mercoledì 2 maggio 2018

Dall'Economia alla Resilienza (è troppo tardi per lo sviluppo sostenibile)

(Pubblicato anche sul blog Appello per la Resilienza)
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Sono passati quasi cinquant’anni da quando è uscito il primo Rapporto sui Limiti dello sviluppo. Se si va a vedere che cosa da allora è stato fatto per invertire la nota rotta del Business As Usual (che secondo quel rapporto ci avrebbe portato sul baratro), che cosa si potrebbe dire?

Si potrebbe dire che la “consapevolezza” verso certi temi e problemi è aumentata. Per esempio oggi nei paesi ricchi c’è molta più attenzione sul tema dei rifiuti rispetto ad allora.

Si potrebbe ricordare di battaglie che sono state vinte, come quella di impedire la diffusione di gas che minacciano di creare il buco nell’ozono.

Bisogna ricordare che nell'ultimo decennio sono decollati progetti e investimenti in energie rinnovabili.

Si potrebbero anche elencare tutte le buone pratiche che sono state attivate; tutte le associazioni, gli enti, le istituzioni che sono state create a tutela dell’ambiente e che quotidianamente fanno qualcosa di utile. 

Molto è stato fatto (e l'elenco è insufficiente), ma è abbastanza per "invertire il BAU"? Come mai la sensazione che non stia cambiando nulla in fondo? Si può avere l’impressione che l’umanità non riesca in fondo a compiere sforzi davvero “significativi” per cambiare i suoi comportamenti a livello globale.

Ma chiediamoci, cosa significa invertire la tendenza al BAU? Prima di tutto cambiare modo di fare business. In secondo luogo, secondo il pensiero dominante significa rendere sostenibile lo sviluppo (1). In altri termini, rendere pulita la crescita, renderla “green”.

Ma si può veramente? Non è lecito, arrivati a questo punto, porsi la questione se tutto ciò non sia stato un errore o un abbaglio?

Il punto è: si possono cambiare i connotati all'economia? Ricordiamo dapprima in che cosa consiste la crescita economica. E’ semplice: ogni anno il Prodotto Interno Lordo di un paese deve aumentare in maniera esponenziale (si cade facilmente nella trappola di immaginarsi una crescita lineare, perché la nostra mente ragiona più arcaicamente quando non è allenata o costretta).

Questo implica che due elementi devono crescere a loro volta: la produzione (offerta) e il consumo (domanda). 

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 E’ come la doppia elica del DNA che sale, infatti qujando le due linee cominciano a divergere iniziano i problemi (crisi, recessioni, depressioni, ecc).

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In realtà è peggio ancora, perchè poi di fatto e per ragioni sistemiche vi sono molti altri fattori che crescono in correlazione.



Bene. C’è un modo di rendere sostenibile questo processo?

Vi è un filone del pensiero economico che sempre nei '70 si è sforzato in tal senso. I più famosi sono Georgescu-Roegen e poi Herman Daly. Avevano compreso che le componenti fisiche non potevano generare una crescita economica perpetua. Veniva ripresa l'idea dei neoclassici secondo cui il sistema avrebbe inevitabilmente raggiunto uno “stato stazionario” (Steady-State economy).

Ma la soluzione a questo punto, da buoni economisti, non poteva essere quella di rifiutare il concetto stesso di crescita – e dunque di economia! - bensì di “arrangiare” la crescita in qualche altro modo. 

Un'economia ecologica poteva fondarsi allora sulla crescita delle componenti non-fisiche, in quanto ritenute non soggette a vincoli materiali(1).

L’economia “ecologica” oggi ha preso il nome di economia circolare. La consapevolezza che non è possibile prendere dal mondo e poi gettare via in eterno i materiali ha creato il "mostro verde" di un’economia circolare in cui i rifiuti diventano risorse al fine di alimentare la crescita.

La sfida qui non si gioca solo dal lato del consumo (che il consumatore impari a riciclare meglio), ma nel migliorare a monte le catene di produzione. Così è possibile che gli infiniti oggetti e merci di cui è composta la nostra vita vengano creati già in modo che una volta consumati possano essere recuperati senza troppe perdite (2).

Ma come non vedere che il sistema economico è concepito per accelerare i tempi di consumo degli oggetti al fine di generare sempre nuovo valore (aumentare il PIL)? Come non vedere che affinché il sistema viva è necessario che gli oggetti muoiano e rinascano continuamente?(3) L’economia circolare si vuole fare furba nel cercare come di “ibernarli” e dargli nuova vita.

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Stiamo mettendo la polvere sotto al tappeto. Una cosa sembra chiara: non è possibile uno sviluppo che sia sostenibile per il Pianeta (e per noi). Non c'è modo di generare una crescita del PIL senza scatenare processi distruttivi.

Ad essere più precisi bisognerebbe dire che non è possibile uno sviluppo economico sostenibile, perché forse è concepibile che una società possa svilupparsi in maniera etica e giusta in altri modi. La faccenda allora riguarderebbe l’inerzia e la poca creatività che ha l'umanità nel trovare soluzioni ai suoi problemi. 

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Ugo ha scritto a settembre dopo l'incontro del Club di Roma che:

"[...] più si cerca di stare al di sopra del limite, più veloce e severo sarà il rientro. Quello che si deve fare è rendere più leggero il collasso, seguirlo, non cercare di fermarlo. Altrimenti sarà peggio"


Tutta questa retorica dello sviluppo sostenibile invece consiste nel crearci un “mito”, un'alibi che ce la faremo a mantenere questa stessa società ma più pulita, più green e forse anche più ricca. In fondo non siamo convinti che in un modo o nell'altro la svangheremo?


Che la società stia collassando significa che è anche e soprattutto il sistema economico che sta man mano cedendo e sostenere lo sviluppo sostenibile significa cercare di rallentarne l'inevitabile crollo - rendendolo così ancora peggiore! 

Questo non significa che bisogna rassegnarsi, ma che piuttosto bisogna rimboccarsi le maniche in direzioni nuove. Quali? Se l'economia non è concepita per durare (poiché l'obsolescenza programmata è la sua legge) dobbiamo puntare sul creare strutture capaci di durare e di sopravvivere, in altre parole reti e organizzazioni modulari e veramente resilienti (4). 

"E' troppo tardi per lo sviluppo sostenibile. Dobbiamo mettere più enfasi sulla resilienza del sistema" (Dennis Meadows a Pisa nel 2006)

Non bisogna chiedersi “Come possiamo tenere in piedi l'economia?” ma “Che cosa sopravviverà al crollo dell'economia?”: questa a me sembra la domanda e la sfida, entusiasmante e drammatica al tempo, che si dovrebbero porre oggi gli ambientalisti (5).


NOTE
(1) Era in quel periodo che cominciava l'era dei computer e la finanziarizzazione dell'economiache l'ha accompagnata. La “conoscenza”(nel senso del Terziario) diveniva quel serbatoio che avrebbe fatto decollare ancora l'economia e così è stato. Tuttavia la conoscenza era ed è ben lungi dall'essere svincolata dal legame con la Terra poichè è pur sempre una forma di “lavoro” e dunque richiede energia. La comunità scientifica tarda ad ammettere che il sistema economico richiede in primo luogo energia per essere mantenuto e crescere implica un ammontare esponenziale di energia
(2) Emanuele Bompan ha scritto un libretto semplice in cui spiega “che cos'è l'economia circolare?”.
(3) Jean Baudrillard aveva scritto di questo in particolare nel suo straordinario libro La società dei consumi.
(4)Penso in particolare ai tre lavori di Pablo Servigne e Raphael Stevens: Comment tout peut s'effondrer?; Nurrir l'Europe en temps de crises; Petit manual de resilience local
(5) Anche senza essere magari al corrente del tema del picco del petrolio, molti Comuni italiani, soprattutto al Sud, si stanno organizzando in “comunità di Autoproduzione” dell'energia elettrica rinnovabile in sistemi, mi par di capire, anche off-grid; fonte: Legambiente, comunirinnovabili.it

martedì 24 aprile 2018

Cos'è L' "Effetto Seneca" e Perché è Importante


Questo Post è apparso su "GreenReport" il 10 Aprile 2018

Sostenibilità e “Effetto Seneca”: un antico paradigma che vale anche per i nostri tempi

 O del perché l'ecosistema in cui viviamo non è un supermercato dal quale possiamo prendere quello che ci serve, senza nemmeno dover pagare

di Ugo Bardi

Circa 2.000 anni fa, il filosofo romano Lucio Anneo Seneca scrisse al suo amico Licilio notando che “la crescita è lenta, ma la rovina è rapida”. Era un’osservazione soltanto apparentemente ovvia. Per esempio, vi ricordate della mela di Newton? Tutti sanno che le mele cadono dagli alberi, ma ci è voluto Newton per tirar fuori da questa cosa ben nota una cosa che non era affatto ovvia: la legge della gravitazione universale.

È la stessa cosa per l’osservazione di Seneca che “la rovina è rapida”, che si rivela la chiave di volta per capire gli sviluppi di quello che oggi chiamiamo la “scienza della complessità.” Nell’arco di alcuni decenni, a partire dagli anni ’60 del XX secolo, lo sviluppo del calcolo digitale ha permesso di affrontare problemi che, ai tempi di Newton (per non dire di quelli di Seneca) non si potevano studiare se non in modo molto approssimato.

E così questa nuova scienza ci ha permesso di addentrarci in un mondo che in un certo senso ci era familiare: il mondo delle cose reali che nascono, crescono, e alle volte collassano in modo rovinoso. Ma era anche un mondo che gli scienziati di una volta, abituati a descrivere tutto con delle equazioni, trovavano difficile da capire e che – in pratica – ignoravano. Ma non ci sono equazioni per certi fenomeni naturali come i terremoti, gli uragani, le eruzioni vulcaniche e nemmeno per cose apparentemente semplici come lo scoppio di un palloncino. Nemmeno ci sono equazioni per fenomeni più virtuali, come il collasso degli imperi, i crolli del mercato azionario, la sparizione dei partiti politici, e tante altre cose.

Tutte queste cose, e molte di più, le ho messe insieme nel mio libro che ho intitolato “L’Effetto Seneca” in onore dell’antico filosofo romano. È una storia che racconto a partire da un esempio classico che, nel libro, ho chiamato “la madre di tutti i collassi,” quella dell’Impero Romano. Ma nel libro si parla di tantissime cose: la rottura di oggetti, il crollo degli edifici, la frequenza dei terremoti, la guerra, i mercati finanziari, le estinzioni di massa e tante altre cose. La tesi di fondo è che tutti questi fenomeni hanno molto in comune: il meccanismo del collasso avviene per quello che in inglese chiamiamo “feedback” e che in italiano definiamo come “retroazione”. Più figurativamente, potremmo chiamarlo “effetto valanga” (o anche, ovviamente, “effetto Seneca”).

Ovvero, i sistemi collassano quando uno degli elementi che li compongono cede, ma non soltanto: causa il cedimento degli elementi che lo circondano. Questi, a loro volta, causano il cedimento di altre cose e il crollo si propaga – spesso molto rapidamente: come diceva Seneca, “La rovina è rapida”. È una caratteristica dei sistemi che chiamiamo “network”, che hanno conosciuto uno sviluppo rapidissimo degli studi in proposito.

Ma tutto questo serve per prevedere il futuro? È la domanda che mi viene posta spesso a proposito di questo libro. La risposta è, per dirla con Mark Twain, che le previsioni sono sempre difficili, specialmente quando hanno a che vedere con il futuro. Ma, del resto, che cos’è il futuro se non un fascio di possibilità che noi stessi decidiamo se trasformare in realtà o no? Il futuro non si può prevedere, si può soltanto essere preparati per il futuro.

Seneca stesso sarebbe probabilmente stato d’accordo con questo concetto: era profondamente ingranato nella filosofia stoica (di cui Seneca era un esponente) che dobbiamo sempre essere preparati per il futuro, ben sapendo che la rovina ci può arrivare addosso in qualsiasi momento. Questo vale sia per gli individui come per un’intera società.

Così, i modelli matematici che descrivono “l’Effetto Seneca” sono una quantificazione di un’antica saggezza. Ci possono essere utili per tante cose, forse la principale per renderci conto che l’ecosistema in cui viviamo non è un supermercato dal quale possiamo prendere quello che ci serve – e senza nemmeno dover pagare. È un sistema complesso soggetto al collasso di Seneca. E siccome anche noi facciamo parte dell’ecosistema, il collasso ci può fare grossi danni, per esempio nella forma di cambiamento climatico con tutti gli annessi uragani, siccità, ondate di calore eccetera. Anche uno stoico come Seneca avrebbe detto che se si può cercare di evitare il collasso climatico e altri collassi ambientali, bisogna provarci. Proviamoci.



“The Seneca Effect” è edito in inglese da Springer, e in tedesco da Oekom Verlag. Per il momento non c’è una versione italiana. Ci stiamo lavorando sopra.

“The Seneca Effect” è un rapporto commissionato dal Club di Roma, il quarantaduesimo dopo il celebre rapporto sui limiti dello sviluppo (“The Limits to Growth”) commissionato al Massachussets Institute of Technology e pubblicato nel 1972. È stato presentato nei giorni scorsi nell’Aula magna dell’Università di Firenze.

venerdì 20 aprile 2018

Chi è l’ambiente?

Un post di Natan Feltrin


Chi è l’ambiente?

We are Earthlings first, humans second” (Stan Rowe)

Noi sapiens, come abbiamo avuto piacere a definirci, siamo delle entità biologiche immerse in quella condizione d’esistenza denominata ambiente che è stata l’incubatrice della nostra storia filogenetica ancora prima di accoglierci in quanto “uomini”. Essa, difatti, fu per noi la madre che ci portò in grembo prima di esporci alla luce e poi allattarci.

Solo retroattivamente, dall’alto delle nostre categorie ermeneutiche, abbiamo definito questo essere circondati attivamente, questo essere-parte-di, ambiente, ovvero “intorno dinamico”.  Quando diciamo di avere un ambiente siamo vittime di un délire, in realtà dovremmo asserire di  essere ambiente poiché esso è il punto di congiunzione tra ogni soggettività ed il suo spazio di manifestazione, esso è l’indifferenziazione già plurima. Ognuno ha il proprio ambiente solo nella condizione che l’ambiente abbia ognuno, poiché pulsa attraverso i nostri battiti e si misura attraverso i nostri sensi. In quanto viviamo, esso vive e danza una primordiale danza di creazione e caducità. Esso è dinamico, sempre in moto, poiché noi tutti lo siamo nella nostra irrequietezza di esistenti effimeri.

Questa breve cornice teorica, comune ad ogni entità discreta della zoé, nella quale panteismo ed ecologia sembrano fondersi e confondersi, deve essere tenuta a mente ogniqualvolta si discute di crisi ambientale. Se con l’ambiente siamo davvero in aperto conflitto è perché la parola che usiamo si è fatta muta, poiché di questa architettura di cui ci costituiamo materia abbiamo perso il progetto. Diciamo ambiente, ma immaginiamo sfondi e paesaggi passivi, distanti, reificati… Così si fa strada il pensiero merologico,  il grande mercificatore di valori, l’attitudine mentale che ha venduto in saldo ogni stupore e ha è fatto il mondo “cosa”. Quando ci rappresentiamo l’environment, dall’etimo francese en viron (stare attorno), lo facciamo prendendo distanza da esso, facendolo cosa.

Questo è il passo che l’uomo moderno compie nel descrivere il paesaggio ecologico come il teatro in cui ne va della vita stessa rendendo, però, questa con-partecipazione una recita umana tra infiniti oggetti d’uso nella loro differente utilità.

L’Umwelt scade e diviene cornice di possibilità tutte umane, possibilità che l’uomo fa del mondo e non più con il mondo. La Natura, in ciò, diviene natura morta.

Non è colpa della scienza e nemmeno di una certa filosofia, ma di un intrecciarsi storico di memi se ora siamo convinti di abitare in quadro di still life dove i viv-enti e gli enti appiano come funzioni (anche quelle biologiche non divengono che “funzioni biologiche”). Ed in questo immenso apparato di “mezzi per” quando la smania di manipolazione porta ad un guasto del sistema-mondo esso, heideggerianaménte, si palesa nel suo non essere strumento.

In questa brevissima fenomenologia di come l’ambiente è stato cosificato, e di conseguenza strumentalizzato, risiede il senso profondo dell’Antropo-Eremocene: di quella danza originaria spietata e mirabile non è rimasto che il solo “uomo” e i suoi strumenti. Con gli strumenti, però, non si ha più dialogo, essi non rispondono, non con-vivono, non ricambiano il nostro sguardo, semplicemente fungono da ingranaggi della macchina capitalistica.

Se, in ultima istanza, non capiamo il valore dell’ambiente e lo figuriamo come distante dai nostri più diretti interessi è perché, in fondo, anche in tempi di crisi ecologica speriamo che qualcuno aggiusti la macchina prima che essa ci lasci a terra.

In un’epoca di crescita smodata di biomassa umana e di consumi, la sinfonia vitale del mondo è stata silenziata,  e quel che resta dell’ambiente non è che una macchina difettosa che, purtroppo, impone limiti all’economia e alla smania di accumulazione infinita di alcuni. Per questo dire Gaia non piace all’uomo-dio, poiché tale modo dell’Anthropos il mondo lo vorrebbe calcolare, manipolare ed emendare tramite il potere promesso della geoingegneria.


Aggiustare la macchina non ci aiuterà a curare la nostra ferita di specie, non ci ridarà quanto stiamo perdendo e non farà altro che renderci ancor più cosa tra le cose, merce tra le merci, sino a quando la nostra stella non smetterà di brillare.

Per muoversi fuori dalla palude di siffatto pensiero merologico, bisogna ricondurre la sensibilità verde, animalismo incluso, a interrogarsi profondamente non su cosa sia l’ambiente, ma su chi sia l’ambiente.

Al fondo di questa domanda troveremo innumerevoli ragioni per non smettere d lottare. 
                                                                                                                               (Natan Feltrin)

martedì 17 aprile 2018

Qualche osservazione sul libro di Ugo Bardi "The Seneca Effect," di Roberto Peccei (parte IV)

In questa quarta e ultima parte del suo intervento a Firenze, il 5 Aprile 2018, Roberto Peccei - vicepresidente del Club di Roma, discute alcune possibili linee per fronteggiare i cambiamenti che ci aspettano


Vorrei concludere discutendo brevemente tre diversi suggerimenti discussi nel rapporto Dai! per aumentare la resilienza della nostra società. Questi riguardano:
  1. la transizione alle energie rinnovabili;
  2. il disaccoppiamento  delle risorse dal benessere; e
  3. l’idea di un'economia circolare.
Se implementati ciascuno di questi suggerimenti dovrebbe almeno
 
"tirare le leve nella giusta direzione".
È chiaro che, a lungo termine, l'economia mondiale sarà alimentata da fonti di energia rinnovabile. Tuttavia, la questione cruciale per il futuro del pianeta è quanto durera` la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. Attualmente si ritiene generalmente che le riserve mondiali di petrolio e gas siano suficientemente grandi da non aver bisogno di cercare di accelerare la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. Ma, In ogni caso, per smorzare i cambiamenti climatici antropogenici e` importante fare questa transizione il più rapidamente possibile.

Vi è attualmente un acceso dibattito sulla velocità con cui il mondo può fare la transizione verso un'economia basata solo sulle risorse energetiche rinnovabili. Forse il pronostico più ottimistico che ho visto è quello di Mark Jacobsen e dei suoi colleghi a Stanford e UC Berkeley, che sostengono che è possibile per il mondo fare una transizione totale dai combustibili fossili entro il 2050. Il loro studio presenta tabelle di marcia tecniche che dimostrano che entro questa data il mondo può essere alimentato energeticamente esclusivamente da vento, acqua e luce solare. Secondo loro, nel 2050 il mondo sara’ alimentato dal 61,3% di energia solare (fotovoltaica e termica) e da 32,3% di energia eolica, con il rimanente 5,4% rappresentato da energia idroelettrica, marina e geotermica.

Le tabelle di marcia di Jacobsen e i suoi colleghi sono aggressive, ma non del tutto irrealistiche. Per esempio, uno studio del Department of Energy (DOE) negli Stati Uniti prevede la crescita dell'eolico negli Stati Uniti da 60 Giga Watts nel 2013 a 404 Giga Watts nel 2050, mentre lo studio di Stanford e Berkeley ipotizza che nel 2050 l'energia eolica negli Stati Uniti contribuira 795 Giga Watt, circa un fattore 2 maggiore.

In ogni caso, anche se la transizione verso l'energia rinnovabile non sara’ così veloce come e` suggerito in questo studio, c'è una questione importante da considerare che potrebbe rendere questa transizione più difficile da raggiungere. Una rapida transizione verso l'energia rinnovabile, o l’idea di astenersi dal bruciare alcune delle riserve di combustibili fossili conosciute per evitare cambiamenti climatici catastrofici, in pratica si tradurrà in non sfruttare del petrolio a cui è già stato dato un valore economico. Queste cosiddette risorse bloccate (stranded assets) sono state stimate dal Grantham Research Institute on Climate Change di essere del ordine di $ 6.000 miliardi. Ovviamente questi beni bloccati devono essere considerati parte del costo di una transizione da un'economia alimentata da combustibili fossili a un'economia alimentata da energia rinnovabile.

E’ chiaro che se vogliamo accelerare questa transizione bisogna:

  1. che tutti gli incentivi finanziari all'industria dei combustibili fossili (sia di proprietà privata che di proprietà statale) siano eliminate, e
  2. imporre una tassa sul carbonio che rifletta i costi reali associati all'estrazione e l’uso dei combustibili fossili.

Uno studio recente di Coady e colleghi nel Fondo Monetario Internazionale stima che gli incentivi dati all'industria dei combustibili fossili in tutto il mondo sia di circa $ 600 miliardi all'anno, mentre i danni ambientali non rimborsati, attualmente trattati come esternalità, sono stimati in circa $ 5.000 migliardi all'anno. Dato che la quantita di CO2 emessa a livello mondiale è di circa 36 Giga Tonnellate all’anno, una tassa sul carbonio di $ 100 per tonnellata di anidride carbonica genererebbe $ 3.600 miliardi, che è dell'ordine dei danni ambientali stimati. Per dirla in termini più umani, una tassa di $ 100 per tonnellata di CO2 emessa equivale ad aggiungere circa $ 1 dollaro per gallone di carburante negli Stati Uniti come tassa. In pratica, e` probabile che se il mondo si accorda su una minima tassa sul carbonio, questa tassa sara inferiore a $ 100 per tonnelata di CO2 emessa, ma con la speranza che col tempo la tassa salira` a questo livello.

Il secondo approccio che vorrei discutere brevemente per cercare di prevenire il collasso di Seneca del nostro sistema mondiale è quello di cercare di aumentare l'efficienza nel consumo delle risorse, in modo da "disaccoppiare" in modo efficace il consumo di risorse dal benessere economico. È abbastanza chiaro che, anche implementando una tale "strategia di disaccoppiamento", non si può davvero impedire al sistema di crollare. Tuttavia, si può guadagnare tempo e iniziare a incorporare politiche che potrebbero portare eventualmente alla quasi stabilità del sistema.

Vorrei sottolineare che arrivare a un sistema economico più disaccoppiato generalmente richiede uno sforzo prolungato. Un esempio importante viene dalla California. Nel 1974 la Legislatura della California approvò il Warren Alquist Act, istituendo la California Energy Commission il cui scopo era di:

"Incoraggiare la diversità delle fonti energetiche attraverso il miglioramento dell'efficienza energetica e lo sviluppo delle risorse energetiche rinnovabili"
A quarant'anni di distanza, i risultati di questa azione lungimirante sono chiaramente visibili confrontando, per esempio, il consumo di energia in California e in Texas (dove non sono stati intrapresi tali sforzi). Ora in Texas, l'energia totale consumata pro capite in un anno è di 475 milioni di BTU, mentre in California questo consumo è di 228 milioni di BTU. Questo "disaccoppiamento" del consumo di energia di un fattore due tra il Texas e la California può essere chiaramente ricondotto alla costituzione della California Energy Commission. Se gli Stati Uniti avessero seguito l’esempio della California, il consumo totale di energia negli Stati Uniti oggi sarebbe il 75% di quello che è, e il mondo oggi consumerebbe 5% meno di energia!

Sebbene ci siano molti esempi di disaccoppiamento utili, per far veri progressi sono necessarie soluzioni scalabili a livello globale. Inoltre ciò che spesso manca sono politiche che favoriscono il disaccoppiamento. In ogni caso, e` importante capire cosa sia necessario fare per far si che il mondo non si trovi in una crisi di risorse nel 2050.

Questo e stato quantificato dal Gruppo Internazionale delle Risorse del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP). Nel 2000 il mondo ha consumato 49 miliardi di tonnellate di risorse all'anno, che corrisponde a 8 tonnellate pro capite all'anno. Se continuiamo con l'attuale livello di utilizzo delle risorse, nel 2050 consumeremo 141 miliardi di tonnellate all'anno. Tenendo in conto della crescita della popolazione, questo consumo corrisponde a 16 tonnellate pro capite all'anno. Se si potesse ottenere un disaccoppiamento moderato, in modo che il tasso pro-capite nel 2050 rimanga ancora a 8 tonnellate pro capite all'anno non 16, il livello del consumo mondiale nel 2050 sarebbe di 70 miliardi di tonnellate all'anno invece di 141 miliardi di tonnellate. Potremo veramente raggiungere questo fattore due nell'efficienza del uso delle risorse? L'esempio della California mostra che con sufficiente lungimiranza questo è possibile, ma bisogna agire subito!

La terza proposta di misure da adottare per prevenire il collasso del nostro sistema mondiale è molto in linea con il pensiero di Bardi. Il modo più efficace per evitare il collasso di un sistema dinamico è di modificare opportunamente il sistema stesso. Questa e` l’idea della economia circolare.

L'economia di oggi - l'economia lineare - si basa su un principio di “turn over” rapido, che spesso promuove l'obsolescenza precoce. Più velocemente sostituiamo i nostri gadget, meglio è, e questo vale per la maggior parte degli articoli che consumiamo. Chiaramente, il modo in cui gestiamo le risorse della terra è caratterizzato da enormi inefficienze. L'economia lineare si basa sul principio della massima velocità e volume dei flussi di risorse, portando a livelli di inquinamento in rapido aumento e la perdita di ecosistemi. In piu` abbiamo notevoli perdite di valore con ogni prodotto smaltito. Inoltre, l'attuale modello economico lineare è molto problematico se si vuole mitigare il cambiamento climatico, poiché la produzione di materiali di base rappresenta quasi il 20% delle emissioni globali di gas serra, mentre il settore dei rifiuti ne aggiunge un altro 3-4%.

Passare a un'economia molto più efficiente sotto il profilo dei materiali - un'economia circolare - avrebbe molti vantaggi. In un'economia circolare, i prodotti sono progettati ab initio per semplificare il riciclaggio, il riutilizzo, lo smontaggio e la rigenerazione. Per capire gli effetti di questo ripensamento, è necessario considerare l'intero ciclo di vita di un oggetto fabbricato. Ci sono guadagni di efficienza da ottenere nell'estrazione delle risorse che formano l'oggetto, così come guadagni nel modo in cui l'oggetto è prodotto. Inoltre, ci sono efficienze da realizzare nel modo in cui l'oggetto viene utilizzato e nel modo in cui viene finalmente scartato. L'efficacia totale è il prodotto di tutti questi fattori.

Esistono molte opzioni e investimenti politici che potrebbero contribuire a far passare da un’economia lineare a un'economia circolare. Questi includono il rafforzamento degli obiettivi di riciclaggio e riutilizzo per aiutare a ridurre e trattare rifiuti e residui; la introduzione di requisiti di progettazione per nuovi prodotti per facilitare la riparazione, manutenzione, e smantellamento; e un ripensamento della tassazione, abbassando le tasse sul lavoro e aumentando le tasse sull'uso della natura.

Naturalmente, la vera questione qui è se la società avrà la volontà di attuare politiche come queste che possono prevenire il suo collasso.

La mia impressione dopo aver letto il bellissimo libro di Bardi e che ci vorra molto di piu` che queste idee che vi ho brevemente illustrato per convincere Bardi che l'umanità sara’ veramente capace di muoversi lungo un sentiero piu saggio. Tuttavia nella conclusione del suo libro Bardi afferma che:

"Non è impossibile sperare in un mondo migliore. È una speranza, non necessariamente una predizione, ma l'unica cosa che è veramente inevitabile è il cambiamento ... Se accettiamo il cambiamento e non lo combattiamo, il futuro sarà nelle nostre mani "
Quindi c'è speranza alla fine, anche per uno stoico scettico come Ugo Bardi!


domenica 15 aprile 2018

Qualche osservazione in occasione della presentazione dell libro di Ugo Bardi "The Seneca Effect". Di Roberto Peccei, parte III


Parte III dell'intervento di Roberto Peccei a Firenze il 5 Aprile 2018 - questa sezione è dedicata alla resilienza dei sistemi



I migliori esempi di sistemi resilienti sono forniti da ecosistemi viventi, i i quali sono stati ottimizzati da milioni di anni di selezione naturale. Nel suo libro Bardi sottolinea che nel mondo non sembrano esserci molti esempi di sistemi sociali veramente resilienti, in particolare se questi sistemi coinvolgono grandi strutture sociali. Quindi Bardi è piuttosto scettico che l'umanità sarà in grado di incorporare abbastanza resilienza nel attuale sistema globale per evitare un rovinoso collasso sociale e politico. Teme che i governi e le società di fronte a circostanze difficili prenderanno provvedimenti, come scoraggiare il dissenso e la discussione aperta, che rendono il sistema sociale più rigido e aumentano il rischio di un collasso improvviso. Parafrasando Jay Forrester, Bardi chiama questa reazione

"tirare le leve nella direzione sbagliata".

Recentemente un concetto importante è stato aggiunto alla discussione sul futuro dell'umanità nel nostro pianeta. Questa è la nozione di confini o limiti planetari, in inglese planetary boundaries, introdotta da Johan Rockstroem e Will Steffen e dai loro collaboratori. Mentre il primo rapporto del Club di Roma, The Limits to Growth, metteva in dubbio l'idea di una crescita perenne, l'idea dei confini planetari offre la possibilità di misurare con maggiore precisione lo stato del pianeta.

Secondo Rockstoem e Steffen la nostra società planetaria è in pericolo, se determinati parametri fisici, i confini planetari, vanno oltre certi limiti. Un esempio di limite planetario è la quantità di CO2 nell'atmosfera, e la scienza suggerisce che la terra potrebbe aver gia attraversato un limite planetario andando oltre i 400 ppm di CO2 nella atmosfera. Se questo parametro e altri simili rimangono entro certi limiti, l'umanità sulla terra può continuare a prosperare nel futuro. Quindi, stare all'interno di questi confini planetari è il modo per garantire la resilienza del nostro mondo. Andare oltre questi confini può portare a cambiamenti ambientali irreversibili.

In altre parole, attraversare un confine planetario rende il collasso molto più probabile. Nel linguaggio usato da Bardi nel suo libro, man mano che questi confini vengono attraversati, il sistema Terra rischia di lasciare il suo punto "attrattore" stabile e di muoversi verso un tipping point.

In un recente articolo su Science, Rockstroem, Steffen e i loro collaboratori indicano che quattro dei nove confini planetari da loro studiati sono gia stati incrociati a causa dell'attività umana. Quindi concludono che quando si parla di cambiamenti climatici, estinzione delle specie e perdita di biodiversità, deforestazione e altri cambiamenti del sistema terrestre, il degrado che ha già avuto luogo sta guidando il Sistema Terra, nel suo complesso, in un nuovo stato di squilibrio. Forse lo scetticismo di Bardi che non potremo evitare il collasso del nostro mondo globalizzato è davvero giustificato!

A peggiorare le cose, il forte aumento del consumo umano negli ultimi 50 anni ha causato non solo l'attraversamento dei confini planetari fisici. Ci sono stati cambiamenti sociali altrettanto significativi, tra cui l'aumento della povertà, della malnutrizione e della disuguaglianza dei redditi. Ad esempio, l'anno scorso Oxfam ha riferito che solo 8 uomini possiedono la stessa ricchezza di mezzo mondo! È probabile che questi cambiamenti sociali siano un'altra fonte di instabilità che puo far crollare il nostro attuale sistema planetario.

Questo mi porta a riflettere su quanto "mite" possiamo sperare di fare l’ inevitabile collasso di ciò che Bardi chiama l'impero globalizzato. Possiamo prendere dei provvedimenti per contribuire a rafforzare la capacità di recupero del sistema attuale? Un segnale di speranza in questo contesto è il tentativo delle Nazioni Unite di fornire degli obbietttivi volti a garantire la sopravvivenza dell'umanità nel futuro. Tipico di una grande organizzazione burocratica globale, non sorprendentemente, l’approccio delle Nazioni Unite consiste nel creare un accordo su una serie di obiettivi per raggiungere la sostenibilità: gli obiettivi di sviluppo sostenibile, in inglese Sustainable Development Goals (SDG). Le Nazioni Unite, attraverso gli SDG, hanno presentato una visione estremamente ambiziosa e trasformativa, che prevede nel futuro avere un mondo libero da povertà, fame e malattie, in cui tutti possono prosperare senza paura della violenza, e dove si rispettera la biodiversità e il clima.

Il fatto che tutti i paesi delle Nazioni Unite siano riusciti a raggiungere un accordo unanime su 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) e’ notevole. Questi SDGs vanno dall'eliminazione della povertà e della fame nel mondo, ad impegni per garantire la salute dei nostri oceani e la biodiversità del pianeta. Sebbene gli SDGs siano eccellenti, e chiaro che solo enunciarli veramente non basta per muovere il mondo verso la sostenibilità. La domanda chiave per me è in quali condizioni gli SDG sociali ed economici e gli SDG ambientali possono essere resi reciprocamente compatibili.

È chiaro che raggiungere gli obiettivi sociali ed economici - se fatti sulla base di politiche di crescita convenzionali - renderebbe praticamente impossibile ridurre il riscaldamento globale, fermare la pesca eccessiva negli oceani, arrestare il degrado della terra e fermare la perdita di biodiversità. Quindi, a meno che il mondo non cambi cammino, ci dovranno essere massicci compromessi tra gli SDG socio-economici e quelli ambientali.

Forse più diretto è l'approccio che il Club di Roma ha preso per cercare di aumentare la resilienza della nostra societa. Per un vero sviluppo sostenibile è necessario continuare a esaminare la tensione tra economia e popolazioni in crescita e i sistemi vitali di supporto planetario. Questo è precisamente il messaggio contenuto nell'enciclica di Papa Francesco, Laudato Si, che parla della progressiva distruzione della nostra "casa comune", il pianeta Terra. L'enciclica del Papa affronta il divario scandaloso tra ricchi e poveri e l'incapacità di quasi tutti i paesi di ridurre questo divario e sottolinea il problema centrale di perseguire obiettivi economici a breve termine, ignorando il costo reale dell'impatto a lungo termine sulla natura e società.

Per rendere il sistema globale più resiliente e smorzare la gravità di un futuro collasso, è importante agire subito, dal momento che procedere come facciamo al solito (il famoso business as usual) ci porterà alla rovina. Questo è il messaggio del rapporto al Club di Roma appena pubblicato dal titolo Dai! capitalismo, breve termismo, popolazione e la distruzione del pianeta che esamina vari approcci per aiutare il nostro pianeta a diventare più sostenibile. Pero’, come Ugo Bardi chiarisce nel suo libro, non sara` possibile avere successo al 100% in questi tentative, poiché i sistemi complessi hanno una direzione preferita nella quale fluiscono. Nel linguaggio colorato che Bardi spesso usa:

"non sara possibile far si che i conigli diano caccia alle volpi".

Tuttavia, bisogna agire, perche non agire certamente peggiorebbe le cose.




venerdì 13 aprile 2018

Qualche Osservazione su "L'Effetto Seneca" - di Roberto Peccei. Parte II


Seconda parte della presentazione di Roberto Peccei sul libro di Ugo Bardi, "The Seneca Effect" a Firenze il 5 Aprile 2018 (prima parte)


Come molti di voi sapete, il Club di Roma, che fu fondato 50 anni fa da mio padre Aurelio Peccei e da Alexander King, ha come missione quella di capire meglio le sfide a lungo termine che l’umanita deve affrontare e di cercare delle soluzioni olistiche per il mondo. Il libro di Bardi, con la sua analisi di sistemi dinamici sociali, soddisfa mirabilmente questi obbiettivi. Per questo, nel resto del mio intervento mi soffermero sul Club di Roma e specialmente l’importanza di esaminare le caratteristiche dei sistemi dinamici nel mondo seguendo le grandi linee che Bardi traccia nel suo libro.

Il Club di Roma pubblica i suoi risultati in Rapporti al Club di Roma e, dalla sua fondazione, ha pubblicato circa 40 rapporti riguardanti il futuro dell’umanita. Forse il piu’ famoso di questi rapporti e’ il primo rapporto al Club di Roma, lo studio del 1972 di Donella Meadows, Dennis Meadows, Jorgen Randers e William Behrens fatto al MIT che porto’ al libro The Limits to Growth. Questo rapporto mostrava, usando metodi dei sistemi dinamici e simolazioni al computer, che la continua crescita economica e quella della popolazione mondiale, se continuano cosi alla fine porteranno a un overshoot e all’eventuale collasso del sistema. Tutti i rapporti al Club di Roma negli ultimi 50 anni hanno contribuito a chiarire e amplificare il messaggio di The Limits to Growth e quello del Club di Roma. Il rapporto di Ugo Bardi, con il suo focus sui sistemi dinamici e l’ubiquita’ del collasso in questi sistemi, e un aggiunta particolarmente importante.

Il modello utilizzato dagli autori di The Limits to Growth nel loro studio è un'elaborazione del modello originale sviluppato da Jay Forrester, chiamato abbastanza naturalmente World 1). Il modello esamina il comportamento del sistema mondiale derivante dall'interazione tra lo sviluppo economico, la popolazione in crescita e l'ambiente del pianeta. Come spiega Bardi nel suo libro, il modello di Forrester assume cinque elementi dinamici principali per descrivere il sistema mondiale.

Questi 5 parametri sono:

  1. popolazione;
  2. cibo;
  3. produzione industriale;
  4. risorse
  5. inquinamento.

Questi parametri sono tutti correlati tra loro e ci sono numerosi meccanismi di feedback. Ad esempio, più cresce la produzione industriale, più le risorse vengono consumate e più inquinamento si produce. Più la popolazione cresce, maggiore è la necessità di cibo e di produzione industriale. Tuttavia, l'inquinamento colpisce l'approvvigionamento alimentare e la popolazione in modo negativo. Ad un certo punto questa crescita dinamica concatenata non può continuare, perché le risorse si esauriscono o l'inquinamento travolge l'ambiente. Il sistema mondiale va in overshoot e collassa. A seconda di come il modello è effettivamente costruito, la crescita e il collasso del sistema possono essere simmetrici nel tempo o mostrare una caratteristica di Seneca in cui la crescita è lenta, ma il collasso è rapido.




Il messaggio di The Limits to Growth che la crescita perenne non è possibile non fu ben accolto quando il libro apparse nei primi anni '70. Il libro e il Club di Roma furono attaccati rabbiosamente da destra e da sinistra e il loro messaggio fu respinto. Tuttavia, con il tempo molti hanno iniziato a vedere la verità di base di questi risultati. Non e` possibile sostenere per sempre la crescita in un sistema finito. I sistemi dinamici a un certo punto spinti da una crescita costante arrivano a un tipping point e poi collassano. Questa conclusione è rafforzata dal libro di Bardi che mostra, come accennato in precedenza, che, in realtà,

"il collasso non è un difetto, ma una caratteristica dei sistemi dinamici".

C’e da chiedere se il collasso del nostro mondo globalizzato - l'equivalente attuale dell'Impero Romano - è inevitabile? Secondo Bardi, la risposta è sì. Tuttavia, come discute in The Seneca Effect, il crollo di qualsiasi sistema dinamico può essere ammorbidito aumentando la resilienza nel sistema. In pratica ciò significa introdurre nel sistema qualità che aumentano la sua capacità di assorbire i cambiamenti, senza alterare fondamentalmente la natura del sistema. I sistemi rigidi, con pochi nodi nella loro rete non sono resilienti. Le reti flessibili e deformabili aiutano il sistema dinamico a diventare più resiliente. In termini matematici un sistema dinamico raggiunge la stabilità se riesce a mantenere i suoi parametri vicino a un punto fisso "attrattore", come quello che abbiamo visto esisteva nel modello predatore-preda di Lotka e Volterra.


martedì 10 aprile 2018

Qualche Osservazione in Occasione della Presentazione del Libro di Ugo Bardi The Seneca Effect - Parte I


Questo è il testo dell'intervento di Roberto Peccei, vicepresidente del Club di Roma, nella presentazione del libro di Ugo Bardi, "The Seneca Effect" che si è tenuta a Firenze il 5 Aprile 2018. Nella foto, da sinistra, Luigi Dei, rettore dell'Università di Firenze, Ugo Bardi, e Roberto Peccei. Quella che segue è solo la prima parte dellintervento. Seguirà il resto su questo blog.

di Roberto Peccei
UCLA e il Club di Roma

Prima Parte

Il libro di Ugo Bardi tratta diversi aspetti dei sistemi dinamici complessi, concentrandosi su una particolare caratteristica di questi sistemi: la loro propensione al collasso. Attraverso una serie di esempi felici, Bardi mostra che il collasso è una caratteristica onnipresente in sistemi composti da molti elementi collegati tra di loro, che formano una rete. La presenza di una rete, o network, nei sistemi che collassano è una caratteristica cruciale, poiché senza una rete non c'è collasso. Per esempio, sebbene ogni singolo blocco di pietra in una piramide è stabile, la rete di grandi blocchi di pietra collegati nella piramide puo collassare in una valanga - come è successo, secondo Bardi, circa 5000 anni fa durante l'Antico Regno d'Egitto alla piramide di Meldun. La onnipresenza di sistemi collegati in rete nel mondo porta Bardi a concludere che

"Nell'universo il collasso non è un difetto, è una caratteristica".

A parte l'ubiquità del collasso, Bardi ne indica un'altra proprieta universale, che egli chiama l'effetto Seneca in onore dello stoico romano Lucio Anneo Seneca. La lenta ma costante crescita della fortuna di Seneca nel primo secolo dopo Cristo lo rese un uomo molto ricco. Tuttavia, egli fu accusato di far parte di un complotto per uccidere Nerone e ordinato a uccidersi. Prima di morire, Seneca scrisse al suo amico Licinio notando che

"L’aumento [in ricchezza e stato sociale] è di crescita lenta, ma la strada per la rovina è rapida".

Bardi nel suo libro sostiene che, in molti casi, i collassi obbediscono al detto di Seneca. Ci vuole molto tempo per la crescita dei sistemi, ma quando questi crollano ciò avviene molto rapidamente. Forse l'esempio più chiaro di questo fenomeno è cosa succede a un palloncino che un bambino ha impiegato molto tempo a gonfiare quando questo viene punto con uno spillo. La rovina, in questo caso, è davvero molto rapida!

Il libro di Bardi è una meravigliosa esposizione della varietà di sistemi dinamici in rete nel mondo e del loro comportamento. È accattivante e divertente da leggere, ma allo stesso tempo è pieno di eruditi esempi - una combinazione di qualità non normalmente presenti in un libro. Ciò che rende The Seneca Effect speciale, a mio avviso, è la insistenza di Bardi di fornire spiegazioni coerenti per le miriade di esempi di sistemi dinamici complessi esaminati.

Forse l’esempio nel libro che mi è piu’ piacuto è la discussione di Bardi su cosa esattamente ha ucciso i dinosauri? Dopo aver presentato una serie di considerazioni molto convincenti a favore della teoria dell'impatto di un asteroide -teoria proposta dal Premio Nobel per la fisica Luis Alvarez e da suo figlio, il geologo Walter Alvarez - Ugo Bardi esamina una serie di problemi che minano questa spiegazione. Ciò lo porta a considerare, come alternativa, la possibilità che i grandi eventi vulcanici, chiamati in inglese "Large Igneous Provinces (LIP), siano i colpevoli. I LIP, a quanto pare, possono produrre un intenso riscaldamento globale, causato dal rilascio di metano da clatrati di metano congelati nel permafrost. Entrambe le spiegazioni esaminate da Bardi sono meravigliosi esempi di come i collassi tendono a verificarsi nei sistemi di rete, in questo caso a causa delle interazioni tra la geosfera e l'atmosfera.

Bardi inizia l'esplorazione dell'effetto Seneca, molto naturalmente, considerando quello che lui chiama “la madre di tutti i crolli” – la caduta del’Impero Romano. Sebbene Roma fu per un millenio la forza dominante nel mondo antico, il suo crollo fu molto rapido, avvenendo soltanto nel giro di uno o due secoli. Non c'è dubbio che l’Impero Romano era un sistema complesso, un amalgama di popoli, costumi e leggi altamente interconnessi. Come e comune in questi sistemi, nel corso degli anni l'Impero Romano riuscì a resistere, entro certi limiti, a una varietà di perturbazioni esterne. Tuttavia, a un certo punto alcuni trigger esterni, che potevano anche non essere di grandi dimensioni, causarono il collasso dell'Impero.

Questa è una caratteristica tipica dei collassi in sistemi dinamici complessi. Una volta raggiunto un punto instabile nel sistema, noto come punto di non ritorno o tipping point, anche una piccola perturbazione può causare il collasso. Ad esempio, quando prevalgono le giuste condizioni atmosferiche, un forte rumore puo far partirte delle valanghe in montagna. Questo è il motivo per cui il soccorso alpino spesso spara dei cannoni nelle prime ore del mattino per far partire valanghe "sicure" prima che le aree sciistiche siano affollate.

Nel suo inimitabile stile, Ugo Bardi nel libro esamina quello che potrebbe essere stato il meccanismo chiave che causo’ la caduta di Roma. Dopo aver esaminato una serie di possibilità suggerite nel corso degli anni, Bardi conclude che l'esaurimento delle miniere di metalli preziosi, in Spagna e in altre colonie Romane, fu la perturbazione forzante che, a suo avviso, messe in ginocchio Roma. L'argomento usato è complesso, coinvolgendo anche il fatto che, negli anni calanti dell'Impero, i romani usavano troppi dei loro metalli preziosi per comprare seta dai cinesi invece che per pagare i loro soldati! Questa complessita non dovrebbe sorprenderci perche i collassi richiedono una cascata di feedback, tutti forzando il sistema nello stesso modo.

Nel suo libro Bardi studia in particolare i collassi nei sistemi complessi sociali e biologici. Anche se magari questi sistemi sono meno conosciuti che la fatica nei metalli o le rotture nelle faglie sismiche, i crolli di Seneca in questi sistemi sono anche loro onnipresenti. Un buon esempio e’ fornito dalla “tragedia dei Commons” di Garrett Hardin. Come e’ noto, Hardin considera l’effetto dei pastori che portano tutte le loro pecore a pascolare sui pascoli comunali – i Commons. E’ ovviamente vantaggioso per ogni pastore aumentare il numero di pecore che porta a pascolare sui terreni comunali. Tuttavia, facedo cosi’, i pascoli alla fine decadono e poi crollano. Bardi nel suo libro si chiede se questa “tragedia” sia evitabile e suggerisce che probabilmente lo e’, perche lo stigma sociale della cattiva gestione di una risorsa comune puo’ agire come feedback negativo per prevenire l’usufrutto eccessivo.

Nel regno biologico la “tragedia dei beni comuni” di Hardin e’ analoga a un sistema predatore - preda, dove in questo caso i predatori sono le pecore e la preda e’ l’erba dei terreni comunali. Questo semplice sistema di predatore – preda puo’ essere descritto da un modello svilluppato negli anni ’30 in modo indipendente da Alfred Lotka e da Vito Volterra che involucra una coppia di equazioni differenziali. Sebbene una soluzione esplicita del modello Lotka – Volterra non esiste, e’ noto che queste equazioni hanno due soluzioni stabili. Una di queste corrisponde alla “tragedia dei Commons”, con la scomparsa sia dei predatori e delle prede. Tuttavia c’e anche un’altra soluzione in cui le popolazioni di predatori e prede non sono nulle, ma entrambe le popolazioni oscillano nel tempo. Quindi, in quest’esempio, e’ possibile sfuggire al collasso.

Naturalmente, la “tragedia dei Commons” o il modello di Lotka – Volterra, probabilmente sono troppo semplici per descrivere cio’ che accade nel mondo. Come sottolinea Bardi, spessso nella natura il crollo di Seneca di un ecosistema e’ irreversibile. Una volta che una specie biologica crolla non puo’ facilmente riprendersi perche’ spesso la sua nicchia ecologica e’ stata presa nel frattempo da un’altra specie.

Nell’ultima parte di The Seneca Effect, Ugo Bardi si concentra sulle dinamiche dei sistemi, il metodo svilluppato da Jay Forrester presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) per esplorare le strutture dinamiche dei sistemi sociali. Bardi esamina quest’argomento nel suo libro in forma magistrale. Egli presenta in maniera particolarmente chiara le origini e la struttura dei modelli dinamici del mondo, visto come un sistema complesso connesso. Quest’analisi e la ragione per la quale il suo libro è stato accettato e pubblicato come rapporto al Club di Roma.


venerdì 6 aprile 2018

Una Recensione di "Viaggiare Elettrico" di Ugo Bardi



https://luce-edizioni.it/prodotto/viaggiare-elettrico/


Viaggiare Elettrico di Ugo Bardi
Lu.Ce Edizioni 245 pag.  15 Euro


Questo libro di Ugo Bardi offre una bella panoramica sulla mobilità, si parte dalle origini con i piedi e i cavalli fino ai giorni nostri con aerei, navi e automobili.

Si passano in rassegna i vari mezzi e la loro relazione con l'energia, da quella umana e animale, alla rinnovabile del vento fino al massiccio uso delle energie fossili.

L'esaurimento del petrolio richiede un cambio di mentalità, si spiegano bene i limiti ma anche i vantaggi dell'alimentazione elettrica esprimendo l'opinione che se il cambio di modalità si deve fare è meglio farlo subito e senza passare dagli ibridi.

L'elettrificazione è una necessità per risolvere tanti problemi di inquinamento dovute ai motori a combustione. Ma non è tutto facile, la densità energetica delle batterie rispetto ai combustibili sono un grande limite a questa evoluzione.

Si passano in rassegna anche i sogni utopici di auto ad acqua o ad aria compressa e le difficoltose applicazioni di carburanti alternativi come etanolo, biodiesel, idrogeno e pure le speranza di far funzionare bene le celle a combustibile su cui l'autore ha lavorato come ricercatore a Berkeley.

Il testo percorre anche le esperienze dirette di trasformazione di vecchie 500 in elettrico e gli scontri con la burocrazia ottusa. Un bella rassegna delle varie tipologie di accumulatori, dal più comune Pb-acido solforico per arrivare agli ioni di litio passando da Ni-Cd, Ni-MH, Sodio-Cloruri di Nichel.

Bello scoprire che Bardi si muove da anni con un motorini e auto elettriche. L'urgenza di cambiare il paradigma della mobilità traspare anche dai riferimenti all'esaurimento di fonti energetiche convenzionali e dalla necessità futura ma neanche troppo di condividere il trasporto che non sarà più individuale.

Una frase mi ha colpito nelle conclusioni, l'idea che la crisi economica di questi anni si possa risolvere con la crescita mentre nessuno si domanda se non sia stata proprio la crescita eccesiva a crearla.

Il libro è ricco di riferimenti autobiografici e scritto molto bene, si legge tutto d'un fiato. Se proprio si vuole fare una critica non approfondisce troppo i molti temi trattati, ma è un testo divulgativo non un trattato per scienziati e allora va bene così.

wm

martedì 3 aprile 2018

Presentazione del libro "L'Effetto Seneca" il 5 Aprile a Firenze





Questo Giovedì, a Firenze, avremo la prima presentazione "ufficiale" del mio libro "The Seneca Effect" (Springer 2017), che è il 42esimo rapporto al Club di Roma. La presentazione sarà nell'aula Magna dell' Università di Firenze. Il rettore, prof. Luigi Dei, introdurrà e commenterà il libro. Seguiranno due presentazion, una dell'autore e l'altra da parte del Dr. Roberto Peccei, Vice-presidente del Club di Roma (nella foto)


Le presentazioni saranno in Italiano, tutti gli interessati sono benvenuti. Qui di seguito, la locandina dell'evento.






sabato 31 marzo 2018

"Viaggiare Elettrico:" Una Presentazione di Ugo Bardi (Parte I)



Questa è la prima parte della presentazione di "Viaggiare Elettrico" che ho fatto insieme al rettore dell'Università di Firenze, allo Chalet Fontana, a Firenze, il 2 Marzo 2018.  (seconda parte)


martedì 27 marzo 2018

Spiegazione del Dirupo di Seneca: un modello complessivo tridimensionale del collasso

Il dirupo di Seneca continua a colpire!!

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di Mr

Un modello complessivo tridimensionale del collasso



In questo post Geoffrey Chia illustra una delle caratteristiche fondamentali del “Effetto Seneca”, conosciuto anche come “collasso”, cioè il fatto che questo si verifichi in sistemi interconnessi dominati da interazioni di retroazione. Questa è un'interpretazione qualitativa del collasso che completa i modelli più quantitativi di cui ho parlato nel mio libro “L'Effetto Seneca”.  (U.B.)


Post di Geoffrey Chia

I limiti dello sviluppo (LtG) è stato pubblicato nel 1972 da un gruppo di scienziati di livello mondiale, usando la modellazione matematica computerizzata migliore disponibile all'epoca. Lo studio proiettava il collasso futuro della civilta globale industrializzata nel XXI secolo, se l'umanità non avesse frenato la sua popolazione, il consumo e l'inquinamento. E' stato messo alla berlina da molti economisti “crescita infinita in un pianeta finito”, nei decenni.

Tuttavia, i dati aggiornati e la modellazione computerizzata moderna degli ultimi anni (in particolare da parte del Dottor Graham Turner dello CSIRO nel 2008 e 2014) ha mostrato che in realtà siamo seguendo da vicino le tracce del modello standard di LtG, con collasso industriale e moria di massa previsti prima, piuttosto che dopo. Il futuro è adesso.

LtG ha preso in considerazione solo 5 parametri, il riscaldamento globale era solo un sottoinsieme dell'inquinamento. L'accelerazione drastica della fusione del ghiaccio e gli eventi meteo senza precedenti e sempre più frequenti degli ultimi due decenni dimostrano chiaramente che il riscaldamento globale procede di gran lunga più velocemente e in modo più grave di quanto chiunque potesse aver immaginato negli anni 70. Il riscaldamento globale merita certamente una categoria separata da considerare di per sé stessa, a prescindere dalle altre manifestazioni dell'inquinamento.

LtG non includeva una categoria specifica che considerasse le dinamiche umane della finanza, dell'economia e delle manovre politiche. Il che era giusto, perché è impossibile modellare matematicamente una tale irrazionalità capricciosa. Gli economisti potrebbero non essere d'accordo, sebbene non sia mai stato mostrato alcun modello economico matematico che riflettesse accuratamente il mondo reale, né che prevedesse coerentemente qualcosa di utile (a differenza di LtG ed altri modelli dimostrati basati sulla scienza), non ultimo a causa delle loro ipotesi economiche irrimediabilmente incomplete e profondamente errate. Entra spazzatura, esce spazzatura. Nel 2013, il premio “tipo-Nobel” per l'economia (denominato opportunamente il Premio della Banca di Svezia) è stato assegnato congiuntamente a diversi economisti che hanno modellato matematicamente idee diametralmente opposte. E' stato come conferire il premio per la fisica a due scienziati che “mostravano” l'uno che l'universo si sta espandendo e l'altro che si sta contraendo.

Nonostante ciò, sostengo che dovremmo includere la finanza, l'economia e la politica nei nostri quadri concettuali delle meccaniche del collasso, perché i guai finanziari ed economici fungono da inneschi per sconvolgimenti politici che possono portare al conflitto e al collasso di stati nazionali. La Siria né è un esempio. Questa categoria inqualificabile, nonostante sia soggettiva ed imprevedibile, contribuirà comunque in modo significativo alla moria della popolazione, proprio come ogni altra categoria quantificabile come il riscaldamento globale, l'esaurimento delle risorse o la distruzione dell'ecosistema può causare, e causerà, moria di esseri umani. Il collasso economico può portare alla perdita di assistenza sanitaria, mancanza di alloggi e fame. La follia politica può innescare una guerra termonucleare globale in qualsiasi momento, causando la nostra estinzione.

Tutte le categorie che contribuiscono al collasso sono profondamente interrelate ed intrecciate. E' la base del pensiero sistemico, che è essenziale per esprimere giudizi realistici sul futuro e mitigare i guai che abbiamo di fronte. Come possiamo passare idee così complesse all'opinione pubblica in modo chiaro e comprensibile e che però non comprometta l'accuratezza o il dettaglio?

Ho fatto per la prima volta allusione al modello complessivo tridimensionale del collasso durante la mia presentazione all'Ecocentro della Griffith University nel marzo del 2017.

Si tratta di un perfezionamento del mio vecchio modello bidimensionale, meno completo “i tre cavalieri e un enorme elefante dell'apocalisse”, concepito originariamente per scherzo, un gioco sulla trita frase biblica, anche se con un intento serio.



Quando diversi esperti cercano di analizzare materie inerenti la sostenibilità, la loro più grande mancanza spesso è la visione col paraocchi o a tunnel. Si concentrano solo su un problema ignorando gli altri. Gran parte delle “soluzioni” al riscaldamento globale sostenute dagli attivisti del clima coincidono con questa descrizione. Ipotizzano una disponibilità di energia senza limiti per realizzare infrastrutture di energia rinnovabile enormi e fantasie su un massiccio sequestro di carbonio per permettere ad una parvenza di business as usual di sostenere 10 miliardi di persone per metà secolo.

In realtà siamo destinati a cadere dal dirupo della disponibilità netta di energia molto presto (1,2) e nemmeno le fantasie di sequestro del carbonio più ottimistiche (che richiedono tutte input energetici colossali e delle quali nessuna è stata provata) saranno in grado di farci tornare ad un clima stabile, a meno che l'impronta totale umana non venga a sua volta ridotta drasticamente ed immediatamente (3) (cosa che non accadrà salvo per una guerra nucleare globale – che però a sua volta rilascerà esponenzialmente gas serra, devasterà gli ecosistemi rimasti e distruggerà la civiltà industriale e quindi la nostra capacità di sequestrare tecnologicamente i gas serra).

I punti di vista col paraocchi producono pseudo soluzioni sbagliate, che se vengono tentate spesso peggiorano altri problemi o, nel caso limite, sono un totale spreco di tempo ed energia.

Ecco un video di 10 secondi, il mio primo tentativo di fare un modello tridimensionale nella vita reale, "La condanna spiegata con l'abuso di dolciumi"

Nel mio modello tridimensionale ho mantenuto la posizione centrale dell'impronta totale umana come “l'enorme elefante”, per enfatizzare che se questo non viene affrontato, niente viene affrontato. Pochi commentatori sostengono una decrescita energetica volontaria, la riduzione del consumo o la semplificazione degli stili di vita, tuttavia si tratta di strategie essenziali per ridurre la nostra impronta. Sono ancora meno quelli che parlano di riduzione della popolazione. Questo modello tridimensionale è un modo di gran lunga superiore di visualizzare il dilemma che abbiamo di fronte, in confronto a punti di vista sparpagliati e sconnessi monodimensionali o in confronto a semplici titoli mnemonici. Per esempio, le tre “E” di energia, economia e ambiente (Environment) rappresentano un elenco semplicistico ed incompleto, senza nessuna dimostrazione grafica dei collegamenti fra ogni “E”.

E' probabile che cercare di suddividere, perfezionare o complicare  ulteriormente questo modello sia controproduttivo. Così com'è, questo modello tridimensionale, una doppia piramide con sei lati con un tumore che prolifera al suo centro, probabilmente rappresenta il limite di complessità che può facilmente essere immagazzinato nella mente media come visione istantanea. Si tratta di un'immagine facilmente ricordata che può essere evocata a cena scarabocchiando su un tovagliolo o costruendo il vero modello con pezzetti di carne e spiedini, sia per intrattenere sia per terrificare i vostri ospiti.

Separare i vari problemi globali intrecciati è ovviamente un approccio artificiale, ma è necessario per aiutarci a capire le dinamiche altamente complesse coinvolte. E' necessario allo stesso modo in cui separare lo studio della Medicina in cardiologia, gastroenterologia, neurologia, nefrologia, ecc. un approccio artificiale ma di provata efficacia per comprendere i meccanismi molto complessi all'interno del corpo umano. Proprio come i diversi sistemi del corpo (cuore, intestino, cervello, reni, ecc.) interagiscono direttamente ed influenza ogni altro sistema, ogni componente del mio modello tridimensionale a sua volta interagisce direttamente ed influenza ogni altro componente.

Esempi:

R condiziona F: Ogni grande crisi petrolifera (1973, 1979) ha sempre portato ad una recessione economica. Un altro esempio di R che condizione F: le diminuite  risorse pro capite portano a disagi economici, aspettative deluse e rabbia fra la popolazione, il che porta all'ascesa di demagoghi fascisti megalomani, moltiplicando il rischio di conflitto globale.

R condiziona F, che condiziona R, che condiziona E e P: il declino della produzione convenzionale di petrolio da quando ha raggiunto il picco nel 2005 ha portato alla disperata raccolta di petroli non convenzionali spinti tramite l'inganno politico, mistificazioni fraudolente di mercato e distorsioni finanziarie ed economiche. Questo schema Ponzi porterà ad un inevitabile crollo del mercato che farà sembrare insignificante la truffa dei mutui sub-prime. Ha anche portato a gravi peggioramenti di E e P.

R causa C: è ovvio.

C condiziona R che condiziona C: man mano che le ondate di calore peggiorano, l'uso di aria condizionata e quindi di combustibili fossili aumenta, liberando più gas serra e peggiorando il riscaldamento globale.

Sfortunatamente con lo stato avanzato di malessere planetario di oggi, gran parte delle retroazioni sono retroazioni autoalimentate "positive", o dannose. Poche sono retroazioni di autocorrezione "negative", o buone. Il lettore sarà senza dubbio in grado di pensare a molti altri esempi di retroazioni bidirezionali fra componenti, sia positive che negative.

Io sostengo che ogni articolo che parli di sostenibilità (o della sua mancanza) dovrebbe essere inserito nella parte, o nelle parti, di questo modello tridimensionale a cui appartiene, per apprezzare quanto questo articolo possa essere globale o incompleto e per permettere che altri discorsi collegati siano inseriti nelle posizioni adiacenti, in modo da costituire un quadro più olistico.

In quanto animali visivi, credo che questo sia uno strumento per educarci. Può essere usato anche nelle scuole primarie come parte del loro curriculum scientifico di studio (ma verrebbe senza dubbio proibito fra i gruppi negazionisti del riscaldamento globale o dalle madrasse dell'economia neoclassica/neoliberale. I bambini possono fare questi semplici modelli tridimensionali con kit di coi kit di costruzione giocattolo o con la plastilina e degli stecchini. Probabilmente dovrebbero essere scoraggiati dal giocare col loro cibo, a differenza di noi adulti, che siamo comunque degli ipocriti terribili.



Geoffrey Chia MBBS, MRCP, FRACP, Novembre 2017


Geoffrey Chia è un cardiologo di Brisbane, Australia, che ha studiato e scritto di problemi che riguardano la (in)sostenibilità) per più di 15 anni.

mercoledì 21 marzo 2018

Il Picco in Italia: 15 anni e non sentirli

Da "Risorse, Economia, e Ambiente"

Il Picco in Italia: 15 anni e non sentirli

Assistetti al seminario di Campbell e fu per me un risveglio. Il lavoro scientifico di ricerca che avevo intrapreso fino ad allora perse, quasi improvvisamente interesse, c’era altro da fare per chi aveva una cultura scientifica…
Di Luca Pardi
Nel 2003 uscì quello che è, per quanto ne so, il primo libro in italiano che parla del Picco del Petrolio. Si tratta di “La fine del petrolio” di Ugo Bardi. Pochi mesi dopo l’uscita del libro Ugo invitò a Firenze Colin Campbell che l’allarme sull’imminenza del picco e della conseguente fine del petrolio a buon mercato, l’aveva lanciato, insieme a Jean Laherrere, cinque anni prima nel 1998. Assistetti al seminario di Campbell e fu per me un risveglio. Il lavoro scientifico di ricerca che avevo intrapreso fino ad allora perse, quasi improvvisamente interesse, c’era altro da fare per chi aveva una cultura scientifica e la tendenza a porre, ed eventualmente affrontare, i problemi in modo quantitativo.
Successivamente Ugo mi raccontò che il suo “risveglio” era avvenuto negli Stati Uniti all’indomani dell’attentato delle Torri Gemelle, quando, intrappolato a Washington dal blocco dei voli successivo all’attentato, girando in una libreria si imbatté nel libro di Kenneth Deffeyes “Hubbert’s peak” che è appunto del 2001.
Dopo il seminario di Campbell al Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, in un settembre ancora caldo dopo un’estate torrida che sarebbe restata per gli anni a venire uno dei primi record del cambiamento climatico nel nostro paese, seguii Ugo nel suo studio e li, insieme ad un manipolo di persone, decidemmo di dar vita ad un’associazione di studiosi del picco del petrolio in Italia. Dopo qualche indecisione nei mesi successivi optammo per la denominazione attuale: ASPO Italia. Per questa associazione scrissi il primo statuto e ricoprii la carica di tesoriere e vicepresidente fino al 2010, quando sono diventato presidente. Serviva un sito web e nel marzo 2005 Ugo Bardi firmò il primo articolo “Una introduzione alla teoria di Hubbert“. Per quanto fossimo scettici ed anti-complottisti funzionali, la connessione dei tre fatti che avevamo di fronte ci era chiarissima fin dall’inizio: il picco del petrolio, cioè il raggiungimento del massimo di produzione della risorsa energetica (e non solo energetica) più importante del mondo, il cambiamento climatico che proprio dall’intensivo sfruttamento delle fonti energetiche fossili è causato e infine il serpeggiare del nervosismo geopolitico che dalle Torri Gemelle portò all’invasione dell’Iraq, in cui la comunità internazionale fu forzata da menzogne inventate di sana pianta (le famose armi di distruzione di massa), ed al seguito di operazioni politico- militari sulla via del petrolio in gran parte sostenute dalla retorica del terrorismo. La riflessione su questi temi globali ha formato il nostro modo di affrontare i problemi anche locali in questi anni. Lasciando perdere per il momento le questioni geopolitiche che, più delle altre, sono opinabili, i due fenomeni principali: picco del petrolio e cambiamento climatico, rappresentano in modo paradgmatico l’intreccio fra esaurimento delle sorgenti planetarie, dinamica e intensità del processo economico e saturazione delle discariche planetarie.
Sul cambiamento climatico esiste un dibattito pubblico, non particolarmente sano, ma ben visibile, sulla questione energetica e del picco la nostra voce è invece sprofondata nel frastuono dell’informazione- intrattenimento- spettacolo in cui si fraintende il significato delle parole. Vediamo quali sono i principali fraintendimenti.
Prezzi bassi. L’affermazione che non trova avversari nell’opinione pubblica è che dal 2014 il prezzo del petrolio è “crollato” ed è ora basso. In realtà il prezzo del petrolio ha avuto effettivamente un crollo sia dopo la crisi del 2007- 2008, sia dopo il periodo 2011- 2014 durante il quale volava intorno ai 90-100 $/barile, ma non è mai sceso al di sotto del doppio del prezzo di fine secolo scorso (20$/b) e spesso, come adesso, è più di tre volte quel valore. Il prezzo del petrolio non è basso o, meglio, lo è solo rispetto ai record dei quindici anni trascorsi e, soprattutto, ai costi crescenti di estrazione. Quindi se in questa fase i paesi consumatori sentono un peso relativo della bolletta petrolifera è solo perché i produttori soffrono una perdita di reddito. Vi dicono nulla le crisi persistenti del Venezuela, della Nigeria, dell’Iran e le stesse inquietudini saudite?
Shale. Lo shale è stata la risposta dell’industria petrolifera statunitense alla stasi di produzione che, a fronte di una domanda crescente, dovuta a sua volta alla Cina e ad altri mercati emergenti, aveva innescato la corsa al rialzo del primo decennio di questo secolo e poi il rapido recupero dopo la crisi del 2007- 2008. Lo shale (come ha detto in un bel post Dario Faccini) riguarda quasi esclusivamente gli Stati Uniti e circa il 5% della produzione globale e, mentre anche li si comincia a pensare a cosa verrà dopo e quanti operatori resteranno stecchiti sul campo, l’idea che la tecnica del fracking sia esportabile rimane un’ipotesi.
Il picco non è mai avvenuto. Questo è il più idiota dei fraintendimenti che ho sentito in bocca anche a persone relativamente intelligenti. Come se il consumo di una risorsa non rinnovabile potesse avere una dinamica diversa da quella descritta da una curva che cresce nel tempo poi raggiunge un massimo (o più di uno, o un plateau oscillante) per poi declinare. Il picco è inesorabile. Quindi, al più, non è ancora avvenuto che è una cosa diversa dal dire che non è mai avvenuto.
Da più parti si è detto che nel primo decennio del XXI secolo c’è stato il picco del petrolio convenzionale (cioè del petrolio facile e a buon mercato), lo stesso post citato precedentemente mi ha convinto che tale affermazione sia ancora valida. Il picco del convenzionale è dietro alle nostre spalle. Ciò che è venuto dopo è sempre petrolio ma non è più a buon mercato. Possiamo ammettere di esserci sbagliati pensando che non si sarebbero estratte le categorie di petrolio più costoso e che, per un certo tempo, alcuni operatori possono produrre in perdita, ma questo non sposta di molto il dibattito. Il nostro interesse era ed è far entrare nell’agenda politica il tema energetico dai due punti di vista illustrati sopra: l’esaurimento delle risorse fossili e il cambiamento climatico. Nostro interesse era ed è che ci si guardi negli occhi e si dica: “Signori e Signore, la principale risorsa energetica mondiale, quella senza la quale nulla di quello che ci gira intorno esisterebbe, si sta rapidamente esaurendo; cogliamo l’occasione per organizzare per tempo, cioè prima di una vera crisi di scarsità, una vasta e rapida transizione energetica, in modo di trovarci, nel più breve lasso di tempo possibile, al massimo un paio di decenni, con una struttura energetica prevalentemente basata sulle fonti rinnovabili, cioè in una situazione invertita rispetto al presente nel quale le fonti fossili coprono ancora l’85% dei consumi energetici globali. Nulla, gli avversari, cioè coloro che hanno interessi diretti nel paradigma fossile hanno combattuto strenuamente per annullare i nostri tentativi. Ma perfino molti amici, convinti ad esempio della gravità della situazione ambientale, hanno iniziato a seminare dubbi catturati dalla propaganda avversaria sull’abbondanza ed i prezzi bassi.
In sostanza il Picco di tutti i liquidi combustibili non è ancora avvenuto, ma la fine del petrolio facile è dietro le nostre spalle e si è visto. Se il prezzo non sale soffrono i produttori e si parla di circa 1 miliardo di persone che vivono sui proventi dell’estrazione petrolifera. Se il prezzo sale, seguendo l’aumento dei costi, soffrono le economie dei paesi consumatori. Peraltro non abbiamo mai detto: il picco avviene il giorno tal dei tali. Abbiamo sempre detto: importa poco la data che segnerà l’anno del picco, ma piuttosto importa metter mano per tempo alla mitigazione. Questo concetto, lo abbiamo ripetuto fino alla noia fin dal 2005 quando Robert Hirsh & C scrissero la loro analisi sul tema.
La propaganda ha, per ora trionfato, ma, come si dice, “gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo”.
Non demordiamo.