mercoledì 8 gennaio 2020

Riscrivendo la storia di Gilgamesh: I Gemelli del Cosmo di Stefano Ceccarelli

di Ugo Bardi




Versione in italiano del post "Rewriting the Story of Gilgamesh: The Cosmic Twins by Stefano Ceccarelli" pubblicato sul blog Chimeras

Questa nota riguarda un recente romanzo dell’autore italiano Stefano Ceccarelli intitolato I Gemelli del Cosmo (Altromondo Editore, 2019). Prima di tutto, diciamo che si tratta di roba profonda, di quelle affascinanti. E’ stato Jorge Luis Borges a dire che tutti i singoli libri sono solo pagine di un grande libro che tutto il genere umano sta scrivendo. Personalmente, aggiungerei che non tutti i libri scritti al giorno d’oggi meritano di essere aggiunti a quel grande libro, ma certi lo fanno, e questo è uno di essi.

Allora, partiamo dall’inizio e, se stiamo discutendo di un unico, gigantesco libro, potremmo decidere di dare uno sguardo alle pagine iniziali per cercare di comprendere cosa è scritto verso la fine. Così, potremmo iniziare con l’Epopea di Gilgamesh, forse il primo romanzo mai scritto. Ma come si lega la storia di Gilgamesh con quella scritta da Ceccarelli? Tutte le buone storie riguardano la ricerca di qualcosa – è stato uno scrittore di fantascienza, Samuel Delany, a dire che non riusciva a pensare di scrivere nient’altro che una nuova versione della ricerca del Sacro Graal. Così, è questo il punto da cui partire.
Ma cos’è esattamente il Sacro Graal? Cosa stanno cercando i nuovi personaggi? E perché quando poi finalmente lo trovano il romanzo termina, o forse scoprono che ciò che hanno trovato è una delusione? Forse c’è qualcosa di profondo in questo. Tutto questo cercare non è rivolto a qualcosa in particolare, ma piuttosto ha a che fare con il modo in cui l’universo funziona. L’universo non è un blob uniforme: è stato creato all’inizio di tutto separando la luce dalle tenebre e Dio stesso vide che questa era una cosa buona. Se ci pensate, la luce non sarebbe ciò che è se non esistesse il buio. Forse la luce è attivamente alla ricerca del buio e forse il buio sta ossessivamente aspettando la luce per fondersi con essa e trasformarsi a sua volta in luce, mentre forse la stessa luce va estinguendosi per diventare tenebra dopo aver speso sé stessa diffondendosi ovunque. E’ l’eterno principio dello Yin e dello Yang, che girano intorno l’un l’altro cercandosi sempre vicendevolmente senza che l’uno si fonda mai del tutto con l’altro.



E allora, che cosa cerca Gilgamesh nella sua saga? La vita eterna, leggiamo. Ma non è questa la vera ragione. La ragione per cui Gilgamesh viaggia, lotta, si dibatte, soffre e va avanti è qualcosa che neanche lo stesso Gilgamesh comprende. Forse possiamo trovarla in alcuni dettagli della saga. Gilgamesh ha un amico nella storia, Enkidu, ma entrambi sono personaggi Yang. Entrambi stanno cercando una controparte, dei personaggi Yin, che forse possiamo trovare nelle due donne menzionate nella storia. Non sono così ben note come i due personaggi principali maschili, ma hanno comunque i loro nomi menzionati per esteso: Shamhat, la sacra prostituta, e Siduri, l’ostessa. Sono ritenuti personaggi minori ma, si badi bene, sono fra i primissimi personaggi femminili di cui conosciamo il nome nella storia della letteratura – vale a dire, personaggi femminili diversi dalle dee. In realtà, queste due donne sono anche lor parte di qualcosa della più elevata sfera delle cose, ma è sempre così nell’universo.
Così, forse possiamo leggere la saga di Gilgamesh come una ricerca da parte del principale personaggio maschile, cioè lo stesso Gilgamesh, della sua controparte femminile. Egli ha solo una rapida visione di lei quando incontra Siduri in una taverna, per poi proseguire nella sua infruttuosa ricerca senza neanche sospettare che ciò che stava cercando era stato così vicino a lui per un po’. Lo stesso accade per Enkidu, che incontra brevemente Shamhat nella foresta, viene sedotto da lei, ma da allora non la incontrerà più. Del resto, è questa la ricerca mitica in tutte le sue manifestazioni letterarie. L’oggetto della ricerca non è mai del tutto afferrato, e se lo è, svanisce mentre l'eroe lo afferra.


Passiamo ora ai Gemelli del Cosmo di Ceccarelli. La storia narra di una coppia di pianeti gemelli, di cui uno è la nostra Terra e l’altro il suo gemello, chiamato Serra, nome che quindi lo distingue dalla Terra da una sola lettera. In realtà, chiamarli “gemelli” è improprio. Essi sono diversi e, per una stranezza della creazione, la Serra non ha nella sua crosta quantità estraibili dell’elemento che noi chiamiamo “oro”. Ma non è questo il punto importante. Terra e Serra sono due pianeti diversi, con Serra che è decisamente femminile in opposizione alla più aggressiva, mascolina Terra. Fra le varie caratteristiche di Serra, una è quella di aver avuto un messia donna, Yesua Krista, la controparte Yin del messia Yang terrestre Gesù Cristo. Un pianeta maschio e uno femmina, due metà che si cercano vicendevolmente, con Krista che non muore sulla croce sulla più gentile Serra, mentre la disponibilità di oro ha corrotto i cuori degli uomini sulla Terra.



Quindi il racconto va avanti descrivendo come gli abitanti della Serra intraprendono la ricerca della Terra. Alla fine, una coppia di serrestri, Yosh e Laylah, riescono a raggiungere la Terra sfruttando uno strano vortice spaziale. Arrivano lì e trovano un pianeta morto, devastato dal riscaldamento globale e dall’inquinamento. E alla fine tornano a casa a mani vuote, proprio come Gilgamesh, incapaci di completare la loro ricerca.
Questa è la storia: il problema è che la fine del racconto non soddisfa le aspettative, con la narrazione che rallenta man mano che va avanti, come un vecchio giocattolo a molla. Non importa: come tutti i buoni romanzi, anche questo ha dei difetti, è inevitabile. Ma, come tutti i buoni romanzi, è una metafora che non si può realmente comprendere in termini razionali. Si deve percepire. E se ci riesci, diventa qualcosa di profondo. Estremamente profondo. Ci dice in che modo stiamo disperatamente cercando qualcosa che non sappiamo descrivere, ma che sappiamo essere lì. E’ la nostra controparte Yin che ci manca per divenire una civilizzazione realmente armoniosa. I serrestri non riescono a trovarla. Gilgamesh non è riuscito a trovarla. Forse neanche noi riusciremo, ma chi lo sa? Forse, come sempre, il cammino è la destinazione.




venerdì 3 gennaio 2020

A proposito di "Greenbusiness"


Di Bruno Sebastiani

Una frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è giustamente passata alla storia. È quella pronunciata da Tancredi, nipote del Principe di Salina, quando, ne “Il Gattopardo”, afferma: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Il giovane nobile aveva capito che il Regno delle Due Sicilie era al tramonto, ma che una certa aristocrazia avrebbe potuto continuare a governare sotto le insegne del nuovo Stato nazionale in via di costituzione. Da tale atteggiamento deriva il termine di “gattopardismo”, di cui noi italiani abbiamo dato prova in tante occasioni.
Probabilmente in questi giorni, consciamente o inconsciamente, questa frase risuona nelle orecchie di molti manager di aziende di ogni dimensione, dalle piccole imprese alle grandi multinazionali.
Come fare a continuare a vendere prodotti inutili e inquinanti a una popolazione che sta prendendo sempre più coscienza dei guai che il consumismo ha causato e sta causando alla biosfera?
Tutto potrà dirsi di Greta Thunberg ma resta innegabile il fatto che, in concomitanza con le sue pubbliche apparizioni, ha iniziato a diffondersi ovunque la consapevolezza della nostra nocività ai danni dell’ambiente e, di conseguenza, è aumentato a dismisura lo spazio dedicato dai media all’argomento. E più i media ne parlano più cresce il numero delle “cellule cancerogene consapevoli”, tanto per parafrasare il titolo di un mio recente libro.
Ma a forza di parlarne e di sentirne parlare in molti è sopravvenuta l’idea di passare dalle parole ai fatti: se i combustibili fossili uccidono la biosfera, perché usarli ancora? se la plastica inquina, perché continuare a comprarla? se i pesticidi e i fitofarmaci avvelenano la natura, perché insistere nell’utilizzarli?
Domande legittime, ma senza risposta. Il progresso ha prodotto tutta una serie di vantaggi materiali all’essere umano che hanno comportato tutta una serie di svantaggi all’ambiente. Come fare ora a eliminare i secondi senza rinunciare ai primi? Perché questo è il cuore del problema. In tanti siamo disposti a fare qualche piccola rinuncia per il bene del pianeta, ma in quanti siamo disposti a rinunciare alla luce elettrica, alle medicine, alle automobili, agli aerei e ai telefonini? E, domanda ancor più inquietante, se anche volessimo rinunciare a tutto ciò, potremmo farlo senza innescare reazioni ancor più devastanti per l’equilibrio artificiale che consente a oltre sette miliardi di esseri umani di convivere?
Mentre le moltitudini si tormentano con questi dilemmi, i manager delle aziende di ogni dimensione, dalle piccole imprese alle grandi multinazionali, si pongono il problema di come continuare a cavalcare la tigre, di come cioè continuare a vendere i loro prodotti percepiti sempre più dalla pubblica opinione come dannosi per l’ambiente e nocivi per la biosfera.
In realtà la pratica del cosiddetto “greenwashing” non è una novità.
Nel 1986 l'ambientalista statunitense Jay Westerveld coniò il termine per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere di invitare gli ospiti a ridurre il consumo di asciugamani facendo leva sull'impatto ambientale dei lavaggi, quando in realtà il vero obiettivo dell’invito era di far risparmiare le catene alberghiere stesse.
Da allora tutte le grandi aziende hanno fatto ricorso, chi più chi meno, alla favoletta del “proteggiamo l’ambiente” ed hanno presentato i loro prodotti in versione agreste – bucolica. Un esempio paradigmatico al riguardo lo offre da anni il marchio Mulino Bianco della multinazionale Barilla.
Ma quello a cui stiamo assistendo oggi (e a cui assisteremo sempre più nel prossimo futuro) va ben oltre a questi quadretti idilliaci che per aumentare le vendite facevano leva più sulla nostalgia dei bei tempi andati che non su una vera e propria consapevolezza ecologica.
Ora il “popolo bue” si sta svegliando. I giovani stanno suonando la carica contro lo scempio realizzato dalle vecchie generazioni, e allora la risposta delle aziende deve essere adeguata a queste che per loro non sono altro che “nuove richieste dei consumatori”.
Non sono più sufficienti immagini statiche e slogan del tipo “un mondo buono”. Occorre essere ancor più incisivi, mostrare ai compratori che il prodotto che hanno davanti è realizzato da una azienda che sta dalla loro parte, che combatte come loro e più di loro per la salvaguardia dell’ambiente, che mette in atto comportamenti virtuosi e processi eco-sostenibili.
La mastodontica macchina della produzione e distribuzione industriale richiede del tempo per adeguarsi a queste nuove esigenze, ma alcuni hanno giocato di anticipo e i primi spot eco-friendly stanno già passando in televisione sotto i nostri occhi.
Uno su tutti si impone per il suo slogan tanto diretto quanto ingenuo: “Viva la Natura, abbasso la CO2”. Mi riferisco, come qualcuno avrà compreso, allo spot dell’AcquaMinerale San Benedetto “ecogreen”.
Un aspetto buffo della vicenda è che la campagna in questione è stata realizzata da una agenzia pubblicitaria che si chiama “The Beef” (il “manzo”, nel senso che i concorrenti fanno tanto fumo e loro l’arrosto), ma questo è un dettaglio secondario.
In realtà se andiamo a vedere nel sito dell’azienda di acque minerali troviamo pagine e pagine di quanto da loro conseguito in tema di produzione di energia da fonti rinnovabili, efficienza dei processi produttivi, realizzazione di contenitori plastici riciclabili e compensazione di CO2 (!?!).
Lascio ad altri l’onere di verificare l’attendibilità e la validità di quanto asserito. Io mi limito ad osservare che tutte queste eco-realizzazioni nulla hanno a che vedere con il processo produttivo in sé e che se sono state attuate lo si deve unicamente all’importanza sempre maggiore che la pubblica opinione attribuisce al fattore ambiente.
Aggiungo anche che, trattandosi di una azienda che produce acque minerali, il beneficio maggiore per la comunità e per l’ambiente sarebbe stato che chiudesse i battenti invitando tutti i clienti ad abbeverarsi direttamente agli acquedotti comunali.
Ma questo è contro la logica della società industriale e della crescita economica. Ed ecco allora i manager delle aziende spremersi le meningi per cambiare tutto affinché tutto continui come prima.
Di queste giravolte ne vedremo tante nei mesi a venire e, laddove non siano false o ingannevoli, avranno anche una qualche utilità nel ritardare l’agonia del pianeta, tenendo presente che un crollo improvviso del sistema comporterebbe enormi problemi di sopravvivenza ai 7 / 8 o 9 miliardi di esseri umani presenti al momento del collasso.
E allora prepariamoci tutti a tuffarci nel green-business, nuova frontiera del capitalismo più avanzato.

domenica 29 dicembre 2019

Se questa è una guerra per la sopravvivenza, le zanzare stanno vincendo




Una foto, fatta ieri a casa mia, di una zanzara tranquillamente appostata sul muro. Non mi era mai capitato in vita mia di vedere zanzare vive (e pungenti) per natale a Firenze. Anni fa, sparivano in ottobre. Ora, tutti gli anni le avevo viste sopravvivere un po' più avanti con la stagione. Mi aspettavo prima o poi di vederle vive a Natale, bene, ci siamo arrivati.

Già in estate, le zanzare hanno reso impossibile stare in giardino o nei parchi: sono troppo numerose e troppo aggressive, ti tormentano sia di notte che di giorno. Devi rifugiarti in casa, dietro una zanzariera e bene equipaggiati con racchette elettriche e insetticidi.

Se questa era una guerra per la sopravvivenza al riscaldamento globale, le zanzare la stanno vincendo alla grande. Mi sa che degli umani si possa dire qualcosa tipo il bollettino di Diaz della prima guerra mondiale: "i resti di quella che fu una delle più potenti specie del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza."

L'unica soddisfazione è che spero che le zanzare di Natale se le ritrovi a casa sua anche Vittorio Feltri che aveva detto "A Bergamo, con due gradi in più si sta meglio."  Forse, ma dissanguati dalle zanzare.

Spero anche che vadano a bucare per bene William Nordhaus che ha preso il premio Nobel per raccontarci che ci conviene adattarci al cambiamento climatico piuttosto che cercare di fermarlo. In effetti, zanzariere, racchette, insetticidi, e creme anti-puntura fanno aumentare il PIL e non è questo che tutti vogliamo?






lunedì 23 dicembre 2019

La Musica Polifonica e l'Occidente: Un Post Natalizio



Pierluigi da Palestrina, "Sicut Cervus" (1604)

Translated from "Cassandra's Legacy"


Verso gli ultimi secoli del Medioevo, l'Europa stava uscendo da un periodo terribile. Le crociate si erano concluse con una serie di sconfitte disastrose e il tremendo sforzo bellico si era ritorto contro gli Europei, generando carestie e epidemie di peste che uccisero più di 100 milioni di persone. Si stima che morì circa il 45-50% della popolazione, in alcune aree probabilmente arrivando al 75-80%.

Tuttavia, l'Europa sopravvisse al disastro, anzi ne venne fuori più forte. Come ho descritto in un precedente post, con il secolo XV la popolazione europea ha ricominciato a crescere, più velocemente di prima. Probabilmente fu perché riuscì a trovare risorse naturali intatte in termini di foreste e terreni fertili.

Il XV secolo fu  fu l'inizio dell'incredibile espansione che portò l'Europa occidentale a dominare la maggior parte del mondo dopo alcuni secoli di conquiste. Ma la tumultuosa espansione non fu senza lotta interna: ogni stato europeo voleva una fetta della nuova prosperità. Con l'andar del tempo, la competizione avrebbe generato le grandi lotte del secolo XVIII, con l'Europa che combatteva contro se stessa nella guerra dei 30 anni, l'età dei roghi delle streghe e altre catastrofi. Molto prima che ciò accadesse, la vecchia unità culturale europea andava perduta: il latino, la vecchia lingua universale che aveva unito l'Europa medievale, stava rapidamente perdendo terreno. Non serviva più.

Ma, prima di scomparire, il latino ha avuto un ultimo momento di gloria. Era la musica polifonica nell'Europa occidentale, una musica delicata, sofisticata, intricata, incredibilmente bella, mai vista prima al mondo. Non che la polifonia non esistesse prima, era forse il tipo di musica più antico della storia umana e ancora oggi sopravvive come musica religiosa nell'Europa dell'Est. Ma la versione dell'Europa occidentale che è durata circa dal 1400 al 1600, era qualcosa di diverso. In precedenza, la musica gregoriana - monofonica - era stata principalmente un abbellimento delle parole della Bibbia. Con la polifonia, la musica si affermò in un'epoca in cui il latino non era più compreso.

A dire il vero, la musica polifonica era ancora cantata in latino e spesso aveva argomenti religiosi, ma era qualcosa di completamente diverso. Era un'espressione della volontà europea di espandersi in nuove regioni. Proprio come i galeoni europei esploravano nuove terre, la musica polifonica europea stava esplorando nuove armonie e nuovi modi di comunicare: mancando di un linguaggio condiviso, la musica doveva venire in soccorso. La musica polifonica potrebbe essere religiosa, ma non lo era necessariamente. Poteva assumere la forma di un madrigale, un tipo di musica laica.

Per circa due secoli, una nuova armonia, mai sentita prima, risuonò in Europa. Poi, quando la lotta divenne più dura e più estesa, la polifonia lasciò il posto alla musica sinfonica, più adatta all'età tragica e violenta che iniziò con il grande massacro della guerra dei 30 anni e si estese fino alle catastrofi delle due guerre mondiali del secolo XX. Durò fino a quando l'inglese divenne la nuova lingua universale. Con l'inglese, la musica ritornò a essere legata alla voce umana e a parole comprensibili. Un genere moderno come il rap è, dopo tutto, un ritorno all'approccio gregoriano alla musica come abbellimento del linguaggio umano.

Oggi la musica polifonica esiste ancora come musica religiosa nell'Europa orientale, ma in Occidente  è una reliquia di un tempo passato. Tuttavia, possiamo ancora apprezzare la padronanza tecnica dei compositori di quel tempo, uno di questi era Pierluigi da Palestrina che componeva Sicut Cervus, dal Salmo 45 della Bibbia.

In realtà, il Sicut Cervus non è solo una bella armonia, è qualcosa di più. Il suo tema è un cervo assetato in cerca di acqua. Dice: "Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te Deus". Che possiamo tradurre come: "Come un cervo brama una sorgente d'acqua, così la mia anima brama te, o Dio". E questo credo esprima bene il desiderio ardente dell'Occidente, l'angoscia per qualcosa che gli stessi occidentali non riescono a identificare ma che ma hanno cercato per secoli con un entusiasmo così smodato da incendiare mezzo mondo. E, qualunque cosa stessero cercando, sembra chiaro che non l'hanno trovato. Oggi, la parabola della dominazione mondiale occidentale sembra essere per lo più conclusa, anche se la lotta si riaccende ancora qua e là. Ma ci rimane qualcosa da così tanto ardore, la musica di un'epoca remota in cui i nostri antenati erano riusciti a creare qualcosa di profondo e di bello che possiamo ancora ammirare oggi: la musica polifonica.

Ho notato in un precedente post come tutte le culture umane hanno tesori che custodiscono e venerano. Questi tesori non sono di proprietà di nessuno ma doni per tutti. In quel post, ho citato Greta Thunberg, la giovane portatrice della fiaccola dei diritti del pianeta, come un dono che l'Occidente potrebbe essere in grado di offrire al mondo al giorno d'oggi. Ma anche un tesoro da donare al resto dell'umanità. Riusciremo mai ad arrivare a un mondo in cui le culture umane si scambiano doni e non bombe? Di certo, non ci siamo ancora, ma chissà mai? Nel frattempo, l'Occidente continua disperatamente a cercare qualcosa che nessuno sa esattamente cosa sia.






mercoledì 18 dicembre 2019

Il dibattito sul clima Inteso come guerra totale




Mi raccontava un mio conoscente di quando era finito in galera accusato di vari reati amministrativi (ma era per ragioni politiche - sono sicuro). Mi ha detto che ha fatto un'esperienza molto interessante, fra le altre cose a Sollicciano (il penitenziario di Firenze) i detenuti fanno dell'ottimo formaggio.

Ora, non so se io vorrei andare in galera per il gusto di fare esperienza -- o magari per un po' di formaggio. Ma forse avevo qualcosa di simile in mente quando, l'altro giorno, mi sono messo all'anima di partecipare a un dibattito televisivo di una trasmissione chiamata "Byoblu" condotta da Claudio Messora. Forse quello che mi ha attirato è il vecchio detto "Molti Nemici -- Molto Onore" (detto anche: "siamo circondati, ora possiamo colpirli in ogni direzione!"). Trovate qui la registrazione.

Nel dibattito, certamente avevo di fronte molti nemici: una bella selezione dei rappresentanti dell'anti-scienza del clima in Italia: Franco Battaglia, Uberto Crescenti, ed Enzo Pennetta. E già eravamo a tre contro uno. In più il conduttore ha condito il tutto con il famoso e disgraziatissimo intervento di Carlo Rubbia del 2014 sugli elefanti di Annibale (e siamo a quattro contro uno). Per finire, Messora stesso era chiaramente di parte usando spesso termini come "catastrofisti" e "allarmisti" ma ancora peggio era un suo sodale che collaborava alla moderazione che era anti-scienza in modo addirittura vergognoso. C'era anche il collega Marco Rosa-Clot, che è una persona seria e competente, ma che non è convinto della relazione umana con il clima, quindi non era propriamente un alleato. Insomma, 6 contro 1.

Com'è che mi sono messo in una cosa del genere? Non lo so -- forse mi sono immaginato di essere un samurai di quelli dei film che fa fuori cinque o sei nemici uno dietro l'altro con una serie di colpi di spada. Comunque, vi racconto come è andata.

Allora, per prima cosa, non è stato difficile gestire Crescenti -- geologo con buone credenziali accademiche ma che non ha capito niente di scienza del clima. Mi è dispiaciuto fargli fare la figura del vecchio pensionato che si lamenta che non ci sono più le mezze stagioni, ma è quello il suo livello.

Per quanto riguarda Pennetta, è uno che si interessa di esoterismo, UFO e robe del genere, occasionalmente cimentandosi a criticare la scienza del clima. Diciamo che non è, come dicono gli americani, "il coltello più affilato nel cassetto." Qui, mi ha letteralmente messo la testa sul ceppo davanti, facendo l'errore di attaccarmi su un campo in cui lui non è familiare, quello delle pretese "previsioni sbagliate del Club di Roma." E' finito maciullato dalle sue stesse fesserie.

Poi c'è stato il clip di Rubbia -- quello famoso del 2014 in cui parla degli elefanti di Annibale e inanella una serie di fesserie sul clima da far rizzare il pelo ai licaoni. Anche qui, è stato abbastanza facile gestirlo facendo notare come Rubbia stesso alla fine del clip abbia dichiarato che era necessario ridurre le emissioni di CO2. Su questo mi ha dato una mano anche il collega Rosa Clot.

Per quanto riguarda il tirapiedi di Messora, ha avuto il coraggio di chiedermi se facevo parte di una setta esoterica gnostica che odiava l'umanità (è vero! Lo trovate nel clip). Non gli ha portato bene.

E veniamo a Franco Battaglia. Qui, le cose non sono andate altrettanto bene. Battaglia, in effetti, è stato molto furbo: sapeva benissimo che se mi avesse tirato fuori qualcuna delle sue tipiche uscite sul clima, tipo la "hot spot troposferica" o la candela accesa nella stanza, l'avrei fatto a pezzi. Invece, ha usato una tecnica inteligente, attaccando da una direzione inaspettata. Ha tirato fuori una dichiarazione di non so più quale politico europeo e mi ha chiesto se secondo me 300 miliardi di euro erano sufficienti per ridurre le emissioni di CO2 del 50% al 2050. E ha condito la domanda con la richiesta "risponda si o no."

Ora, questo tipo di tattica ("risponda si o no") è spesso molto efficace nei dibattiti. Chi la usa ottiene in primo luogo di posizionarsi come leader nel dibattito, poi mette in difficoltà l'avversario se questo cade nella trappola. In questo caso, se io avessi risposto di si, Battaglia avrebbe risposto con la sua tiritera "adesso facciamo un po' di aritmetica" per dimostrarmi che aveveo torto. Se gli avessi risposto di no, avrebbe detto, "allora è d'accordo con me." e via con la tiritera.

Quando ti mettono di fronte al "risponda si o no," la cosa migliore è reagire in modo creativo. Avrei potuto rispondere, "le rispondo solo se lei promette di rispondere si o no a una mia domanda" e poi chiedergli se lui è pagato dall'istituto Heartland (questo è un suo grosso punto debole). Invece, vi devo confessare che Battaglia mi ha preso un po' di sorpresa. Ho reagito contrattaccando, "lei non ha nè l'autorità nè la competenza per farmi queste domande." Al che, tutto gongolante, lui ha detto "Bardi si rifiuta di rispondere," per poi partire con la tiritera. E su questo scambio va detto che ha vinto lui -- perlomeno come effetto sugli ascoltatori un po' più sprovveduti.

Poi, viceversa, ho avuto la buona idea di suggerire al moderatore di fare intervenire Rosa Clot che è un grande esperto di fotovoltaico e, pacatamente, ha demolito le argomentazioni di Battaglia. Il resto non ha molta storia. Nel complesso, credo di essere stato abbastanza efficace, lo si vede dai commenti rabbiosi che sono arrivati. Vuol dire che ho colpito abbastanza duro.

E ora vediamo se possiamo imparare qualcosa da questa esperienza.

1. Per prima cosa, la pochezza scientifica dei critici della scienza del clima è impressionante. Se vi piace vincere facile, vi suggerisco di dibattere con questi qui, tipo Crescenti o Pennetta, che oltre a non capire niente di clima sono anche scarsi come capacità di dibattito. Pensate a qualcosa tipo Conan il Barbaro che affronta in duello il ragionier Castracipolle di Varazze, ecco, qualcosa del genere.

2. Ma il punto 1 (vincere facile) è valido soltanto se siete in grado di avere spazio per ribattere e far valere il vostro punto di vista. Se il moderatore non vi lascia spazio, è un altra storia. E' più o meno quello che è successo a Emiliano Merlin in un recente dibattito dove Crescenti ha avuto un'ora e lui lo hanno zittito. E' successa la stessa cosa anche a me un paio di volte in dibattiti televisivi: quando ho detto qualcosa che non è piaciuta al conduttore, mi hanno tolto la parola e non me l'hanno più ridata. Anche a loro piace vincere facile, ovviamente. Quindi, attenzione: in queste cose ci sono sporchi trucchi. Neanche Conan ce la fa se gli dai una spada di cartone e gli leghi insieme le stringhe delle scarpe.

3. Come ho detto già altre volte, il dibattito scientifico sul clima è ormai completamente sparito. Si è trasformato in un dibattito politico. Questo vuol dire che per quanto possiate schiacciare il vostro avversario con argomenti scientifici, il pubblico si dividerà comunque in fazioni a seconda della loro posizione ideologica. Questo è normale: quando uno va alla partita, tifa per la propria squadra, non per la squadra che gioca meglio. E quindi non vi fate illusioni di poter convincere nessuno usando la scienza. Lo si vede anche dai commenti al video di Messora, tutti a senso unico contro la scienza del clima. Così è la vita.

4. Il dibattito politico segue delle regole molto diverse dal dibattito scientifico. In politica sono ammessi colpi bassi, insulti, attacchi personali, bugie, mezze verità, e cose del genere. E' guerra totale: non si usa il fioretto, ma la mazza ferrata. Dovete starci molto attenti ed essere preparati a rispondere e non è ovvio che uno che non fa di mestiere il politico o il giornalista sia in grado di reggere il confronto con i professionisti.  Una tattica usata con successo da Stefano Caserini è stata di mettere delle regole rigorose prima del dibattito. Però non funziona sempre.

5. Un dibattito di un'ora e mezzo come quello di cui vi ho parlato, ti succhia talmente tanta energia psichica che ti lascia abbacinato per un paio d'ore e ci vuole un giorno intero per riprendersi. E non leggete i commenti che vi fanno, rischiate la depressione. Diciamo che è un po' come andare a vedere un film dell'orrore -- siete contenti quando finisce e vi sentite sollevati perché era solo fantasia. Salvo che questi qui che incontrate nel dibattito sono veri!


E arriviamo alle considerazioni finali. Vale la pena impegnarsi in dibattiti di questo genere? Onestamente, non sono sicuro della risposta. Non sarebbe meglio semplicemente ignorare questa gente? Forse si, certamente per persone come Crescenti o Zichichi si applica il principio di aspettare sulla riva del fiume. Ma è anche vero che persone come Franco Battaglia si stanno rivelando molto pericolose. Battaglia è uno che ha capito moltissimo di come funziona la comunicazione, è un tizio parecchio intelligente che usa tutte le tattiche e i trucchi del caso e risulta molto efficace, soprattutto con un pubblico meno esperto e più facilmente influenzabile. Del resto, è il suo target specifico, su questo ha imparato da Silvio Berlusconi.

Il problema è che Battaglia si sta guadagnando una certa visibilità in Italia come contributore abituale del blog di Nicola Porro sul "Giornale".  E questo può fare grossi danni a tutti quanti. Credo che dovremmo impegnarci a controbattere a queste cose sui media ad alta diffusione, non solo su siti di qualità come climalteranti.it, ma che sono pochissimo diffusi in confronto. Il dibattito sta diventando sempre più serrato e anche più duro: ne va della nostra sopravvivenza. Dovremmo cercare di impegnarci di più per controbattere l'ondata dell'anti-scienza. 



Ultima nota: volevo ringraziare Claudio Messora. In un certo senso, mi ha teso una trappola, ma è anche vero che è stato onesto dicendomi prima chi erano gli altri partecipanti (a parte il tale dell'esoterismo gnostico, ma, vabbé, sorvoliamo). Poi, mi aveva promesso che mi avrebbe dato spazio nel dibattito e lo ha fatto. Quindi, bene così, come dicevo è stata un'esperienza interessante, anche se non mi sono guadagnato nemmeno una fettina di formaggio. Volendo, ci si potrebbe anche riprovare!






    


domenica 15 dicembre 2019

A proposito di Greta Thunberg: una lettera per i miei amici non-occidentali



Cari amici non occidentali,

prima di tutto, vorrei dirvi che capisco la vostra perplessità su Greta Thunberg. Capisco impressione vi può aver fatto quest'ultima acrobazia dei media occidentali nel nominarla "Persona dell'anno". Dal vostro punto di vista, sembra proprio un altro trucco dell'Occidente, uno tra i tanti. E capisco che tutto questo faccia aumentare il sospetto che l'intera storia del cambiamento climatico non sia altro che una bufala creata dall'Impero occidentale per mantenere il suo dominio su tutto il pianeta.

Si, capisco. Ma vorrei chiedervi di fare uno sforzo per capire noi occidentali. Vedete, a volte ho la sensazione che una delle caratteristiche dell'inferno potrebbe essere che le persone che vi sono dentro non si rendono conto di esserci. Sarebbe una cosa davvero malvagia, ma, dopotutto, era un poeta occidentale, Baudelaire, che aveva detto che il miglior trucco del diavolo è convincerti che non esiste. Quindi, se l'inferno è un luogo in cui ti vengono dette bugie su tutto, incluso che non sei all'inferno, allora noi occidentali viviamo veramente all'inferno, almeno un certo tipo di inferno.

Non sono solo bugie, è il tipo di bugie. I media occidentali si sono evoluti in una macchina per produrre paura e odio. Chiunque, qualsiasi gruppo, qualsiasi credo, può essere distrutto da questa macchina. E non puoi fare molto per reagire. Se dubiti della narrazione ufficiale, sei un cospirazionista. Se chiedi la pace, sei il tirapiedi di Putin. Se protesti contro il tuo governo, sei un terrorista. Se neghi il ruolo dell'Occidente nel guidare il mondo, sei un traditore. Inoltre, la maggior parte degli occidentali è convinta che la propaganda sia una cosa del mondo non occidentale e che i loro media siano liberi e indipendenti. Eh, si, Baudelaire aveva ragione.

Certo, non mi fate dire che il mondo non occidentale è un paradiso di verità. Non ci penso nemmeno. Tutte le nazioni, tutti gli stati, tutte le culture, hanno i loro pregiudizi, i loro filtri, le loro convinzioni radicate e, in molti casi, le loro macchine propagandistiche. Ognuno di noi, occidentali e non occidentali, vede il mondo attraverso i filtri che la nostra cultura, le nostre tradizioni e i nostri media ci mettono davanti. Ma voi, non occidentali, avete una possibilità che a noi viene negata. Potete usare usare l'inglese per leggere i media occidentali senza essere parte del target a cui loro si rivolgono. E, come dicevo, capisco che spesso non vi piace quello che leggete.

E così, torniamo a Greta Thunberg. Certo, capisco che questa ragazza non è nata da sola come fenomeno mediatico, come alcuni potrebbero voler credere. È supportata da un team di esperti di alto livello, non poteva certamente combattere il Behemot dei media occidentali da sola. E capisco che il suo messaggio potrebbe essere frainteso, imbastardito e sfruttato per l'ennesimo giro di greenwashing -- e probabilmente lo sarà. Lo so bene. (Nota alla traduzione Italiana: e se volete convincervi di questo, io e i miei collaboratori ci abbiamo fatto uno studio mediatico sopra)

Ma non è questo il punto. Il punto è che l'apparizione di Greta Thunberg è stata sorprendente e inaspettata. Se è un prodotto della propaganda, allora è un tipo insolito di propaganda. Sarebbe la prima volta in molti decenni che i nostri media ci presentano un messaggio che non si basa sull'idea di qualcosa o qualcuno che è il male e che deve essere distrutto. Questa ragazza ha attraversato tutte le barriere dei media con un semplice messaggio: la verità sul cambiamento climatico. Non ci stava dicendo di uccidere o odiare nessuno, ci stava solo dicendo di lavorare insieme per garantire che la sua generazione potesse avere un futuro. E portava il messaggio con una forza interiore, un modo di porsi, una capacità di dire cose dirette che era quasi incredibile. È sorprendente il modo in cui ha attirato su di sé tutti i tipi di insulti, maltrattamenti e maledizioni, ma nulla le è rimasto addosso davvero. Vi ricordate la "Teflon-presidenza" di Ronald Reagan? Bene, questa ragazza non è solo rivestita di teflon: indossa un'armatura di Mythril come gli eroi della trilogia dell'anello.

Capisco che è possibile che questa ragazza scompaia dalla mediasfera in breve tempo, come accade oggi per la maggior parte delle idee che nascono e muoiono sul Web. Ma potrebbe rivelarsi qualcosa di più, forse non la persona specifica di Greta Thunberg, ma nel messaggio che rappresenta. Un messaggio forte che dice all'umanità di rispettare le cose che fanno vivere l'umanità: il nostro pianeta e tutti gli esseri viventi in esso.

Permettetemi di menzionare qualcosa che ho imparato non molto tempo fa, quando ero in Iran. Era il tempo dell'Arbaeen, la commemorazione del martirio dell'Imam Husayn ibn Ali, quaranta giorni dopo l'Ashura. Qualcuno dei miei amici iraniani mi ha detto (o forse ho letto da qualche parte) che "l'Imam Husayn è una figura che noi sciiti offriamo come dono all'intera umanità, come esempio di virtù e di giustizia". E questo mi ha colpito come qualcosa che vale la pena ricordare. In tutte le culture, abbiamo qualcosa o qualcuno che veneriamo come un tesoro: una persona, una poesia, un'opera d'arte, un modo di vedere il mondo. E questi tesori, penso, li dovremmo condividere con il resto dell'umanità, come doni.

Ora, ovviamente, non ho l'autorità per dire cosa l'entità che chiamiamo "Occidente" dovrebbe o non dovrebbe fare. Di sicuro, abbiamo condiviso con il mondo molti doni avvelenati in passato. Ma questa ragazza, Greta Thunberg, potrebbe essere un vero tesoro, un dono che potremmo offrire al resto del mondo. Per una volta, dall'Occidente arriverebbe un messaggio di pace e armonia. Potrebbe davvero succedere? Difficile da credere, certo, ma è una grande speranza.




Ringraziamenti: Chandran Nair

martedì 10 dicembre 2019

Ballando nudi nel campo del sapere




«I poeti affermano che la scienza distrae dalla bellezza delle stelle – semplici globi di gas. Anche io riesco a vedere le stelle in una notte nel deserto e sentire la loro magia. Ma vedo più o meno cose?» – Richard Feynman.


Un post di Fabio Vomiero


Non che l'eccentrico inventore della tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction) Kary Mullis, purtroppo recentemente scomparso, fosse l'emblema della razionalità, del resto uno scienziato che crede negli oroscopi, sostiene di essere stato rapito dagli alieni, propone tesi complottistiche contro la causa virale dell'AIDS, senza peraltro nascondere di avere fatto un uso abituale di LSD, non può certamente rappresentare la migliore icona del ragionamento scientifico.

Tuttavia, la parafrasi del titolo di un suo interessante e fortunato libro1, così come l'impareggiabile efficacia di uno dei più grandi fisici del secolo scorso in una sua affermazione riportata nel sottotitolo, appaiono estremamente promettenti nell'introdurre il tema di questa breve riflessione.

Proveremo infatti a parlare di questioni, come quelle del sapere e della conoscenza, che da sempre hanno appassionato e diviso schiere di pensatori, filosofi e scienziati e che oggi, come ieri, faticano ancora a trovare una giusta collocazione logica all'interno di uno scenario teorico ed epistemologico completo e condiviso.

Ma cominciamo allora con il considerare alcune situazioni sociologiche abbastanza emblematiche.

Primo, in Italia con il termine "cultura" si intende in generale un sapere prevalentemente di tipo umanistico e questo è evidente, si provi soltanto a pensare all'iconografia del cosiddetto "intellettuale" e ci si troverà di fronte a un giornalista tuttologo, a un letterato scrittore, a un filosofo, al massimo a uno storico dell'arte; è molto più facile e immediato, infatti, pensare a un Massimo Cacciari o a un Vittorio Sgarbi come prototipo di "intellettuale", piuttosto che a un Alberto Redi o a un Edoardo Boncinelli, circoscrivendo così, di fatto, l'intellettualità alla filosofia, alla letteratura o all'arte. Così come è molto più probabile che uno studente di scuola secondaria conosca perfettamente l'opera di Omero piuttosto che conoscere sufficientemente il metabolismo e la funzione dei nutrienti o come funziona un antibiotico. Un tipo di orientamento cognitivo, questo, peraltro molto comune e ben radicato nelle società contemporanee, che è l'esatta espressione di un rapporto tra scienza e umanesimo quantomeno problematico, tanto che lo scienziato e scrittore Charles P. Snow ne aveva efficacemente discusso nel suo libro Le due culture già alla metà del secolo scorso.

Secondo, siamo generalmente così pieni di pregiudizi, di credenze, di miti e di falsa conoscenza derivata dalle fake, dal passaparola e dal sentito dire, che poi diventa sempre molto difficile riuscire a sgomberare adeguatamente la mente per ottenere quella predisposizione intellettuale necessaria a rimettere in discussione le nostre convinzioni, molto spesso sbagliate.

Terzo, appare abbastanza evidente come negli ultimi decenni si sia diffusa una sorta di ingiustificata e paradossale diffidenza nei confronti del sistema scienza per tutta una serie di ragioni che andrebbero meglio approfondite.

Quarto, i principali responsabili di questa artificiosa e inutile divergenza tra scienza e umanesimo, resa evidente in particolar modo a partire dalla fine dell'Ottocento, sono proprio gli umanisti stessi, i quali, preoccupati della crescente pervasività del sapere scientifico, hanno cercato di difendere con i denti il loro "bunker" di isolamento culturale. Basti pensare soltanto a quanti umanisti in media si interessino costruttivamente anche di scienza, pochissimi, e a quanti scienziati invece si dedichino comunemente anche a materie umanistiche e artistiche, praticamente tutti.

Bene, ma se qualcuno non dovesse essere ancora troppo convinto da questa breve e sommaria analisi, cominci allora a guardarsi un po' in giro con una certa curiosità analitica, cercando di raccogliere qualche dato concreto e significativo. Magari provando a considerare quante persone credano ancora negli oroscopi o "frequentino" in qualche modo maghi, guaritori, maestri di vita e millantatori di ogni tipo, o quante altre persone credano ancora nel creazionismo, nell'omeopatia, o riescano a fare soltanto una rapida e corretta analisi costi-benefici oppure una valutazione grossolana di un rischio in base al calcolo delle probabilità, o semplicemente a come siano strutturati i palinsesti televisivi e le testate dei giornali, o quali ancora siano le materie preferite nelle scuole e gli argomenti trattati dai saggi nelle librerie, o per esempio ancora, quanti concorrenti nei giochi a quiz scelgano per prime, o meno, le domande di scienza rispetto alle altre.

Va da sè, che una desolante e per certi versi paradossale prospettiva di questo tipo significa soltanto una cosa: tra due possibili modi di pensare, di ragionare e di guardare al mondo, l'uno istintivo, rapido, emotivo, superficiale, facile, e l'altro riflessivo, razionale, critico, esigente, spesso difficile e controintuitivo, tipico della scienza, si continua a preferire prevalentemente il primo e a ignorare il secondo.

Ecco qual è il problema.

La cultura che si respira e che si insegna nel nostro Paese infatti non aiuta molto. Famiglia, scuola e società, continuano a galleggiare, senza nemmeno rendersene conto, al di sopra di un pericoloso substrato di antiscientificità che genera incoscienza, e l'incoscienza si sa, conduce spesso verso i disastri. Viviamo nel mito del passato con una tale ossessione e spreco di energie intellettuali, da non preoccuparci nemmeno troppo per il presente e soprattutto per il futuro, come ci ricorda saggiamente anche l'architetto Renzo Piano quando afferma che «Il passato è un ottimo rifugio, ma il futuro è l'unico posto dove possiamo andare».

Non ci piace affatto, infatti, l'idea eraclitea del cambiamento, che peraltro è nella natura di tutte le cose e di tutti i processi biotici e abiotici del mondo, perchè possiamo sentirci al sicuro solamente quando le cose sono per sempre, come il diamante della pubblicità o come il greco al liceo, che, si usa pontificare, serve per "aprire" la mente, nonostante nessuno abbia ancora mai fornito uno straccio di prova, naturalmente, per mostrare che effettivamente studiare il greco "apra" di più la mente dello studiare la musica, la matematica, una materia scientifica o una seconda lingua.

E veniamo alla filosofia, questa forma del sapere sicuramente interessante, ma che, per sua natura, non può che essere comunque sempre al centro di un dibattito epistemologico infinito, non privo di venature ideologiche. L'ultimo attacco, soltanto qualche mese fa ad opera dello scienziato Edoardo Boncinelli con il suo La farfalla e la crisalide3, un'analisi critica ben strutturata e argomentata, che segue peraltro da vicino il pensiero di tutta una lunga lista di altri scienziati tra i quali i fisici Lawrence Krauss, Stephen Hawking, Leonard Mlodinow, Neil Tyson, il premio Nobel Steven Weimberg, il biologo Richard Dawkins e il già citato Richard Feynman, solo per fare qualche esempio.

Nessuno mette in dubbio che la filosofia, infatti, possa essere quella caratteristica peculiare dell'essere umano che, essendo più di ogni altra, espressione di un elevato livello di autocoscienza, ci distingue certamente, insieme al linguaggio articolato, dai nostri cugini primati.

Solo che, probabilmente, sarebbe il caso che la filosofia, una volta mutati i contesti storici e sociali, cominciasse finalmente a ridefinire anche sè stessa e soprattutto i suoi limiti, tenendo conto anche del fatto che, in realtà, tutti noi facciamo normalmente della filosofia, per dirla con Antonio Gramsci.

Il problema quindi non è la filosofia, ma la scienza, semmai, è questa la complessa e particolare attività cognitiva umana, ancora semisconosciuta ai più, che dovrebbe invece essere studiata e in qualche modo finalmente capita per poter fare una reale differenza. Ricordando inoltre che il fare scientifico moderno, sempre più operativamente orientato verso un linguaggio plurale e interdisciplinare, valuta, seleziona e utilizza certamente tutta la filosofia che serve, concetto questo che potrà anche essere sgradito a molti filosofi, ma che, se vogliamo, trova invece la sua legittimazione logica proprio in un semplice sillogismo aristotelico: se la scienza è prima di tutto un'attività cognitiva umana, e gli esseri umani sono anche filosofi, allora la scienza è anche filosofia.

Anche la scienza, infatti, è prima di tutto stupore e meraviglia, con buona pace di Aristotele e Platone.

La scienza sperimentale, inoltre, che peraltro si è evoluta proprio dal pensiero filosofico naturale, non è aridamente e cinicamente soltanto tutto ciò che è matematizzabile, computabile e prevedibile in dettaglio come tendono a sostenere alcuni filosofi della scienza, perchè se così fosse, bisognerebbe considerare scienza soltanto la matematica e la fisica classica, escludendo, di fatto, perlomeno la meccanica quantistica, i sistemi complessi, le bioscienze e tutti quei territori di indagine scientifica, che anche Galileo ignorava, in cui bisogna necessariamente fare i conti con la gestione dell'incertezza e dell'indeterminazione e per i quali, effettivamente, manca ancora una teorizzazione epistemologica adeguata e condivisa.

Del resto è abbastanza ovvio che anche nella scienza ogni osservazione, ogni dato e ogni modello, dovranno essere in qualche modo sempre vagliati all'interno di un complesso ambito procedurale fatto anche di interpretazioni e di contesti teorici stratificati culturalmente.

Se uno scienziato non fosse anche una sorta di filosofo allora sarebbe meglio che cambiasse mestiere, non essendo nemmeno immaginabile che fisici teorici o biologi evoluzionisti possano lavorare tranquillamente senza essersi mai interrogati sul perchè l'universo sia fatto in un certo modo piuttosto che in un altro, o su che cosa siano la vita e la coscienza, oppure semplicemente sull'essenza del nostro essere, chi siamo, da dove veniamo, eccetera, eccetera.

E inoltre, come è possibile che alcuni filosofi insistano nell'assegnare alla filosofia un valore epistemologico superiore a quello della scienza, quando è così evidente che all'interno del pensiero filosofico, a differenza del sapere scientifico, può essere vero tutto e il contrario di tutto.

Basti soltanto guardare alla storia della filosofia o ai banali dibattiti filosofici contemporanei per rendersene subito conto. Su questo, pare essere d'accordo persino un filosofo e teologo come Vito Mancuso: «Se c'è un insegnamento che è possibile trarre dai duemilacinquecento anni di storia della filosofia è che l'esercizio rigoroso della ragione filosofica ha condotto a differenti e contrastanti risultati»4. Certo, e non potrebbe essere altrimenti visto che la filosofia, da sempre, si caratterizza proprio per essere un terreno di disputa più che di consenso.

La realtà è che «La filosofia è vuota senza la scienza», come sostiene giustamente il matematico "intellettuale" Piergiorgio Oddifreddi5, o perlomeno, rischia fortemente di esserlo, e se fino a circa quattrocento anni fa potevamo avere l'alibi di non saperlo, ora non più. Di conseguenza, anche tutto il discorso legato al mito autopoietico dell'insegnamento del pensiero critico proprio attraverso lo studio della filosofia, viene logicamente a decadere proprio in virtù di un'analisi critica verso quella stessa fonte (la filosofia) che dovrebbe in realtà generarlo e alimentarlo (il pensiero critico).

E poi, francamente, che cosa ci vuole a essere critici nei confronti di pensieri filosofici di secoli o millenni fa, quando si era praticamente ignoranti su tutto; non si conoscevano le principali leggi fisiche e la loro validità universale (isotropia e omogeneità dello spaziotempo), non si sapeva di che cosa fossero fatte la materia e l'energia, non si sapeva praticamente nulla di biologia, di neuroscienze, di relatività, di meccanica quantistica.

Si provi piuttosto a formulare delle critiche logicamente e formalmente corrette, in un senso o nell'altro, nei confronti di complessi temi scientifici, ma non solo, come l'origine della vita, l'evoluzione biologica, gli OGM, i vaccini, i cambiamenti climatici, la questione energetica, la crisi ambientale, la nutrizione umana, la situazione demografica e socioeconomica internazionale.

Ecco perchè oggi, più che mai, è indispensabile conoscere scientificamente il mondo, come ci ricorda anche il filosofo americano James Flynn quando afferma che «E` un privilegio essere alfabetizzati in un'età scientifica»6, perchè, piaccia o non piaccia, è proprio su questi temi che prima o poi si deciderà il nostro futuro.

Con il linguaggio della matematica si impara la logica formale e con lo studio delle scienze si impara invece a ragionare in maniera corretta basandosi principalmente sui dati scientifici, sulle prove e sull'evidenza, nonchè, certamente, sull'esercizio metodico della ragione, che, a questo punto, non è più il criterio esclusivo della filosofia.

Altro che scientismo.

Infine, c'è la conoscenza che deriva dalle sfere teologico-religiose, certamente rispettabile, ma che diventa anche evidentemente discutibile nel momento stesso in cui questa particolare modalità di situazione cognitiva rischia di annullare completamente il pensiero critico e impedisce al ragionamento di mantenere una certa razionalità. In questo caso, infatti, ci troviamo di fronte a una forma di conoscenza che non può nemmeno essere confrontata con quello che ci insegna il metodo scientifico. Una conoscenza con pretesa di Verità Assoluta, che deriva e si accetta per Rivelazione da parte di un'Entità inconoscibile, indescrivibile o soltanto inimmaginabile da ogni possibilità di indagine e di esplorazione scientifica.

Ammesso poi che sia logicamente legittimo parlare di Verità Assoluta anche al di fuori dell'unico contesto in cui probabilmente è possibile farlo, e cioè all'interno del perimetro ben delimitato di un codice arbitrario e artificioso inventato dall'uomo come il linguaggio, matematico o letterario che sia.

Ecco perchè il credo religioso, così come molta filosofia, a differenza della ricerca di intersoggettività da parte dell'attività scientifica, implicano necessariamente un atto di fede e godono pertanto di un'autonomia che, evidentemente, non può che essere di tipo personale.




Bibliografia:

1) Mullis, L.1998. Ballando nudi nel campo della mente, Baldini Castoldi Dalai.

2) Snow, L.1959. Le due culture, Feltrinelli.

3) Boncinelli, L.2018. La farfalla e la crisalide, Cortina.

4) Mancuso, L.2011. Io e Dio, Garzanti

5) Odifreddi, L.2009. Il matematico impenitente, TEA.

6) Flynn, L.2013. Osa pensare, Mondadori Università.