Di Bruno Sebastiani
Apofatismo, chi era
costui? Non pensate di essere ignoranti se non conoscete il significato di
questa parola. È talmente in disuso che oramai credo che ben pochi la
conoscano.
E allora ricorriamo a Santa Wikipedia, che ci dice che
L'apofatismo (dal
greco ἀπό φημί che significa letteralmente “lontano dal dire”, “non dire”) è un
metodo teologico secondo il quale la comprensione della natura di Dio non può
essere espressa a parole.
In quest'ottica,
l'approccio più adeguato a Dio è quello che prevede il silenzio, la
contemplazione e l'adorazione del mistero, prescindendo cioè da qualsivoglia
processo di speculazione o indagine discorsiva dell'essere divino.
Nelle forme più radicali l'apofatismo può implicare non solo che non vi siano argomenti per descrivere appropriatamente Dio, ma che Egli sia del tutto inconoscibile dalla ragione, perché trascende le capacità cognitive umane e la stessa realtà fisica.
Anch’io ignoravo
questa corrente della cosiddetta Teologia negativa sino a che mi ci sono
imbattuto nell’ambito della ricerca di materiale per il nuovo libro che sto
scrivendo.
In questo nuovo
scritto (che avrà per titolo “Rivelazione – Discorso alle cellule malate”
e che vedrà la luce non si sa quando) cercherò di spiegare all’uomo che è inutile
che si affanni a tentare di risolvere tutti i problemi del mondo e a cercare una
spiegazione per ogni questione: il suo cervello è limitato, oltre un certo
limite non può andare e se tenta di farlo può solo combinare disastri, come puntualmente
stiamo constatando.
Ma questo concetto
non è del tutto analogo a quello degli asceti “apofatici”, che sostenevano la
limitatezza della ragione umana e la sua incapacità a sondare l’origine dell’universo?
Essi chiamavano
comunque Dio questa realtà irraggiungibile e, pur dichiarandola inconoscibile,
poi affidavano alla fede il seguito del discorso.
Può sembrare un
atteggiamento contraddittorio, ma dobbiamo considerare il contesto storico e
sociale in cui questi uomini vivevano. In ogni caso il loro approccio alle
verità ultime era ben diverso da quello dei rappresentanti del “catafatismo”, o
teologia affermativa, che ritenevano conoscibile Dio attraverso l’uso dell’intelletto.
Questi ultimi, come
noto, prevalsero e sdoganarono la ragione come strumento di indagine, prima
teologica e poi scientifica, sino a quando essa si ribellò ai vincoli dei dogmi,
si autodichiarò dea e salì all’onore degli altari rivoluzionari.
Ma, per tornare ai
rappresentanti dell’apofatismo, mi immagino che essi si sedessero in muta
contemplazione della natura, del cielo, del mare, del bosco e si sentissero
tutt’uno con questa realtà. La conoscevano “visceralmente” e per essi era
inconoscibile “razionalmente”.
Non l’avrebbero mai
deturpata disboscando e cacciando più del minimo necessario alla loro
sopravvivenza. A questi santi anacoreti, eremiti, padri del deserto ho dedicato
un apposito capitolo del mio libro “Il cancro del pianeta
consapevole” e a quelle pagine rimando per ogni approfondimento.
Ma in quel libro avevo
anche esteso la ricerca di correnti di pensiero “apofatiche” alle realtà spirituali
di altri continenti.
Una di queste, il
Taoismo, mi pare la più esplicita al riguardo e, al fine di renderla ancor più
esplicita, mi ero permesso di parafrasare il primo capitoletto del Tao Te Ching
in modo da renderlo più comprensibile alla mentalità dell’uomo d’oggi. Credo di
non aver tradito lo spirito del messaggio che l’antico ignoto estensore del
testo aveva inteso indirizzare ai suoi contemporanei. Se così è, credo di aver
realizzato una discreta sintesi dell’Apofatismo. Ma lascio ai lettori di
giudicare:
Il capitolo
introduttivo del Tao Te Ching, libro base del Taoismo, recita:
1. Il Tao di cui noi possiamo parlare
non è il Tao in se stesso.
2. Anche attribuendogli qualsiasi nome
non sarà l’eterno nome.
3. Non ha nome poiché è anteriore al
Cielo e alla Terra:
4. Ha un nome perché è chiamato “la
Madre di ogni cosa”.
5. Come non essere possiamo definirlo
il nascosto Seme di tutto l’esistente:
6. Come essere rappresenta l’ultimo
Fine a cui tende questo stesso esistente.
7. Sia il Seme che il Fine sono aspetti
di uno stesso Principio.
8. Il Principio è chiamato Mistero!
9. Mistero di tutti i misteri!
10. La soglia dell’inafferrabile!”
Così nella
traduzione di Chin-Hsiung Wu e Rosanna Pilone in “Quaderni di Civiltà Cinese”,
anno 1 numero 2, Milano, settembre 1955, p. 143. Altri hanno tradotto in modo
un poco differente.
Ma, al di là
dell’ermetismo del testo, il significato credo che possa essere il seguente:
1. I segreti dell’Universo non possono
essere da noi neppure immaginati e quindi, tantomeno, definiti.
2. Qualunque descrizione noi si faccia
di tali segreti con le parole, non potrà mai essere una descrizione che
rispecchi la realtà.
3. Le parole sono un’invenzione del
cervello dell’uomo, ma questi non può attingere alle realtà supreme, che tanto
lo precedono e lo sopravanzano.
4. Eppure l’uomo ha voluto dare un nome
ad ogni cosa, ed ha pensato di poter definire anche l’origine dell’Universo.
5. E mentre prima poteva attingere alle realtà supreme senza far ricorso all’uso del cervello, ma semplicemente contemplando in silenzio l’Universo
6. Ora, schiavo dell’uso del cervello,
non può che vedere cose particolari, così come egli le ha definite.
7. L’Universo è sempre il medesimo
8. Ma per il cervello umano esso è
Mistero
9. Il Mistero di tutti i misteri
10. Che il nostro cervello non può
afferrare!