sabato 10 ottobre 2020

Lo Scienziato e l'Onorevole. Un Racconto in Memoria di Toufic El Asmar

 


Questa storia l'avevo scritta nel 2007 e pubblicata sul blog della sezione italiana dell'associazione per lo studio del picco del petrolio (ASPO). Non menzionava direttamente Toufic El Asmar che ci ha lasciato pochi giorni fa. Ve la ripropongo oggi come un omaggio alla sua memoria e anche una testimonianza di un tempo in cui si organizzavano dibattiti e riunioni sul cambiamento climatico in cui si presumeva che gli scienziati avessero qualcosa da insegnare al pubblico e ai politici. Bei tempi, quelli! Ma ormai passati da un pezzo. Nella foto, Toufic a un convegno ASPO tenuto a Firenze nel 2007. Gli eventi descritti qui sono realmente avvenuti, ma ovviamente i pensieri dei protagonisti sono una mia interpretazione.


L’onorevole è un uomo dai capelli bianchi, ancora ben portante. Per la verità, è un ex-onorevole, ma non sono passati molti anni da quando sedeva in parlamento a Roma e lui tiene ancora molto al suo titolo. Normalmente, ai convegni ci va quando lo invitano. Arriva, fa il suo intervento e poi sparisce per qualche altro impegno. Stavolta, però, è arrivato come spettatore; incuriosito da questo convegno sui cambiamenti climatici che si tiene per caso vicino a casa sua. Si siede in prima fila; proprio davanti al tavolo degli oratori.

Lo scienziato è sulla quarantina. Di origine medio-orientale, ha vissuto anche in Africa. Ha visto tempeste, siccità, carestie, e invasioni di locuste. Ha visto la guerra e l’ha anche combattuta lui stesso. Ma è anche una persona che ha studiato molto e conosce bene il suo argomento. Si siede al tavolo degli oratori e parla mentre mostra diapositive sullo schermo dietro di lui.

Appena lo scienziato comincia a parlare, l’onorevole si sente a disagio. Questa storia del riscaldamento globale, l’onorevole ne ha sentito parlare. Sa che è una storia inventata, un complotto di catastrofisti esagitati, gente che vuole distruggere l’economia con questa stupidaggine del protocollo di Kyoto. Forse anche l’aspetto medio-orientale dello scienziato gli da fastidio. Non sarà mica uno di quei terroristi islamici?

Quando lo scienziato parla della concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera di diecimila anni fa, l’onorevole non riesce a trattenersi. Fa un gesto di stizza e sbotta a voce alta, “Ma lei cosa ne sa? Lei c’era?”

C’è un momento di silenzio nella sala. L’onorevole e lo scienziato sono uno di fronte all’altro, si guardano negli occhi a pochi metri di distanza. Per un attimo, lo scienziato considera se è il caso di rispondere a tono; ma poi si trattiene. Non vuole rispondere male a una persona dai capelli bianchi. “Sto solo presentando i dati” dice, e continua la sua esposizione con calma.

Ripartono le diapositive sullo schermo. La temperatura aumenta, i disastri ambientali anche. Le ultime estati hanno battuto tutti i record, uno dopo l’altro. Sono dati su dati che si accumulano: il riscaldamento globale non è una teoria, è un fatto. I danni che ha fatto e che ci sta facendo sono altrettanto un fatto e ci si aspetta che le cose vadano a peggiorare presto.

Mentre parla, lo scienziato guarda l’onorevole. Si rende conto che le sue parole hanno un effetto. L’onorevole è impressionato; queste cose non le aveva mai sentite dire prima. Si agita sulla sedia e addirittura arrossice. Si rende anche conto che nessuno in sala ha apprezzato la sua interruzione. Tutti lo hanno considerato un maleducato.

Finito il convegno, lo scienziato se ne torna a casa. Lo scontro lo ha un po’ scosso e gli è dispiaciuto aver messo in imbarazzo quell’uomo dai capelli bianchi. Non lo aveva mai visto prima; gli hanno detto che è un onorevole. E’ possibile che non sapesse veramente niente del cambiamento climatico? E’ possibile che in parlamento nessuno sappia queste cose? Eppure sono i parlamentari che prendono le decisioni su cose come queste; cose importantissime per tutti . . . No, non è possibile che siano così ignoranti.

L’onorevole se ne torna a casa in silenzio. Rimugina su quello che ha sentito. Quelle cose che ha fatto vedere quello scienziato gli hanno fatto impressione; diceva anche che peggioreranno; mah? Certo, un inverno così caldo non se lo ricordava in tutta la sua vita; anche questo gli fa un po’ impressione.

A casa, l’onorevole si siede in poltrona e accende la TV. Con il telegiornale, si sente subito rincuorato. Questa faccenda del cambiamento climatico non può essere così importante se nessuno ne parla in televisione. Al diavolo queste assurdità sul clima: tutte balle, evidentemente.

 

giovedì 8 ottobre 2020

Toufic El Asmar (1964-2020): Una Vita per la Scienza e per l'Ambiente

 

Toufic El Asmar (a destra nella foto) e Ugo Bardi davanti a un impianto solare a Colonia, in Germania.

Toufic El Asmar ci ha lasciato ieri. Molti lettori di questo Blog lo conoscevano e sapevano che stava male da tempo, così questa è la conclusione di una lunga e triste odissea. 

Ce lo ricorderemo per le tante cose che ha fatto per l'ambiente e per la scienza, in primis il trattore elettrico "RAMSES" che è stata un po' la sua creatura, Ma lui ha fatto anche molto di più per l'energia solare e per l'agricoltura in Africa e in Medio Oriente. Speriamo ora di poter rimettere in funzione il trattore RAMSES anche in onore alla sua memoria.

Il funerale è domani pomeriggio (9 Ottobre) alle 15:30 a San Miniato al Monte a Firenze.



domenica 4 ottobre 2020

L’almanacco della contea di sabbia e l’ecologia


Post di Luciano Celi

Ho appena chiuso l’ultima pagina di Pensare come una montagna. A Sand County Almanac, Piano B edizioni. L’autore, Aldo Leopold, è considerato – non a torto, dopo aver letto il libro – uno dei padri dell’ecologismo d’oltreoceano. Non so per quale ragione l’editore abbia voluto lasciato il sottotitolo in inglese, ma, accostato al fascino di comprendere cosa si saprà leggendo queste pagine, accostata a questa “contea di sabbia” c’è una parola antica, “almanacco”, che rimanda a una serie di significati[1] tra i quali c’è quello di “diario” su cui si riportano notizie. Ebbene questo è in effetti un diario, un diario di osservazioni sparse che non esito, personalmente, a definire poetiche, nella più alta accezione del termine.

Leopold accosta con estrema semplicità ragionamenti dettati da una ecologia che definiremmo “pratica”, basata sull'osservazione, a momenti di grande afflato verso animali e piante con cui entra in contatto. Il suo sembra essere un “ecologismo integrale”: in Leopold il motore della sua voglia di conoscere e di quello che racconta in queste pagine è, come per ogni scienziato che si rispetti, la curiosità, ma anche l’amore, intenso e totale, per quel che osserva. Testa e cuore quindi, insieme, per conoscere e raccontare osservando.

I pensieri di Leopold sembrano scritti oggi (e invece la prefazione del libro ci dice che li scrisse prima del 1948, anno in cui tragicamente morì nel tentativo di spegnere un incendio) e questo ci fa ancora più impressione. Molti sono i punti in cui si potrebbe citarlo, ma, prendendone uno a caso, tra i molti sottolineati, cito:

"La conservazione è uno stato di armonia tra gli uomini e la terra. Nonostante quasi un secolo di propaganda, l’ambientalismo procede ancora a passo di lumaca; i suoi stessi progressi, la gran parte, si riassumono in buone intenzioni e dimostrazioni di oratoria. Facciamo ancora un passo avanti e due indietro. (p. 215)"

Personalmente è da quando avevo vent'anni che sento parlare di “educazione ambientale”: adesso che ne ho 50 mi pare che questa “educazione” abbia sortito scarsi effetti su coloro che nel frattempo, dopo di me, sono stati cresciuti e avrebbero dovuto sviluppare una “sensibilità” (ambientale) a seguito di questa educazione. A giudicare da come viene trattato il mondo intorno a noi, non si può che concordare con Leopold (“un passo avanti e due indietro”, ma a volte ho il sospetto che quelli indietro siano più di due), nonostante siano passati oltre settant'anni dal momento in cui vergò questa riflessione.

Nel libro, diviso in tre parti, non manca una lunga riflessione su un fenomeno che negli Stati Uniti aveva già preso piede: il turismo di massa, “mordi e fuggi”, nella “natura”. Una delle cose che mi impressionavano di più da ragazzo – e anche quando, in età più adulta, ho abitato a Torino – era “l’assalto alla montagna” operato dai comuni cittadini. Questi, tipicamente nel fine settimana, dovendo scegliere la gita di un giorno che non diventasse un’odissea di andata e ritorno dal mare della Liguria (il più vicino) o la montagna (l’arco alpino offre un certo numero di possibilità da Torino), optavano per quest’ultima. Ho avuto per diversi anni due stanze in affitto al confine sud (quello piemontese appunto) del Parco Nazionale del Gran Paradiso e… li vedevo arrivare.

In tono vagamente canzonatorio-dispregiativo li chiamavamo i “merenderos”: sulle proprie auto, accaldati, nonostante l’aria condizionata (ma il fenomeno era in auge già quando l’aria condizionata era ancora un optional nelle auto), in fuga dalla città bollente, arrivavano a mezza mattina, con il loro carico di masserizie e l’occorrente per tutti i comfort per il picnic fuori casa e… a due passi dall'auto, letteralmente sul ciglio della strada, in certi casi a respirare i gas di scarico di chi ancora saliva più su. Da un lato bene: meglio così che averli tutti tra i sentieri, magari a “dimenticare” cartacce o bottigliette di plastica in giro, ma comunque un triste spettacolo: la natura fruita solo per la mitigazione della temperatura dovuta alla quota e null'altro. Ricordo che durante quei fine settimana fuggivo/fuggivamo presto sui sentieri, prendendo quota in fretta, avvantaggiati dalla logistica dell’aver dormito lì dove loro tra poche ore sarebbero arrivati. Ci sentivamo in questo senso proprio come gli animali che scompaiono quando la densità umana si fa eccessiva (e chiassosa).

Altro che la wilderness agognata da Leopold! Proprio su questo l’autore cita il suo “padre spirituale” Henry David Thoreau, dicendo che la “natura selvaggia”, la wilderness, salverà il mondo. A più di un secolo e mezzo da quelle parole, nella triste considerazione dello stato in cui si trova oggi questa wilderness, possiamo essere certi – come in una equazione matematica – che il mondo non si salverà.

Già in questi scritti il tono di Leopold è drammatico: egli è perfettamente consapevole di quella che è la “macchina del progresso” in nome della quale tutto sembra essere sacrificato e sacrificabile: tutto ciò che è selvaggio viene considerato come “vuoto” o “inutilizzato” e quindi in definitiva inutile. Egli mostra come la prospettiva debba essere completamente rovesciata: ogni spazio non toccato del mondo è una risorsa e una ricchezza inestimabile e non quantificabile con il solo denaro, ma in quanti gli hanno creduto a suo tempo e gli sono andati dietro? Quanti lo fanno adesso? 

Le sue parole poi, nella contingenza del momento attuale e della cronaca che arriva da questa parte dell’oceano, suona non solo amara, ma come un vero e proprio canto di morte: gli Stati Uniti, nella costa ovest stanno letteralmente andando in fumo. I quotidiani online, i social e i servizi televisivi ci mostrano una realtà apocalittica, con cieli arancioni e “marziani”. Gli stati di California, Oregon e Washington sommano un totale di territorio andato in fumo pari all'Abruzzo.

Per finire, non manca qualche contraddizione – soprattutto ai nostri occhi “moderni” – nel libro: Leopold è sempre stato un convinto cacciatore e non ne fa mistero in queste pagine. Questo aspetto stride alle nostre orecchie, ma il suo pensiero non ne viene intaccato e anzi: forse proprio arrivando da quel mondo sembra avere ancora un maggior valore.

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[1] Tra questi vi è senz'altro, per chi è vecchio abbastanza, quello che rimanda all’“Almanacco del giorno dopo”, una trasmissione RAI che ha preceduto il telegiornale della sera dal 1976 al 1992. Per qualche informazione in più su questo “contenitore televisivo” che ebbe un certo successi, di veda la relativa voce Wikipedia.


martedì 29 settembre 2020

Bibbia e Olobionti: in un mondo dove più nessuno legge, proviamo a tornare alla comunicazione orale

 

 
Cliccando sull'immagine, o su questo link,  arrivate a un nuovo video che ho messo sulla mia pagina di Youtube. Si parla di sistemi compless, di Olobionti, e della storia biblica di Tamar e Judah. Cosa c'entrano queste cose messe tutte insieme? Per scoprirlo, dovete guardare il video
 
 
Dopo molte elucubrazioni, sono arrivato alla conclusione che la società "alfabetizzata" sta scomparendo. Non so cosa ne pensate voi, ma quasi tutti quelli che conosco non leggono ormai quasi più nulla salvo quegli spezzoni di frasi che gli arrivano nei vari social media. E dal livello grammaticale di certe conversazioni, si arriva a capire che stiamo lentamente, o forse rapidamente, perdendo quell'alfabetizzazione generale che veniva considerata una conquista qualche decennio fa. Sembra che la grande maggioranza o non sa leggere, o non gli interessa più.

Forse è una perdita, ma forse anche no. Siamo veramente sicuri che una società complessa non può esistere se la popolazione non sa leggere? Certamente, stiamo sviluppando dei metodi di comunicazione sempre più efficaci e che si basano sempre di meno sul testo. E quindi vediamo il dilagare di media come Youtube, mentre Facebook, ancora basato parecchio sul testo, sta chiaramente perdendo terreno. Forse, se Facebook dovesse essere sostituito da Youtube, non sarebbe poi un così gran danno. In fondo, nella storia umana, la frazione di persone capaci di leggere e scrivere è quasi sempre stata minuscola. 

Quindi, accettiamo le cose che non possiamo cambiare e andiamo avanti. Prendiamo atto che la gente non legge più e proviamo a comunicare oralmente. Qui vedete un mio tentativo di fare qualcosa del genere, producendo un video che è quasi tutto semplicemente parlato, senza immagini. E' una semplificazione voluta, ispirata in parte dai video di Roberto Mercadini (che anche lui spesso parla di Bibbia!)

Il risultato di questo tentativo è questo primo video (link) dove si parla di Bibbia e Olobionti (scusate per qualche glitch nell'audio). Vedete un po' cosa ve ne pare e commentate su Youtube, oppure qui, sul blog di Cassandra. 






giovedì 24 settembre 2020

Il Cancrismo e l'amore per la vita

 


Accusare l’uomo di essere il cancro del pianeta secondo alcuni può sottintendere una forma smisurata di misantropia se non addirittura di odio verso la vita in generale.

Nulla di più sbagliato per quanto riguarda il Cancrismo, la teoria che da anni mi sforzo di sostenere e di divulgare, che esprime invece la posizione opposta: l’odio per la forma deviata di vita che l’evoluzione abnorme del cervello ha indotto nella nostra specie nasce dall’amore più profondo e sviscerato per la vita, così come sul nostro pianeta si è sviluppata in milioni e milioni di anni.

Il secondo capitolo del mio libro “L’impero del cancro del pianeta” si intitola “La sinfonia della vita” e cerca di stabilire un parallelismo tra l’armonia regnante in natura e la maestosità delle composizioni dei più grandi musicisti. L’alterazione genica che ha provocato la nostra disgraziata crescita cerebrale è assimilata alle stonature che possono intervenire a seguito di errori interpretativi.

“[…] pensiamo cosa accadrebbe ad una sinfonia di Beethoven se qualche presuntuoso orchestrale decidesse da un certo punto in poi di sostituire ogni “la” con un “sol”, o ogni “do” con un “si”, o di effettuare modifiche ancor più cervellotiche.

L’armonia si spezzerebbe e il risultato sarebbe disastroso.

Ebbene è ciò che noi abbiamo fatto con la natura della biosfera. E la sinfonia della vita rischia ora di trasformarsi in un tragico concerto per la fine del mondo.”

Perché l’amore per la vita?

Essenzialmente per tre ordini di motivi.

Il primo motivo è di natura estetica. La contemplazione della natura, animata e inanimata, è fonte di godimento per la vista e per ogni altro senso che ne sia coinvolto. Non potrebbe essere diversamente, poiché anche noi siamo natura e i nostri canali “percettivi” si sono co-evoluti insieme a ogni altra componente del mondo naturale: sentiamo di farne parte e ne siamo attratti. Restiamo immobili e sbalorditi di fronte alla maestosità della foresta, al fascino del bosco, all’imponenza delle catene montuose, del mare e dinanzi a ogni altro fenomeno che accade al di fuori delle distese di cemento che ormai purtroppo ci circondano. La riprova di questo godimento estetico si ha proprio in relazione alla triste visione delle periferie urbane. Ma, attenzione! Anche da questo impietoso contrasto si può trarre qualche elemento a sostegno della tesi sin qui sostenuta. Taluni ammirano le forme ardite di alcuni edifici ultra-moderni e molti sono affascinati da antiche costruzioni (pensiamo alle cattedrali gotiche): ebbene, queste realizzazioni dell’ingegno umano appaiono tanto più godibili alla vista quanto più richiamano forme, spazi e armonie proprie del mondo della natura. Non profili squadrati e linee rette, ma curve sinuose e un’infinità di decorazioni che riportano alla mente la vegetazione rigogliosa della selva primordiale. Emblematiche al riguardo le opere di Gaudì e, ancor più vicino a noi, i palazzi del cosiddetto “bosco verticale” recentemente edificati a Milano. Qui la superiorità estetica del mondo della natura rispetto a quella del nostro mondo artificiale è addirittura sancita dal tentativo di inserire la prima nella seconda.

Il secondo motivo è di natura intellettiva. Ogni fenomeno della natura è per noi fonte di immenso stupore. Abbiamo le capacità cerebrali più elevate tra gli esseri viventi e osserviamo l’accadimento di fatti che non saremmo mai stati in grado di progettare e men che meno di realizzare. La più intima riprova di questa affermazione sta proprio nella nostra stessa esistenza. Siamo venuti al mondo inconsapevolmente e poi, quando è stato il nostro turno di dare la vita ad altri esseri, lo abbiamo fatto altrettanto inconsapevolmente. Siamo l’anello di una catena, il tramite per la concretizzazione di organismi ultra-complessi che accudiamo amorevolmente ma della cui realizzazione non siamo minimamente responsabili. E così pure osserviamo ogni altra manifestazione della natura, dallo sbocciare di un fiore all’opera delle api sino ai più complessi rituali amorosi delle varie specie viventi, il tutto finalizzato unicamente alla perpetuazione di quella stupefacente realtà che chiamiamo vita. Ciò per noi è fonte di incredula ammirazione e di affascinata contemplazione che non può fare a meno di tradursi in amore per tale realtà.

Il terzo motivo è di natura psicologica. Oltre ad essere soggetti “osservanti” noi siamo anche e soprattutto soggetti “senzienti”. Il che significa che riceviamo sensazioni di ogni tipo dal mondo esterno, le immagazziniamo nel nostro cervello e le traduciamo in emozioni, sentimenti, stati d’animo e così via, come accade per ogni specie animale. La gioia, il dolore, il piacere sono solo alcune tra le infinite manifestazioni che si possono produrre in noi dall’incontro – scontro tra il mondo della natura e la nostra psiche. Alcune di queste manifestazioni inducono dolore e sofferenza, ma si tratta di una parte minoritaria. Non possiedo dati statistici al riguardo e credo che nessuno ne abbia, ma facendo affidamento sul semplice buon senso ritengo che l’esistenza della maggior parte degli esseri umani (e assai di più di quelli non umani!) sia prevalentemente contraddistinta da condizioni di buona salute e quindi di benessere esistenziale. È una delle leggi dell’evoluzione: ciò che apporta vantaggi procede, ciò che apporta svantaggi retrocede. Una sensazione che rende bene l’idea di come la nostra vita (e quindi anche quella degli altri viventi) sia da amare è l’euforia che ci pervade a primavera, al risveglio di tutte le componenti del mondo della natura. Quello è il momento in cui la vita rinasce dopo il letargo invernale e mostra con maggior vigore la potenza che la pervade. Siamo trascinati da tale spettacolo, ne restiamo affascinati e queste sensazioni si traducono nel profondo amore che proviamo nei confronti della vita.

Questi motivi sussistono a prescindere dalla disgraziata opera di devastazione della natura che stiamo compiendo. Per un evento tanto fortuito quanto sfortunato la crescita abnorme del nostro encefalo ci ha trasformati in cellule tumorali della biosfera. Ma questa triste realtà non deve indurci a odiare ciò che stiamo distruggendo, come pare facciano gli adoratori della modernità. Città non è meglio di campagna. Cemento non è meglio di terra. Rumore non è meglio di silenzio. Solo un profondo amore per la vita e per la natura è alla base della teoria cancrista: se si sostiene il diritto dell’uomo a dominare e devastare la natura si è dalla parte del cancro; se si nega questo diritto si è dalla parte della vita.


sabato 19 settembre 2020

L'EPIDEMIA NEGLI STATI UNITI: TANTA POLITICA, MA COSA SUCCEDE VERAMENTE?


 
Ci stiamo avvicinando alle elezioni presidenziali del 3 Novembre negli Stati Uniti con la pandemia che continua a giocare un ruolo fondamentale nel dibattito. I dems non hanno nessuna remora a utilizzare il virus come alleato politico per demonizzare Trump, presunto responsabile di un genocidio pianificato a tavolino (vedi sopra, un attacco propagandistico tipico). Quanto a spaventare la gente, ci stanno riuscendo benissimo, con gli Americani che sovrastimano la mortalità da Covid di oltre un fattore 100! Ma può anche darsi che la strategia del terrore gli si rivolti contro se i loro elettori spaventati staranno a casa piuttosto che andare a votare (il problema si pone anche in Italia). 
 
Ma, a parte la propaganda cosa succede veramente negli USA? Se esaminiamo i dati, vediamo che la situazione non è così disastrosa come i media la dipingono e come molta gente in buona fede crede che sia. La mortalità negli Stati Uniti è molto simile a quella Italiana, ed è anche chiaramente in discesa. Quelli che leggono questo blog sanno che il meccanismo di diffusione delle epidemie segue la "Legge di Hubbert" e tende a mostrare delle "curve a forma di campana" per il ciclo di crescita e declino. E' quello che vediamo negli Stati Uniti, dove la curva ha la forma di un doppio picco che risulta dalla disomogeneità geografica della regione. In sostanza, l'epidemia se ne sta andando, come era ovvio che succedesse: nessuna epidemia dura in eterno. E questo potrebbe giocare a favore di Trump

Qui di seguito, un articolo che ho scritto per il sito  di "Pillole di Ottimismo" l' 11 Settembre 2020 (i grafici sono aggiornati)


 
 

Di Ugo Bardi -- Docente presso il dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze dove si occupa di modelli matematici applicati all'ecosistema e al cambiamento climatico. (1)

 Post pubblicato sul sito Facebook di "Pillole di Ottimismo" 11 Settembre 2020


 💊💊💊La pandemia negli Stati Uniti ha avuto fin dall'inizio un forte risvolto politico, con la sinistra democratica che accusa Trump di piani di sterminio e la destra repubblicana che agita lo spettro di una dittatura sanitaria. In realtà, se è vero che gli USA sono stati colpiti abbastanza pesantemente dal Covid-19, i danni non sono stati peggiori che in molti paesi Europei. Anche negli USA, l'epidemia sembra avviarsi verso la sparizione. Ma la polemica politica non finirà tanto presto! 💊💊💊

 

L'interpretazione politica della pandemia da Covid-19 è presente in tutti i paesi del mondo, incluso in Italia. Ma negli Stati Uniti ha portato a uno scontro particolarmente acceso fra repubblicani e democratici in vista delle elezioni presidenziali in arrivo a Novembre.

L'amministrazione del presidente Trump ha privilegiato fin dall'inizio le attività economiche rispetto a provvedimenti come lockdown, chiusure, eccetera. Abbiamo anche visto l'ala estrema "Libertarian" dei Repubblicani scendere a volte in piazza senza mascherina e imbracciando fucili automatici per protestare contro le restrizioni.

Dalla parte opposta, la sinistra democratica non ha usato mezzi termini nell'accusare Trump di piani di sterminio. Per esempio, a Marzo il "Daily Beast" parlava di 1,8 milioni di vittime del covid che avrebbero dovuto essere il risultato delle politiche dell'amministrazione Trump (2).

Questa polarizzazione politica è stata certamente aggravata dai media, che hanno fatto del loro meglio per disinformare i cittadini Americani con il loro sensazionalismo e la mancanza di scrupoli (10). Il risultato è stato disastroso: Secondo una recente inchiesta (3), la percezione media degli americani sovrastimava di oltre un fattore 200 (!!) il numero delle vittime dell'epidemia. Ovvero, la stima media fatta dagli Americani era di 30 milioni di decessi mentre il totale al tempo dell'inchiesta era meno di 150mila. Va detto che gli Europei non hanno fatto molto meglio (purtroppo mancano i dati per l'Italia).

Ma, a parte le esagerazioni dei media e la polemica esasperata, cosa è successo veramente negli Stati Uniti? Senza voler dire bene di Trump, che ha tutti i difetti che sappiamo, diciamo che l'epidemia negli USA non è andata peggio che in altri paesi.

I grafici dei decessi e dei casi giornalieri e dei decessi negli Stati Uniti sono mostrati in fondo a questo post. Vi raccontavo in un post precedente (4) di come l'andamento delle epidemie segue normalmente una curva "a forma di campana." La curva cresce rapidamente all'inizio, poi rallenta, inverte la tendenza, e alla fine va a zero. Questo è un andamento che si è visto bene in molti paesi europei. Negli Stati Uniti, si è visto qualcosa di simile, ma con due "campane" abbastanza separate, in corrispondenza a una prima e una seconda ondata. La seconda è stata molto meno intensa della prima in termini di mortalità giornaliera (5).

 



 Grafico 1 da https://www.worldometers.info/coronavirus/

Abbiamo visto anche una seconda ondata di "casi" intesi qui come numero di test positivi. 

 

Grafico 2 da https://coronavirus.jhu.edu/testing/individual-states,

Entro certi limiti queste due ondate negli USA somigliano al caso italiano, dove abbiamo visto recentemente un aumento del numero dei casi positivi. Ma ci sono delle differenze: in Italia, la seconda ondata non ha generato un aumento significativo dei decessi giornalieri. Negli USA, invece, l'aumento della mortalità era evidente già una settimana dopo l'inizio della tendenza all'aumento dei casi.

Questi andamenti differenti si spiegano abbastanza bene sulla base dei dati disponibili. In Italia, l'aumento dei casi positivi è correlato principalmente (anche se non soltanto) all'aumento del numero dei test. Negli Stati Uniti, invece, la seconda ondata è principalmente il risultato delle differenze geografiche.

In America, l'epidemia di Covid è arrivata prima nelle città della costa Est, che sono la zona più "Europea" degli USA. Lì ha seguito un ciclo di crescita e declino simile a quello che si è visto in Europa. Poi, si è diffusa negli stati centrali che sono un mondo diverso, socialmente ed economicamente. Qui, l'ondata del virus si è mossa più lentamente, formando appunto la seconda "campana" della curva.

E' chiaro che l'epidemia negli USA non è ancora finita, ma potete anche vedere che la seconda campana dei decessi ha avuto un suo massimo verso i primi di Agosto e ora è in evidente declino. Meno chiara la forma dei casi positivi ma, come sempre, sono numeri che dipendono dal numero dei test fatti. Se guardate il rapporto fra positivi e test, vedete che è in netto calo (6), un'altra indicazione che l'epidemia è in declino.

Estrapolando i dati disponibili sulla base del concetto di "curva a campana", la mortalità dell'epidemia negli USA si potrebbe assestare intorno ai 200mila decessi che, rapportato ai 330 milioni di abitanti corrisponde a circa lo 0.06% della popolazione. E' un valore praticamente uguale a quello dell'Italia con 35.000 morti su 60 milioni di persone. Nella classifica mondiale dei decessi rapportati alla popolazione, secondo "worldometer," gli Stati Uniti si piazzano al momento all'undicesimo posto. Fanno meglio di paesi Europei come l'Inghilterra, la Spagna, ed il Belgio.

Se però volete essere pessimisti, potete guardare le proiezioni di IHME (6) che parlano di circa 400mila decessi negli USA a fine anno nello "scenario corrente". Ma tenete conto che l'IHME usa modelli che si sono rivelati per niente affidabili (7). Infine, notate che ogni anno negli USA muoiono quasi tre milioni di persone per tutte le cause. Comunque vada, la mortalità dovuta all'epidemia di Covid-19 rimarrà ben al di sotto di questi valori.

A questo punto, dovremmo parlare delle misure di contenimento, argomento oggetto di infinite polemiche negli USA proprio come da noi. Qui, però, la storia è complicata con i 50 stati dell'Unione che hanno preso tutti misure diverse, in date diverse, con risultati diversi. I cosiddetti "Stati Rossi" (maggioranza repubblicana) hanno preso misure generalmente meno restrittive degli "Stati Blu" (maggioranza democratica), ma trovare una correlazione significativa con l'andamento dell'epidemia non è cosa ovvia. Ne sapremo di più quando il ciclo sarà veramente finito e -- soprattutto -- dopo le elezioni di Novembre.

Quello che possiamo dire è che l'epidemia ha fatto danni spaventosi all'economia degli USA (8). Una vittima illustre della contrazione è stata l'industria petrolifera americana, in particolare quella che si dedica all'estrazione del cosiddetto "petrolio di scisto" ("shale oil"). Questo petrolio è un elemento fondamentale della strategia che il presidente Trump ha chiamato "dominio energetico" ("enegy dominance"). Ma lo shale oil è una risorsa costosa e la contrazione della domanda ha messo in grave difficoltà i produttori. Per il momento, si legge solo di chiusure, licienziamenti, tagli alla produzione, e cose del genere. Non si sa se e come l'industria si potrà riprendere nel futuro, ma è probabile che la recente fase di crescita rapidissima della produzione petrolifera americana sia finita per un pezzo (9).

Il caso degli USA ha molti elementi interessanti anche per la nostra situazione, soprattutto per cercare di capire quale sarà l'effetto a lungo termine dell'epidemia sulla situazione politica e su quella economica. In ogni caso, è difficile aspettarsi cose buone dalle elezioni in arrivo con l'opinione pubblica così pesantemente frastornata dai media. Consoliamoci pensando che comunque vada l'epidemia sembra in calo nel mondo (4).

 

1. https://ugobardihomepage.blogspot.com/2016/04/ugo-bardis-personal-home-page.html
2. https://www.thedailybeast.com/trumps-crazy-coronavirus-math-will-kill-as-many-as-18-million-americans
3. https://www.kekstcnc.com/media/2793/kekstcnc_research_covid-19_opinion_tracker_wave-4.pdf
4. https://ugobardi.blogspot.com/2020/09/buone-notizie-dal-mondo-comincia-il.html
5. https://www.worldometers.info/coronavirus/country/us/
6. https://coronavirus.jhu.edu/testing/individual-states/usa
7. https://covid19.healthdata.org/united-states-of-america?view=total-deaths&tab=trend
8. https://www.cnbc.com/2020/08/27/us-gdp-q2-2020-second-reading.html
9. https://oilprice.com/Energy/Crude-Oil/US-Oil-Dominance-Is-Coming-To-An-End.html

 


domenica 13 settembre 2020

Carrelli del Supermercato in Plastica Colorata. Malvagità allo Stato Puro o Tecnologia Avanzata?

 

Quando mi sono trovato davanti questo aggeggio, l'ultima volta che sono stato a fare la spesa al supermercato, la prima impressione è stata di trovarmi di fronte a una manifestazione di malvagità allo stato puro - Sauron l'oscuro davanti a me nella sua livrea colorata di arancione. 

Cosa ci sarà mai stato di male nei vecchi carrelli d'acciaio, mi sono detto? L'acciaio si ricicla bene, anche se viene disperso nell'ambiente non causa grossi danni, poi, comunque ha un certo valore di scarto per cui c'è una certa convenienza a recuperarlo da parte di quelli che lavorano con i rottami di ferro. Perché sostituirlo con la plastica, anche se più bella e colorata?

Certo, sicuro, la parola magica è "riciclare" -- la plastica si ricicla. Si, in teoria, ma mentre l'acciaio ha un certo valore di scarto, la plastica no. Il riciclo della plastica è un costo che qualcuno si deve accollare. Ora, sicuramente il supermercato che ha acquistato questi carrelli non credo che li voglia buttare nei cassonetti. Questa roba dovrebbe andare normalmente al circuito dei rifiuti speciali, dove può darsi che venga riciclata oppure che venga avviata agli inceneritori. In ogni caso, nessun processo di riciclo della plastica è efficiente al 100%. Qualcosa va sempre perso e mi posso immaginare certamente di trovare qualcuno di questi bei carrelli arancioni in qualche bosco dove nessun ferrivecchi andra mai a recuperarlo. 

Poi, cosa vuol dire riciclare? Vuol dire che dalla plastica dei vecchi carrelli si fa granulato di plastica dal quale si possono fare altri oggetti di plastica. Di solito, la plastica riciclata ha un colore grigiastro molto brutto ed è di cattiva qualità per tante ragioni. Per questo, la si usa per oggetti di scarso valore, tipo cassette della frutta o vasi da fiori. Bene. Ma di questi oggetti, poi, cosa se ne fa? Ben che vada, finiscono in un inceneritore a produrre gas serra. Più probabilmente, finiscono dispersi nell'ambiente e ce li ritroviamo nelle cose che mangiamo. 

Questo vuol dire che fare dei carrelli di plastica è davvero il lavoro di Sauron l'oscuro? Forse no, c'è una logica nei carrelli di plastica. Potete ritenerla perversa ma è una logica -- o perlomeno ci potrebbe essere. 

Uno dei punti critici dei supermercati attuali è il "collo di bottiglia" delle casse, dove i clienti devono perdere un sacco di tempo a tirar fuori gli oggetti dai carrelli per poi rimetterceli. Avrete notato che hanno provato un sacco di metodi per evitare di dover fare questo "giro di cassa" (letteralmente) e poter finalmente licenziare le cassiere: scanner individuali, scontrino fai-da-te, e altre cose. Ma nessuno ha mai veramente funzionato. 

Allora, ecco l'ideona: la trovate scritta qui: https://www.polycartgroup.com/old/it/rfid.htm - nel futuro, tutti i prodotti venduti al supermercato avranno etichette RFID (Radio-frequency identification). L'etichetta RFID è un trasmettitore passivo: sottoposto a un segnale radio, ritorna un segnale che si può decodificare con un numero che corrisponde alla merce etichettata. A differenza del "bar code" l'RFID non deve necessariamente essere visto dal raggio laser maneggiato dalla cassiera. Il problema è che i carrelli di acciaio danno interferenze con le schede RFID, ed ecco la ragione del carrello in plastica. E' in preparazione all'etichettatura RFID. 

Ora, però c'è un problemino: da quello che ho letto su questo argomento, anche con le schede RFID non è che puoi semplicemente buttare tutta la spesa dentro il carrello e passare dal sensore. Le varie schedine interferiscono fra di loro e quindi devi comunque mettere ogni prodotto separatamente su un nastro che passa dal sensore. Se è così, tanto valeva utilizzare il carrello di acciaio.

A questo punto, è difficile dire se il carrello arancione in plastica sia un'idea intelligente verso un miglioramento tecnologico, oppure un'idea di marketing da quattro soldi ispirata da Sauron, il signore dell'oscuro. Quello che è certo è che il progresso tecnologico non va necessariamente verso un miglioramento dell'ambiente. 

Un'altra cosa certa è che si prospettano tempi duri per chi fa la cassiera/il cassiere al supermercato. Ma così va la vita: chissà se i robot-cassiere saranno di plastica o di acciaio?

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Nota aggiunta dopo la pubblicazione:
 
Non è che io voglio fare l'orco mangia-plastica. Ho telefonato alla Conad per sentire che politica di riciclo hanno con questi carrelli. La persona che mi ha risposto non ne aveva la minima idea. Le ho chiesto se c'è un ufficio relazioni con il pubblico, ma mi ha detto che non esiste. Le ho chiesto se potevo domandare a qualcuno, e mi ha detto "guardi sul nostro sito" -- le ho detto che avevo guardato, ma non avevo trovato niente. Al che mi ha detto, "provi a domandare al negozio dove ha visto quei carrelli" -- saluti e arrivederci. Beh, così vanno le cose.