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lunedì 28 settembre 2015

I Limiti della Crescita nell'Unione Sovietica e in Russia: storia di un fallimento

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR



Qui sopra potete vedere la registrazione completa di una lezione del 2012 data a Mosca da Dennis Meadows, uno degli autori del rapporto sui “Limiti dello Sviluppo” del 1972. E' lungo, più di un'ora, se non avete il tempo di guardarlo tutto, vi suggerisco di andare al minuto 21 e guardare Dennis Meadows che mostra questo libro:



Si intitola “Unione Sovietica nel sistema globale”. Secondo Meadows, negli anni 80, Viktor Gelovani, primo autore del libro, ha adattato all'Unione Sovietica il modello del mondo usato per “I Limiti dello Sviluppo” e lo ha fatto girare, scoprendo che l'Unione Sovietica stava per collassare. Poi, Meadows dice “è andato dalla dirigenza del paese e ha detto: 'la mia previsione mostra che non avete alcuna possibilità. Dovete cambiare le vostre politiche'. E i dirigenti hanno detto: 'no, abbiamo un'altra possibilità: tu puoi cambiare la tua previsione'”. 

L'aneddoto di Meadows è di fatto confermato da Rindzevičiūtė, che ha scritto un eccellente articolo che racconta la storia completa. Viene fuori che non è vero che “I Limiti dello Sviluppo" è stato ignorato in Unione Sovietica, come potrebbe sembrare dai documenti disponibili in occidente. Lo studio dei “Limiti” è stato tradotto in russo, anche se è stato distribuito solo in circoli molti limitati (generando, a proposito, un florido mercato nero, come descrive a pagina 6 Rindzevičiūtė). Diversi scienziati sovietici conoscevano molto bene lo studio, avevano contatti coi loro autori e diversi di loro hanno fatto uno sforzo considerevole per avvertire la dirigenza dell'Unione che il sistema stava per collassare. Non hanno avuto un gran successo, come dice Meadows nella sua conferenza. 

Teoricamente, si può pensare che la dirigenza sovietica avrebbe potuto vedere “I Limiti dello Sviluppo” come uno strumento di pianificazione utile. In linea di principio, avevano alcuni modi di mettere in pratica le raccomandazioni ottenibili dai modelli per evitare il collasso. Ma così non è stato. La reazione della dirigenza sovietica è stata la stessa di quella dell'occidente. Sia i dirigenti sovietici che quelli occidentali erano del tutto legati al concetto di “crescita ad ogni costo” e refrattari ai cambiamenti. Quindi l'avvertimento è stato ignorato da entrambi i lati della cortina di ferro. 

Un altro elemento enormemente interessante di questa storia è il modo in cui mostra che il collasso sovietico è stato sistemico. E' stato causato dalle enormi spesi militari e burocratiche che il settore della produzione dell'economia non era in grado di sostenere. In altre parole, sembra chiaro che non è stato causato da Mishka Mecheny (il matto Gorbaciov) o da un piano malvagio dei servizi segreti occidentali (anche se entrambi potrebbero aver giocato un ruolo). Nel complesso, qui abbiamo una conferma notevole della forza predittiva della modellazione del mondo: negli anni 80 è riuscita a prevedere il collasso di un grosso pezzo dell'economia mondiale. Un altro pezzo, persino più grande, sta collassando in questo momento. 

Un ulteriore punto interessante proviene dall'esaminare se l'attuale dirigenza russa ha imparato qualcosa dall'esperienza della vecchia Unione Sovietica. Apparentemente no, perché oggi non sembra esistere un dibattito serio sull'esaurimento dei minerali in Russia. La maggior parte dei russi sembra essere convinta che le loro risorse minerali siano abbondanti e di potervi attingere a volontà nel prossimo futuro. Quindi, l'esaurimento non è un problema di cui si devono preoccupare. 

La conferenza di meadow conferma questa impressione. Anche senza fare attenzione a quello che dice Meadows, guardate le facce e la postura del corpo dei giovani fra il pubblico – vengono di tanto in tanto mostrati nel video. Posso dirvi che negli anni ho sviluppato un certo livello di capacità telepatiche nel comprendere i sentimenti del pubblico. E vi posso dire che gran parte degli studenti che ascoltano Meadows non gli credono affatto – o così sembra a me (anche una mia amica russa ha detto che questo è stata “la conferenza più noiosa che abbia mai sentito”). Notate anche le domande sciocche e marginali che gli studenti hanno posto a Meadows alla fine della conferenza. Lui gli ha raccontato dell'arrivo della fine del mondo e loro gli chiedono se è conveniente investire nelle società che producono acqua... Ma dai!

Ma la mancanza di comprensione dei limiti della crescita in Russia non è niente di speciale. E' la regola in tutto il mondo. In più, la Russia in questo momento è in piena modalità di emergenza e la principale priorità dei russi è quella di salvare la loro economia dagli attacchi esterni. Non si possono biasimare se non hanno (e, probabilmente, non ne hanno bisogno) il gruppo di Cassandre che abbiamo in occidente, gente con i capelli bianchi che continua a raccontare cose oscure e terribili in arrivo e che nessuno ascolta. 

Con o senza Cassandre, la situazione in Russia potrebbe non essere così male. Dmitry Orlov ha descritto in che modo l'economia sovietica fosse meglio attrezzata dell'economia di mercato dell'occidente per adattarsi e sopravvivere al tipo di collasso sistemico descritto da “I Limiti dello Sviluppo”. Le stesse considerazioni potrebbero valere per l'attuale sistema russo. Quindi il futuro, come sempre, è opaco, ma se mi chiedete quale sarà la prossima economia a collassare, non scommetterei che sarà quella russa.



lunedì 22 giugno 2015

La geopolitica dei gasdotti: Nord Stream



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Guest post di Tatiana Yugay


Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha cercato di ridurre il transito di gas sul territorio ucraino. Per la Russia, l’Ucraina non è piu un partner energetico affidabile; le crisi del gas tra i due paesi nel 2006 e nel 2009 hanno rafforzato questa percezione.

La  Russia prevedeva di costruire due gasdotti per bypassare i paesi di transito pericolosi per la sicurezza della fornitura di gas. Uno di questi era il cosidetto "Nord Stream" e l'altro "South Stream". La costruzione dei gasdotti gemelli dovrebbe alleviare l'Europa dalla dipendenza pericolosa del transito del gas russo attraverso l'Ucraina, che aveva due volte bloccato la consegna dell'Unione europea.

Prima , "Gazprom" ha iniziato il progetto per costruire un gasdotto che collega direttamente la Russia e la Germania sotto il Mar Baltico.



Picture credit: http://rus.telegram.ee/wp-content/uploads/2013/07/nord-stream1.jpg

Il percorso è stato definito attraverso le zone economiche esclusive di cinque paesi — la Germania e la Russia, così come la Finlandia, la Svezia e la Danimarca. Nonostante le critiche dei paesi scandinavi e la forte resistenza di Polonia e Ucraina, tutti i documenti e permessi necessari erano stati finalmente ottenuti.

Ciononostante, la Polonia, la Bielorussia e i paesi baltici hanno lanciato una campagna rumorosa contro la pipeline. Nel 2006, il Ministro della Difesa  polacco Radek Sikorski ha chiamato il Gasdotto nordeuropeo il " Nuovo Patto Molotov-Ribbentrop", cosa che ha suscitato l'indignazione della Russia e della Germania. La Polonia insisteva sul fatto che la costruzione di un gasdotto terrestre attraverso il suo territorio, sarà più economica e non permetterà l'aumento della quota del gas russo in importazioni di gas totali in Europa. Quando  il governo polacco non era riuscito a portate la pipeline in Polonia, voleva cancellare il progetto, insistendo sul suoi diritti alle acque territoriali a sud dell'isola Bornholm, per questo in seguito era stato scelto il giro dell'isola da nord.

Il 9 Novembre 2009 il “Wall Sreet Journal” pubblicava un articolo intitolato  “The Molotov-Ribbentrop Pipeline". Alexandros Petersen, il direttore associato del Energy Center Eurasia presso il Consiglio Atlantico, scriveva che “Il messaggio geopolitico della Russia è chiaro: Essa non si fida dei nuovi Stati membri dell'Ue, come i paesi di transito o anche come i consumatori di energia ed è disposto a sostenere i costi enormi per aggirarli. L'altro messaggio o l'implicita minaccia è che il Nord Stream permetterà il Cremlino di tagliare le forniture di gas verso l'Europa orientale attraverso le condutture attuali senza ridurre le forniture di energia in Germania”

Anche Greenpeace e altre organizzazioni ambientaliste erano state contro il progetto: a loro parere, la costruzione del gasdotto disturberebbe le armi chimiche nel fondo del Mar Baltico e le mine navali, e potrebbe portare a un disastro ambientale. I rappresentanti di Nord Stream hanno sostenuto che la costruzione del gasdotto terrà conto delle norme ambientali più severe, e il percorso del gasdotto non influenzerà i siti dove erano scaricati i munizioni.

Alla fine, il consorzio Nord Stream è riuscito a dimostrare che la costruzione del gasdotto non causerà danni significativi per l'ecosistema del Mar Baltico.
Un esperto di sviluppo regionale nel'ex Unione Sovietica, Sergey Artemenko, ha detto già nel 2008: «E 'chiaro che con la sua posizione di transito, l'Ucraina sta cercando di creare un banale ricatto. Nel caso della costruzione del gasdotto onshore dalla Russia alla Germania attraverso i paesi di transito, come richiedono Estonia, Lituania, Lettonia e Polonia - ci saranno altri ricattatori. "

Ogni  paese cercherà di ottenere i prezzi più favorevoli di gas a seconda di dove transita. Tutti i discorsi circa la convenienza di un gasdotto terrestre possono risultare sbagliati e il gasdotto può eventualmente generare perdite, sia per la Russia e per i consumatori europei di gas, perché sara necessario di soddisfare primo di tutto gli appetiti per gas dei paesi di transito, e solo dopo di loro dei consumatori finali.

“Con questo gasdotto proveniente dalla Russia" spiega Marzio Galeotti, economista dell’Università di Milano "si raggiunge l’obiettivo di bypassare tutta una serie di Paesi, e in particolare la Polonia, ai quali innanzitutto sarebbero dovuti dei diritti di transito. Inoltre si neutralizza qualsiasi pretesa di veto o ancora peggio di blocco delle forniture, come accadde qualche anno fa con l’Ucraina per un altro gasdotto”.

Nonostante la forte resistenza dei paesi di transito e non-transito, Gazprom ha iniziato la realizzione del progetto. Il progetto è partito nel 1997 quando Gazprom e Neste, compagnia petrolifera finlandese, hanno creato il North Transgas Oy per la costruzione del gasdotto dalla Russia alla Germania del Nord attraverso il Mar Baltico. In  seguito, gli  azionisti del Nord Stream AG erano stati il Gazprom (51%), Ruhrgas (15,5%), Wintershall (15,5%), N.V. Nederlandse Gasunie (9%) e Gaz de France-Suez (9%).

Il Nord Stream ha goduto fin dal 2000 dello status di progetto prioritario europeo nel quadro delle Reti Trans-Europee dell'Energia (TEN-E dall'acronimo inglese), cioè è fra i progetti che l'Unione europea ritiene di fondamentale importanza per la sicurezza dell'approvvigionamento e il completamento del mercato interno.

La posa della prima conduttura era terminata il 4 maggio 2011, mentre i lavori sotto il livello del mare sono terminati il mese dopo. Il 6 settembre 2011 veniva immesso il gas per la prima volta nella prima conduttura. Il condotto veniva ufficialmente inaugurato dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, dal Presidente russo Dmitry Medvedev e dal Primo Ministro francese François Fillon l'8 novembre 2011 a Lubmin. La costruzione della seconda linea termina nell'agosto 2012 con inaugurazione l'8 ottobre.

Un ruolo fondamentale nel successo del progetto ha svolto l'alleanza personale del presidente russo Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. Nell'aprile 2005, aveva avuto luogo un incontro del presidente russo Vladimir Putin e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. Le parti hanno concordato la costituzione di società russo-tedesca, che avrà una quota di "Gazprom", l'azienda chimica tedesca BASF e società del gas E.ON Ruhrgas AG - una controllata di E.ON e il più grande azionista straniero di "Gazprom". L'accordo finale sul gasdotto è stato firmato da Putin e Schroeder nel settembre 2005. Dopo la sua dimissione dalla carica di Cancelliere della Germania nel 2006, Gerhard Schroeder ha servito come presidente del comitato degli azionisti della società.



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Secondo  Günther Oettinger, l'ex commissario europeo per l'energia dell'Ue, "Nord Stream è da tempo diventata un'infrastruttura europe. Il Nord Stream è stato accettato oggi". Tuttavia, la storia non era finita con il completamento del secondo ramo del gasdotto nel 2011. In precedenza, Nord Stream AG aveva l'intenzione di costruire due rotte in più per passare attraverso il Mar Baltico - arrivando nel Regno Unito e nei Paesi Bassi. Alla fine di ottobre 2014, l'Ue ha deciso di non estendere la sezione del gasdotto in Gran Bretagna nonostante il fatto che, secondo gli esperti, a causa della riduzione della produzione di gas nel Mare del Nord nel 2020, il paese dovrà ottenere il 70% del suo fabbisogno nel "combustibile blu" dalle importazioni. Un mese dopo, alla fine di gennaio 2015, anche il Gazprom ha abbandonato i piani per espandere Nord Stream al Regno Unito.

Aggiornamento:

Gazprom ha annunciato i piani per costruire due linee di un nuovo gasdotto con una capacità di 55 miliardi di metri cubi all'anno. Ciò potrebbe raddoppiare le forniture dirette di gas russo verso l'Europa. Il nuovo gasdotto avrà un percorso simile a Nord Stream. Il 18 giugno Gazprom, Shell, E.On e OMV hanno firmato un memorandum di intenti per creare le infrastrutture di trasporto del gas per garantire forniture dirette di gas della Russia per i consumatori europei.

Previous post:
La geopolitica dei gasdotti: Come la geopolitica entra nel gioco economico


venerdì 19 giugno 2015

La crisi Ucraina: se Atene piange, Sparta non ride.

di Jacopo Simonetta.

La guerra in Ucraina sta avendo effetti politici importanti e, sotto molti aspetti, sorprendenti.   Le analisi ed i pareri sono però molto più numerosi delle informazioni che, per la gente comune, rimangono confinate al campo delle opposte propagande.

Farsi un’idea realistica di cosa sia successo e di cosa stia accadendo è dunque quasi impossibile, così come immaginare i possibili sviluppi. Tuttavia, un aspetto importante di questo vasto corpo di letteratura, più o meno seria, sull'argomento è che si concentra sulle ragioni, reali o presunte, delle parti in conflitto.   Ma in guerra non vince chi ha ragione, bensì chi commette meno errori ed ho la sensazione che tutti ne stiano compiendo di catastrofici.

Apparentemente, nessuno tiene infatti in considerazione lo sgradevole fatto che l’umanità intera, e dunque tutti i paesi coinvolti nel conflitto, hanno iniziato la fase di impatto contro i Limiti della Crescita.    Ad esempio, senza essere un esperto di geopolitica, trovo assurdo parlare di una possibile nuova Guerra Fredda, senza tener conto di fatti come il picco petrolifero.

Dunque, anziché sostenere le ragioni di questo o quel contendente, vorrei qui tentare di avviare una discussione circa la situazione a partire dai tre punti seguenti:

1 – Il sistema socio-economico globale è entrato in una crisi irreversibile che porterà al collasso della civiltà industriale e ad un brutale ridimensionamento della popolazione umana mondiale.   Probabilmente la fase acuta del collasso comincerà fra 10-20 anni al massimo, ma non colpirà tutti i paesi allo stesso modo e nello stesso momento.  Un conflitto di ampia portata accelererebbe necessariamente il processo, non solo per il numero di morti nei bombardamenti, ma soprattutto per la distruzione di risorse ed infrastrutture che ben difficilmente potrebbero essere riparate o ricostruite.    In altre parole, i conflitti attuali e futuri in un modo o nell'altro finiranno, ma la ricostruzione sarà impossibile o molto parziale tanto per i vinti che per i vincitori.

2 – L’economia attuale è totalmente interconnessa.    Abbiamo visto come una crisi partita dagli stati Uniti abbia travolto l’Europa e quindi  la Russia , poi il Brasile e quindi il resto del mondo, fino a raggiungere la Cina.   Questo significa che il collasso di uno degli attori principali, trascinerebbe seco anche tutti gli altri.   Una situazione completamente opposta a quella che si verificava durante la guerra fredda.

3 – I metodi di guerra attualmente utilizzati dalle potenze di primo e secondo livello (quelli che possono usare aviazione, artiglieria e mezzi corazzati) sono quanto di più dissipativo sia mai uscito dalle officine umane.   Il loro impiego comporta  una distruzione di risorse, capitale reale ed informazione spropositatamente alto rispetto alla distruzione di persone.    Questo significa che, terminato il conflitto, la popolazione superstite si troverà in condizioni ancora peggiori di quelle che avevano scatenato la violenza.    Con l’alternativa di continuare a combattere con mezzi progressivamente più semplici, o attendere che la miseria ristabilisca l’equilibrio fra popolazione e risorse.

Dunque, precisando che le notizie di base di cui dispongo sono solo quelle inaffidabili dei media, vorrei pormi una prima domanda:   ad oggi che il fronte sembra nuovamente infiammarsi, chi ha perso?   Direi quasi tutti, ma non nella stessa misura.

Più di tutti, mi pare che abbiamo perso gli abitanti del Donbass.   Indipendentemente da come andrà a finire, si troveranno a vivere in una territorio devastato, con un’infrastruttura civile ed industriale a pezzi che nessuno avrà i mezzi, né l’interesse a ricostruire.   Sia la Russia che l’Ucraina hanno un’infinità di aree industriali più o meno diroccate in cui investire (se potessero); difficilmente lo faranno per delle zone che presumibilmente rimarranno vicine ad un confine conteso.    L’entità del danno si può arguire dall'importanza dell’esodo.   Per ora, dalla regione pare siano fuggite circa un milione di persone di cui circa un terzo verso ovest e due terzi verso est.   Dove siano finiti i primi non è dato sapere, ma ai secondi il governo russo offre la scelta fra Il Chukotka [territorio artico dello Stretto di Bering] o il Kamchatka, dove l’accoglienza è stata finora ben organizzata.   Ma aumentando il flusso di profughi, qui come altrove, l’atteggiamento dei residenti sta virando dalla solidarietà all'ostilità.

Poi, in ordine, direi che comunque ha perso l’Ucraina.   Ha perduto due delle sue regioni economicamente più importanti ed è quanto meno molto improbabile che le recuperi.    E se anche le recuperasse, sarebbero oramai un peso e non un aiuto.   Inoltre, la sua economia, già in bancarotta, sarà ancora per molto tempo schiacciata da spese militari che, comunque, non potranno mai permetterle di competere con il potente vicino.   Ancora peggio, il prevedibile peggioramento delle situazione economica e le sconfitte sul campo rischiano di portare al potere i partiti ultra-nazionalisti di ispirazione neo-nazista che, per il momento, fanno gran figura sulla stampa internazionale, ma rimangono elettoralmente marginali.

Al terzo posto, direi che viene la Russia, la cui situazione necessita di qualche parola in più.  Le vittorie sul campo consolidano infatti il suo governo, ma ne aumentano l’isolamento internazionale, a tutto vantaggio delle fazioni più nazionaliste.   Cosa che riduce i suoi spazi di manovra a livello politico e pregiudica i rapporti sia con gli stati satelliti, sia con le repubbliche a maggioranza non  russa attualmente comprese nella federazione.    Anche se ricorrono alla medesima retorica, vedo infatti una grande differenza fra il patriottismo sovietico (assolutamente transazionale e basato sull'adesione ad un comune credo politico) ed il nazionalismo russo attuale(basato soprattutto sulla comunanza linguistica e religiosa).     Sostenere che “la Russia è dove ci sono dei  russi” è un approccio estremamente pericoloso.   Inoltre, l’aver  sottratto all'Ucraina le due regioni più densamente popolate da russi (in parte già possessori di doppia cittadinanza) preclude definitivamente la possibilità che a Kiev torni  un governo filo-russo.

Sul piano economico,  il calo del prezzo del petrolio ha dato un colpo formidabile alla già traballante economia russa, la cui fase di recupero era già terminata da tempo.     Se il ribasso dei prezzi dovesse durare a lungo, o ripresentarsi con una certa frequenza, gli effetti sarebbero devastanti, favorendo per altra via i partiti estremisti, a danno dei rapporti con gli stati satelliti ed i compatrioti non russi.
Al momento, l’isolamento internazionale sta spingendo la Russia a cercare l’appoggio cinese.   Al di la dei toni della propaganda,  per il momento Pechino sostiene Mosca nella misura in cui questo infastidisce gli americani e permette a loro di ottenere contratti particolarmente vantaggiosi.   Non sarà mai la Cina a sostenere i diritti di una provincia ribelle.    Tuttavia, perdurando la situazione, il quadro potrebbe cambiare ed, effettivamente, spingere Mosca ad un sodalizio strutturale con Pechino, ma non credo che sarebbe una buona cosa per i russi.    Da quando la spinta colonizzatrice russa si esaurì nella carneficina della guerra russo-giapponese, i rapporti fra i due giganti sono sempre stati  complessi ed evitare un massiccio ritorno di popolazione cinese nell’estremo oriente russo è sempre stata  una preoccupazione per Mosca.    Una partita probabilmente già persa.   Attualmente, le stime dei residenti cinesi in Russia variano fra 200.000 e 3.000.000 il che, di per se, la dice lunga sul livello di controllo che le autorità russe riescono ad avere.

L’unica cosa sicura è che si tratta di una cifra in aumento, mentre i rapporti commerciali transfrontalieri  sono diventati anche più intensi di quelli con il remoto ovest del paese.    Una combinazione a mio avviso molto pericolosa, dal momento che un mix di penetrazione commerciale ed insediamento di consistenti comunità Han è esattamente la strategia con cui Pachino sta portando avanti la colonizzazione dei suoi satelliti.    Finora, i robusti rapporti politici e commerciali con l’EU avevano dato a Mosca una sponda per contrastare il fenomeno, ma d’ora in poi?

Un altro aspetto importante è che, per sviluppare con la Cina rapporti commerciali tali da sostituire quelli attualmente in atto con l’Europa, sarebbe necessario costruire da zero una rete di migliaia di chilometri di strade, oleodotti e gasdotti, con tutte le infrastrutture annesse e connesse.   Uno sforzo titanico che non è affatto detto che in un futuro dominato dai ritorni decrescenti sempre più sfavorevoli sia possibile.   Inoltre, questo genere di infrastrutture sono particolarmente vulnerabili sia ad attacchi militari che terroristici, oltre che al vicende climatiche quali lo scioglimento del permafrost e gli incendi che, sempre di più, stanno cambiando la geografia della Siberia.

Infine, credo che occorra tenere presente che la Russia, fra alterne vicende, è una potenza in declino, come l’Europa.   La Cina è viceversa l’unica potenza emergente a livello mondiale, alla disperata ricerca di spazi geografici, politici e commerciali per espandersi, pena declinare rapidamente a sua volta.   I rapporti fra i due non possono essere simmetrici.

Al quarto posto fra i perdenti viene l’Europa nel suo complesso, ma forse meriterebbe un terzo posto ex-equo con la Russia.   Il gelo dei rapporti con Mosca ha infatti conseguenze economiche negative importanti, ma ancor peggio di ciò, sta favorendo l’emergere di un insolito sodalizio tra formazioni di estrema destra e di estrema sinistra, accomunate dall'odio per l’Europa e dall'amore per una Russia variamente idealizzata.


La cosa non sarebbe preoccupante, se non si intrecciasse strettamente con la politica attualmente perseguita dai principali governi europei.   Politica tendente a ridurre le istituzioni europee a dei semplici passa-carte delle decisioni dei governi  delle nazioni principali, oltre che comodo capro espiatorio cui accollare responsabilità che, perlopiù , sono dei governi nazionali stessi.     In pratica, la vicenda Ucraina si inserisce in un contesto  in cui i partiti europei di maggioranza stanno attaccando la costruzione europea, senza volerla però distruggere del tutto.  Mentre molte opposizioni vogliono decisamente liberarsene e nessuno pare più trovare valore alcuno nella più innovativa iniziativa politica del XX secolo.    In questo quadro,  la fiammata di popolarità di cui Putin sta godendo  sia fra la destra che fra la sinistra europee potrebbe avere conseguenze molto gravi per tutti noi.

Fra i parziali vincitori, per ora, penso che si possano annoverare gli USA, la cui presa sul vecchio continente risulta rafforzata e, soprattutto,  la Cina.   Come ho accennato, per il momento questa sta facendo ottimi affari, ma in una prospettiva di medio periodo ha buone possibilità di satellitizzare lo storico avversario.   Una prospettiva estremamente preoccupante, considerando che una Cina capace di accedere liberamente alle residue risorse russe ed in grado di utilizzare il suo tuttora immenso potenziale militare diventerebbe un avversario potenzialmente in grado di imporre la sua egemonia a buona parte del pianeta.

Fin qui lo stato delle cose, ma quali le prospettive?   Molti vagheggiano un ritorno alla Guerra Fredda che, a quanto pare, ha molti nostalgici su entrambi i fronti della barricata.   Ma i tempi sono cambiati e con essi le prospettive.    Per capire quanto, suggerisco di considerare che, piaccia o non piaccia, il peso geo-politico di un paese è molto approssimativamente correlato con il suo potenziale industriale-militare.   Quindi, sempre molto approssimativamente, con la quantità di energia che riesce ad utilizzare e dissipare.    (I grafici sono estratti da un post di Paul Chefurka, il quale, a sua volta, li ha ricavati dai dati pubblicati dalla BP.   Il dato relativo alla Russia nel 1970 manca nell'originale e lo ho estrapolato molto indicativamente dai dati relativi alla Russia del 1990, data alla quale la produzione industriale russa era circa la metà di quella sovietica di 20 anni prima.)  

Dunque si può molto sommariamente arguire che nel 1970 la dissipazione di energia in USSR fosse poco superiore  a quella EU.   Circa la metà della somma USA+EU, ma con un potenziale militare pari (o forse superiore) per la molto maggiore percentuale di risorse che i sovietici devolvevano alle forze armate.   In ogni caso, la Cina era un nanerottolo termodinamico, di taglia addirittura inferiore a quella del Giappone e della sola Germania.


Si voglia confrontare la situazione nel 2013.


Il nanerottolo oggi è la Russia, mentre USA ed EU sono entrambe state surclassate dalla Cina, che non nasconde più le sue ambizioni imperiali su buona parte dell’Asia e dell’Africa.    Si noti anche che nel 1970 la maggior parte dei “magnifici 7” erano europei, mentre oggi sono asiatici e che il cosiddetto club dei “BRICS” è composto da una super potenza (la Cina) e da quattro "mezze cartucce” che, tutti insieme, non arrivano alla metà del “dragone”.    È ovvio che un eventuale sodalizio fra loro sarebbe, di fatto, il riconoscimento di un’egemonia cinese sugli altri stati, analogamente a quanto è avvenuto fra gli USA ed gli altri paesi occidentali.

Tornando ad un’ipotetica guerra fredda 2, potrebbe accadere se il mondo tornasse a dividersi in due blocchi di potenza industriale e militare circa equivalenti, cosicché nessuno dei due osi attaccare l’altro direttamente.   Allo stato attuale delle cose sembrerebbe possibile solamente se le due parti fossero USA +EU da un lato e Cina dall'altro.   Un “grande gioco” in cui  La Russia avrebbe delle buone opportunità facendo del cerchiobottismo fra i due schieramenti.   Per quanto industrialmente drasticamente ridimensionata, la Russia è infatti ancora una potenza militare di primo piano e dispone di risorse rilevanti.   Entrambi gli ipotetici schieramenti avrebbero quindi interesse a coltivarne l’”amicizia”.    Viceversa, se la scelta fosse  quella di attaccarsi stabilmente al carretto cinese, credo che la Russia finirebbe con il diventare, in buona sostanza, una colonia di Pechino.    Una specie di contrappasso storico, a 100 anni circa di distanza.

Ma non credo che questo sia uno scenario realistico, perlomeno non nell'immediato futuro.   Semplicemente perché la reciproca dipendenza economica tra tutte le parti in causa è troppo elevata affinché uno dei giocatori si possa permettere di buttare all'aria le carte.   Insomma, fra i tanti svantaggi della globalizzazione, ci sarebbe anche un vantaggio importante: il fatto di rendere praticamente impossibile una guerra mondiale.

Questo finché rimane in piedi il "Business As Usual".    Nonappena le curve dell’economia e della disponibilità energetica globali saranno abbassate in misura sufficiente, il sistema comincerà a disgregarsi, presumibilmente a partire dei livelli di complessità maggiori, per riorganizzarsi in sistemi  progressivamente più piccoli e meno dissipativi.

Il livello maggiore in assoluto è ovviamente quello globale, che già mostra segni evidenti di senescenza.    Subito dopo vengono i mega-stati o meta-stati: USA, Russia, EU, India e Cina.   Di questi, la Russia ha già subito un primo round di disgregazione e sembra quasi matura per un secondo.   India, Europa ed USA si contendono il posto di prossimo candidato ad un analogo destino, forse anche prima della Russia.   Anche la Cina non è poi quel monolite assoluto che cerca di sembrare, ma non c’è dubbio che la triade partito-esercito-polizia abbia per ora la situazione in pugno.   Finché questa triade non vacillerà, la Cina non si sfascerà.   Sembra quindi che un periodo di egemonia cinese su buona parte del mondo sia oramai ineluttabile.   Salvo che gli ci vorrebbero almeno altri 20 anni per arrivarci e probabilmente non ce li ha.    Personalmente, vedo infatti due grossi ostacoli verso l’affermazione di un “Impero Giallo Mondiale”.

Il primo è che in un mondo in cui la crescita economica è oramai da tempo un gioco a somma negativa, la crescita della Cina può avvenire solamente a spese degli altri paesi del mondo, soprattutto di USA e UE  (esattamente come è avvenuto nei 20 anni scorsi).   Ma abbiamo visto che il deterioramento delle economie occidentali danneggia anche quella cinese.   Dunque se la Cina vince troppo, rischia di andare a rotoli.

La seconda è che, se davvero l’evoluzione del sistema globale procederà come previsto, il collasso avverrà prima che la Cina abbia potuto consolidare il suo impero.   O , perlomeno, questo sarà di assai breve durata.
L’aspetto negativo è che, collassando il sistema globale, tutti i giocatori si troveranno ridimensionati, ma anche meno interdipendenti.  Di conseguenza, le probabilità di un conflitto ad elevata intensità aumenteranno considerevolmente.  Anche perché attaccare i paesi vicini potrebbe diventare la disperata alternativa allo scoppio di guerre civili.   In parecchi paesi, fra cui Russia ed USA, si direbbe che siamo già vicini a questo limite.

Dunque, per tornare al conflitto ucraino, se tutti i diretti interessati hanno già perso, ancor più sarà quello che perderanno se, come pare che vogliano fare, continueranno sulla strada attuale.   Trovare un ragionevole compromesso e saldare una coalizione anti-cinese  sarebbe, a mio avviso, l’unica ipotesi ragionevole tanto per la Russia, quanto per EU ed USA.   Questo non impedirebbe la loro disintegrazione, ma potrebbe permettergli di guadagnare tempo e di limitare i danni.

Ma non mi pare che sia questo l’orientamento in nessuna delle capitali coinvolte.


venerdì 13 marzo 2015

Come fanno gli imperi a cacciare gli orsi? Il controllo delle risorse naturali dall'antica Roma ai giorni nostri

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Cacciare l'orso russo si sta rivelando un'impresa molto difficile per l'impero globale. (Immagine da homesweethome). 


Probabilmente conoscete la barzelletta che comincia con questa domanda: “come fanno gli economisti a cacciare gli orsi?” La risposta è: “non lo fanno, ma sono convinti che se gli orsi vengono pagati bene si cacceranno da soli”. E' una buona illustrazione dello straordinario potere dei soldi. Non funziona tanto bene con gli orsi ma, se ben pagate, le persone si impegneranno in ogni sorta di attività disdicevoli e spiacevoli, compreso cacciare ed uccidere altri esseri umani.

La domanda sugli orsi può essere trasposta ad un'altra situazione. Sapete che gli imperi sono grandi strutture dedite alla raccolta di risorse dalla periferia per accumularle al centro. Ciò è, ovviamente, svantaggioso per la periferia. Così, come fanno le élite imperiali a convincere le persone che vivono nelle periferie a cedere loro le proprie risorse? La risposta è simile a quella della barzelletta sugli economisti e gli orsi: pagandole bene.

Questo punto ha bisogno di alcune spiegazioni e, come spesso accade, il passato ci da una guida per il presente. Consideriamo quindi il caso dell'Impero Romano, il cui ciclo conosciamo molto bene. I Romani avevano un metodo ben sviluppato e verificato per costruire l'impero. Per prima cosa, attaccavano e sconfiggevano un regno confinante. Poi procedevano a sterminare o rendere schiavi le élite locali. A quel punto, le sostituivano con una nuova élite parzialmente o completamente romanizzata per governare il territorio, da quel momento in poi chiamato “provincia”.

La caratteristica critica del sistema era che non poteva essere gestito solo dalla forza bruta, sarebbe stato troppo costoso. Così i Romani dovevano convincere le élite locali a fungere da esattori delle tasse per loro conto. Un'impresa non facile, in linea di principio, visto che le élite locali avrebbero potuto pensare che sarebbe stato più conveniente per loro tenere per sé tutte le tasse. Di tanto in tanto, infatti, le province si ribellavano per recuperare l'indipendenza. Per esempio, la sollevazione ebraica iniziata nel 66 D.C. in Palestina ha quasi avuto successo ed ha scosso l'impero dalle fondamenta. Ma, nel complesso, le provincie sono rimaste notevolmente silenziose fino alla fine dell'Impero Romano. Gli orsi erano stati accuratamente domati.

Come hanno fatto i Romani a tenere insieme il loro Impero così bene e per così lungo tempo? E' stata, ovviamente, una questione di controllo. Le entità che chiamiamo 'stati' (e le loro versioni più aggressive chiamate 'imperi') esistono perché il centro può controllare la periferia. Questo controllo assume varie forme ma, fondamentalmente, è il risultato del sistema finanziario: i soldi. Ai tempi dei Romani, le élite delle province venivano pagate con moneta romana per fungere da esattori delle tasse e potevano guadagnare valuta romana in altri modi, per esempio arruolandosi nell'esercito romana. Con la valuta Romana, avevano accesso ad ogni sorta di lussi disponibili nell'Impero e, in particolare, al gigantesco emporio di beni e servizi che era la stessa Roma. Era più sicuro per loro accettare la situazione piuttosto che imbarcarsi nell'idea difficile e rischiosa di cominciare una guerra contro il grande Impero Romano. In un certo senso, l'orso veniva pagato per cacciare sé stesso.

Il sistema ha funzionato bene per diversi secoli, finché l'impero poteva coniare soldi. Come ho sostenuto in un mio post precedente, la caduta dell'Impero Romano non è stata tanto una questione di perdita di risorse, ma di perdita di controllo. Quando i Romani hanno esaurito l'oro e l'argento delle loro miniere spagnole, hanno perso la capacità di creare valuta e non hanno potuto mantenere in funzione il sistema finanziario. Senza sistema finanziario non avevano modo di controllare il flusso di risorse dalla periferia al centro. I granai dell'Africa e dell'Asia che avevano fornito il cibo per i Romani collassarono per mancanza di manutenzione e, senza cibo sufficiente per la sua popolazione, l'Impero non è potuto sopravvivere. Se non paghi bene l'orso, quello ti mangia.

Ed eccoci tornati al nostro tempo: l'orso è vivo e vegeto, ruggisce ai confini Orientali dell'impero globale. In passato, per un po' è sembrato che l'orso potesse essere convinto a cacciare sé stesso. L'élite russa sembrava essere felice di essere pagata per avere accesso ai lussi che l'impero globale poteva fornire ed ha accettato di diventare parte del sistema finanziario globalizzato. Ma, ad un certo punto, l'orso ha mostrato i denti ed ha ringhiato, rifiutando di essere domato.

Cosa non ha funzionato? Un problema che possiamo identificare è che se i Romani si assicuravano che le forze militari di un regno sconfitto venissero schiacciate ed eliminate prima di trasformarlo in una provincia; l'orso veniva accuratamente reso innocuo prima di essere domato. Nel caso moderno, tuttavia, non è così facile sconfiggere un orso nucleare che conserva un considerevole potenziale di combattimento.

Ma il fattore principale che ha mantenuto l'orso russo vivo e arrabbiato potrebbe essere uno molto più fondamentale. L'impero globale – proprio come l'Impero Romano molto tempo fa – ha bisogno di un sistema finanziario pienamente funzionante se vuole continuare ad espandersi. Quando il sistema finanziario Romano è collassato, l'impero è collassato a sua volta. Ora, il sistema finanziario globale non sembra in buona salute, a dir poco, ed un nuovo collasso finanziario, dopo quello del 2008, potrebbe essere dietro l'angolo. In queste condizioni, è difficile pensare che l'orso possa essere pagato per cacciare sé stesso. Questo dev'essere stato colto anche nelle capitali dell'impero globale. Quindi assistiamo ad un tentativo tardivo di uccidere l'orso strangolandolo – distruggendolo usando le sanzioni economiche. Tuttavia, considerando che la Russia controlla risorse minerali che sono vitali per l'impero, strangolare l'orso (anche ipotizzando che sia possibile) potrebbe non essere la strategia migliore, per la verità.

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Una versione della barzelletta dell'orso, ma con gli elefanti (h/t Marie Odile) 





I MATEMATICI cacciano gli elefanti andando in Africa, sbattendo fuori qualsiasi cosa che non sia un elefante e cacciando un esemplare di quello che rimane.

I MATEMATICI SCAFATI tenteranno di provare l'esistenza di almeno un unico elefante prima di procedere al punto 1 come esercizio subordinato.

I PROFESSORI DI MATEMATICA proveranno l'esistenza di almeno un unico esemplare di elefante per poi lasciare il rilevamento e la cattura di un elefante vero come esercizio ai propri studenti.  

GLI SCIENZIATI DEL COMPUTER cacciano elefanti esercitando l'Algoritmo A: 1. Va in Africa. 2. Comincia dal Capo di Buona Speranza. 3. Vai verso nord in modo ordinato, attraversando il continente alternativamente verso est e verso ovest. 4. Durante ogni attraversamento, a. Cattura ogni animale che vedi, b. Confronta ogni animale preso ad un elefante conosciuto. c. Fermati quando trovi una corrispondenza. 

GLI SCIENZIATI DEL COMPUTER SCAFATI modificano l'Algoritmo A mettendo un elefante conosciuto al Cairo per assicurarsi che l'algoritmo venga concluso. 

I PROGRAMMATORI DEL LINGUAGGIO ASSEMBLY preferiscono eseguire l'Algoritmo A trascinandosi per terra.

GLI INGEGNERI DI HARDWARE cacciano gli elefanti andando in Africa, catturando animali grigi in modo aleatorio e fermandosi quando qualcuno di questi pesi il 15% in più o in meno di qualsiasi elefante osservato in precedenza. 

GLI ECONOMISTI non cacciano gli elefanti, ma credono che se gli elefanti vengono pagati bene, si cacceranno da soli. 

GLI STATISTICI cacciano il primo animale che vedono N volte e lo chiamano elefante. 

I CONSULENTI non cacciano elefanti e potrebbero non aver mai cacciato niente in assoluto, ma possono essere assunti a cottimo per consigliare chi lo fa. 

I CONSULENTI DELLE OPERAZIONI DI RICERCA possono anche misurare la correlazione del cappello e il colore della pallottola all'efficienza delle strategie di caccia all'elefante, se qualcun altro identificasse gli elefanti. 

I POLITICI non cacciano elefanti, ma divideranno gli elefanti che cacciate voi con le persone che hanno votato per loro.

GLI AVVOCATI non cacciano elefanti, ma seguono le mandrie discutendo su chi possiede lo sterco che lasciano per terra.

GLI AVVOCATI DEI SOFTWARE affermeranno che possiedono una mandria intera dall'aspetto di uno dei loro escrementi.

I VICE PRESIDENTI DI INGEGNERIA, RICERCA E SVILUPPO cercano strenuamente di cacciare gli elefanti, ma il loro personale è impostato per impedirglielo. Quando il vice presidente riesce a cacciare gli elefanti, il personale cercherà di assicurarsi che tutti i possibili elefanti vengano completamente cacciati anticipatamente prima che il vice presidente li veda. Se succede che un vice presidente vede un elefante, il personale: (1) si complimenterà con la vista acuta del vice presidente e (2) si ingrandirà per impedire che si ripeta. 

I MANAGER SENIOR impostano politiche a lungo termine di caccia all'elefante sulla base dell'assunto che gli elefanti sono proprio come topi di campagna, ma con voci più profonde.

GLI ISPETTORI DELLE ASSICURAZIONI DI QUALITA' ignorano gli elefanti e cercano gli errori che hanno fatto gli altri cacciatori mentre caricavano la jeep. 

I VENDITORI non cacciano gli elefanti, ma passano il loro tempo a vendere gli elefanti che non hanno preso loro, per la consegna due giorni prima dell'apertura della stagione.

I VENDITORI DI SOFTWARE spediscono la prima cosa che prendono e compilano una fattura per un elefante.   

I VENDITORI DI SOFTWARE acchiappano i conigli, li dipingono di grigio e li vendono come elefanti desktop. 

mercoledì 28 gennaio 2015

Colpo di frusta!

Da “Club Orlov”. Traduzione di MR

do Dmitri Orlov

Nel corso del 2014 i prezzi che il mondo paga per il petrolio greggio sono precipitati da oltre 125 dollari al barile ai circa 45 di adesso e potrebbero facilmente scendere ulteriormente prima di ricominciare a salire, prima di collassare ancora e risalire ancora. Avete afferrato l'idea. Alla fine, la folle altalena del mercato del petrolio, e quella persino più selvaggia dei mercati finanziari, delle valute e dei rutilanti fallimenti delle società energetiche, poi delle entità che le hanno finanziate, i default nazionali dei paesi che hanno sostenuto queste entità, causeranno a tempo debito il collasso delle economie industriali. E senza un'economia industriale funzionante il petrolio greggio verrà riclassificato come rifiuto tossico. Ma questo è fra due o tre decenni nel futuro.


mercoledì 21 gennaio 2015

Dove sono finiti tutti i nostri sogni? La morte della letteratura occidentale

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Il romanzo di Vladimir Dudintsev "Non di solo pane” è stato pubblicato nel 1956 (*). E' stato un grande successo nell'Unione Sovietica con la sua critica dei modi sovietici stagnati ed inefficienti. Insieme ad altri autori russi, come Vasily Grossman e Aleksandr Solzhenitsyn, Dudintsev è stato parte di un'ondata di scrittori che hanno cercato di usare la letteratura per cambiare la società. Quel tipo di approccio sembra essere sfiorito, sia nei paesi dell'ex Unione Sovietica, sia in occidente. 


Ad un certo punto, fra il secondo e il terzo secolo D.C., la letteratura Latina dell'Impero Romano è morta. Non che le persone abbiano smesso di scrivere, al contrario, il tardo Impero Romano d'Occidente ha visto una piccola rinascita della Letteratura Latina, soltanto che non sembra che avessero più niente di interessante da dire. 


Se consideriamo i tempi d'oro dell'Impero, intorno al primo secolo A.C., è probabile che molti di noi siano in grado pensare ad almeno qualche nome di letterati di quel tempo: poeti come Virgilio ed Orazio, filosofi come Seneca, storici come Tacito. Ma se ci spostiamo agli ultimi secoli dell'Impero d'Occidente, è probabile di non essere in grado di pensare a nessun nome, a meno che non si legga Gibbon e ci si ricordi che cita il poeta del IV secolo Ausonio per evidenziare il cattivo gusto del tempo. Sembra che l'Impero Romano avesse perso la sua anima molto prima di scomparire come organizzazione politica. Spesso, ho l'impressione che stiamo seguendo la stessa strada verso il collasso seguita dall'Impero Romano, ma più rapidamente.


venerdì 16 gennaio 2015

L'America perderà la guerra del prezzo del petrolio

DaBloomberg”. Traduzione di MR 

Di Leonid Bershidsky

La debacle finanziaria che ha colpito la Russia quando il prezzo del greggio Brent è sceso del 50% negli ultimi quattro mesi ha oscurato quella che potenzialmente attende l'industria dello scisto degli Stati Uniti nel 2015. E' il momento di prestarvi attenzione, perché è improbabile che l'Arabia Saudita ed altri grandi produttori del Medio Oriente chiudano un occhio e taglino la produzione e il prezzo ora si sta avvicinando ai livelli in cui la produzione statunitense comincerà a chiudere. I rappresentanti dell'OPEC hanno detto per settimane che non avrebbero pompato meno petrolio a prescindere da quanto scendesse il prezzo. Il ministro del petrolio saudita Ali Al-Naimi ha detto che neanche 20 dollari al barile innescherebbero un ripensamento. Le reazioni iniziali negli Stati Uniti sono state fiduciose: i produttori statunitensi erano abbastanza resilienti, avrebbero continuato a produrre anche a prezzi di vendita molto bassi perché il costo marginale del pompaggio dai pozzi esistenti era persino più basso; l'OPEC avrebbe perso perché la sicurezza sociale della rete dei suoi membri dipende dal prezzo del petrolio. E comunque, l'OPEC era morta. Quell'ottimismo ricordava la reazione cavalleresca della Russia all'inizio della scivolata del prezzo. Ad ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha detto che “nessuno dei protagonisti seri” era interessato ad un prezzo del petrolio al di sotto degli 80 dollari. Questa compiacenza ha portato la Russia sul baratro: venerdì, Fitch ha retrocesso il suo rating a poco più che spazzatura e probabilmente scenderà più in basso mentre il rublo continua a svalutarsi in linea col crollo del petrolio.

In genere è una cattiva idea comportarsi in modo spavaldo in una guerra di prezzi. Per definizione, tutti si faranno del male e ogni vittoria può essere soltanto relativa. Il vincitore è colui che riesce a sopportare di più il dolore. La mia scommessa finora è sui sauditi – e, anche se potrebbe sembrare controintuitivo, sui russi. Per ora, il solo segno che la produzione statunitense di petrolio greggio possa contrarsi è il crollo del numero di piattaforme petrolifere operative negli Stati Uniti. E' sceso a 175° la scorsa settimana, 61 in meno della settimana precedente e 4 in meno di un anno fa. La produzione di petrolio, tuttavia, è ancora a livelli record. Nella settimana che è terminata il 2 gennaio, quando il numero di piattaforme è a sua volta diminuito, ha raggiunto 9,13 milioni di barili al giorno, come mai prima. Le società petrolifere stanno solo fermando la produzione dei loro pozzi peggiori, che producono pochi barili al giorno – coi prezzi attuali, quei pozzi non valgono il prezzo dell'affitto delle attrezzature. Siccome nessuno sta tagliando la produzione, il prezzo continua a scendere. Oggi il Brent era a 48,27 dollari al barile e le tendenze portano ancora al ribasso. Tutto ciò alla fine avrà un impatto. Secondo una analisi fresca fresca di  Wood Mackenzie, “un prezzo del Brent di 40 dollari al barile o inferiore vedrebbe i produttori ridurre la produzione ad un livello al quale ci sarebbe una riduzione significativa della fornitura globale di petrolio. Col Brent a 40 dollari, 1,5 milioni di barili al giorno sono a bilancio negativo coi, col contributo maggiore che proviene da diversi progetti di sabbie bituminose in Canada, seguita dagli Stati Uniti e quindi dalla Colombia”. Ciò non significa che una volta che il Brent tocca i 40 dollari – e questo è il livello che si aspetta ora Goldman Sachs, dopo essersi arresa sulla sua previsione che l'OPEC avrebbe ammiccato – la produzione da scisto scenderà automaticamente di 1,5 milioni di barili al giorno. Molti fracker statunitensi continueranno a pompare in perdita perché hanno dei debiti da ripagare, circa 200 miliardi di dollari in totale di debito, paragonabile ai bisogni finanziari delle società petrolifere di stato della Russia.

Il problema dei fracker statunitensi è che è impossibile rifinanziare quei debiti se stai seminando contante. Ad un certo punto, se i prezzi restano bassi, le società più sotto pressione andranno a gambe all'aria e quelle più di successo non saranno in grado di rilevarle perché non avranno né il contante né la fiducia degli investitori che le aiuterebbero a garantire il finanziamento del debito. Le insolvenze e la mancanza di espansione alla fine porteranno a tagli della produzione. La statunitense EIA prevede ancora che la produzione statunitense di greggio avrà una media di 9,3 milioni di barili al giorno, 700.000 barili al giorno in più del 2014. Ma se il Brent va a 40 dollari, quella previsione se ne va dalla finestra. E' probabilmente troppo ottimistica persino ora. In quanto ai sauditi e agli Emirati Arabi Uniti, loro continueranno a pompare. Sono paesi, non imprese, e non possono semplicemente chiudere bottega e andare a casa – hanno ancora bilanci da finanziare e nessun sostituto del petrolio come fonte di riserve internazionali. La Russia, il terzo maggior produttore di petrolio al mondo dopo Stati Uniti ed Arabia Saudita, è molto più instabile delle monarchie petrolifere mediorientali, ma è nella stessa situazione: il petrolio è la sua linfa vitale. Questa potrebbe essere una battagli prolungata e sanguinosa con un risultato incerto. Il prezzo del petrolio è piuttosto inelastico ai cambiamenti a breve termine di domanda e offerta. Il suo corso sarà, pertanto, ampiamente dettato dalle notizie e dalla reazione del mercato ad esse. Un'ondata di fallimenti nell'industria dello scisto degli Stati Uniti probabilmente lo farebbe salire, perché sarà percepito come un fattore negativo per l'offerta.

Quanto in alto arriverà, tuttavia, è imprevedibile. Potrebbe realmente aumentare a sufficienza da permettere un consolidamento dell'industria statunitense dello scisto, dandogli una seconda possibilità  e portando i paesi dell'OPEC, la Russia, il Messico e la Norvegia in difficoltà maggiori – o potrebbe semplicemente assestarsi ad un livello che farebbe dimenticare agli Stati Uniti il suo boom dello scisto. Ciò avrebbe conseguenze terribili per la ripresa economica statunitense. Potrebbe essere ora che il governo statunitense consideri se vuole alzare la posta in questa guerra dei prezzi, entrandoci come paese sovrano. Ciò potrebbe significare il salvataggio o il sussidio temporaneo dei produttori dello scisto. Dopotutto, stanno competendo con degli stati adesso, non con imprese come loro.

giovedì 15 gennaio 2015

La Russia sta per tagliare il gas che transita dall'Ucraina alla UE

Daeuobserver”. Traduzione di MR (h/t Luìs de Souza)




L'unione Europea deve cominciare “oggi” a costruire o il gas russo andrà in altri mercati, ha detto Gazprom (Foto: Mitya Aleshkovsky)


Il commissario per l'energia della UE Sefcovic a Mosca
 - “molto sorpreso”. (Foto: Commissione Europea)
Di Peter Teffer

La Russia ha detto che fermerà il gas della UE che transita dall'Ucraina e lo farà passare invece dalla Turchia, nel secondo annuncio-shock sull'energia in altrettanti mesi. Mercoledì (14 gennaio), la Russia ha detto che l'UE deve costruire una nuova infrastruttura per collegarsi con un futuro gasdotto Russia-Turchia o perderà l'accesso alle forniture. Il capo della Gazprom Alexei Miller ha emesso l'ultimatum durante una visita in Russia del commissario per l'energia della UE Maros Sefcovic, che ha detto di essere stato “molto sorpreso” dalla dichiarazione. L'ultimo annuncio arriva dopo che la Russia a dicembre ha detto che non costruirà il cosiddetto gasdotto South Stream attraverso la Bulgaria e l'Ungheria verso l'Italia a favore di un nuovo progetto con la Turchia.

La Commissione Europea ha bloccato la costruzione del South Stream sulla base della non conformità con le leggi energetiche della UE. Ma si il South Stream sia il “Turkish Stream” hanno implicazioni strategiche, perché aggirano l'Ucraina, che guadagna miliardi con le tasse di transito e che è sull'orlo del fallimento. Miller ha osservato: “il Turkish Stream e la sola via attraverso cui possono essere forniti 63 miliardi di metri cubi di gas russo, che al momento transitano in Ucraina.

Non ci sono altre opzioni”, riporta la AFP. Miller ha avvertito Sefcovic di cominciare a costruire “l'infrastruttura di trasporto del gas necessaria dal confine Greco e Turco”. “Avete un paio d'anni al massimo per farlo. E' una scadenza molto, molto stretta. Per soddisfare la scadenza, il lavoro di costruzione del nuovo troncone di gasdotti nei paesi dell'Unione Europea deve cominciare immediatamente, oggi”, ha aggiunto. “Altrimenti, quei volumi di gas potrebbero finire su altri mercati”. Sefcovic – che si trovava nella sua prima visita in Russia per incontrare Miller, il vice ministro russo Arkady Vladimirovich Dvorkovich e il ministro dell'energia Alexander Novak – ha reagito freddamente alla notizia. “Credo che possiamo trovare una soluzione migliore”, ha detto. “Noi non lavoriamo così... il sistema e le abitudini commerciali – come lo facciamo oggi – sono diversi”. Circa l'80% delle importazioni di gas della UE dalla Russia passano dall'Ucraina. Ma le dispute politiche fra Kiev e Mosca hanno visto l'interruzione delle forniture alla UE in due occasioni negli ultimi anni, con Mosca che giustifica la decisione della Turchia dicendo che l'Ucraina è “inaffidabile”. Nel frattempo, la Bulgaria ha chiesto a Sefcovic di usare la sua visita in Russia per lanciare un piano per la costruzione di un hub del gas sulla costa bulgara del Mar Nero. Ma non è chiaro se Sefcovic sia riuscito a proporre il tema coi ai interlocutori russi.