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sabato 7 agosto 2021

Jean Servier precursore del Cancrismo?


di Bruno Sebastiani
 

A pag. 375 de “L’uomo e l’invisibile” (Borla Editore, Torino, 1967) Jean Servier scrive:

“L’impero è per l’umanità e per la società da cui trae origine ciò che il cancro è per il corpo umano: una proliferazione disordinata di cellule a detrimento dell’armonia dell’insieme. C’è forse una strutturazione delle cellule cancerose, così come c’è un’apparente armonia nell’organizzazione dell’impero: l’una e l’altra sono tuttavia agenti di distruzione.”

Partiamo da questo assunto per verificare se l’analogia proposta tra impero e cancro può in qualche modo configurarsi come antesignana della teoria a cui ho dato nome di Cancrismo.

L’intera opera di Jean Servier, etnologo francese nato e vissuto a lungo in Algeria, sottintende un profondo dualismo tra le cosiddette “civiltà tradizionali” e la “civiltà dell’uomo bianco occidentale”.

Le prime sarebbero contraddistinte da un diretto contatto con l’“invisibile”, termine con il quale Servier definisce la sfera soprannaturale del sacro. Le divinità sono tante quante le etnìe umane e ognuna è contraddistinta da sue specifiche caratteristiche, ma, al di là di ogni particolarità, il “divino” ha sempre guidato ovunque nel mondo il comportamento di ogni appartenente al genere umano, fino all’avvento della cosiddetta “civiltà dell’uomo bianco occidentale”.

Quest’ultima è andata affermandosi per gradi, favorita nella sua avanzata dall’instaurarsi degli “imperi”, vere e proprie “[…] prefigurazioni della civiltà occidentale per la loro volontà di egemonia […] questi regni della materia hanno trascinato con sé un indebolimento dei valori spirituali dando all’uomo, come unico scopo della sua vita terrena, la conquista dei beni di questo mondo.” (p. 418)

Tutti i più famosi imperi della storia sono crollati, lasciando dietro di sé cumuli di macerie materiali e morali. Ma, con la loro decomposizione, hanno contribuito all’edificazione di quello che è oggi l’Impero più grande, da Servier definito “civiltà occidentale” e che io ho denominato “L’Impero del Cancro del Pianeta” (titolo del mio libro edito da Mimesis).

A questa mostruosa realtà Servier dedica un ulteriore accostamento al cancro:

“La nostra civiltà porta in sé il germe di un processo inevitabile di distruzione. Divenuta un fine in sé, la nostra società disintegra l’individuo al punto di renderlo inadatto al servizio efficace della collettività, come, in certi cancri del sangue, i globuli bianchi divorano i globuli rossi e indeboliscono l’organismo che dovrebbero invece difendere.” (p. 419)

Non vi sono altri punti in cui venga riproposto l’accostamento dell’essere umano al cancro, ma l’intero messaggio di Servier spinge a ritenere l’uomo bianco occidentale un agente distruttore dell’armonia che regnava sulla Terra e il suo dissennato comportamento è paragonato a quello dei lemmings, piccoli roditori che compiono lunghe marce e “raggiunta la loro meta, si gettano nel mare e vi annegano.” (p. 421)

Le “civiltà tradizionali” si riconoscono nel mito del “peccato originale”, “[…] sono coscienti di aver perduto un “paradiso” primordiale, tutte si considerano in stato di caduta.” (p. 388) Anche per questo motivo chi ne fa parte cerca di mantenersi in costante contatto con l’invisibile, di osservarne i comandamenti e di preservare l’armonia dell’Universo già messa in pericolo dalla disobbedienza primigenia.

Al contrario, l’uomo bianco occidentale concepisce “la storia come un corso lineare” (p. 397) che, da un inizio di stenti, tende al superamento di ogni ostacolo per affermarsi su tutto e su tutti con una marcia verso il suo inarrestabile progresso.

La narrazione di Servier è estremamente ricca di esempi relativi a miti, riti e leggende (tutti vissuti come reali) di appartenenti alle “civiltà tradizionali”. Egli si rifiuta di ritenere costoro primitivi, o, peggio, selvaggi. Essi sono uomini saggi, rispettosi delle tradizioni ricevute dagli antenati e intenzionati a conservarle per non spezzare l’armonia voluta dall’“invisibile”. Il termine “armonia” è tra i più frequenti nel lessico di Servier.

Ma se nelle antiche civiltà e in quelle non contaminate dall’occidente (se ancora ce ne sono) la vita scorre in modo così armonioso, rispettoso delle tradizioni e in equilibrio con la Natura, come e perché l’uomo bianco ha potuto conquistarle e distruggerle?

Questa è la domanda che sorge spontanea scorrendo le pagine del libro di Servier. Oltretutto egli afferma che “L’occidente ha scelto lo sviluppo illimitato delle tecniche senza avere il tempo per domandarsi se in questa scelta non aveva rischiato e perso la propria anima.” (p. 211)

Questa affermazione e altre contenute nel testo paiono sottintendere che il passaggio dalla “civiltà tradizionale” a quella “bianca occidentale” sia avvenuto in conseguenza a una nuova “caduta”, una sorta di peccato originale “laico”, compiuto cioè non per disobbedire ai comandamenti di un ipotetico creatore, non più venerato, ma semplicemente per inseguire una volontà di potenza “imperiale”, tesa a tutto sottomettere e tutto riformare in senso materiale e utilitaristico.

Qui ci troviamo di fronte alla differente interpretazione della realtà che fa divergere la “visione del mondo” di Servier (e, aggiungo io, dell’Ecologia Profonda) da quella del Cancrismo (cfr. il mio precedente articolo “Il Cancrismo come superamento dell’Ecologia Profonda”).

In estrema sintesi, secondo Servier:

tutte le “civiltà tradizionali” si riconoscono nel mito della caduta, del “peccato originale” di lì in avanti sviluppano un rapporto di armonia con il Tutto suggellato da un formidabile patto di alleanza con l’“invisibile” tutto ciò permane sin quando una civiltà tra oltre cinquemila, quella dell’“uomo bianco occidentale”, infrange questo patto a favore del più abietto egoismo materialista di specie, e trascina in questa sua nuova folle avventura tutte le “civiltà tradizionali” che incontra sul suo cammino.

Non l’uomo in sé, quindi, sarebbe il cancro del pianeta, ma questa distorta visione del mondo che si è identificata prima nei grandi imperi della storia e poi nel progresso materiale fine a se stesso, sfociato alcuni secoli or sono nella rivoluzione industriale e in tutte le novità tecnologiche che stanno devastando la biosfera.

Il Cancrismo, più realisticamente, non scorge discontinuità tra il modo di vivere delle “civiltà tradizionali” e quello dell’“uomo bianco occidentale”.

L’essere umano ha sempre cercato di prevaricare il “diverso”, così come ha sempre fatto ogni specie (vegetale o animale) partorita da Madre Natura. Basti pensare all’edera che avvolge l’albero o al lupo che mangia l’agnello.

Ma l’essere umano, a un certo punto del percorso evolutivo, ha sviluppato in modo abnorme il suo “organo di comando” e, in conseguenza di ciò, è riuscito a dominare ogni altra specie partorita da Madre Natura.

Dapprima questa sua azione non è stata evidente, data l’immensa estensione della foresta vergine e l’enorme quantità e varietà della fauna esistente. Poi, con estrema ma continua gradualità, l’erosione del patrimonio forestale e faunistico è divenuta via via sempre più evidente, sino alla tragica situazione attuale.


Quando, come e quanto i cosiddetti primitivi abbiano iniziato a devastare la Natura è il tema del mio articolo “La distruzione della Natura nell’antichità”.

In conclusione, Jean Servier è stato un convinto avversario del progresso tecno-scientifico-industriale che ha portato alla devastazione della biosfera, e in tal senso, il suo nome può a buon diritto essere iscritto tra quelli dei precursori del Cancrismo. Ma la sua critica alla modernità si è limitata a condannare la “civiltà dell’uomo bianco occidentale” e non si è estesa al genere Homo sapiens in quanto tale.

Anzi, quest’ultimo è stato gratificato di sincera ammirazione laddove appartenente alle cosiddette “civiltà tradizionali”.

A distanza di quasi sessant’anni dalla prima pubblicazione de “L’Homme et l’invisible” si può affermare che di tali “civiltà” non rimane pressoché traccia: esse stesse sono divenute “invisibili”, salvo cercarle in qualche documentario da cineteca.

E la “civiltà dell’uomo bianco occidentale” è divenuta sempre più il modus vivendi universale, ovunque imperante. La Cina e tanti altri Paesi asiatici stanno soppiantando Europa e America come locomotive trainanti dell’economia mondiale, mentre India e Africa sono in attesa di unirsi al convoglio.

L’avverarsi di questa realtà è la più evidente, tragica, conferma di come non sussistano contrasti insanabili tra le “civiltà”, più o meno evolute, che si sono sviluppate sul pianeta Terra. Una, la più avanzata materialmente, ha approfittato della propria superiorità per “convincere” le altre ad adottare il suo stile di vita. Ma queste, generazione dopo generazione, lo hanno fatto di buon grado, sino a superare l’“uomo bianco occidentale” nell’inquinare, deforestare e devastare l’ambiente.

Servier dà questa spiegazione di quanto è accaduto:

“Il contatto dell’uomo bianco è stato più mortale per le civiltà tradizionali che una qualsiasi lebbra. Il solo possesso dei beni che egli vendeva ha annientato popolazioni intere come se essi trasmettessero un misterioso contagio.” (p. 416)

Personalmente avrei preferito che questo contagio non fosse mai avvenuto e che l’uomo sulla Terra avesse continuato a vivere in equilibrio con ogni altra specie, seguendo i presunti insegnamenti dell’“Invisibile”.

Ma se le cose non sono andate così è perché lo sviluppo dell’encefalo di Homo sapiens non poteva fermarsi a un determinato stadio. Una volta innescata l’abnorme crescita, il secolo dei lumi e il progresso scientifico erano realtà ineluttabili, con il loro conseguente strascico di industrializzazione, di aggressione alle risorse del pianeta e di ogni altro sfregio all’armonia della Natura.

venerdì 18 giugno 2021

Rivelazione - Discorso alle cellule malate, il nuovo libro di Bruno Sebastiani

 


La teoria cancrista, secondo cui l’umanità è divenuta un tumore sulla Terra, consta di tre testi base (“Il Cancro del Pianeta”, “Il Cancro del Pianeta Consapevole” e “L’Impero del Cancro del Pianeta”). A questi ora se ne aggiunge un quarto, “Rivelazione – Discorso alle cellule malate”.

Qualcuno può domandare: ve ne era bisogno? la teoria non era stata già sufficientemente sviluppata nei tre saggi sin qui pubblicati?

Ebbene, non solo di questo quarto volume vi era bisogno, ma di ogni altro ulteriore che uscirà in futuro, scritto da me o da chi vorrà aderire alla teoria.

L’enorme mole di testi e di dottrine che Homo sapiens ha prodotto in cinquemila anni di storia per giustificare e glorificare la sua superiorità su ogni altra specie non può essere certo confutata con i pochi argomenti racchiusi in un volumetto di 200 pagine.

È dunque necessario produrre idee su idee, ragionamenti su ragionamenti, ciascuno finalizzato a rovesciare l’insana tesi secondo cui è nostro diritto sottomettere ogni elemento della natura.

In questa ottica si inserisce ora “Rivelazione – Discorso alle cellule malate”, libro che intende aprire gli occhi di Homo sapiens facendo leva sui falsi miti costruiti dalla ragione e poi dalla ragione ripudiati.

L’uomo, infatti, sin dalla sua uscita dallo stato di natura ha iniziato a costruire intorno a sé un castello ideologico sempre più complesso al fine di dare un senso alla propria esistenza e di giustificare il proprio diritto di supremazia sugli altri viventi.

Animismo e miti si sono nel tempo trasformati in Grandi Favole (alias “religioni”), le quali hanno governato il mondo fino a qualche secolo fa e che ancora tanta influenza hanno in alcune aree del Pianeta.

Ma la cosiddetta “civiltà” contemporanea ha voltato le spalle a questo tipo di costruzioni ideologiche e l’essere umano ha pressoché smesso di ricercare il senso della propria esistenza, dedicandosi interamente al godimento dei beni materiali.

È così caduto il velo che nascondeva la nostra vera natura di cellule tumorali, ma non ce ne siamo resi conto.

Abbiamo edificato “L’Impero del cancro del Pianeta” e grazie alle sue rigide strutture organizzative riusciamo a sfamare otto miliardi di uomini con trenta miliardi di animali (che in attesa della macellazione devono essere a loro volta sfamati) e con una infinita quantità di vegetali (per produrre i quali le foreste scompaiono anno dopo anno e lasciano il posto a sconfinati campi di monoculture).

Questo Impero non potrà vivere a lungo e la sua caduta sarà la più rovinosa della storia.

Per aprire gli occhi a chi non vuole guardare questa realtà avevo già scritto “Il Cancro del Pianeta Consapevole”.

Ma, poiché l’egoismo antropocentrico continua imperterrito a dilagare, a quel libro ora si aggiunge “Rivelazione – Discorso alle cellule malate”.

In quest’ultima opera la “Rivelazione” finale ruota intorno al concetto de “i limiti dell’intelligenza” (al quale è dedicato un intero capitolo). Questo concetto è fondamentale nella teoria cancrista, secondo solo al concetto dell’abnorme evoluzione subìta del nostro cervello.

Se quest’ultima ci ha trasformati in cellule tumorali, i limiti dell’intelligenza ci impediscono di edificare strutture artificiali equilibrate e durature come quelle naturali che abbiamo distrutto.

Questi limiti, oltretutto, non ci consentono di innalzarci alla conoscenza delle verità ultime, e questa, in estrema sintesi, è la Rivelazione finale che il mio saggio intende offrire all’attenzione dell’uomo contemporaneo.

Nel libro, ovviamente, il ragionamento è assai più articolato e complesso, con una conclusione “a sorpresa”.

Al termine del “discorso”, infatti,  si giunge alla conclusione che il contenuto del messaggio “rivelato” altro non è che la riproposizione in termini attuali di quanto era contenuto nelle antiche dottrine mistiche “apofatiche” (nel mio articolo “Apologia dell’Apofatismo” vi è una sommaria descrizione di queste ultime).

Questo concetto de “i limiti dell’intelligenza” è di una tale importanza che in un prossimo futuro gli dedicherò un apposito saggio.

Tutti i maggiori filosofi hanno discettato intorno alle enormi potenzialità della ragione umana e hanno costruito ambiziosi castelli ideologici per tentare di scalare il cielo. Basti pensare alle varie le dimostrazioni razionali dell’esistenza e onnipotenza di Dio.

Qualcuno, per la verità, ha avvertito che oltre a un certo limite non era possibile andare (in particolar modo gli appartenenti alle citate dottrine “apofatiche”), ma i più hanno ignorato questi avvertimenti e si sono inoltrati fin nei più impervi sentieri dell’essere.

A questo orgoglio intellettuale ha fatto da contraltare un analogo orgoglio scientifico, e il combinato disposto di queste due devastanti funzioni cerebrali ha dato vita alla più rovinosa aggressione al corpo del Pianeta.

Cellule sane (animali e vegetali), rocce, terra, sottosuolo, nulla è stato risparmiato dall’aggressività del cancro del Pianeta, neppure le acque dei fiumi e del mare, né l’aria del cielo.

Forse non siamo più in tempo per salvare la biosfera, ma qualunque sia la nostra sorte non possiamo esimerci dal tentare di fare ogni sforzo per raddrizzare l’imbarcazione che sta affondando. Arrendersi prima del tempo significa solo accelerare la fine.

Ben venga dunque la “Rivelazione” della nostra vera natura e ogni altro messaggio finalizzato a conseguire il medesimo obiettivo.

E ben vengano le manifestazioni di consenso e di supporto nei confronti di chi sta dalla parte della Natura contro l’antropocentrismo dilagante.



lunedì 17 maggio 2021

Punteggio Individuale

 


di Bruno Sebastiani





Nel 2010, quando scrissi “P.I. Punteggio Individuale” (libro che ora ho auto-prodotto), non si aveva notizia di alcun programma volto a “classificare” gli esseri umani in base alle proprie caratteristiche.

Al contrario, la “privacy” era sulla bocca di tutti e sembrava essere assurta al ruolo di nuova “dea” laica.

Poi una serie televisiva di successo, “Black Mirror”, nel 2016 toccò l’argomento. Nel primo episodio della terza stagione si raccontava di un ipotetico futuro in cui ognuno poteva attribuire, sotto forma di stelline (da una acinque), meriti o demeriti al proprio prossimo. Ma si trattava ancora di fantasia.

Nel frattempo, poco alla volta, dalla Cina cominciò a diffondersi la notizia che si stava procedendo a inserire ogni cittadino e ogni impresa in una graduatoria, sulla base di un Sistema di Credito Sociale stabilito per legge.

Così, a distanza di tanti anni dalla sua stesura, mi son deciso a pubblicare il manoscritto perché “ciò che nasce per scherzo spesso diviene realtà”, come recita uno dei sottotitoli.

Il tema di questo libro rientra nel più vasto argomento che ho trattato ne “L’Impero del Cancro del Pianeta”, e cioè come è possibile che una popolazione di dieci miliardi e più di cellule cancerogene (ovvero noi Homo sapiens) possa sopravvivere nel prossimo futuro in un Organismo dalle risorse limitate e super-sfruttate (ovvero il pianeta Terra).

La risposta è che prima o poi arriverà il collasso, ma, prima che ciò accada, le cellule cancerogene si organizzeranno in modo da ottimizzare al massimo le residue risorse alimentari ed energetiche.

Cosa significa in concreto tutto ciò? Come avverrà questa “ottimizzazione”?

Innanzitutto, i regimi politici al potere convinceranno le popolazioni della necessità di adottare provvedimenti restrittivi delle libertà individuali. Non sarà difficile farlo, perché si tratterà di provvedimenti rispondenti a necessità reali, concretamente verificabili da chiunque.

I lockdown, i coprifuoco e le zone rosse e arancioni dell’era Covid sono emblematici al riguardo.

Ma poi neppure questi provvedimenti saranno sufficienti a razionare le risorse sempre meno disponibili a livello globale.

Vi saranno Paesi ricchi che alimenteranno di più i loro cittadini e le loro macchine, e Paesi poveri dove imperverserà la miseria e l’indigenza. Questo avviene già oggi, ma il divario continuerà ad allargarsi e ciò produrrà emigrazioni di massa, tumulti, guerre.

A quel punto si dovrà far ricorso al Governo Unico Mondiale, a quella autorità sovranazionale già invocata da più soggetti, compresi gli ultimi pontefici della Chiesa Cattolica (vedasi il paragrafo 175 dell’Enciclica “Laudato sì”).

E che provvedimenti potrà prendere questo G.U.M. (come lo chiamo nel mio fanta-saggio)? Come farà a mettere ordine in una umanità difforme quanto a ricchezza, istruzione, situazione sanitaria ecc.?

Io credo che uno dei primi provvedimenti sarà quello di realizzare un dettagliato censimento di tutta la popolazione mondiale, con l’indicazione, per ciascun censito, di ogni notizia utile alla “catalogazione”.

Solo da qui, da questo enorme data-base, potrà prendere avvio ogni tentativo di riforma di qualche efficacia. L’ubiqua diffusione della “grande ragnatela mondiale” e delle reti fonia-dati di ultima generazione (5G e successive) renderanno possibile questa mastodontica operazione di classificazione di tutte le cellule cancerogene del Pianeta.

Ma, a questo punto, perché non assegnare a ogni cittadino un “rating”, un “Punteggio Individuale” tale da semplificare ogni tipo di rapporto con la Pubblica Amministrazione e gli altri Enti, pubblici e privati?

Sto già viaggiando nel futuro, e certamente quanto prefigurato troverà mille ostacoli sul suo cammino. Non perché non abbia una sua logica, ma semplicemente perché gli apparati burocratici (alias Stati nazionali, Enti locali, Amministrazioni periferiche ecc.) lotteranno strenuamente per non farsi strappare dagli artigli la preda succulenta che stanno lentamente scarnificando, ovvero i corpi dei cittadini loro sottoposti.

Dunque, l’evoluzione non sarà spontanea. Guerre, ecocatastrofi e sommovimenti di miriadi di disperati costringeranno l’umanità a strutturarsi in modo sempre più accentrato.

E, a quel punto, quanto descritto nel mio libro potrà avverarsi.

Non scendo in ulteriori dettagli per non rovinare il piacere della lettura. Sappiate solo che le immagini distopiche che descrivo in “P.I. Punteggio Individuale” non sono ciò che mi auguro, bensì ciò che temo.




venerdì 30 aprile 2021

La bellezza salverà il mondo

 

Di Bruno Sebastiani

La frase di Dostoevskij “La bellezza salverà il mondo” (L’Idiota, parte III, capitolo V) è stata interpretata in un’infinità di modi e ha fornito spunto per un gran numero di dibattiti.

Diego Fusaro, nel corso di una conferenza tenutasi a San Pellegrino Terme nel 2015 (ora presente su Youtube), ha dissertato egregiamente su questa pluralità di impieghi che ne è stata fatta.

Io qui vorrei fornire la mia interpretazione personale, non necessariamente coincidente con quella del grande romanziere russo, sempre che Dostoevskij ne abbia avuta una e non abbia posto la locuzione in bocca ai suoi personaggi unicamente come “frase a effetto” (nel corso della narrazione l’argomento non viene approfondito).

In un recente post su Facebook ho scritto: “È tempo di utilizzare l’arte per divulgare la consapevolezza della nocività del genere umano per la Terra. Le idee faticano a farsi strada, e allora proviamo a dipingere, cantare, fotografare, declamare, scolpire, rappresentare in ogni modo questa nostra negatività per il pianeta, ciascuno con le proprie abilità.

Ecco questa per me è la “bellezza” che può, anzi deve, tentare di frenare la nostra folle corsa verso il baratro. Chiamiamola “bellezza”, “estetica” o “arte”, qualunque sia il suo nome fa riferimento a categorie del pensiero distinte e distanti da “ragione”, “logica” e “scienza”. E se queste ultime sono indubitabilmente le responsabili dell’estremo degrado ambientale in cui ci troviamo, perché non utilizzare nella nostra azione di contrasto le facoltà della mente non coinvolte nell’attuale ecocidio, quelle che nel corso della storia hanno invano tentato di arginare la crescente marea scientista?

Queste facoltà si esprimono con il linguaggio dell’arte: pittori e scultori hanno sempre tratto ispirazione dal mondo della natura, poeti e musicisti si sono sempre rivolti a quella “categoria dello spirito” che si chiama “sentimento”.

Nella mia raffigurazione della mente umana il sentimento non è altro che l’istinto sublimato dalla ragione, laddove per istinto intendo tutto ciò che ci deriva direttamente dalla natura, senza alcuna intermediazione di tipo “culturale” o “razionale”.

La ragione, sempre secondo la teoria che sostengo, è invece quel “surplus” di intelletto procuratoci da occasionali alterazioni geniche verificatesi nel corso dell’evoluzione, “surplus” da noi utilizzato per dar vita al mondo “artificiale” giustapposto a quello “naturale” (come la neocorteccia è sovrapposta al cervello limbico e a quello rettiliano …).

Se la ragione ha causato i guai che ben conosciamo, dalla sovrappopolazione all’esaurimento delle risorse (ecc. ecc.), è purtuttavia vero che solo la ragione può tentare di porre rimedio a tali guai, essendoci preclusa la via del ritorno allo stato di natura dalle troppe modifiche intervenute nel tempo ai danni del nostro organismo e dei nostri assetti sociali.

Ma ogni tentativo di riparazione prima di essere intrapreso deve essere desiderato.

Ed ecco il ruolo dell’arte: rappresentare la bellezza del mondo della natura e la mostruosità del mondo artificiale al punto da eccitare i sentimenti umani verso il desiderio della riparazione.

L’atto estetico va poi razionalizzato e tradotto in pratica riparatoria. Ma, senza la scintilla per l’innesco del processo “revisionista”, nulla di veramente decisivo può prendere avvio.

Qualcuno osserverà che molti uomini di buona volontà e tanti potenti del mondo hanno già preso coscienza della necessità di modificare i nostri comportamenti nei confronti dell’ambiente, come dimostrano numerose iniziative individuali e svariati accordi internazionali.

C’è il dubbio che tali prese di coscienza nascondano talvolta altrettante operazioni di facciata, destinate a consentire la prosecuzione dell’attuale modus vivendi a cuor leggero, con la coscienza risciacquata nella tinozza della green economy.

Ma pur senza voler pensare male e dando credito alla buona volontà dei singoli e delle istituzioni, appare evidente come le iniziative sin qui intraprese siano del tutto insufficienti a riparare i danni causati all’ambiente. La prova più macroscopica è fornita dalle difficoltà incontrate a raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi del 2015, a proposito del quale è interessante notare come il maggior contributo alla riduzione delle emissioni dei gas serra è stato fornito non tanto dalle iniziative degli Stati firmatari quanto dallo stop alle attività produttive imposto dalla dilagante pandemia.

Comunque sia, lo stimolo che le opere d’arte possono offrire alle moltitudini e alle classi dirigenti è sempre della massima importanza, anche laddove la spinta al cambiamento appaia sinceramente avviata: essa infatti va convintamente sostenuta contro i rigurgiti egoistici di specie che non mancano mai di manifestarsi.

Al fine di dare il buon esempio, come promotore della teoria cancrista ho rivolto un appello agli amici artisti che condividono con me la convinzione della nostra nocività per la biosfera e ho creato un’apposita pagina del mio blog con alcuni contributi illustrativi al riguardo. Un primo manipolo di pittori, poeti e musicisti ha già risposto all’appello, e precisamente:

-        Mario Giammarinaro, pittore (con le sue maree nere ha denunciato i danni dell’inquinamento)

-        Massimo D’Arcangelo, ecopoeta (“Il cancro del Pianeta siamo noi / ma il messaggio è omesso / vietato, nascosto alle masse”)

-        Maicol MP, musicista (L’uomo come cancro del Mondo)

-        Andrea Rayquaza Di Sanzo, cantautore rap (Autodistruzione)

-        Marco Sclarandis, scrittore e poeta (Mai ci parlerà l’aragosta)

-        Mario Famularo, poeta (“quest’uomo senza pace / è il cancro della terra”)

-        Cristina De Biasio, pittrice (tra le sue opere: Nuovo mondo, dopo l’estinzione umana)

-        Gabriele Buratti (Buga), pittore, fotografo e scultore (“Dal linguaggio rupestre a quello freddo e inumano dei codici a barre, la semiologia ha fatto un salto che allontana sempre più l'uomo dal mistero del sacro impadronendosi del nostro immaginario collettivo attraverso il mondo dell'economia.”)

Sono consapevole che i pochi nomi citati siano quantitativamente un’inezia rispetto al gran numero di artisti che stanno tentando di raffigurare i danni da noi procurati alla natura.

Ma l’elemento che mi preme mettere in rilievo è l’importanza dell’unificazione degli sforzi in vista di un fine comune. Il singolo artista segue la sua ispirazione e, poiché ogni vero artista non può che essere in buona fede, certamente la sua rappresentazione del mondo rispecchia la drammatica situazione che stiamo vivendo.

Il rischio è che sia interpretata come la visione di un pittore, poeta o musicista isolato, come lo sfogo di una singola anima afflitta dal tormento per il brutto che avanza.

Il che non significa che ogni opera d’arte debba esprimere afflizione e sofferenza. Anzi. L’inno alla vita, la gioia per la natura che rifiorisce, l’esaltazione dell’amore per tutti gli esseri viventi sono altrettanti potenti eccitatori da contrapporre all’avidità del guadagno, al freddo calcolo della ricerca scientifica, alle brutalità compiute ai danni del mondo animale e vegetale.

Ma in un caso o nell’altro (esaltazione del bello o denigrazione del brutto) ciò che conta è l’obiettivo da raggiungere e cioè la graduale conversione dell’umanità a nuovi stili di vita.

Altre forze spingeranno nella medesima direzione e purtroppo saranno violente, come quelle che la natura offesa scatenerà sotto forma di tempeste, uragani, innalzamento dei mari e così via.

Anche per tentare di prevenire queste catastrofi è opportuno che il maggior numero possibile di persone si convinca quanto prima della necessità del cambiamento e, se gli argomenti razionali non sono in grado di generare questo convincimento, l’arte, o meglio, l’azione congiunta di tutti gli artisti, può forse ottenere risultati migliori, può forse “salvare il mondo”.

Mi faccio quindi interprete del pensiero (vero o presunto) di Fedor Dostoevskij e chiedo a tutti gli uomini che hanno orientato la loro attività in campo artistico (compresi gli autori teatrali e cinematografici, i fotografi, gli architetti, i romanzieri, i compositori musicali, i writers ecc.) di riconoscersi in questo comune sforzo di cambiamento globale.

Oggi forse il ruolo dell’arte appare offuscato rispetto ai secoli passati, come se la sua voce fosse sovrastata dal frastuono del traffico metropolitano, cionondimeno mi auguro che pittori, poeti e musicisti prendano sempre più coscienza del loro ruolo di “grilli parlanti” capaci di smuovere la coscienza collettiva dell’umanità e che promuovano questo nuovo romanticismo all’insegna del motto “la bellezza salverà il mondo”.


mercoledì 27 gennaio 2021

Contra philosophos, ovvero i filosofi e la superiorità della razza umana

 

Di Bruno Sebastiani

Lo scopo finale dell’uomo è di sottomettere a sé tutto ciò che è privo di ragione e di padroneggiarlo liberamente secondo la propria legge.”

Questa frase, tanto lapidaria quanto terrificante, riassume perfettamente il senso della perversa evoluzione subìta dal nostro cervello. Sembra pronunciata da un sadico aguzzino in preda a una crisi di delirio di onnipotenza.

Il suo autore è invece lo stimato e apprezzato filosofo Johann Gottlieb Fichte (immagine centrale), che l’ha inserita in uno dei suoi “capolavori”, “La missione del dotto” (Fabbri, Milano 2004, p. 17).

Questa affermazione è la più esplicita di una infinita serie di asserzioni che nel corso dei secoli i più celebri filosofi, scienziati ed ecclesiastici hanno profuso a piene mani nei propri scritti.

Senza risalire al famoso invito rivolto da Dio ad Adamo ed Eva (“soggiogate la terra e dominate sopra ogni essere vivente”) e a tutti i conseguenti precetti di natura religiosa, possiamo osservare che analoghi princìpi germogliarono anche in Grecia, la “laica” patria della filosofia.

Il mito di Prometeo e di Epimeteo, rievocato da Socrate nel Protagora di Platone, narra che “l’uomo divenne partecipe di una sorte divina […] unico tra gli esseri viventi, cominciò a credere negli dèi […]”.

Pochi anni più tardi Aristotele scrisse: “Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza […] Nella vita degli animali […] sono presenti soltanto immagini e ricordi, mentre l’esperienza vi ha solo una limitatissima parte; nella vita del genere umano, invece, sono presenti attività artistiche e razionali. […] l’esperienza è per gli uomini solo il punto di partenza da cui derivano scienza e arte […] (Metafisica, 980a – 981a)

Plotino nel III secolo puntualizzava che: “[…] l’uomo possiede la vita completa, allorché ha non solo quella sensibile, ma anche la facoltà di ragionare e l’Intelligenza vera […]” (Enneade I 4, 5)

Nel 1260 Tommaso d’Aquino, in pieno Medio Evo cristiano, sancì la superiorità degli esseri dotati di pensiero razionale su quelli che ne sono privi: “[…] mostreremo che per divina disposizione, nel determinare la perfezione delle cose create secondo il migliore dei modi, era giusto che venissero prodotte delle creature dotate di intelligenza, poste nel grado supremo degli esseri.” (Somma contro i gentili, Libro II, Cap. XLVI)

Tutta la storia della chiesa è costellata di documenti che, sulla scia di quanto affermato dall’aquinate, hanno periodicamente ribadito la superiorità dell’uomo su ogni altro vivente.

Nel 1870 Pio IX, nella Costituzione Dogmatica “Dei Filius” ribadì che “[…] Dio destinò l’uomo ad un fine soprannaturale, cioè alla partecipazione dei beni divini, che superano totalmente l’intelligenza della mente umana […] sebbene la fede sia superiore alla ragione, pure non vi può essere nessun vero dissenso fra la fede e la ragione, poiché il Dio che rivela i misteri della fede e la infonde in noi è lo stesso che ha infuso il lume della ragione nell’animo umano […]”.

Dunque anche per la chiesa di Roma è il “lume della ragione” a stabilire la nostra superiorità in questo mondo.

I precetti della religione peraltro sono sempre ammantati da una patina di “sovra naturalezza” che ne attenua il rigore.

Spetta ai filosofi laici il primato della brutalità, e non vi è dubbio che, prima di Fichte, il pensatore più malvagiamente esplicito in tema di superiorità umana sia stato Cartesio, per il quale gli animali sono equiparabili a dei congegni meccanici.

“[…] non esistono uomini così ebeti e stupidi e magari anche pazzi che non siano capaci di combinare insieme diverse parole e di comporre un discorso con il quale far capire i loro pensieri, mentre, al contrario, non vi è nessun animale tanto perfetto e tanto felicemente nato che faccia lo stesso. […] Questo fatto testimonia non soltanto che le bestie hanno meno ragione degli uomini ma che non ne hanno affatto; […] è la natura ad agire in loro secondo la disposizione dei loro organi, così come si vede che un orologio, composto unicamente di ruote e di molle, può contare le ore e misurare il tempo più esattamente di noi con tutta la nostra prudenza.” (Discorso sul metodo, parte quinta)

Un po' meno brutale fu Leibniz, ma la sostanza del discorso è sempre la medesima: “[…] la conoscenza delle verità necessarie ed eterne è quella che ci distingue dagli animali bruti e ci fa avere la ragione e le scienze, elevandoci alla conoscenza di noi stessi e di Dio. Questo è ciò che in noi si chiama anima ragionevole o spirito.” (Monadologia, parte II, cap. VI

Credo che le citazioni sopra riportate forniscano un quadro sufficientemente chiaro di come i maggiori pensatori di tutti i tempi abbiano costantemente e concordemente incensato la superiorità della razza umana in contrapposizione all’inferiorità del mondo della natura.

Ad avvalorare questa affermazione aggiungo le citazioni di un filosofo che la vulgata comune definisce contiguo al romanticismo, al vitalismo e all’irrazionalismo, nonché connotato da una forte dose di pessimismo, Arthur Schopenhauer.

È opinione concorde di tutti i tempi e di tutti i popoli che tutte queste così svariate ed estese asserzioni hanno origine da un principio comune, da quel particolare potere dello spirito che rende l’uomo superiore all’animale e che è stato chiamato RAGIONE [in maiuscolo nel testo …]”

Il grande privilegio dell’uomo, la ragione, […] mediante una condotta regolata e ciò che ne consegue, gli allevia tanto la vita ed il suo peso […]

Quantunque nell’uomo, come idea (platonica), la volontà trovi la sua più chiara e perfetta oggettivazione, questa soltanto tuttavia non poteva esprimere la sua essenza. L’idea dell’uomo, per apparire nel suo debito significato non poteva manifestarsi sola e sconnessa, ma doveva essere accompagnata dal processo graduale discendente, attraverso tutte le forme animali, il regno vegetale, fino al mondo inorganico. Soltanto tutti questi si integrano in una completa oggettivazione della volontà; essi sono presupposti dall’idea dell’uomo, così come i fiori dell’albero presuppongono le foglie, i rami, il tronco e le radici: essi formano una piramide, il cui vertice è costituito dall’uomo.”

Come se a Schopenhauer non bastasse aver collocato l’uomo al vertice della piramide della natura, il desiderio di umiliare gli altri esseri viventi si esprime in lui nella constatazione che solo l’uomo cammina volgendo lo sguardo in alto, mentre tutti gli altri hanno il muso rivolto a terra!

Questa differenza fra uomo ed animale è espressa all’esterno mediante la diversità di rapporto della testa con il corpo. Negli animali inferiori, entrambi sono ancora del tutto attaccati; in tutti, la testa è inclinata verso terra […] Perfino negli animali superiori testa e tronco sono un tutt’uno, ancor più che nell’uomo, il cui capo appare collocato libero sul corpo, da questo solamente portato, non già al suo servizio. L’Apollo del Belvedere rappresenta a livello sublime questo vantaggio per l’uomo: la testa del dio delle muse, la quale volge ampiamente lo sguardo tutto intorno, poggia così libera sulle spalle, che si svincola completamente dal corpo e sembra non darsene più pensiero.” (Il mondo come volontà e rappresentazione, parr. 8, 16, 28 e 33)

Qui il cerchio si chiude e il moderno Schopenhauer si ricollega all’antico Aristotele, il quale si compiaceva di come l’uomo fosse “il solo degli animali ad avere posizione eretta […] con la sua parte superiore […] orientata verso la parte superiore dell’universo […]” (Parti degli animali, 656a)

Né a Schopenhauer né ad alcun altro illustre filosofo è mai venuto in mente che se lo sguardo dell’uomo, anziché verso lontani e irraggiungibili orizzonti, fosse stato rivolto verso la terra, le piante e gli esseri a noi più vicini, oggi non ci troveremmo a dover risolvere i terribili problemi che affliggono la biosfera e con essa anche le nostre stesse vite?

L’ora della fine del nostro mondo si avvicina velocemente e i grandi pensatori ne sono in buona parte responsabili.

Non vi è dubbio che il cervello dell’uomo sia più potente di quello degli altri animali, ma ben diverso è attribuire a questa peculiarità valore positivo, come hanno fatto sin qui tutti i filosofi, o valore negativo, come ho iniziato a ipotizzare ne “Il Cancro del Pianeta” sulla base degli esiti di ciò che la potenza del nostro organo di comando ha causato alla biosfera.

Se vogliamo cercare di rallentare l’ecocidio, iniziamo dunque a riflettere sul reale valore dell’abnorme sviluppo evolutivo subìto dal nostro encefalo, che ci ha consentito di stravolgere l’armonia della natura ma che non ci permette di ricrearne un’altra altrettanto stabile e duratura.


lunedì 4 gennaio 2021

Spunti per una nuova rivoluzione culturale

 

Di Bruno Sebastiani

Non mi era nota fino a qualche tempo fa (e me ne rammarico) l’instancabile ed encomiabile attività di Maurizio Di Gregorio, sia come articolista sia come libraio on line.

Il 15 giugno di quest’anno ha pubblicato nel suo sito Fiorigialli.it un articolo dal titolo “Auspicio e urgenza di una internazionale ecologista”.

L’articolo è lungo e complesso. Gli elementi di maggior interesse, a mio avviso, sono contenuti negli ultimi tre paragrafi (“Auspicio di una Internazionale Ecologista”, “Un Movimento Planetario di Liberazione” e “Trasformazione interiore e Cambiamento esteriore”), dove viene prefigurata l’unificazione di tutti gli sforzi dei vari movimenti ecologisti in un grande movimento culturale per la salvezza della biosfera.

L’altra attività di Di Gregorio, quella libraria, è complementare a quella “ideologica”. Si sa che i libri sono i veicoli su cui viaggiano le idee e il sito Il Libraio delle Stelle offre uno dei cataloghi più ricchi “sulla cultura del naturale, le arti del benessere, l’impegno sociale e la ricerca spirituale”, come recita la didascalia del sito.

Molti altri siti e movimenti sono impegnati in modo altrettanto encomiabile nel promuovere idee e comportamenti virtuosi contro il nostro dilagante egoismo di specie. Basti citare i movimenti per la decrescita, per la difesa dei diritti degli animali, contro l’inquinamento e il riscaldamento globale ecc.

Nonostante tutte queste lodevoli iniziative, la vera Rivoluzione culturale è di là da venire. Elettoralmente i vari movimenti ecologisti hanno un peso irrilevante e sotto il profilo ideologico non riescono ancora ad imporsi all’attenzione della pubblica opinione. O meglio. Moltissimi hanno compreso che stiamo distruggendo l’ecosfera, ma ben pochi modificano concretamente i propri comportamenti.

Si tratta di un problema comune a livello mondiale. Alcuni popoli / nazioni devastano più di altri, ma tutti contribuiscono, chi più chi meno, all’opera di distruzione della natura.

Nel mio ultimo libro, “L’Impero del Cancro del Pianeta”, ho cercato di illustrare come questa opera nefasta sia conseguenza di un tipo di crescita tecnico – scientifico – industriale necessaria al mantenimento di quasi otto miliardi di esseri umani e di innumerevoli apparecchiature costruite per rendere più comoda la loro vita.

Questo è un punto molto importante per la comprensione della reale situazione in cui ci troviamo. Il livello raggiunto di deterioramento della biosfera non è addebitabile all’egoismo o alla cattiva volontà di una determinata categoria di persone (politici, industriali, finanzieri o altri rappresentanti delle élite dominanti). Su questo argomento si veda il mio articolo “Il vero responsabile”, nel quale ho cercato di chiarire come tutti noi, esponenti della specie umana, generazione dopo generazione, abbiamo contribuito con ritmi crescenti a determinare quello squilibrio ambientale che mette oggi a rischio la vita sul pianeta.

Credo che da qui si debba partire per cercare di costruire una ideologia credibile e largamente condivisa. Ogni altra ipotesi non può che scivolare inevitabilmente nel tanto deprecabile “complottismo”.

La barriera che si è frapposta tra la grande maggioranza della popolazione e un ridotto numero di “antagonisti ideologici” deriva dal fatto che questi ultimi non accettano la realtà per quella che è, ma si ostinano a vedere nemici da combattere ad ogni angolo di strada.

Così non si va da nessuna parte, si rimane imprigionati in un recinto ideologico ben delimitato, una sorta di riserva indiana dove un minuscolo manipolo di contestatori non disturba più di tanto i visi pallidi che costruiscono ferrovie e scavano miniere.

Vediamo dunque su quali basi si dovrebbe invece fondare il movimento unitario preconizzato da Di Gregorio, quella Internazionale Ecologista in grado di incidere realmente sui destini dell’umanità.

Per una nuova grande rivoluzione culturale” è il titolo della Conclusione del mio già citato libro, che riprende concetti espressi in un articolo pubblicato nel 2018 su Effetto Cassandra.

Qui la rivoluzione da attuare è vista come terza dopo altre due che hanno scosso dalle fondamenta i convincimenti su cui poggiavano le società del passato.

L’individuazione di queste due rivoluzioni è di per sé assai significativa rispetto a come si debba prospettare la terza in fase di gestazione.

Perché le prime due non sono né il pensiero socratico, né l’avvento dei monoteismi, né il Rinascimento o l’Umanesimo, e neppure le grandi rivoluzioni del XVIII secolo (quella industriale e quella francese). Men che meno il formarsi degli stati nazionali o le ideologie che hanno agitato il XX secolo. Tutti questi sommovimenti hanno semplicemente costituito altrettante tappe del cammino umano verso il baratro.

La prima vera grande rivoluzione culturale si avverò nel 1543, quando Niccolò Copernico pubblicò il suo trattato “Sulle rivoluzioni delle sfere celesti”.

D’un tratto la centralità cosmica della Terra, conseguente alla superiorità universale dell’essere umano, fu spazzata via a favore della corretta visione planetaria, secondo la quale il nostro corpo celeste è uno degli infiniti esistenti, e certamente non tra i maggiori.

La seconda grande rivoluzione culturale si produsse nel 1859 e fu anch’essa conseguenza della pubblicazione di un libro, “L’origine delle specie” di Charles Darwin.

Il mito dell’essere umano creato direttamente da Dio (e forgiato a sua immagine e somiglianza) crollò di colpo lasciando il posto alla più realistica e verificabile teoria evoluzionista.

Da notare che entrambi questi due ribaltamenti epocali avvennero silenziosamente, senza il clamore delle folle che di norma accompagna le pseudo-rivoluzioni che ribaltano le classi al potere senza modificare il corso della storia.

Questa constatazione deve farci capire come i veri cambiamenti non avvengano a furor di popolo e in vista di nuovi assetti politici, bensì siano conseguenza di idee destinate ad aprire gli occhi della gente (a iniziare dalle élite culturali) sulla nostra reale dimensione di piccoli abitanti di un piccolo pianeta.

Ma da questo punto di vista la seconda rivoluzione, quella darwiniana, è da considerarsi incompleta. Ha desacralizzato l’essere umano, svelando la sua discendenza da una famiglia di primati anziché da Dio onnipotente, ma lo ha mantenuto al vertice del regno animale in virtù della sua superiorità intellettuale.

Compito della nuova rivoluzione culturale deve quindi essere quello di rivelare all’uomo la nocività di questa sua indiscussa superiorità intellettuale al fine del mantenimento dell’equilibrio globale della biosfera.

Personalmente affido il Cancrismo all’attenzione di tutti coloro che intendono promuovere questo “terremoto” culturale e chiedo ai miei lettori di immaginare come si trasformerebbe la nostra società se tutti, classi dirigenti e non, si convincessero di essere cellule tumorali maligne di quell’ “[…] animale animato e intelligente […]” che, secondo Platone (Timeo, 30b), è il nostro mondo (e questo ben 2.500 anni prima dell’ipotesi Gaia di James Lovelock!).

Si tratta di semplici spunti per un progetto da approfondire collegialmente da parte di tutti coloro che hanno a cuore la sopravvivenza della vita sul pianeta. La rivelazione di realtà occulte ha consentito in passato di sfatare convincimenti erronei forieri di tanti danni alla biosfera (i nefasti miti sulla superiorità della razza umana). Una nuova decisiva rivelazione sulla limitatezza e nocività di tale superiorità potrà forse convincere una platea ancor più vasta di uditori a modificare i propri atteggiamenti predatori nei confronti della natura.


mercoledì 16 dicembre 2020

Apologia dell'Apofatismo: Discutendo la Teologia Negativa

Di Bruno Sebastiani

Apofatismo, chi era costui? Non pensate di essere ignoranti se non conoscete il significato di questa parola. È talmente in disuso che oramai credo che ben pochi la conoscano.

E allora ricorriamo a Santa Wikipedia, che ci dice che 


L'apofatismo (dal greco ἀπό φημί che significa letteralmente “lontano dal dire”, “non dire”) è un metodo teologico secondo il quale la comprensione della natura di Dio non può essere espressa a parole.

In quest'ottica, l'approccio più adeguato a Dio è quello che prevede il silenzio, la contemplazione e l'adorazione del mistero, prescindendo cioè da qualsivoglia processo di speculazione o indagine discorsiva dell'essere divino.

Nelle forme più radicali l'apofatismo può implicare non solo che non vi siano argomenti per descrivere appropriatamente Dio, ma che Egli sia del tutto inconoscibile dalla ragione, perché trascende le capacità cognitive umane e la stessa realtà fisica.

Anch’io ignoravo questa corrente della cosiddetta Teologia negativa sino a che mi ci sono imbattuto nell’ambito della ricerca di materiale per il nuovo libro che sto scrivendo.

In questo nuovo scritto (che avrà per titolo “Rivelazione – Discorso alle cellule malate” e che vedrà la luce non si sa quando) cercherò di spiegare all’uomo che è inutile che si affanni a tentare di risolvere tutti i problemi del mondo e a cercare una spiegazione per ogni questione: il suo cervello è limitato, oltre un certo limite non può andare e se tenta di farlo può solo combinare disastri, come puntualmente stiamo constatando.

Ma questo concetto non è del tutto analogo a quello degli asceti “apofatici”, che sostenevano la limitatezza della ragione umana e la sua incapacità a sondare l’origine dell’universo?

Essi chiamavano comunque Dio questa realtà irraggiungibile e, pur dichiarandola inconoscibile, poi affidavano alla fede il seguito del discorso.

Può sembrare un atteggiamento contraddittorio, ma dobbiamo considerare il contesto storico e sociale in cui questi uomini vivevano. In ogni caso il loro approccio alle verità ultime era ben diverso da quello dei rappresentanti del “catafatismo”, o teologia affermativa, che ritenevano conoscibile Dio attraverso l’uso dell’intelletto.

Questi ultimi, come noto, prevalsero e sdoganarono la ragione come strumento di indagine, prima teologica e poi scientifica, sino a quando essa si ribellò ai vincoli dei dogmi, si autodichiarò dea e salì all’onore degli altari rivoluzionari.

Ma, per tornare ai rappresentanti dell’apofatismo, mi immagino che essi si sedessero in muta contemplazione della natura, del cielo, del mare, del bosco e si sentissero tutt’uno con questa realtà. La conoscevano “visceralmente” e per essi era inconoscibile “razionalmente”.

Non l’avrebbero mai deturpata disboscando e cacciando più del minimo necessario alla loro sopravvivenza. A questi santi anacoreti, eremiti, padri del deserto ho dedicato un apposito capitolo del mio libro “Il cancro del pianeta consapevole” e a quelle pagine rimando per ogni approfondimento.

Ma in quel libro avevo anche esteso la ricerca di correnti di pensiero “apofatiche” alle realtà spirituali di altri continenti.

Una di queste, il Taoismo, mi pare la più esplicita al riguardo e, al fine di renderla ancor più esplicita, mi ero permesso di parafrasare il primo capitoletto del Tao Te Ching in modo da renderlo più comprensibile alla mentalità dell’uomo d’oggi. Credo di non aver tradito lo spirito del messaggio che l’antico ignoto estensore del testo aveva inteso indirizzare ai suoi contemporanei. Se così è, credo di aver realizzato una discreta sintesi dell’Apofatismo. Ma lascio ai lettori di giudicare:

 

Il capitolo introduttivo del Tao Te Ching, libro base del Taoismo, recita:

 

1.            Il Tao di cui noi possiamo parlare non è il Tao in se stesso.

2.            Anche attribuendogli qualsiasi nome non sarà l’eterno nome.

3.            Non ha nome poiché è anteriore al Cielo e alla Terra:

4.            Ha un nome perché è chiamato “la Madre di ogni cosa”.

5.            Come non essere possiamo definirlo il nascosto Seme di tutto l’esistente:

6.            Come essere rappresenta l’ultimo Fine a cui tende questo stesso esistente.

7.            Sia il Seme che il Fine sono aspetti di uno stesso Principio.

8.            Il Principio è chiamato Mistero!

9.            Mistero di tutti i misteri!

10.         La soglia dell’inafferrabile!”

 

Così nella traduzione di Chin-Hsiung Wu e Rosanna Pilone in “Quaderni di Civiltà Cinese”, anno 1 numero 2, Milano, settembre 1955, p. 143. Altri hanno tradotto in modo un poco differente.

 

Ma, al di là dell’ermetismo del testo, il significato credo che possa essere il seguente:

 

1.          I segreti dell’Universo non possono essere da noi neppure immaginati e quindi, tantomeno, definiti.

2.         Qualunque descrizione noi si faccia di tali segreti con le parole, non potrà mai essere una descrizione che rispecchi la realtà.

3.          Le parole sono un’invenzione del cervello dell’uomo, ma questi non può attingere alle realtà supreme, che tanto lo precedono e lo sopravanzano.

4.          Eppure l’uomo ha voluto dare un nome ad ogni cosa, ed ha pensato di poter definire anche l’origine dell’Universo.

5.          E mentre prima poteva attingere alle realtà supreme senza far ricorso all’uso del cervello, ma semplicemente contemplando in silenzio l’Universo

6.          Ora, schiavo dell’uso del cervello, non può che vedere cose particolari, così come egli le ha definite.

7.          L’Universo è sempre il medesimo

8.          Ma per il cervello umano esso è Mistero

9.          Il Mistero di tutti i misteri

10.        Che il nostro cervello non può afferrare!

Può servire qualche riflessione a cambiare il corso degli eventi? Non lo so, ma quello che so per certo è che il corso degli eventi volge al peggio e ogni tentativo per cambiarlo è il benvenuto.