norma del disinteresse personale era stata abbandonata.

Quanto allo scetticismo organizzato, non ha avuto molto successo all'interno dei santuari accademici. Anche le migliori riviste sottoposte a “peer review” spesso presentavano risultati con pregiudizi e forzature. L’ampia diffusione pubblica e mediatica delle scoperte scientifiche è stata in gran parte focalizzata su esagerazioni correlate alla ricerca, piuttosto che sul rigore dei suoi metodi e sull'incertezza intrinseca dei risultati.

Tuttavia, nonostante la cinica consapevolezza che le norme metodologiche della scienza erano state trascurate (o forse a causa di questa presa di coscienza), voci che lottavano per più comunitarismo, universalismo, disinteresse e scetticismo organizzato si erano moltiplicate tra i circoli scientifici prima della pandemia. I riformatori erano spesso visti come detentori di una sorta di terreno morale più elevato, nonostante fossero in inferiorità numerica nell'occupazione di posizioni di potere. Le crisi di riproducibilità in molti campi scientifici che vanno dalla biomedicina alla psicologia, hanno causato un esame di coscienza e sforzi per migliorare la trasparenza, inclusa la condivisione di dati grezzi, protocolli e codici. Le disuguaglianze all'interno dell'accademia sono state sempre più riconosciute con appelli a porvi rimedio. Molti erano ricettivi alle richieste di riforma.

Gli esperti basati sull'opinione (mentre ancora dominanti in comitati influenti, società professionali, importanti conferenze, organismi di finanziamento e altri nodi di potere del sistema) sono stati spesso sfidati da critiche basate sull'evidenza. Ci sono stati sforzi per rendere i conflitti di interesse più trasparenti e per minimizzare il loro impatto, anche se la maggior parte dei leader scientifici è rimasta in conflitto di interesse, specialmente in medicina. Una fiorente comunità di scienziati si è concentrata su metodi rigorosi, lavorando sui pregiudizi e riducendo al minimo il loro impatto. Il campo della metaricerca, cioè la ricerca sulla ricerca, era diventato ampiamente rispettato. Si poteva quindi sperare che la crisi pandemica potesse favorire il cambiamento. In effetti, il cambiamento è avvenuto, ma forse per lo più in peggio.

La mancanza di condivisione durante la pandemia ha alimentato scandali e teorie del complotto, che sono state poi trattate come fatti in nome della scienza da gran parte della stampa popolare e sui social media. La ritrattazione di un articolo sull'idrossiclorochina altamente visibile da The Lancet è stato un esempio sorprendente: una mancanza di condivisione e apertura ha permesso a un'importante rivista medica di pubblicare un articolo in cui 671 ospedali avrebbero fornito dati che non esistevano, e nessuno si è accorto che era un’invenzione prima della pubblicazione. Il New England Journal of Medicine, un'altra importante rivista medica, è riuscita a pubblicare un documento simile; molti scienziati continuano a citarlo frequentemente molto tempo dopo la sua ritrattazione.

Il dibattito scientifico pubblico più acceso del momento - se il virus COVID-19 fosse il prodotto dell'evoluzione naturale o un incidente di laboratorio - avrebbe potuto essere risolto facilmente con una minima dimostrazione di comunitarismo ("comunismo", in realtà, nel vocabolario originale di Merton) dalla Cina: l'apertura dei libri di laboratorio dell'Istituto di virologia di Wuhan avrebbe immediatamente alleviato le preoccupazioni. Senza tale apertura su quali esperimenti sono stati fatti, le teorie sulle fughe di laboratorio rimangono credibili in modo allettante.

Personalmente, non voglio considerare la teoria delle fughe di laboratorio, un duro colpo per l'indagine scientifica, come la spiegazione corretta. Tuttavia, se la piena condivisione pubblica dei dati non può avvenire nemmeno per una questione relativa alla morte di milioni e alla sofferenza di miliardi, che speranza c'è per la trasparenza scientifica e una cultura della condivisione? Qualunque siano le origini del virus, il rifiuto di attenersi alle norme precedentemente accettate ha fatto enormi danni.

La pandemia ha portato apparentemente da un giorno all'altro a una nuova spaventosa forma di universalismo scientifico. Tutti sono diventati scienziati esperti sul COVID-19 o si sono sentiti in grado di commentare sull’argomento. Ad agosto 2021, c'erano 330.000 articoli scientifici pubblicati sul COVID-19, coinvolgendo circa un milione di autori diversi. Un'analisi ha mostrato che almeno alcuni degli scienziati di ognuna delle 174 discipline che compongono ciò che conosciamo come “scienza” hanno pubblicato sul COVID-19. Alla fine del 2020, solo l'ingegneria automobilistica non aveva scienziati che pubblicavano sul COVID-19. All'inizio del 2021, anche gli ingegneri automobilistici hanno detto la loro.

A prima vista, questa è stata una mobilitazione senza precedenti di talenti interdisciplinari. Tuttavia, la maggior parte di questo lavoro era di bassa qualità, spesso errata e talvolta altamente fuorviante. Molte persone senza competenze tecniche in materia sono diventate esperte da un giorno all'altro, raccontando enfaticamente di stare salvando il mondo. Man mano che questi esperti spuri si moltiplicavano, gli approcci basati sull'evidenza, come gli studi randomizzati e la raccolta di dati più accurati e imparziali, venivano spesso respinti come inappropriati, troppo lenti e dannosi. Il disprezzo per gli studi ben preparati e affidabili è stato persino celebrato.

Molti scienziati straordinari hanno lavorato su COVID-19. Ammiro il loro lavoro. I loro contributi ci hanno insegnato tanto. La mia gratitudine si estende ai tanti giovani ricercatori estremamente talentuosi e ben addestrati che ringiovaniscono la nostra vecchia forza lavoro scientifica. Tuttavia, accanto a migliaia di validi scienziati, sono arrivati ​​esperti appena coniati con credenziali discutibili, irrilevanti o inesistenti e dati discutibili, irrilevanti o inesistenti.

I social media e i principali media hanno contribuito a creare questa nuova generazione di “esperti”. Chiunque non fosse un epidemiologo o uno specialista in politiche sanitarie poteva essere improvvisamente citato come epidemiologo o specialista in politiche sanitarie da giornalisti che spesso sapevano poco di quei campi ma sapevano immediatamente quali opinioni erano vere. Al contrario, alcuni dei migliori epidemiologi e specialisti di politica sanitaria in America sono stati diffamati come incapaci e pericolosi da persone che si ritenevano idonee a giudicare sommariamente le differenze di opinione scientifica senza comprendere la metodologia o i dati in questione.

La questione del conflitto di interesse ne ha sofferto gravemente. In passato, le entità in conflitto cercavano principalmente di nascondere la loro azione. Durante la pandemia, queste stesse entità in conflitto sono state elevate allo status di eroi. Ad esempio, le aziende Big Pharma hanno chiaramente prodotto farmaci utili, vaccini e altri interventi che hanno salvato vite umane, sebbene fosse anche noto che il profitto era ed è il loro motivo principale. Big Tobacco era noto per uccidere molti milioni di persone ogni anno e per ingannare continuamente la gente quando promuoveva i suoi prodotti vecchi e nuovi, tutti ugualmente dannosi. Tuttavia, durante la pandemia, la richiesta di prove migliori sull'efficacia e sugli eventi avversi è stata spesso considerata anatema. Questo approccio sprezzante e autoritario "in difesa della scienza" potrebbe purtroppo aver aumentato l'esitazione per il vaccino e il movimento anti-vaccino, sprecando un'opportunità unica creata dal fantastico rapido sviluppo dei vaccini contro il COVID-19. Anche l'industria del tabacco ha migliorato la sua reputazione: Philip Morris ha donato respiratori per promuovere un profilo di responsabilità aziendale e salvare vite, una parte delle quali è stata messa a rischio di morte dal COVID-19 a causa di malattie pre-esistenti causate dai prodotti del tabacco.

Altre entità potenzialmente in conflitto sono diventate i nuovi regolatori della società, piuttosto che quelli tradizionali. Le grandi aziende tecnologiche, che hanno guadagnato trilioni di dollari in valore di mercato cumulativo dalla trasformazione virtuale della vita umana durante il blocco, hanno sviluppato potenti macchinari di censura che hanno distorto le informazioni disponibili per gli utenti sulle loro piattaforme. Ai consulenti che hanno guadagnato milioni di dollari dalla consultazione aziendale e governativa sono stati dati incarichi prestigiosi, potere ed elogi pubblici, mentre gli scienziati non conflittuali che hanno lavorato pro bono ma hanno osato mettere in discussione le narrazioni dominanti sono stati diffamati come conflittuali. Lo scetticismo organizzato era visto come una minaccia per la salute pubblica. C'è stato uno scontro tra due scuole di pensiero, la salute pubblica autoritaria contro la scienza e la scienza ha perso.

Farsi continuamente oneste domande e l'esplorazione di percorsi alternativi sono indispensabili per una buona scienza. Nella versione autoritaria (al contrario di quella partecipativa) della salute pubblica, queste attività erano viste come tradimento e diserzione. La narrativa dominante è diventata che "siamo in guerra". In guerra, tutti devono eseguire gli ordini. Se a un plotone viene ordinato di andare a destra e alcuni soldati girano a sinistra, vengono fucilati come disertori. Lo scetticismo scientifico doveva essere eliminato senza fare domande. Gli ordini erano chiari.

Chi ha dato questi ordini? Chi ha deciso che la sua opinione, competenza e conflitti dovrebbero essere responsabili? Non era una singola persona, non un generale pazzo o un politico spregevole o un dittatore, anche se l'interferenza politica nella scienza si è verificata in modo massiccio. Eravamo tutti noi, un conglomerato che non ha nome e non ha volto: una rete e un disordine di prove a metà; media frenetici e di parte che promuovono il giornalismo di incompetenti paracadutati in giro e la copertura del branco; la proliferazione di personaggi dei social media pseudonimi ed eponimi che hanno portato anche scienziati seri a diventare avatar selvaggi e selvaggi di se stessi, sputando enormi quantità di sciocchezze e sciocchezze; aziende industriali e tecnologiche scarsamente regolamentate che mostrano la loro intelligenza e il loro potere di marketing; e gente comune afflitta dalla crisi prolungata. Tutti nuotano in un misto di alcune buone intenzioni, alcune idee eccellenti e alcuni splendidi successi scientifici, ma anche di conflitti, polarizzazione politica, paura, panico, odio, divisione, notizie false, censura, disuguaglianze, razzismo e malattie sociali croniche.

I dibattiti scientifici accesi ma salutari sono sempre bene accetti. I critici seri sono i nostri più grandi benefattori. John Tukey una volta disse che il nome collettivo per un gruppo di statistici è un litigio. Questo vale anche per altri scienziati. Ma “siamo in guerra” ha portato a un passo oltre: questa è una guerra sporca, senza dignità. Gli oppositori sono stati minacciati, maltrattati e vittime di bullismo da campagne di annullamento della cultura sui social media, storie di successo nei media tradizionali e bestseller scritti da fanatici. Le dichiarazioni sono state distorte, trasformate nel contrario di quello che erano e ridicolizzate. Le pagine di Wikipedia sono state vandalizzate. La reputazione di molti scienziati è stata sistematicamente devastata e distrutta. Molti brillanti scienziati sono stati maltrattati e hanno ricevuto minacce durante la pandemia, con lo scopo di rendere infelici loro e le loro famiglie.

L'abuso dell’anonimato e dello pseudonimo ha già un effetto agghiacciante; ma è peggio quando le persone che abusano hanno un nome e sono rispettabili. Le uniche risposte possibili al bigottismo e all'ipocrisia sono la gentilezza, la civiltà, l'empatia e la dignità. Tuttavia, escludendo la comunicazione di persona, la vita virtuale e i social media nell'isolamento sociale sono scarsi vettori di queste virtù.

La politica ha avuto un'influenza deleteria sulla scienza pandemica. Tutto ciò che qualsiasi scienziato apolitico ha detto o scritto potrebbe essere usato come arma per programmi politici. Legare interventi di salute pubblica come maschere e vaccini a una fazione, politica o meno, soddisfa coloro che sono devoti a quella fazione, ma fa infuriare la fazione avversaria. Questo processo mina la più ampia adozione necessaria affinché tali interventi siano efficaci. La politica travestita da salute pubblica non ha ferito solo la scienza. Ha anche abbattuto la salute pubblica partecipativa in cui le persone sono autorizzate, piuttosto che obbligate e umiliate.

Uno scienziato non può e non deve cercare di modificare i suoi dati e le sue inferenze sulla base dell'attuale dottrina dei partiti politici o della lettura del giorno del termometro dei social media. In un ambiente in cui le tradizionali divisioni politiche tra sinistra e destra non sembrano più avere molto senso, i dati, le frasi e le interpretazioni vengono estrapolati dal contesto e trasformati in armi. Lo stesso scienziato apolitico potrebbe essere attaccato da commentatori di sinistra in un luogo e da commentatori di destra in un altro. Molti scienziati eccellenti hanno dovuto tacere per loro scelta in questo caos. La loro autocensura è stata una grave perdita per le indagini scientifiche e lo sforzo per la salute pubblica. I miei eroi sono i molti scienziati ben intenzionati che sono stati maltrattati, diffamati e minacciati durante la pandemia. Li rispetto tutti e soffro per quello che hanno passato, indipendentemente dal fatto che le loro posizioni scientifiche siano d'accordo o in disaccordo con le mie. Soffro e apprezzo ancora di più coloro le cui posizioni erano in disaccordo con le mie.

Non c'era assolutamente nessuna cospirazione o pianificazione dietro questa evoluzione col turbo. Semplicemente, in tempi di crisi, i potenti prosperano e i deboli diventano più svantaggiati. In mezzo alla confusione pandemica, i potenti e i combattenti sono diventati più potenti e più conflittuali, mentre milioni di persone svantaggiate sono morte e miliardi hanno sofferto.

Temo che la scienza e le sue norme abbiano condiviso il destino degli svantaggiati. È un peccato, perché la scienza può ancora aiutare tutti. La scienza rimane la cosa migliore che possa capitare agli esseri umani, a condizione che possa essere sia tollerante che tollerata.

sabato 25 settembre 2021

Requiem per le università: un ciclo storico è finito

 

venerdì 22 gennaio 2021 -- Riprodotto e tradoptto da "Cassandra's Legacy"

 

Dopo circa 10 secoli di esistenza, le università sono giunte alla fine del loro ciclo storico? Può darsi di si: è il grande ciclo della vita. Le università spariranno, arriverà qualcos'altro che aiuterà le persone che vogliono imparare e le persone che amano insegnare a ritrovarsi. E il ciclo della vita continuerà. Anche il Leone Simba il Leone lo sapeva. 

Qui, Sinéad Murphymi ha gentilmente concesso il permesso di riprodurre il suo recente post "Requiem for Universities" su "Cassandra's Legacy". Le sue conclusioni sonosimili alle mie, come espresse nel post che ho scritto con il titolo di " La caduta delle cittadelle della scienza ".

 

Requiem per le Università

Pubblicato il 21 gennaio 2021 su "Lockdown Sceptics" (traduzione di Ugo Bardi)

di Sinéad Murphy

Le università stanno morendo da tempo. Man mano che i loro rapporti finali sono diventati più belli, i loro edifici di accesso più spettacolari e le loro sistemazioni per gli studenti più straordinariamente lussuose, le materie umanistiche sono state gradualmente svuotate.

Il lavoro intellettuale degli accademici è stato semplificato dalle procedure di audit del "Research Excellence Framework" e dalla crescente pressione per presentare offerte per finanziamenti esterni, che vengono distribuiti a progetti che affrontano una gamma ristretta di temi approvati: sostenibilità, invecchiamento, energia, disuguaglianza...

I risultati degli studenti sono stati smorzati dall'inculcazione di un relativismo sconsiderato – Ognuno è diverso ; Questa è solo la mia interpretazione - e dall'inflazione annuale dei voti.

Il curriculum ha iniziato ad essere addomesticato da continue revisioni - mai abbastanza ampie, mai abbastanza rappresentative - e dalla spinta per "uguaglianza e diversità". E l'insegnamento è stato emarginato dai pesanti requisiti che listati su piattaforme sempre più complicate che si auto-valutano col risultato di infiniti cicli di feedback.

Le università, in breve, si stanno gradualmente trasformando in quello che orgogliosamente strombazzano come uno Spazio Sicuro, uno spazio che è stato sgomberato più che altro a delle materie umanistiche, uno spazio in cui il minimo rischio – che un pensiero non porti da nessuna parte, che uno studente potrebbe essere disinteressato, che un'idea potrebbe essere offensiva o che un insegnante potrebbe davvero persuadere - è stato mitigato da così tanti strati di procedure burocratiche che la maggior parte del tempo di tutti viene speso per la burocrazia.

Le università si sono auto-disinvestentite dai contenuti realmente educativi, le loro sofisticate strategie di marketing nascondono il declino - perlomeno dei soggetti umanistici diventando poco più che dei contenitori di schemi per dei giovani senza una direzione.

Ma fino a marzo dell'anno scorso, c'era ancora spazio e tempo per agire come se. Tentare, nel pieno del declino, di insegnare, di imparare, di pensare, come se fosse davvero possibile farlo.

Perché potresti ancora incontrare i tuoi studenti e usare la minuscola possibilità che hai avuto per insegnare loro qualcosa, per introdurre delle idee che loro potrebbero capire e che tu, nel processo, potresti approfondire. E perché gli studenti potrebbero ancora incontrarsi, stringere amicizie, riunirsi, sollevarsi dalle vite in cui sono cresciuti, anche se solo come una tregua temporanea.

Non era molto, questo è vero. E comportarsi come se poteva troppo facilmente crollare nella corruzione di un cinismo totale – citando Heidegger nell'originale tedesco agli studenti che sono visibilmente disinteressati.

Ma agire come se a volte poteva potesse anche funzionare; la finzione poteva effettivamente prendere piede. Due secoli e mezzo fa, Kant ci ha esortato ad agire come se gli esseri umani fossero razionali, convinto che questo alla fine ci avrebbe reso tali; e sembrava funzionare... almeno per un po'.

Ma anche la finzione è finita adesso; non è più un'opzione. Le università dello spazio sicuro sono giunte al culmine della loro traiettoria. Nessuno spazio è più sicuro di uno spazio vuoto. E le università sono finalmente vuote. Il guscio si è rotto ed è sparito. L'università non c'è più.

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Un paio di settimane fa, dopo un anno di ferie, mi trovavo in un minuscolo ufficio al decimo piano di una torre universitaria. Era da qui che si doveva fare tutto l'insegnamento per il semestre doveva.

Le lezioni dovevano essere tenute nel vuoto, registrate per l'accesso in uno spazio e in un momento a scelta degli studenti. Tirate di un'ora, con solo la tua riflessione Panoptica come guida, senza nemmeno punti di riferimento comuni per configurare l'evento - l'ora del giorno, il tempo fuori, gli arredi, le stranezze nella tecnologia: nessuna esperienza condivisa, nulla a cui legare gli ascoltatori.

Era così che si dovevano tenere anche i seminari. Questi, almeno, dovevano essere in presenza; quando era mattina per te, sarebbe stato mattina anche per tutti gli altri. Ma era possibile una discussione aperta e seria con gli studenti rinchiusi nella loro casa di famiglia, seduti sul letto in cui si sono buttati da bambini? Mi dicono che spengono il video, a volte anche l'audio, frequentando la lezione solo di nome, sospesi in un riquadro sullo schermo.

Un computer desktop nuovo di zecca ha rovinato il minuscolo ufficio al decimo piano. Il suo schermo sovradimensionato: il buco nero in cui l'insegnamento e l'apprendimento erano destinati a scomparire.

Per quanto? Abbastanza a lungo, ne sono certa, perché l'assoluta inverosimiglianza della prospettiva perda il suo vantaggio. Abbastanza a lungo perché ciò che ora è ritenuto necessario – l'università remota – inizi, finalmente, a sembrare possibile.

Ma non è possibile. La filosofia, almeno, non si può insegnare facendo un discorso a se stessi in una stanza al decimo piano. La filosofia non può essere insegnata orchestrando una griglia di immagini. La filosofia non può essere insegnata su uno schermo.

Il modello classico della filosofia occidentale è Socrate, che si aggirava facendo domande a chi voleva ascoltare, invitando i suoi concittadini a discutere della bella vita. Il metodo del tafano, si chiama, pensato per entrare sotto la tua pelle. Esattamente il contrario del metodo Covid-sicuro.

La filosofia ha anche altri modelli: il grande trattato o, più adatto al momento attuale, la meditazione solitaria. Ma per l'insegnamento della Filosofia, il dialogo non è mai stato migliorato. E il dialogo è vivo, da vicino e tra corpi.

In ogni dialogo, la maggior parte di ciò che viene comunicato è non verbale, anche se il dialogo è formale, anche se è finalizzato all'istruzione. Ti fermi per fare effetto, i tuoi muscoli si bloccano. Alzi le sopracciglia con scetticismo. Muovi le mani in cerchio per indicare un approssimazione. Parli in un tono più profondo per dare enfasi. Ti muovi da un lato all'altro per mantenere i tuoi pensieri in sequenza. Ti ripeti alla vista di una fronte corrugata. Ti ricarichi quando vedi spalle crollate. Scherzi per far ridere. Ti fermi per le mani in aria.

E il dialogo filosofico va ancora più in profondità, ti fa rivoltare lo stomaco per l'abbandono esistenziale, il tuo cuore batte alla ragione dell'umanità, la tua testa palpita alla natura del sublime.

Aggiungete a questo il linguaggio corporeo superficiale del dialogo in generale - i muscoli immobili, le sopracciglia alzate, le mani che girano e il resto - e la stanza in cui si insegna la Filosofia dovrebbe essere un teatro di intensità corporea, ben lontano dal decimo piano. con il suo grottesco schermo vuoto.

Nel minuscolo ufficio al decimo piano, non puoi iniziare la tua lezione con una domanda, un'accusa, una provocazione o qualsiasi altra cosa che possa coinvolgere i tuoi studenti. Non c'è nessuno lì e non puoi essere un tafano da sola. Devi parlare invece come da podio, corpo chiuso, testa parlante. Tranne che, dal podio, potresti almeno sentire il tuo pubblico davanti a te, e quello che dici potrebbe ancora avere una possibilità di passare.

Nel minuscolo ufficio al decimo piano, non puoi comportarti come se ... Non c'è nessuno con cui suonare, niente per portare lo spettacolo sulla strada.

E come dev'essere sederti sul letto in una stanza della casa dei tuoi genitori e dare il via a una tirata dal nulla? Con la tua vita sociale (o ciò che passa per essa) che pulsa attraverso portali concorrenti, la finestra della tua classe di Filosofia lascia entrare un po' di luce?

Il vero apprendimento è fatto dai nostri corpi - con il cuore, si diceva, anche se non si usa più. Un argomento dovrebbe essere afferrato, la retorica dovrebbe essere assaporata e le verità metafisiche dovrebbero farci rizzare i capelli. Tutto il resto sono solo parole.

E solo le parole non sono solo prive di vita e fredde; ti succhiano la vita, ti lasciano freddo. L'insegnamento e l'apprendimento a distanza ti fanno davvero male.

L'università ora indirizza continuamente i suoi studenti al suo servizio di supporto 24 ore su 24, nel riconoscimento implicito degli effetti dannosi dell'insegnamento che fornisce, che non solo non è all'altezza del livello a cui dovrebbe essere, ma impone il tipo di esperienza fuori dal corpo che la maggior parte degli studenti trova scoraggiante e molti non possono farcela affatto.

Ci viene detto che è necessario, l' università dello spazio sicuro di sole parole, per salvare vite umane. (Il nostro sindacato ci ha appena invitato tutti a un evento chiamato "Salvare vite sul lavoro".) Ma che qualcosa sia ritenuto necessario non è sufficiente per renderlo possibile - di tutte le lezioni, questa è quella che dovremmo imparare di più da questo passato anno.

Ci viene detto anche che è temporaneo. Ma faremo in modo che sia temporaneo solo se non agiamo come se fosse possibile. Dovremmo rifiutarci di eseguire le loro disposizioni eccezionali, o le loro disposizioni eccezionali hanno la possibilità di diventare la regola.

Il filosofo italiano Giorgio Agamben, già nel maggio dello scorso anno, scrisse quello che intitolò un “Requiem For Students”, in cui descriveva molto bene il carattere disperatamente corrotto dell'università Covid, la cui barbarie tecnologica richiamava per quello che è, e di cui ha esortato gli studenti a rifiutarsi di iscriversi.

In quanto educatori, dovremmo essere all'avanguardia. Dovremmo andare per primi e rifiutarci di insegnare sugli schermi.

È ora di smettere di comportarsi come se .

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Sinéad Murphy insegna filosofia all'Università di Newcastle. È l'autrice di " Zombie University " 

 


domenica 12 settembre 2021

Cambiamenti climatici: qual è la cosa peggiore che ci potrebbe capitare?

Un Brontotherium, una creatura simile ai moderni rinoceronti che visse fino a circa 35 milioni di anni fa in un mondo che era di circa 10 gradi centigradi più caldo del nostro. In questa scena, vediamo una pianura erbosa, ma la Terra era per lo più forestata a quell'epoca. Forse ci stiamo muovendo verso condizioni simili, anche se non è ovvio che gli esseri umani potrebbero cavarsela altrettanto bene di come ha fatto questo bestione ( immagine dalla BBC ).

 Traduzione da "The Seneca Effect"


Come era prevedibile, il sesto rapporto di valutazione dell'IPCC è sprofondato come una pietra sul fondo della memesfera pochi giorni dopo la sua presentazione. In parole povere, nessuno è interessato a sacrificare qualcosa per invertire la tendenza al riscaldamento e, molto probabilmente, non si farà nulla. 

Attenzione: non sto dicendo che non si possa più fare nulla. Penso che dovremmo continuare a fare ciò che possiamo, il più a lungo possibile. L'energia rinnovabile offre speranza per mitigare la pressione sul clima e dovremmo cercare di fare del nostro meglio per muoverci nella giusta direzione. Ma, a questo punto, potremmo aver superato il punto di non ritorno ed essere in caduta libera verso un mondo sconosciuto. Allora, qual è la cosa peggiore che ci può capitare?

I modelli non possono aiutarci troppo a rispondere. I sistemi complessi - e il clima della Terra è uno di essi - tendono ad essere stabili, ma quando superano i punti critici, cambiano rapidamente e in modo imprevedibile. Quindi, il meglio che possiamo fare è immaginare scenari basati su ciò che sappiamo, usando il passato come guida.

Supponiamo che gli umani continuino a bruciare combustibili fossili per qualche altro decennio, magari rallentando un po', ma ancora intenzionati a bruciare tutto ciò che è bruciabile, disboscare ciò che è disboscabile e sterminare ciò che è sterminabile. Di conseguenza, l'atmosfera continua a riscaldarsi, e così pure l'oceano lo fa. Poi, ad un certo punto -- bang! -- le concentrazioni di gas serra aumentano, il sistema entra in una fase di trasformazione accelerata e subisce una rapida transizione verso un mondo molto più caldo.

Il nuovo stato potrebbe essere simile a quello che era la Terra circa 50 milioni di anni fa, durante l'Eocene. A quel tempo la concentrazione di CO2 nell'atmosfera era dell'ordine delle mille parti per milione (oggi è di circa 400) e la temperatura media superficiale era di circa 10-12 gradi C superiore a quella attuale. Faceva caldo, ma la vita prosperava e la Terra era un pianeta rigoglioso e boscoso. In linea di principio, gli esseri umani potrebbero vivere in un clima simile a quello dell'Eocene. Il problema è che arrivarci potrebbe essere una corsa difficile, per non dire altro.

Nessuno può dire quanto velocemente potremmo arrivare a un nuovo Eocene, ma i punti di svolta dei sistemi complessi sono veloci, quindi non abbiamo bisogno di milioni di anni. Stiamo pensando, più probabilmente, a migliaia di anni e cambiamenti significativi potrebbero verificarsi in secoli o addirittura in decenni. 

Quindi, proviamo un esercizio per considerare l'ipotesi peggiore: ipotizzando un riscaldamento di 6-10 gradi che si verifica in un arco di tempo dell'ordine di 100-1000 anni, cosa ci aspetteremmo? Dipende non solo dalle temperature, ma dall'interazione di molti altri fattori, tra cui l'esaurimento dei minerali, il collasso economico e sociale e altri. Ora vi propongo una serie di scenari disposti da non così male a molto male. Ricordatevi che queste sono possibilità, non previsioni.


1. Eventi meteorologici estremi: uragani e simili . Questi eventi sono spettacolari e spesso descritti come la principale manifestazione del cambiamento climatico. Tuttavia, non è ovvio che un mondo più caldo mostrerà fenomeni atmosferici più violenti. Un uragano è una macchina termica che trasferisce il calore da una zona calda a una fredda. È più efficiente, e quindi più potente, maggiore è la differenza di temperatura. Da quello che sappiamo, in un mondo più caldo queste differenze dovrebbero essere inferiori a quelle che sono ora, quindi il potere degli uragani sarebbe ridotto, non potenziato. Potremmo però avere molta più pioggia perché un'atmosfera calda può contenere più acqua, e questa è una tendenza già rilevabile. Ma non dobbiamo aspettarci megadisastri che ci porterebbero - da soli - verso il collasso o l'estinzione. Gli eventi meteorologici estremi sarebbero principalmente locali e difficilmente una minaccia esistenziale per la civiltà umana. 

2. Incendi. Temperature più elevate significano maggiori possibilità di incendio, ma la temperatura non è l'unico parametro che entra in gioco. Le tendenze degli ultimi decenni indicano un debole aumento dela frequenza degli incendi nella zona temperata e, naturalmente, gli incendi fanno danni a chi non ha pensato troppo prima di costruire una casa di legno in una foresta di eucalipti. Tuttavia, per quanto ne sappiamo, gli incendi erano meno comuni nell'Eocene di quanto non lo siano ora, che è quello che ci aspetteremmo per un mondo di foreste tropicali. Gli incendi non dovrebbero rappresentare una minaccia per il futuro, anche se potremmo assistere a un temporaneo aumento della loro frequenza e intensità durante il periodo di transizione.

3. Ondate di calore.Non c'è dubbio che le ondate di calore uccidono e che stanno diventando sempre più frequenti. Un clima simile all'Eocene significherebbe che le persone che vivono in quella che è oggi la zona temperata sperimenterebbero le estati sotto forma di una serie continua di ondate di calore estremo. Parigi, ad esempio, avrebbe un clima simile a quello attuale di Dubai. Non sarebbe piacevole, ma è anche vero che a Dubai in estate si sopravvive usando l'aria condizionata e prendendo altre precauzioni. Finché manteniamo una buona fornitura di elettricità e acqua, le ondate di calore non rappresentano una grave minaccia. Senza elettricità, invece, il disastro incombe. Le ondate di calore potrebbero costringere una frazione importante della popolazione nelle zone equatoriali e temperate a spostarsi verso nord o trasferirsi sulle montagne (se ce ne sono), o, semplicemente, morire dove si trova. Il bilancio delle future ondate di calore è impossibile da stimare, ma potrebbe significare la morte di milioni o decine di milioni di persone. Potrebbe non distruggere la civiltà, ma gli umani dovrebbero allontanarsi dalle regioni tropicali del pianeta.

4. Innalzamento del livello del mareQui ci troviamo di fronte a una potenziale minaccia che va dal facilmente gestibile all'esistenziale, a seconda di quanto velocemente si sciolgono le calotte glaciali. L'attuale velocità di 3,6 mm/anno significa 3-4 metri di dislivello in mille anni. In tale arco di tempo, sarebbe ragionevolmente possibile adeguare le strutture portuali e spostarle nell'entroterra via via che il livello del mare aumenta. Ma se la velocità di salita aumenta, come previsto, le cose si fanno dure. Dover ricostruire l'intera infrastruttura commerciale marittima in pochi decenni sarebbe impossibile, per non parlare della possibilità di eventi catastrofici che coinvolgano grandi masse di ghiaccio che si schiantano in mare all'improvviso. Se perdiamo i porti, perdiamo il sistema commerciale marittimo. Senza di essa, miliardi di persone morirebbero di fame. A lungo termine, le calotte glaciali della Groenlandia e dell'Antartide dovranno sciogliersi completamente. L'innalzamento del livello del mare ha il potenziale di causare il collasso della civiltà umana, anche se non per causare l'estinzione della specie.

5. Crollo dell'agricolturaIn linea di principio, i cambiamenti climatici possono avere effetti dirompenti sull'agricoltura. Tuttavia, finora il riscaldamento non ha influito troppo sulla produttività agricola. Supponendo che non ci siano grandi cambiamenti improvvisi, l'agricoltura può continuare a produrre ai tassi attuali fintanto che viene fornita con 1) fertilizzanti, 2) pesticidi 3) meccanizzazione, 4) irrigazione. Eliminiamo uno di questi 4 fattori e i campi di grano si trasformano in un deserto (gli organismi geneticamente modificati (OGM) potrebbero non aver bisogno di pesticidi, ma hanno altri problemi). Mantenere questa fornitura richiede molta energia e questo potrebbe essere un grosso problema in futuro. La produzione artificiale di alimenti con energia fotovoltaicapotrebbe venire in soccorso, ma è ancora una tecnologia sperimentale e potrebbe arrivare troppo tardi. Poi, naturalmente, la tecnologia può fare ben poco contro i cambiamenti meteorologici importanti. Immaginate che il monsone annuale indiano dovesse scomparire: molto probabilmente sarebbe impossibile sostituire la pioggia monsonica con l'irrigazione artificiale e il risultato sarebbe centinaia di milioni di persone che muoiono di fame. La mancanza di cibo è uno dei principali assassinidella storia, direttamente o indirettamente come conseguenza delle epidemie che sfruttano le popolazioni indebolite. Non più di un secolo e mezzo fa, la carestia uccise direttamente circa il 30% della popolazione irlandese e il bilancio sarebbe stato maggiore se alcuni non fossero stati in grado di emigrare. Se estrapoliamo questi numeri al mondo di oggi, si parla di miliardi di vittime. Le carestie sono tra le maggiori minacce per l'umanità nel prossimo futuro, anche se il cambiamento climatico sarebbe solo un co-fattore nel generarle. Le carestie possono causare danni sufficienti a causare un collasso economico, sociale e culturale, anche se non l'estinzione della specie, perlomeno non direttamente. 

6. Collasso dell'ecosistema. La storia della Terra ha visto diversi casi di collassi ecosistemici che hanno comportato estinzioni di massa: i principali sono indicati come "Le cinque grandi estinzioni". La più grande ebbe luogo alla fine del Permiano, circa 250 milioni di anni fa. In quel caso, l'ecosistema si riprese dalla catastrofe, ma andò vicino a perdere tutti i vertebrati. La maggior parte delle grandi estinzioni sono correlate alle emissioni vulcaniche del tipo chiamato "grandi province ignee" che generano grandi quantità di gas serra. Il risultato è un riscaldamento sufficiente a sconvolgere l'ecosistema. L'attuale tasso di emissioni causate dall'uomo è più grande di qualsiasi altra cosa mai sperimentata dall'ecosistema prima, ma è improbabile che arrivi a livelli che potrebbero causare un disastro simile al Permiano. A differenza dei vulcani, a cui non interessa la biosfera, gli esseri umani verrebbero spazzati via molto prima di poter pompare abbastanza CO2 nell'atmosfera da causare la morte della biosfera. Tuttavia, un sostanziale collasso ecosistemico potrebbe essere causato da fattori quali l'eliminazione di specie chiave (ad esempio le api), l'erosione, l'inquinamento da metalli pesanti, l'arresto delle correnti oceaniche termoaline e altri. Il problema è che non abbiamo idea della scala temporale coinvolta. Alcune persone stanno proponendo la "estinzione umana a breve termine" (NTE) che si potrebbe verificare in pochi decenni al massimo. Non è possibile dimostrare che si sbagliano, anche se la maggior parte delle persone che studiano la questione tendono a pensare che il tempo necessario dovrebbe essere molto più lungo. Il collasso dell'ecosistema è una minaccia reale: se è successo in passato, potrebbe ripetersi in futuro. Potrebbe non essere definitivo e l'ecosistema probabilmente si riprenderebbe come ha fatto in passato. Ma, se accadrà, sarà la fine degli umani come specie (e di molte altre specie). 

7, L'imprevisto.Molte cose potrebbero causare un cambiamento improvviso e inaspettato dello stato del sistema. Ad esempio, concentrazioni di CO2 dell'ordine di 1.000 ppm potrebbero rivelarsi velenose per una biosfera che si è evoluta per concentrazioni molto più basse. Ciò porterebbe a un rapido collasso dell'ecosistema. Poi, l'inquinamento da metalli pesanti potrebbe ridurre così tanto la fertilità umana che gli esseri umani si estinguerebbero in un paio di generazioni (siamo particolarmente sensibili all'inquinamento perché siamo predatori apicali). In questo caso, la perturbazione umana sul clima scomparirebbe rapidamente, anche se gli effetti del passato si farebbero sentire ancora per molto tempo. Oppure, possiamo pensare a una guerra nucleare su larga scala. Provocherebbe un temporaneo "inverno nucleare" generato dall'iniezione di polvere che riflette la luce nell'atmosfera. Il conseguente raffreddamento interromperebbe l'agricoltura e ucciderebbe una grande frazione della popolazione umana. Dopo alcuni anni, però, il riscaldamento tornerebbe per vendicarsi con gli interessi. Oppure, potremmo pensare all'apparizione di un'intelligenza artificiale così evoluta da decidere che siamo una seccatura e sterminare l'umanità. Forse manterrebbe alcuni esemplari in uno zoo. Oppure, una vita basata sul silicio potrebbe trovare che l'intera biosfera è una seccatura e procederebbe a sterilizzare il pianeta. In tal caso, potremmo essere trasferiti come creature virtuali in un universo virtuale creato dall'IA stessa. E questo potrebbe essere esattamente quello che siamo! Questi scenari estremi sono improbabili, ma chi lo sa?

 


Quindi, ci troviamo sulla vetta del Dirupo di Seneca,  il picco della curva che descrive le rapide transizioni di fase di sistemi complessi sulla base del principio che "la crescita è lenta, ma la rovina è rapida ". Vediamo una valle verde in lontananza, ma la strada che scende dalla scogliera è così ripida e accidentata che è difficile dire se sopravvivremo alla discesa. 

La cosa più preoccupante non è tanto la ripida discesa in sé, ma che la maggior parte degli umani non solo non la capisce, ma nemmeno è in grado di percepirla. Anche dopo che la discesa è iniziata (e potrebbe essere già iniziata), è probabile che gli esseri umani fraintendano la situazione, attribuiscano il cambiamento ad agenti malvagi (i Verdi, i comunisti, i trumpisti o altro) e reagiscano in un modo che peggiorerà la situazione. Nella migliore delle ipotesi con un esteso greenwashing, nella peggiore con programmi di sterminio su larga scala.

Quindi, potremmo benissimo scomparire come specie in un futuro non remoto. Ma potremmo anche sopravvivere al disastro e riemergere dall'altra parte della transizione climatica. Per coloro che ce la faranno, il nuovo Eocene potrebbe essere un buon mondo in cui vivere, caldo e lussureggiante, ricco di vita. Forse alcuni dei nostri discendenti useranno lance con punta di pietra per cacciare un futuro equivalente dell'antica brontotheria dell'Eocene. E, chissà, potrebbero essere più saggi di quanto lo siamo stati noi. 

Che gli umani sopravvivano o meno, l'ecosistema planetario - Gaia - si riprenderà dalla perturbazione umana, anche se potrebbero volerci alcuni milioni di anni prima che riacquisti la squisita complessità dell'ecosistema com'era prima che gli umani quasi lo distruggessero. Ma Gaia non ha fretta. La Dea è benevola e misericordiosa (anche se a volte spietata) e vivrà per diverse centinaia di milioni di anni dopo che anche l'esistenza degli umani sarà stata dimenticata.

lunedì 6 settembre 2021

La trappola della conoscenza



Un Post di Fabio Vomiero

Nonostante certa filosofia ingenua e una spiccata propensione umana alla retorica mitologica amino da sempre confezionare ed etichettare idee e concetti, dovrebbe invece essere chiaro come, in realtà, tutto il nostro armamentario lessicale, sintattico e cognitivo, si dimostri il più delle volte evidentemente insufficiente nell'esprimere l'estrema complessità intrinseca di molti fenomeni complessi.

Problema peraltro già noto da tempo presso le menti più perspicaci. Basti pensare per esempio, senza scomodare la solita fisica quantistica di Heisemberg o Schrӧdinger, alle frequenti riflessioni di Darwin sui possibili fraintendimenti che avrebbe potuto generare la difficile esplicazione della sua teoria, cosa che poi si è effettivamente verificata. Si pensi inoltre a concetti comunemente abusati come quelli di realtà, vita, mente, coscienza, scienza o conoscenza stessa, appunto: nonostante in letteratura si possa trovare certamente di tutto e di più, di fatto, non esistono mai delle definizioni univoche e universalmente accettate.

Del resto, anche l'osservazione attenta della nostra piccola esperienza quotidiana ci può dire molto in merito alla questione. Provate a mettere d'accordo uno scienziato e un sacerdote sulle prove dell'esistenza di Dio, o un filosofo "cartesiano" e un neuroscienziato sull'essenza del presunto dualismo mente-corpo, oppure ancora un certo politico di destra e uno di sinistra sulla convenienza socio-economica o meno del cosiddetto "liberismo". Ma provate anche soltanto a capire, tra la sterminata letteratura spesso discordante, se il caffè, le uova, i latticini o il cioccolato facciano bene o male, se sia meglio operare la vostra poliposi nasale o la vostra calcolosi oppure no, se la caccia nel ventunesimo secolo abbia ancora un senso, se la politica di Biden possa essere o meno corretta, o soltanto conoscere come siano andate veramente le cose in Libia e in Iraq prima, e adesso in Afghanistan.

Ebbene, il punto è che allora, nonostante molte menti dogmatiche continuino ancora a pensare ingenuamente il contrario, tutto questo ci dovrebbe invece suggerire quantomeno una certa prudenza nel considerare la valenza stessa di concetti assoluti come quelli di realtà, verità e conoscenza.

In effetti, se ci spostiamo provvidenzialmente dalle sfere appunto più dogmatiche e mitopoietiche, come quelle per esempio delle ottomila religioni e delle infinite filosofie diffuse nel mondo, all'unica vera possibilità di avvicinamento a forme di conoscenza perlomeno affidabili e condivise, rappresentate dalla scienza contemporanea (che non è più soltanto quella di Galileo e Newton), possiamo ritrovare moltissimi elementi teorici e sperimentali che supportano l'evidenza di come non si possa in alcun modo attribuire al concetto di conoscenza un significato completamente oggettivo e definitivo.

Primo fra tutti il fatto che ogni dato (scientifico) grezzo è generalmente muto se non viene integrato e contestualizzato all'interno di un costrutto teorico (teoria o modello) che, com'è noto, non è mai fisso e definitivo, ma cambia o si modifica costantemente nel tempo. Il problema è che ad essere in gioco non è soltanto l'estrema complessità dei fenomeni osservati che producono emergenza di nuova informazione e di nuovi comportamenti, ma anche la variabilità, i limiti e la complessità dell'osservatore che, a tutti gli effetti, diventa egli stesso elemento di ogni tipo di sistema indagato, condizionando, di fatto, la pluralità e la scelta delle descrizioni possibili.

E' chiaro che allora, a questo punto, la frontiera di ogni prospettiva di conoscenza non potrà che essere mobile e cambiare anche sensibilmente a seconda che l'elemento osservatore ragioni fondamentalmente da poeta, da sacerdote, da filosofo, da scienziato e ancora di più a seconda che questi osservatori siano più o meno bravi e preparati nell'analisi e nell'interpretazione sistemica.

Processi complessi che studiano altri processi complessi, sostanzialmente, il che implica che ogni descrizione del mondo non potrà che essere necessariamente centrata sulle "scelte sistemiche" sempre parziali e limitate dell'osservatore, sgomberando così il campo da quelle residue, ma ancora diffuse illusioni, di una logica completamente oggettivistica della conoscenza. In altre parole è come se di un infinito paesaggio di informazione noi non riuscissimo che a cogliere di volta in volta soltanto alcuni aspetti e non altri, un po' come quando in meccanica quantistica si fissano le condizioni sperimentali per estrarre dai sistemi certa informazione anzichè altra, mediante il collasso della funzione d'onda.

Ecco perchè il filosofo e il neuroscienziato di prima non si metteranno mai d'accordo e in fondo, nonostante tutti i proclami, non riusciremo mai a prevedere nel dettaglio l'evoluzione di molti sistemi complessi quali il clima, la tettonica, il folding proteico, il decorso o l'esito di malattie ed epidemie, le relazioni sociali, l'andamento della borsa, le crisi economiche, o soltanto immaginare quale potrà essere il nostro pensiero tra cinque minuti.

Ma qual è allora il senso di questa breve riflessione epistemica... Probabilmente quello di una semplice lezione di umiltà e di consapevolezza della precarietà della nostra conoscenza così come lo è peraltro la nostra stessa esistenza. Perchè esiste sempre uno scarto tra le nostre rappresentazioni e descrizioni del mondo, siano esse modelli o teorie, e il mondo stesso che ci chiama, ed è proprio grazie a questo scarto, più o meno ampio, che trova spazio il gioco della pluralità degli approcci possibili e delle visioni prospettiche, le quali possono poi generare ipotesi e teorie anche sostanzialmente, o soltanto apparentemente, incommensurabili tra di loro.

Il nostro rapporto con il mondo, infatti, non è mai neutro, perchè anche le nostre osservazioni empiriche sono sempre inevitabilmente cariche di una certa dose di background, pregiudizio, teoria e aspettativa, purtroppo, che poi è anche il motivo per cui siamo così diversi da una semplice macchina di Touring.

Insomma, potremmo dire che, sulla base di quanto abbiamo detto, tenderebbe ad emergere l'immagine di una conoscenza condannata ad essere soltanto parziale e dalla vocazione più che altro "costruttivista", da intendersi quindi come un raffinato processo relazionale tra osservatore e osservato a metà strada tra un "realismo" banale e tautologico e un "relativismo" ingenuo, che trascura invece l'importanza, la straordinarietà e l'affidabilità della conoscenza scientifica rispetto a tutte le altre forme di sapere.

Purtroppo, il caos culturale tipico della nostra epoca rappresenta un ambiente pericoloso e poco favorevole alla produzione e alla trasmissione di una conoscenza seria e concreta: proliferazione continua di miti e di luoghi comuni, formazione scolastica probabilmente inadeguata, informazione mediatica scadente, ipertecnologia che paralizza le menti, e una scienza che continua ad essere poco compresa e male interpretata oltre che dai soliti umanisti naif, anche da alcuni suoi stessi rappresentanti.

Serve perciò molto impegno, studio e applicazione se si vuole ambire a diventare delle persone intellettualmente libere, sagge e razionali, e rendere un po' meno ingombrante e pesante il fardello non solo della propria ignoranza, ma anche della propria stupidità... Una fatica che, comunque sia, varrebbe la pena di sostenere.

martedì 31 agosto 2021

Il Medioevo Sarà Elettrico, Oppure non Sarà

 Un articoletto di qualche mese fa che credo valga la pena ripresentare qui. I dati che riporta rimangono validi: le varie "misure non farmaceutiche" contro la pandemia non hanno avuto un effetto misurabile sul riscaldamento globale. (UB)

Ugo Bardi Arriva proprio in questi giorni dal Noaa (l’ente nazionale per l’amministrazione degli oceani e dell’atmosfera degli Stati Uniti) una discreta doccia fredda (in effetti calda, addirittura bollente) su quelli che speravano che la pandemia avesse aiutato a ridurre il problema del cambiamento climatico. Dice il Noaa che i livelli dei due gas serra principali, biossido di carbonio e metano, “hanno continuato la loro crescita nel 2020, nonostante il rallentamento economico causato dalla risposta alla pandemia” e anche che “la concentrazione di CO2 di oggi è comparabile a quella del periodo caldo del Pliocene, circa 3,6 milioni di anni fa”.

In sostanza, non è cambiato nulla. Eppure in Italia si parla di una riduzione del 10% delle emissioni di CO2 nel 2020. In tutto il mondo ci si attesta sul 6-7% in meno. Come è possibile che questo non abbia avuto effetto sulle concentrazioni atmosferiche? Per alcuni, è una cosa talmente sorprendente che c’è chi ha cominciato a dire che tutta la storia del riscaldamento globale causato dall’uomo è una balla colossale. Ma non è così. Immaginatevi di stare riempiendo di acqua una vasca da bagno. Se chiudete un po’ il rubinetto, ma non del tutto, non vi aspettate di certo che il livello dell’acqua diminuisca. Non diminuisce nemmeno se chiudete completamente il rubinetto, a meno che la vasca non perda dal tappo.

Per quanto riguarda il CO2, c’è un “rubinetto” che sono le emissioni umane, mentre il “tappo” è l’assorbimento dell’ecosistema che elimina circa il 50% delle emissioni umane. Non ci aspettiamo certamente che una riduzione del 7% delle emissioni porti a un calo nelle concentrazioni. Al massimo, dovrebbe mostrarsi come una riduzione della velocità di crescita. Ma, nei dati, questo effetto viene completamente mascherato dalle variazioni stagionali.

Tuttavia, perlomeno le emissioni si sono un po’ ridotte: era un obiettivo che si cercava di ottenere da decenni, senza riuscirci. Se rimangono attivi i vari blocchi e le restrizioni, ci possiamo aspettare altri cali delle emissioni. Se questo continuasse per qualche anno, allora potremmo vedere il CO2 nell’atmosfera rallentare la crescita e potrebbe anche cominciare a scendere. Certo, però, che il prezzo da pagare sarebbe spaventoso se questi metodi drastici sono l’unico modo di arrivarci.

In effetti, se la pandemia ci ha insegnato qualcosa in termini di clima è la differenza fra sogni e realtà. Quando si parlava di ridurre le emissioni, c’era chi parlava di “decrescita felice” e chi di “disaccoppiamento”. Ovvero, si sosteneva che riducendo i consumi saremmo stati più felici e, non solo, sarebbe stato addirittura possibile continuare a far crescere l’economia. Certo, e sarà anche Natale tre volte all’anno. A questo punto, con un milione di posti di lavoro persi nel 2020 e l’economia a pezzi, dovremmo aver imparato che il cosiddetto “disaccoppiamento” non è tanto semplice come sembrava. E che la decrescita è tutt’altro che felice.

E allora? Con l’esaurirsi della pandemia c’è chi spera in un ritorno rapido al mondo di prima. Ammesso che ci si possa arrivare (cosa molto dubbia), questo ci riporterà anche ai problemi di prima: come ridurre le emissioni se continuiamo ad affidarci ai combustibili fossili? Se non le riduciamo, ritornare al Pliocene potrebbe essere anche peggio della decrescita infelice, specialmente se consideriamo che durante il Pliocene faceva molto più caldo di oggi e il livello del mare era circa 25 metri più alto. Per gli australopitechi di quell’epoca andava benissimo, ma per noi sarebbe un po’ dura adattarsi.

E allora dobbiamo cercare di barcamenarci il meglio possibile. Dopotutto, la situazione non è disperata. Gli ultimi dati disponibili indicano che l’energia rinnovabile è diventata la tecnologia di energetica meno costosa in assoluto. Questa è una strada che ci si apre davanti per liberarci dei combustibili fossili senza dover far decrescere rapidamente l’economia, con tutta l’infelicità del caso. Vediamo di imboccarla con decisione, altrimenti saranno guai.

 

venerdì 27 agosto 2021

Il Piacere della Scienza

 

Ilaria Perissi, molto soddisfatta della nostra creazione: una simulazione di un'esplosione nucleare fatta usando 50 trappole per topi. E' un tipo di scienza creativa, ben diverso dalla scienza di oggi, rigida, costosa, e incasellata nelle varie conventicole nelle quali gli scienziati si rinchiudono da soli.


Ultimamente, mi è venuto molto da pensare a che cos'è veramente la scienza. E mi è tornato in mente che la ragione per la quale sono quello che sono (e sono stato), arriva tutto da una sera quando avevo forse 6 -7 anni e mio zio, ingegnere, mi fece vedere gli anelli di Saturno da una finestra di casa con un telescopio che era poco più di un giocattolo. Mi insegnò anche tante altre cose, tipo a saldare i fili dei circuiti elettrici usando un vecchio saldatore scaldato con una fiamma a gas. Non esattamente una cosa che oggi metteremmo in mano a un bambino. 

Certo, la scienza è cambiata tanto. Negli anni, ho usato strumentazione complicata, laboratori attrezzati, addirittura interi accelleratori per produrre le particelle che usavamo come sonde per i fenomeni che studiavamo. Scienza costosa. Ma molto di quello che ho fatto aveva ancora molto il piacere di trovare qualcosa di nuovo e di inaspettato. C'era ancora spazio per idee originali da sperimentare. Magari non funzionavano, ma per tante cose ci siamo divertiti. 

Per esempio, la mia collaboratrice e allieva Ilaria Perissi (che vedete nella figura più sopra) ha fatto la sua tesi di dottorato su un nuovo liquido raffreddante per gli impianti solari a concentrazione, quelli di Rubbia per intenderci. Alla fine, non è risultata una cosa pratica, ma era tutto un mondo nuovo e affascinante, quello dei "liquidi ionici," solventi che nessuno aveva mai sperimentato prima per questa applicazione.

Ma, ultimamente, la scienza non la riconosco più. Tutto si è irrigidito, politicizzato, bloccato in conventicole ristrette, gestito non più dagli scienziati ma da chi li finanzia. La "Scienza" (alle volte scritta come "La Scienzah") è diventata una specie di idolo pagano che si deve adorare ma non si può criticare. E gli scienziati alla moda sono diventati quei virologi televisivi che ormai sono degli attori che interpretano il ruolo degli scienziati.

E così, con la mia collaboratrice di lungo corso, Ilaria, ci siamo messi in testa di ritornare alla scienza di una volta. La scienza semplice, la scienza affascinante, la scienza fatta con pochi soldi. La scienza fatta per il puro piacere di farla. Vi dirò che ci siamo divertiti. Anzi, ci siamo divertiti tanto. Anzi, tantissimo! 

Fra le tante cose, vedete nella foto un esperimento fatto sull'effetto termico del biossido di carbonio. Non aveva lo scopo di dimostrare che l'effeto serra esiste (questo già lo sappiamo) ma che la maggior parte degli esperimenti "didattici" che pretendono di dimostrare che esiste, sono sbagliati. 

Poi con Ilaria abbiamo fatto pezzi teatrali sull'economia delle risorse. Abbiamo inventato il "gioco di Moby Dick" in cui i giocatori prendono il ruolo di capitani di navi baleniere e si impegnano in una simulazione del sovrasfruttamento delle risorse. E' un gioco da tavolo, fatto espressamente con l'obbiettivo della semplicità; niente computer, regole semplici, un po' ci si diverte, un po' si imparano cose. Lo trovate nel nostro libro "Il Mare Svuotato." 

Recentemente, ci siamo anche inventata una "sesta legge della stupidità" applicando un nostro modello matematico alle cinque leggi della stupidità umana inventate negli anni 1970s da Carlo Cipolla. Era anche lui uno scienziato che si divertiva a fare il suo lavoro. L'ho conosciuto di persona, era un tipo riservato, ma se entravi un po' in confidenza con lui ti faceva morire dalle risate con le sue idee sulle scienze economiche. E abbiamo anche pubblicato il nostro articolo su una rivista scientifica "seria." 

Non vi dico quanto ci hanno fatto patire i revisori, scandalizzati che si potesse fare scienza non noiosa! Dai report che ci arrivavano sembrava di vedere la faccia disgustata dello scienzatone di turno che scriveva cose tipo "ma chi si credono di essere questi qua?" (non proprio esplicitamente, ma il senso era questo). Abbiamo addirittura avuto l'onore di avere quattro revisori, quando di solito due sono il massimo, tanto l'editore era terrorizzato dal nostro articolo. Ma, alla fine, si sono dovuti arrendere quando si sono accorti che sapevamo di cosa parlavamo.

E, infine, come vedete nella foto all'inizio di questo post, io e Ilaria ci siamo impegnati in un altro esperimento per la pura curiosità di farlo. Niente di meno che la simulazione di un'esplosione nucleare usando trappole per topi! 

L'idea di base non ce la siamo inventata noi: vi ricordate forse di aver visto l'esperimento in un famoso film di Walt Disney "Il Nostro Amico Atomo" (1957). Si tratta di caricare le trappole con delle palline da ping-pong, poi ogni trappola quando scatta spara due palline in aria, le palline fanno scattare altre trappole, e il risultato è un'esplosione di palline da ping pong. E' lo stesso meccanismo che genera le esplosioni nucleari: si chiama "feedback positivo" nella scienza dei sistemi complessi. 


Ma perché rifare un esperimento già fatto più di mezzo secolo fa? Beh, in parte è una questione di curiosità. Se andate sul Web, troverete decine e decine di filmati di questo esperimento in varie forme. Ma questi esperimenti sono di solito fatti in modo dilettantesco, solo per il gusto di vedere palline che volano. Ma la scienza divertente non è scienza fatta male. Anzi, deve essere rigorosa, specialmente considerando che vai a fare cose che ti inventi da te. Non è lo stesso che comprare uno strumento di misura costoso già fatto e seguire il manuale di istruzioni, che è il modo in cui si fa tanta scienza oggi.

Allora, non vi sto a dare i dettagli di questo esperimento con le trappole per topi che si sta rivelando alquanto complicato a fare -- ma ci stiamo riuscendo! (per non parlare di quante volte ci siamo presi una tagliola sulle dita). Quello che vogliamo fare è misurare i parametri dell'esplosione delle palline e poi verificare il meccanismo con un modello matematico. Come vi dicevo, ci sono decine e decine di esperimenti del genere, e nessuno che mai si sia preoccupato di misurare quello che succede e di interpretarlo con un modello. E questa è la cosa interessante: capire se il modello si può applicare a sistemi reali. Scienza divertente ma rigorosa!

La prossima invenzione ve la accenno soltanto, ma è una simulazione del ruolo delle balene nel cambiamento climatico. Non so se mai funzionerà, ma non vi immaginate quante cose si possono imparare a cercare di fare un modello matematico di una cosa del genere. 

Per concludere, due cose. La prima è ringraziare Ilaria per avermi seguito (e per continuare a seguirmi) in questa ricerca un po' originale. Poi, vi passo qualche paragrafo tradotto da un post recente di Matthew Crawford che mi ha ispirato questo testo.


Come la Scienza è Stata Corrotta

Di Matthew Crawford (estratto)

Quando ero piccolo, mio ​​padre faceva esperimenti in casa. Quando soffi sulla parte superiore di una bottiglia di vino, quanti modi di vibrazione ci sono? Come si ottengono le note più alte? 

Un'altra volta, la questione in esame potrebbe essere "l'angolo di riposo" di un mucchio di sabbia, come in una clessidra. Dipende dalla dimensione delle particelle? Sulla loro forma? Questi fattori determinano la velocità con cui una clessidra si svuota? 

La mia preferita era la domanda su quale tecnica svuoterà una brocca d'acqua più velocemente. Dovresti semplicemente capovolgerla e lasciare che l'aria entri (come deve, per sostituire l'acqua) in quel modo instabile, glug-glug-glug, o tenerlo con un'angolazione più delicata in modo che il versamento non venga interrotto? Risposta: capovolgi la brocca e agitala energicamente per creare un effetto vortice. Questo crea uno spazio vuoto al centro del flusso, dove l'aria è libera di entrare. La brocca si svuoterà molto rapidamente. 

Mio padre è diventato famoso per questi esperimenti di "fisica in cucina" dopo aver incluso compiti basati su di essi in un libro di testo da lui scritto, pubblicato nel 1968 e amato da generazioni di studenti di fisica: Waves (Berkeley Physics Course, Vol. 3). Mia sorella ed io, di due e cinque anni, siamo citati nei ringraziamenti per aver ceduto i nostri Slinky alla causa. <...>

La pandemia ha messo in rilievo una dissonanza tra la nostra immagine idealizzata della scienza, da un lato, e il lavoro che la “scienza” è chiamata a svolgere nella nostra società, dall'altro. Penso che la dissonanza possa essere ricondotta a questa discrepanza tra la scienza come attività della mente solitaria e la sua realtà istituzionale. 

La grande scienza è fondamentalmente sociale nella sua pratica, e con ciò derivano alcune implicazioni. In pratica, la "scienza politicizzata" è l'unico tipo che esiste (o meglio, l'unico di cui probabilmente sentirai parlare). Ma è proprio l'immagine apolitica della scienza, come arbitro disinteressato della realtà, che la rende uno strumento così potente della politica. Questa contraddizione è ora allo scoperto. 

Le tendenze “antiscienza” del populismo sono in misura significativa una risposta al divario che si è aperto tra la pratica della scienza e l'ideale che ne sostiene l'autorità. Come modo di generare conoscenza, è l'orgoglio della scienza essere falsificabile (a differenza della religione). Tuttavia, che tipo di autorità sarebbe quella che insiste che la propria comprensione della realtà è solo provvisoria? 

Presumibilmente, l'intero scopo dell'autorità è spiegare la realtà e fornire certezza in un mondo incerto, nell'interesse del coordinamento sociale, anche a prezzo della semplificazione. Per svolgere il ruolo assegnatole, la scienza deve diventare qualcosa di più simile alla religione. Il coro di lamentele su una "fede nella scienza" in declino espone il problema in modo quasi troppo franco. I più reprobi tra noi sono gli scettici del clima, a meno che non siano i negazionisti del Covid, accusati di non obbedire alla scienza. Se tutto questo ha un suono medievale, dovrebbe farci riflettere.


sabato 21 agosto 2021

Io, Ilaria e la balena

 

di Ugo Bardi

Questo è un piccolo pezzo teatrale per illustrare il nostro lavoro sull'economia e l'ecologia del mare che abbiamo scritto io e la mia collaboratrice Ilaria Perissi. E' un tantino artigianale, ma l'abbiamo improvvisato secondo la tradizione della commedia dell'arte. 

E questo è il nostro libro (la versione in Italiano). E' stato pubblicato l'anno scorso e purtroppo è passato un po' inosservato nel grande marasma del Covid. Ma adesso stiamo cercando di raccontare per quanto possibile, anche mediante questi piccoli pezzi teatrali.


Se avete modo, lo presentiamo questo martedì, 24 Agosto, presso "Il Conventino" via Giano della Bella, n. 20. Ore 18. Conduce la discussione Domenico Guarino di Controradio