«I poeti affermano che la scienza distrae dalla bellezza delle stelle – semplici globi di gas. Anche io riesco a vedere le stelle in una notte nel deserto e sentire la loro magia. Ma vedo più o meno cose?» – Richard Feynman.
Un post di Fabio Vomiero
Non che l'eccentrico inventore della tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction) Kary Mullis, purtroppo recentemente scomparso, fosse l'emblema della razionalità, del resto uno scienziato che crede negli oroscopi, sostiene di essere stato rapito dagli alieni, propone tesi complottistiche contro la causa virale dell'AIDS, senza peraltro nascondere di avere fatto un uso abituale di LSD, non può certamente rappresentare la migliore icona del ragionamento scientifico.
Tuttavia, la parafrasi del titolo di un suo interessante e fortunato libro1, così come l'impareggiabile efficacia di uno dei più grandi fisici del secolo scorso in una sua affermazione riportata nel sottotitolo, appaiono estremamente promettenti nell'introdurre il tema di questa breve riflessione.
Proveremo infatti a parlare di questioni, come quelle del sapere e della conoscenza, che da sempre hanno appassionato e diviso schiere di pensatori, filosofi e scienziati e che oggi, come ieri, faticano ancora a trovare una giusta collocazione logica all'interno di uno scenario teorico ed epistemologico completo e condiviso.
Ma cominciamo allora con il considerare alcune situazioni sociologiche abbastanza emblematiche.
Primo, in Italia con il termine "cultura" si intende in generale un sapere prevalentemente di tipo umanistico e questo è evidente, si provi soltanto a pensare all'iconografia del cosiddetto "intellettuale" e ci si troverà di fronte a un giornalista tuttologo, a un letterato scrittore, a un filosofo, al massimo a uno storico dell'arte; è molto più facile e immediato, infatti, pensare a un Massimo Cacciari o a un Vittorio Sgarbi come prototipo di "intellettuale", piuttosto che a un Alberto Redi o a un Edoardo Boncinelli, circoscrivendo così, di fatto, l'intellettualità alla filosofia, alla letteratura o all'arte. Così come è molto più probabile che uno studente di scuola secondaria conosca perfettamente l'opera di Omero piuttosto che conoscere sufficientemente il metabolismo e la funzione dei nutrienti o come funziona un antibiotico. Un tipo di orientamento cognitivo, questo, peraltro molto comune e ben radicato nelle società contemporanee, che è l'esatta espressione di un rapporto tra scienza e umanesimo quantomeno problematico, tanto che lo scienziato e scrittore Charles P. Snow ne aveva efficacemente discusso nel suo libro
Le due culture già alla metà del secolo scorso.
Secondo, siamo generalmente così pieni di pregiudizi, di credenze, di miti e di falsa conoscenza derivata dalle fake, dal passaparola e dal sentito dire, che poi diventa sempre molto difficile riuscire a sgomberare adeguatamente la mente per ottenere quella predisposizione intellettuale necessaria a rimettere in discussione le nostre convinzioni, molto spesso sbagliate.
Terzo, appare abbastanza evidente come negli ultimi decenni si sia diffusa una sorta di ingiustificata e paradossale diffidenza nei confronti del sistema scienza per tutta una serie di ragioni che andrebbero meglio approfondite.
Quarto, i principali responsabili di questa artificiosa e inutile divergenza tra scienza e umanesimo, resa evidente in particolar modo a partire dalla fine dell'Ottocento, sono proprio gli umanisti stessi, i quali, preoccupati della crescente pervasività del sapere scientifico, hanno cercato di difendere con i denti il loro "bunker" di isolamento culturale. Basti pensare soltanto a quanti umanisti in media si interessino costruttivamente anche di scienza, pochissimi, e a quanti scienziati invece si dedichino comunemente anche a materie umanistiche e artistiche, praticamente tutti.
Bene, ma se qualcuno non dovesse essere ancora troppo convinto da questa breve e sommaria analisi, cominci allora a guardarsi un po' in giro con una certa curiosità analitica, cercando di raccogliere qualche dato concreto e significativo. Magari provando a considerare quante persone credano ancora negli oroscopi o "frequentino" in qualche modo maghi, guaritori, maestri di vita e millantatori di ogni tipo, o quante altre persone credano ancora nel creazionismo, nell'omeopatia, o riescano a fare soltanto una rapida e corretta analisi costi-benefici oppure una valutazione grossolana di un rischio in base al calcolo delle probabilità, o semplicemente a come siano strutturati i palinsesti televisivi e le testate dei giornali, o quali ancora siano le materie preferite nelle scuole e gli argomenti trattati dai saggi nelle librerie, o per esempio ancora, quanti concorrenti nei giochi a quiz scelgano per prime, o meno, le domande di scienza rispetto alle altre.
Va da sè, che una desolante e per certi versi paradossale prospettiva di questo tipo significa soltanto una cosa: tra due possibili modi di pensare, di ragionare e di guardare al mondo, l'uno istintivo, rapido, emotivo, superficiale, facile, e l'altro riflessivo, razionale, critico, esigente, spesso difficile e controintuitivo, tipico della scienza, si continua a preferire prevalentemente il primo e a ignorare il secondo.
Ecco qual è il problema.
La cultura che si respira e che si insegna nel nostro Paese infatti non aiuta molto. Famiglia, scuola e società, continuano a galleggiare, senza nemmeno rendersene conto, al di sopra di un pericoloso substrato di antiscientificità che genera incoscienza, e l'incoscienza si sa, conduce spesso verso i disastri. Viviamo nel mito del passato con una tale ossessione e spreco di energie intellettuali, da non preoccuparci nemmeno troppo per il presente e soprattutto per il futuro, come ci ricorda saggiamente anche l'architetto Renzo Piano quando afferma che «Il passato è un ottimo rifugio, ma il futuro è l'unico posto dove possiamo andare».
Non ci piace affatto, infatti, l'idea eraclitea del cambiamento, che peraltro è nella natura di tutte le cose e di tutti i processi biotici e abiotici del mondo, perchè possiamo sentirci al sicuro solamente quando le cose sono per sempre, come il diamante della pubblicità o come il greco al liceo, che, si usa pontificare, serve per "aprire" la mente, nonostante nessuno abbia ancora mai fornito uno straccio di prova, naturalmente, per mostrare che effettivamente studiare il greco "apra" di più la mente dello studiare la musica, la matematica, una materia scientifica o una seconda lingua.
E veniamo alla filosofia, questa forma del sapere sicuramente interessante, ma che, per sua natura, non può che essere comunque sempre al centro di un dibattito epistemologico infinito, non privo di venature ideologiche. L'ultimo attacco, soltanto qualche mese fa ad opera dello scienziato Edoardo Boncinelli con il suo La farfalla e la crisalide3, un'analisi critica ben strutturata e argomentata, che segue peraltro da vicino il pensiero di tutta una lunga lista di altri scienziati tra i quali i fisici Lawrence Krauss, Stephen Hawking, Leonard Mlodinow, Neil Tyson, il premio Nobel Steven Weimberg, il biologo Richard Dawkins e il già citato Richard Feynman, solo per fare qualche esempio.
Nessuno mette in dubbio che la filosofia, infatti, possa essere quella caratteristica peculiare dell'essere umano che, essendo più di ogni altra, espressione di un elevato livello di autocoscienza, ci distingue certamente, insieme al linguaggio articolato, dai nostri cugini primati.
Solo che, probabilmente, sarebbe il caso che la filosofia, una volta mutati i contesti storici e sociali, cominciasse finalmente a ridefinire anche sè stessa e soprattutto i suoi limiti, tenendo conto anche del fatto che, in realtà, tutti noi facciamo normalmente della filosofia, per dirla con Antonio Gramsci.
Il problema quindi non è la filosofia, ma la scienza, semmai, è questa la complessa e particolare attività cognitiva umana, ancora semisconosciuta ai più, che dovrebbe invece essere studiata e in qualche modo finalmente capita per poter fare una reale differenza. Ricordando inoltre che il fare scientifico moderno, sempre più operativamente orientato verso un linguaggio plurale e interdisciplinare, valuta, seleziona e utilizza certamente tutta la filosofia che serve, concetto questo che potrà anche essere sgradito a molti filosofi, ma che, se vogliamo, trova invece la sua legittimazione logica proprio in un semplice sillogismo aristotelico: se la scienza è prima di tutto un'attività cognitiva umana, e gli esseri umani sono anche filosofi, allora la scienza è anche filosofia.
Anche la scienza, infatti, è prima di tutto stupore e meraviglia, con buona pace di Aristotele e Platone.
La scienza sperimentale, inoltre, che peraltro si è evoluta proprio dal pensiero filosofico naturale, non è aridamente e cinicamente soltanto tutto ciò che è matematizzabile, computabile e prevedibile in dettaglio come tendono a sostenere alcuni filosofi della scienza, perchè se così fosse, bisognerebbe considerare scienza soltanto la matematica e la fisica classica, escludendo, di fatto, perlomeno la meccanica quantistica, i sistemi complessi, le bioscienze e tutti quei territori di indagine scientifica, che anche Galileo ignorava, in cui bisogna necessariamente fare i conti con la gestione dell'incertezza e dell'indeterminazione e per i quali, effettivamente, manca ancora una teorizzazione epistemologica adeguata e condivisa.
Del resto è abbastanza ovvio che anche nella scienza ogni osservazione, ogni dato e ogni modello, dovranno essere in qualche modo sempre vagliati all'interno di un complesso ambito procedurale fatto anche di interpretazioni e di contesti teorici stratificati culturalmente.
Se uno scienziato non fosse anche una sorta di filosofo allora sarebbe meglio che cambiasse mestiere, non essendo nemmeno immaginabile che fisici teorici o biologi evoluzionisti possano lavorare tranquillamente senza essersi mai interrogati sul perchè l'universo sia fatto in un certo modo piuttosto che in un altro, o su che cosa siano la vita e la coscienza, oppure semplicemente sull'essenza del nostro essere, chi siamo, da dove veniamo, eccetera, eccetera.
E inoltre, come è possibile che alcuni filosofi insistano nell'assegnare alla filosofia un valore epistemologico superiore a quello della scienza, quando è così evidente che all'interno del pensiero filosofico, a differenza del sapere scientifico, può essere vero tutto e il contrario di tutto.
Basti soltanto guardare alla storia della filosofia o ai banali dibattiti filosofici contemporanei per rendersene subito conto. Su questo, pare essere d'accordo persino un filosofo e teologo come Vito Mancuso: «Se c'è un insegnamento che è possibile trarre dai duemilacinquecento anni di storia della filosofia è che l'esercizio rigoroso della ragione filosofica ha condotto a differenti e contrastanti risultati»4. Certo, e non potrebbe essere altrimenti visto che la filosofia, da sempre, si caratterizza proprio per essere un terreno di disputa più che di consenso.
La realtà è che «La filosofia è vuota senza la scienza», come sostiene giustamente il matematico "intellettuale" Piergiorgio Oddifreddi5, o perlomeno, rischia fortemente di esserlo, e se fino a circa quattrocento anni fa potevamo avere l'alibi di non saperlo, ora non più. Di conseguenza, anche tutto il discorso legato al mito autopoietico dell'insegnamento del pensiero critico proprio attraverso lo studio della filosofia, viene logicamente a decadere proprio in virtù di un'analisi critica verso quella stessa fonte (la filosofia) che dovrebbe in realtà generarlo e alimentarlo (il pensiero critico).
E poi, francamente, che cosa ci vuole a essere critici nei confronti di pensieri filosofici di secoli o millenni fa, quando si era praticamente ignoranti su tutto; non si conoscevano le principali leggi fisiche e la loro validità universale (isotropia e omogeneità dello spaziotempo), non si sapeva di che cosa fossero fatte la materia e l'energia, non si sapeva praticamente nulla di biologia, di neuroscienze, di relatività, di meccanica quantistica.
Si provi piuttosto a formulare delle critiche logicamente e formalmente corrette, in un senso o nell'altro, nei confronti di complessi temi scientifici, ma non solo, come l'origine della vita, l'evoluzione biologica, gli OGM, i vaccini, i cambiamenti climatici, la questione energetica, la crisi ambientale, la nutrizione umana, la situazione demografica e socioeconomica internazionale.
Ecco perchè oggi, più che mai, è indispensabile conoscere scientificamente il mondo, come ci ricorda anche il filosofo americano James Flynn quando afferma che «E` un privilegio essere alfabetizzati in un'età scientifica»6, perchè, piaccia o non piaccia, è proprio su questi temi che prima o poi si deciderà il nostro futuro.
Con il linguaggio della matematica si impara la logica formale e con lo studio delle scienze si impara invece a ragionare in maniera corretta basandosi principalmente sui dati scientifici, sulle prove e sull'evidenza, nonchè, certamente, sull'esercizio metodico della ragione, che, a questo punto, non è più il criterio esclusivo della filosofia.
Altro che scientismo.
Infine, c'è la conoscenza che deriva dalle sfere teologico-religiose, certamente rispettabile, ma che diventa anche evidentemente discutibile nel momento stesso in cui questa particolare modalità di situazione cognitiva rischia di annullare completamente il pensiero critico e impedisce al ragionamento di mantenere una certa razionalità. In questo caso, infatti, ci troviamo di fronte a una forma di conoscenza che non può nemmeno essere confrontata con quello che ci insegna il metodo scientifico. Una conoscenza con pretesa di Verità Assoluta, che deriva e si accetta per Rivelazione da parte di un'Entità inconoscibile, indescrivibile o soltanto inimmaginabile da ogni possibilità di indagine e di esplorazione scientifica.
Ammesso poi che sia logicamente legittimo parlare di Verità Assoluta anche al di fuori dell'unico contesto in cui probabilmente è possibile farlo, e cioè all'interno del perimetro ben delimitato di un codice arbitrario e artificioso inventato dall'uomo come il linguaggio, matematico o letterario che sia.
Ecco perchè il credo religioso, così come molta filosofia, a differenza della ricerca di intersoggettività da parte dell'attività scientifica, implicano necessariamente un atto di fede e godono pertanto di un'autonomia che, evidentemente, non può che essere di tipo personale.
Bibliografia:
1) Mullis, L.1998. Ballando nudi nel campo della mente, Baldini Castoldi Dalai.
2) Snow, L.1959. Le due culture, Feltrinelli.
3) Boncinelli, L.2018. La farfalla e la crisalide, Cortina.
4) Mancuso, L.2011. Io e Dio, Garzanti
5) Odifreddi, L.2009. Il matematico impenitente, TEA.
6) Flynn, L.2013. Osa pensare, Mondadori Università.