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giovedì 15 gennaio 2015

La Russia sta per tagliare il gas che transita dall'Ucraina alla UE

Daeuobserver”. Traduzione di MR (h/t Luìs de Souza)




L'unione Europea deve cominciare “oggi” a costruire o il gas russo andrà in altri mercati, ha detto Gazprom (Foto: Mitya Aleshkovsky)


Il commissario per l'energia della UE Sefcovic a Mosca
 - “molto sorpreso”. (Foto: Commissione Europea)
Di Peter Teffer

La Russia ha detto che fermerà il gas della UE che transita dall'Ucraina e lo farà passare invece dalla Turchia, nel secondo annuncio-shock sull'energia in altrettanti mesi. Mercoledì (14 gennaio), la Russia ha detto che l'UE deve costruire una nuova infrastruttura per collegarsi con un futuro gasdotto Russia-Turchia o perderà l'accesso alle forniture. Il capo della Gazprom Alexei Miller ha emesso l'ultimatum durante una visita in Russia del commissario per l'energia della UE Maros Sefcovic, che ha detto di essere stato “molto sorpreso” dalla dichiarazione. L'ultimo annuncio arriva dopo che la Russia a dicembre ha detto che non costruirà il cosiddetto gasdotto South Stream attraverso la Bulgaria e l'Ungheria verso l'Italia a favore di un nuovo progetto con la Turchia.

La Commissione Europea ha bloccato la costruzione del South Stream sulla base della non conformità con le leggi energetiche della UE. Ma si il South Stream sia il “Turkish Stream” hanno implicazioni strategiche, perché aggirano l'Ucraina, che guadagna miliardi con le tasse di transito e che è sull'orlo del fallimento. Miller ha osservato: “il Turkish Stream e la sola via attraverso cui possono essere forniti 63 miliardi di metri cubi di gas russo, che al momento transitano in Ucraina.

Non ci sono altre opzioni”, riporta la AFP. Miller ha avvertito Sefcovic di cominciare a costruire “l'infrastruttura di trasporto del gas necessaria dal confine Greco e Turco”. “Avete un paio d'anni al massimo per farlo. E' una scadenza molto, molto stretta. Per soddisfare la scadenza, il lavoro di costruzione del nuovo troncone di gasdotti nei paesi dell'Unione Europea deve cominciare immediatamente, oggi”, ha aggiunto. “Altrimenti, quei volumi di gas potrebbero finire su altri mercati”. Sefcovic – che si trovava nella sua prima visita in Russia per incontrare Miller, il vice ministro russo Arkady Vladimirovich Dvorkovich e il ministro dell'energia Alexander Novak – ha reagito freddamente alla notizia. “Credo che possiamo trovare una soluzione migliore”, ha detto. “Noi non lavoriamo così... il sistema e le abitudini commerciali – come lo facciamo oggi – sono diversi”. Circa l'80% delle importazioni di gas della UE dalla Russia passano dall'Ucraina. Ma le dispute politiche fra Kiev e Mosca hanno visto l'interruzione delle forniture alla UE in due occasioni negli ultimi anni, con Mosca che giustifica la decisione della Turchia dicendo che l'Ucraina è “inaffidabile”. Nel frattempo, la Bulgaria ha chiesto a Sefcovic di usare la sua visita in Russia per lanciare un piano per la costruzione di un hub del gas sulla costa bulgara del Mar Nero. Ma non è chiaro se Sefcovic sia riuscito a proporre il tema coi ai interlocutori russi.

mercoledì 10 settembre 2014

Gas di scisto. “La bolla finanziaria dei nostri tempi”.

Da “Peak Energy”. Traduzione di MR
di "Big Gav"


Il Daily Telegraph ha dato uno sguardo scettico al boom del gas di scisto - Gas di scisto. “La bolla digitale dei nostri tempi”. Scrive il Daily Telegraph:

Piuttosto stranamente, non sembra che qualcuno si sia posto la sola domanda che è certamente fondamentale: lo sviluppo dello scisto ha un senso economico? La mia conclusione è che non ce l'ha. Che la Gran Bretagna abbia bisogno di nuove fonti di energia è certamente fuori discussione. Fra il 2003 e il 2013, la produzione interna di petrolio e gas è crollata da 62% e 65% rispettivamente, mentre la produzione di carbone è diminuita di 55%. Nonostante gli aumenti netti di produzione delle rinnovabili, la produzione energetica complessiva è diminuita di più della metà. Esportatrice netta di energia fino al 2003, la Gran Bretagna ora compra quasi la metà della sua energia all'estero e questo divario sembra certo che si allargherà. Ora abbiamo dati più che sufficienti per sapere che ciò che è realmente successo in America. Lo scisto è stato gonfiato (“America Saudita”) e gli investitori hanno riversato centinaia di miliardi di dollari nel settore dello scisto. Se investi così tanto, puoi fare molti pozzi, anche se i pozzi di scisto costano circa il doppio di quelli ordinari. Se un numero enorme di pozzi entrano in produzione in breve tempo, si ottiene una produzione iniziale abbondante.

Ciò è esattamente quello che è successo negli Stati Uniti. La parola chiave qui, però, è “iniziale”. Il grande intoppo con i pozzi di scisto è che la produzione crolla molto rapidamente subito dopo l'inizio della produzione. In confronto ai pozzi di petrolio e gas “normali”, in cui la produzione di solito diminuisce di 7-10pc all'anno, i tassi di declino dei pozzi di sciato sono drammaticamente peggiori. Non è affatto insolito che la produzione di ogni pozzo crolli di 60pc o più nei soli primi 12 mesi di operatività. Di fronte a tali tassi di declino, il solo modo per mantenere alti i tassi di produzione (e di tenere gli investitori dalla propria parte) è quello di trivellare ancora più pozzi. Ciò mette gli operatori in un “tapis roulant di trivellazioni”, che dovrebbe preoccupare i residenti locali così come gli investitori. Il flusso di cassa netto dello scisto statunitense è stato negativo anno dopo anno e alcuni dei nomi più importanti dell'industria si sono già ritirati. La conseguenza apparentemente inevitabile per l'industria dello scisto statunitense è che, una volta che gli investitori si svegliano e una volta che gli sweet spot da trivellare sono stati usati, la produzione crollerà, probabilmente raggiungendo il picco nel 2017-2018 e crollando precipitosamente in seguito. 

Gli Stati Uniti sono già disseminati di pozzi che sono stati abbandonati, spesso senza che i siti siano stati bonificati. Nel frattempo, le riserve recuperabili stimate per il sito di Monterey – probabilmente il sito di scisto liquido più grande degli Stati Uniti – sono state riviste al ribasso del 96%. In Polonia, trivellare 30-40 pozzi virtualmente non ha finora prodotto nessuna produzione utile. In futuro, lo scisto verrà riconosciuto come la versione della bolla digitale di questo decennio. Nel più breve periodo, è un consiglio di disperazione, in quanto una stretta dell'offerta di energia si profila sempre più vicina. Mentre i politici e gli investitori dovrebbero preferire il solare, la trasformazione dei rifiuti e la conservazione alla chimera delle ricchezze dello scisto, gli oppositori farebbero bene a promuovere il caso economico contro la moda dello scisto.


mercoledì 4 giugno 2014

Europa: dove troveremo il gas che ci serve?

DaThe Oil Crash”.  27 Maggio 2014
Traduzione di MR

Da notare, fra le altre cose, come in questo post Antonio Turiel nota come anche il governo spagnolo stia utilizzando trucchi statistici per far credere che il PIL sia in aumento o che cresca più rapidamente, come ho discusso in un mio post  per quanto riguarda l'Italia (U.B.)


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

l'Unione Europea  si trova ad un crocevia storico. Alle recenti elezioni del Parlamento Europeo, la maggioranza dei partiti al Governo o con possibilità di esserci hanno subito una considerevole battuta d'arresto da parte degli elettori, mentre opzioni più radicali si stanno facendo strada. La sbandierata ripresa economica sta lì a dimostrare che non si trattava di altro che di un miraggio e specialmente in Spagna, dove un'opportuna adulterazione delle statistiche ha permesso di far credere che il PIL stesse recuperando con vigore mentre in realtà il consumo interno crolla, la produzione industriale non sta risalendo e il bilancio commerciale peggiora mese dopo mese (le esportazioni non sono più il tanto applaudito “motore economico della Spagna”, visto che chiaramente dagli inizi dell'anno le importazioni le superano in valore economico). Ma molto oltre le frontiere dell'Europa alcuni racconti eventi recenti strangoleranno ancora di più la capacità economica del Vecchio Continente nei prossimi anni e decenni con conseguenze politiche e sociali che non si ha ancora il coraggio di discutere.

La prima di queste notizie è il recente annuncio della firma di un accordo storico fra la compagnia russa Gazprom (protetta dal governo russo) e la compagnia cinese CNCP (controllata dal governo di quel paese) secondo il quale la Gazprom si impegna a fornire 38 miliardi di metri cubi (in unità americane sarebbero 1,3 trilioni di piedi cubici) di gas naturale all'anno a CNPC a partire dal 2018 per 30 anni. L'Unione Europea ha importato nel 2012 ha importato 14 trilioni di piedi cubici di gas naturale, dei quali circa un terzo (34%) provenienti dalla Russia, cioè 4,76 trilioni di piedi cubici, per cui l'accordo russo-cinese rappresenta circa il 27% della fornitura annuale di gas russo all'Europa. E' chiaro che per l'Unione Europea è emerso un concorrente importante per il gas naturale russo. Per mettere le cose in una migliore prospettiva, guardate il seguente grafico di produzione di gas naturale russo, preso come sempre dal sito web Flussi di Energia ed elaborato con dati dell'annuario del 2012 della BP:


La Russia ha prodotto meno di 60 miliardi di piedi cubici di gas naturale al giorno, cioé, circa 21 trilioni di piedi cubici di gas naturale all'anno. La fornitura annuale corrente all'Unione Europea e quella prevista alla Cina rappresentano rispettivamente il 22% e il 6% della produzione annuale di gas della Russia, il che rende chiara l'importanza di queste transazioni e della mutua dipendenza economica fra Russia ed Unione Europea, nella quale la prima si trova in condizioni migliori per diminuire che non la seconda, soprattutto ora che il problema in Ucraina le ha allontanate. Ciò che preoccupa veramente nell'accordo fra russi e cinesi è la sua lunga durata, soprattutto se si tiene conto del fatto che la Russia sembra prossima a raggiungere il proprio picco interno del gas. Non è facile trovare previsioni sulla futura produzione di gas in Russia; l'unica stima più o meno affidabile che ho trovato è quella del rapporto dettagliato del 2013 dell'Energy Watch Group; da lì ho estratto questo grafico con la previsione di produzione di gas naturale in Russia.


Come si vede, il fatto di mantenere un plateau produttivo per i prossimi 15 anni dipende dal fatto che si sviluppino una serie di giacimenti già identificati (Kruzenshten, Shtokmanskoye, Tambey, Yamal e Mare di Barents); oltre non c'è nulla, per il momento, e sarà difficile che ci sarà qualcos'altro, tenendo conto che la Russia ha già cominciato a mettere in moto i suoi giacimenti in Siberia, i più lontani, da quasi 10 anni. I tassi annuali di declino della produzione di gas naturale dei diversi giacimenti, come si vede, sono molto alti, con una diminuzione tipica del 50% in soli 10 anni. Inoltre, come mostra la caduta del 2009 (un anno dopo il picco del prezzo del petrolio), la produzione è molto sensibile all'investimento ed ai prezzi molto alti. Quindi non sarebbe strano che intorno al 2035, con l'accordo russo-cinese ancora a metà della propria vita, la produzione di gas russo fosse la metà di adesso e verso la fine della sua scadenza giungesse ad essere solo un quarto della produzione attuale. Anche contando su una stagnazione del consumo europeo in questi tre decenni, in quel momento la Russia dovrebbe decidere se esportare tutto il suo gas alla UE o piuttosto fornirlo in quantità parzialmente ridotte e fornire il proprio vicino del sud. Con una recessione in corso e senza poter competere col gigante asiatico, è più che probabile che l'Europa abbia tutte le possibilità di perdere in questa situazione.

Potrebbe sembrare che i problemi che avrà l'Europa con la fornitura di gas si potrebbero risolvere affidandosi di più ad altri fornitori anche vicini geograficamente, in questo caso i paesi del Golfo Persico, che sono ricchi di gas e petrolio (in Spagna si alimenta l'errore della fornitura inesauribile dall'Algeria, mentre questo paese ha già chiaramente superato il proprio picco interno di gas e petrolio). A chi pensa questo risulterà pertanto sconcertante una notizia apparsa la scorsa settimana, secondo la quale nel Golfo Persico comincia a scarseggiare il gas. Il fatto è che il gas naturale, che è stato disprezzato per anni in una zona con tanta abbondanza di petrolio, ora comincia ed essere molto ricercato perché risulta più redditizio per la produzione di elettricità e, sebbene se la notizia non lo dica, per lasciare più petrolio disponibile per l'esportazione, ora che la produzione di petrolio dell'OPEC è giunta ad un plateau dal qual non si salirà di nuovo. Ma risulta che per produrre gas naturale si deve fare un investimento in infrastrutture di stoccaggio e trasporto molto elevato, la qual cosa non è sempre facile da ammortizzare tenendo conto dei bassi prezzi del gas in confronto a quelli del petrolio (in parte perché il gas è meno versatile, più difficile da maneggiare e stoccare, più pericoloso, ecc.). In aggiunta, come riporta l'articolo, le grandi riserve di gas del Golfo Persico risultano avere un maggior contenuto di zolfo e pertanto esigono un trattamento maggiore per poter essere utilizzato. Tutto ciò si può riassumere in un modo semplice: questo gas ha un EROEI inferiore a quanto atteso, il che si traduce nel fatto che le presunte grandiose riserve di gas naturale della zona non sono, in senso netto, tanto grandiose come si presumeva (una cosa che agli economisti fa orrore comprendere). La conseguenza finale e reale di questa situazione è che il Golfo Persico, anziché essere un produttore netto di gas naturale, si sta dirigendo con passo deciso ad essere un importatore netto, per cui anziché alleviare i problemi dell'Europa, ne incrementa l'insicurezza.

E se l'Europa volesse guardare oltre Atlantico, le cose non vannomolto meglio. Non darò qui i dettagli delle ragioni per le quali è completamente assurdo pensare che gli Stati Uniti potranno esportare un giorno gas naturale in Europa; lo ha già fatto Gail Tverberg per me. Ma il fatto è che innanzitutto gli Stati Uniti avranno bisogno di aumentare le loro esportazioni di gas naturale nei prossimi anni, lasciando da parte il naufragio della bolla del fracking in atto, risulta che la EIA (che dipende dal Dipartimento per l'Energia degli Stati Uniti) stia falsificando i dati di produzione di gas naturale negli Stati Uniti, come viene spiegato in questo articolo, riassunto in questo grafico:


La fascia rossa rappresenta tutta la sovrastima di produzione di gas naturale. La cosa ironica è che la curva gialla si ottiene con i dati di produzione di ogni compagnia individualmente... che la stessa EIA rende pubblici! Come vedete, la EIA sta contribuendo a creare una falsa apparenza di abbondanza, ma l'inganno non si potrà mantenere per troppo tempo. Così non solo gli Stati Uniti non forniranno altro gas all'Europa, ma diventeranno degli ulteriori concorrenti per la preziosa risorsa.

Il gas naturale, eterna promessa di combustibile con minori emissioni di CO2, non è la soluzione a nessun problema, perché la sua disponibilità si trova già seriamente compromessa e lo sarà sempre di più negli anni a venire; non possiamo eludere il picco del gas, così come non possiamo eludere il picco del petrolio. Una politica energetica nazionale sensata dovrebbe tener conto di questo fattore, così come del tramonto del petrolio e del vicino picco dell'uranio, per preparare un vero piano di contingenza di fronte ad una transizione (non solo energetica, ma sistemica) che non può più attendere.

Saluti.
AMT

P. S.: La quarta notizia rilevante della settimana non ha a che fare col gas, ma col cosiddetto shale oil (il petrolio leggero che si estrae da rocce porose usando la tecnica del fracking). Risulta che recentemente il servizio geologico minerario degli Stati Uniti ha ribassato la sua stima delle riserve nella formazione di Monterey, California... di nientemeno che il 96%! Avete letto bene: le riserve inizialmente stimate in 15,5 miliardi di barili ora si dice che siano solo 600 milioni di barili. La cosa grave è che si stimava che la formazione di Monterey rappresentasse il 63% dello shale oil degli Stati Uniti, per cui le riserve nordamericane di shale oil oggi sono di un 60% inferiori a quello che erano la scorsa settimana... e questo finché non rivalutino il resto dei giacimenti. Il sogno ridicolo dell'indipendenza energetica degli Stati Uniti a tratti svanisce.