domenica 23 agosto 2015

In che modo gli scienziati affrontano il timore per la propria esistenza?

Daslate.com”. Traduzione di MR (via Ugo Bardi)

In che modo gli scienziati affrontano il timore per la propria esistenza? 

Di Eric Holthaus


Uomini che dormono sul pavimento durante un'ondata di calore in una moschea presso la sede del Jinnah Postgraduate Medical Centre (JPMC) a Karachi, in Pakistan, il 28 giugno 2015. 

C'è stata una ressa di notizie distopiche sul cambiamento climatico durante la scorsa settimana, più o meno. Una raffica di venti occidentali fuori scala nell'Oceano Pacifico sta bloccando uno degli El Niño più forti mai registrati, garantendo virtualmente che il 2015 sarà l'anno più caldo mai registrato nella storia umana. Il sistema meteorologico ha generato una rara tripletta di tifoni in Cina.
Temperature record sono state stabilite in Spagna, Francia, Regno Unito e Germania in una ondata di calore soffocante. Incendi diffusi in Alaska stanno bruciando il permafrost e il fumo persistente degli enormi incendi canadesi hanno portato a Minneapolis l'aria peggiore del decennio. Nel nordest del Pacifico, sotto una siccità in intensificazione, persino la foresta pluviale è in fiamme. Se il cambiamento climatico è già così, il futuro è praticamente fottuto, giusto? Be', forse. Nonostante alcuni momenti memorabili di intenso realismo sulla scena mondiale, i capi del mondo non hanno fatto essenzialmente niente. Il timore per la propria esistenza è piuttosto comune fra coloro che lavorano sul cambiamento climatico quotidianamente. Questo è l'argomento esaminato questa settimana da John H. Richardson su Esquire in una discussione affascinante e franca con Jason Box ed altri scienziati del clima. Ho avuto anch'io le mie fasi di disperazione da cambiamento climatico e questo articolo mi colpisce come affascinante excursus nella psicologia di una scienza sempre più apocalittica. Dovreste leggerlo per intero, ma eccovi alcune perle. Richardson descrive Box come “stranamente distaccato dalle cose che dice, esponendo previsioni orribili una dopo l'altra senza emozione, come se fosse un antropologo che che osserva il ciclo di vita di una civiltà lontana”.

sabato 22 agosto 2015

Argomento cruciale: la mandria umana che si sta mangiando il pianeta

Da  “Mercury”.  Traduzione  di  MR  (via  Luca  Pardi)


L'attuale crescita della popolazione sulla Terra è insostenibile. Immagine: NASA

Per decine di migliaia di anni la popolazione della Terra è stata stazionaria a circa mezzo miliardo di persone di cui 10.000 in Tasmania. Era la capacità di carico naturale.

Dopo la Rivoluzione Agricola di 10.000 anni fa, la mandria umana globale è cresciuta rapidamente ad un miliardo nel 1800 (di cui sempre 10.000 in Tasmania). Con la Rivoluzione Industriale è raddoppiata a due miliardi nel 1900 (in Tasmania 170.000) e, nonostante due guerre mondiali ed una pandemia di influenza, ha raggiunto i 2,7 miliardi quando sono nato nel 1944 (in Tasmania 248.000). Quindi, ancora più impensabile, nel 1960 il mondo aveva tre miliardi di persone e nel 2000 quel numero è raddoppiato – 12 volte la naturale capacità di carico. Ora, nel 2015, siamo 7,3 miliardi (in Tasmania 517.000) e , mentre agli attuali tassi di crescita la popolazione globale raggiungerebbe i 27 miliardi nel 2100, le Nazioni Unite calcolano che si riduca a 12 miliardi o 24 volte la naturale capacità di carico della Terra. L'acclamato cosmologo e fisico Stephen Hawking ha calcolato che “se se continuasse a questo ritmo, con la popolazione che raddoppia ogni 40 anni, nel 2600 ci ritroveremmo letteralmente in piedi spalla a spalla”.

Stiamo già consumando il 140% delle risorse viventi sostenibili della Terra – cioè, l'ecosistema vivente della Terra sta collassando.

Il fisico Stephen Hawking. Foto: AFP
Il corollario più distruttivo della popolazione è il consumo. Siccome i più poveri vogliono mettersi in pari coi più ricchi, i più ricchi non condivideranno e quasi tutti vogliono di più, il consumo di risorse terrestri sta crescendo anche più rapidamente del numero di abitanti. Siamo in un disastro. Come sappiamo tutti, la biosfera, o mantello vivente del pianeta, viene rapidamente distrutto dalla più grande mandria di mammiferi ci vi abbia mai pascolato. Stiamo già consumando il 140% delle risorse viventi sostenibili della Terra, cioè, l'ecosistema vivente della Terra sta collassando. Ogni giorno ci sono meno foreste, meno bacini di pesca (il 90% è andato o sta per andarsene) e meno barriere coralline, meno fiumi naturali, meno specie (l'attuale tasso di estinzione è 500 volte il tasso naturale e sta accelerando) e molta meno natura selvaggia che mai. Tre cose ci aiuteranno ad uscire da questa calamità che si sta sviluppando.

La prima è di assicurarsi che ogni ragazza e ragazzo sul pianeta vengano istruiti e venga dato loro accesso alla contraccezione, con incentivi ad avere meno figli. Questa priorità dipende dal secondo imperativo – che le persone ricche (e i paesi) condividano molto di più e finanzino quell'educazione i requisiti dei suoi operatori sanitari, alla svelta. Vale a dire noi. Gli australiani sono fra le persone più ricche che siano mai esistite. La terza cosa che si deve fare è mettere fine al dogma ridicolo della promozione della crescita dei consumi delle riserve finite di risorse della Terra. Il dio senza speranza della crescita deve essere sostituito dal dio promettente del riusare, riciclare, riparare, innovare e condividere. Il buon senso ordina una relazione sostenibile degli ecosistemi interconnessi dell'Homo Sapiens e del pianeta Terra, anche se quel futuro rimarrebbe ampiamente aperto all'indagine ed alla scoperta e alla crescente creatività umana. Per cogliere pienamente la promessa di vita sulla Terra, dobbiamo sostituire la spirale della crescita della popolazione e dei consumi con una miscela intelligente di auto-preservazione. Non si tratta di un'idea nuova – il moralista ed economista britannico Kenneth Boulding mezzo secolo fa osservava che “chiunque creda che la crescita esponenziale possa continuare per sempre in un mondo finito o è un pazzo o è un economista”.

Il dio senza speranza della crescita deve essere sostituito dal dio promettente del riusare, riciclare, riparare, innovare e condividere.

La Tasmania è in una situazione vantaggiosa per dare l'esempio. Per esempio, i tasmaniani potrebbero ottenere più prontamente emissioni di gas serra negative e perdita zero di specie native, di ecosistemi (sia marini sia terrestri) e di bellezza selvaggia e spettacolare di quasi qualsiasi altra società sulla Terra. Allo steso tempo questi risultati farebbero aumentare il nostro lavoro più in prospettiva e la nostra storia economica più di successo – le industrie del turismo e dell'ospitalità che prosperano sulla base della nostra reputazione internazionale di uno stile di vita sicuro e verde con grandi quantità di cibo ed acqua, vita e natura selvaggia e bellezza incontaminati. In un mondo sempre più mobile diretto a più di otto miliardi di persone entro un decennio, la sicurezza e la naturalezza della Tasmania sono diventate il nostro bene economico più grande. Affollati e tormentati come sono in miliardi di persone, la Tasmania offre loro un'avventura solitaria nella natura per il corpo e un rilassamento per l'anima che non sono secondi a nessuno. Paradossalmente, più affolliamo l'isola, meno questa sarà attrattiva. Il nostro miglior obbiettivo deve essere una popolazione residente relativamente bassa e un grande flusso di visitatori.

Una politica della popolazione sensibile per la Tasmania punterebbe ad una popolazione in naturale diminuzione e ad un afflusso di una parte dei diseredati del mondo finché la crisi globale non è finita.

La politica del governo Hodgman di raddoppiare il tasso di crescita della popolazione della Tasmania nei prossimi 35 anni si inchina all'economia convenzionale della crescita. Comunque sia, i pianificatori dovrebbero piuttosto preoccuparsi del fatto che una politica del genere verrà prima o poi sommersa da migrazioni di massa globali dovute a cambiamento climatico, guerre ed altre imprevedibili calamità. Una politica della popolazione sensibile per la Tasmania punterebbe ad una popolazione in naturale diminuzione e ad un afflusso di una parte dei diseredati del mondo finché la crisi globale non è finita. E perché non rendere partecipe di quella politica uno stato d'oltremare finanziando, diciamo, l'incremento di educazione e salute nelle vicine Papua Nuova Guinea o Timor Est dove le popolazioni stanno esplodendo? La popolazione non è l'argomento preferito di nessuno. Con una eguale misura di istinto ed assurdità, non vogliamo parlarne. Tuttavia, che piaccia o no, la popolazione è un problema di tutti. Possiamo ringraziare il premier, perlomeno per aver sollevato di nuovo questo problema importante.




venerdì 21 agosto 2015

mercoledì 19 agosto 2015

Il Ritorno Energetico dell'Energia Investita.


Il concetto di "Ritorno Energetico" (EROI o EROEI), proposto per la prima volta da Charles Hall nel 1986, ha avuto un notevole successo. Oggi, forma la base di una visione del mondo che considera la disponibilità di risorse naturali, e minerali in particolare, come il fattore critico della nostra esistenza. Non tutti hanno capito il concetto che la graduale diminuzione del ritorno energetico ottenuto dai combustibili fossili è quello che sta creando tutto il disastro che ci vediamo intorno, anche se, va detto, il sistema finanziario e l'idiozia dei nostri politici ci stanno mettendo del loro per peggiorare. 

In questo post, Dario Beruto, ingegnere chimico e ex docente all'Università di Genova, riassume i punti centrali del concetto di "EROEI". Questo articolo è stato pubblicato in Luglio dalla rivista genovese "Il Gallo" ed è riprodotto qui con il permesso dell'autore







Guest post di Dario Beruto


IL RITORNO ENERGETICO DELLA ENERGIA INVESTITA

Voci fuori dal coro.


Enzo Tiezzi ( 1938-2010) fu docente di Chimica Fisica presso l’Università di Siena, e con il suo libro “ Tempi Storici, Tempi Biologici” ( ed. Garzanti 1984), ha illustrato , in modo molto convincente, in cosa consiste “ il gap dei tempi”. Mentre i ritmi dell’evoluzione naturale sono molto lenti, quelli della tecnologia e/o delle tecnologie che utilizziamo per trasformare e riciclare materiali, energia e informazione avvengono a una velocità tale da turbare lo stato di equilibrio metastabile che il nostro Pianeta ha conseguito attraverso processi evolutivi iniziati 14.000 milioni di anni fa.

La situazione di disagio che si è generata ai nostri giorni è stigmatizzata dalle variazioni globali e regionali che il clima del pianeta presenta , dall’avanzare della desertificazione, dal depauperamento delle risorse , dalla deforestazione dei polmoni della terra e da un lungo elenco di altri guai tutti riconducibili alle attività umane. Il nostro Pianeta è dotato di sistemi di recupero notevoli . Quando in passato ha subito catastrofi ha sempre avuto il tempo di risollevarsi, ma oggi l’aggressione o l’ “impronta” che gli uomini lasciano è tale che la Terra non ha il tempo di recuperare

Per coloro che sono interessati a qualche cifra , la rivista “Science” , nel giugno del 2014, ha pubblicato un allarmante paragone tra l’impronta attuale e quella massima sostenibile dal Pianeta. Immettiamo circa il 120% in più di gas serra, la desertificazione avanza con ritmi che sono del 50% superiori di quelli consentiti, consumiamo il 40% in più delle risorse che ci sono consentite, e le scorte di acqua sono minacciate. Certamente questi non sono dati sperimentali, risentono delle ipotesi che si sono fatte per risolvere i sistemi di equazioni su cui i modelli si basano, i rilievi statistici possono indurre in errore, ma , anche tenendo conto di tutto ciò, illustrano le linee di tendenza che ci dovrebbero indurre a qualche riflessione..

Dove è andato a finire l’ammonimento di Tiezzi che non si è mai stancato di segnalare come non possa esistere una crescita infinita su un pianeta finito?

Cosa è il ritorno energetico della energia investita?

Nella Enciclopedia libera Wikipedia alla voce ritorno energetico dell’energia investita si può leggere : “ un coefficiente che esprime il rapporto tra l’ energia che si ricava da una fonte di energia da sfruttare e l’energia che si investe per ottenerla”.
.L’acronimo inglese di tale concetto è EROEI, se è minore dell’unità significa che c’è stata una perdita, se è maggiore di uno c’è stato un guadagno. Un parametro che è molto semplice da capire, ma che può rivelare aspetti ignoti ai più quando si procede al suo calcolo. Ugo Bardi, chimico fisico all’Università di Firenze e membro della sezione italiana della associazione internazionale per lo studio del picco del petrolio e del gas (ASPO), ha discusso, da competente , il concetto di EROEI nella sua nota la “ La banca dell’Energia” , apparsa in rete dal 2005 e utile anche per coloro che non sono addetti ai lavori. Ho conosciuto Ugo Bardi negli Stati Uniti presso l’Università della California di Berkeley, quando tutti e due, ricercatori per la disciplina Scienza dei Materiali, si lavorava rispettivamente sulla Chimica Fisica delle Superfici e sulle Reazioni Gas-Solido alle Elevate Temperature. In questi settori si condivide il linguaggio della Termodinamica. Con piacere ho visto che su questo retroterra il Bardi affronta oggi le problematiche delle Risorse, della Economia e dell’Ambiente , in ciò seguendo la via indicata da Tiezzi.
Bardi coglie il segno quando definisce EROEI un coefficiente tecnologico-economico. Infatti per valutare l’energia investita per sfruttare una certa fonte di energia non si incontrano solo problemi scientifici e tecnologici , ma anche esigenze , economiche, finanziarie, politiche e sociali, che premono in un senso o nell’altro. Di questa “ giungla dell’economia reale, delle distorsioni del mercato dovute ad interventi finanziari non trasparenti”, dice il Bardi , bisogna tenere conto per valutare criticamente i valori finali di EROEI , ma , allo stesso tempo, egli sottolinea come “ la misura dell’EROEI sia la vera pietra di paragone per confrontare le diverse tecnologie energetiche. Infatti questo coefficiente è strettamente legato al principio di conservazione della energia.
Condivido questo richiamo alla termodinamica e, proprio per questo, desidero riflettere sul valore di EROEI quando , al di fuori della “ giungla ” degli interessi umani , si considerano i fenomeni di sopravvivenza in natura. Ciò mi ha spinto a rivisitare e a rileggere un caso molto noto , studiato da grandi esperti di biologia evolutiva.

I Passeri di Darwin.
Jonathan Weiner nel suo affascinate libro , “The beak of the Finch” ( Il becco dei Passeri, Vintage books, 1994) ,descrive , da par suo , l’esperienza di due scienziati Peter e Rosemary Grant,che hanno passato venti anni della loro attività collezionando dati sulle caratteristiche morfologiche e sul metabolismo di colonie di passeri che vivevano, in isolamento, sulla poco ospitale isola di Daphne dell’arcipelago delle Galapogos. I dati raccolti venivano catalogati e poi spediti alla Università di Pricenton dove erano elaborati. Non è esagerato dire che dopo vent’anni i ricercatori conoscevano ogni singolo passero della colonia , i suoi periodi riproduttivi e le loro attività per procurarsi il cibo. Questa precisa e metodologica osservazione ha consentito di misurare tutte le minime variazioni che avvenivano nella loro morfologia e nel loro metabolismo. Misuravano il loro becco, le ali, la coda, il peso, il loro sangue e su queste basi ottenevano dati per capire gli elementi chiave della forza più stupefacente che opera in natura : la selezione naturale. Le scoperte dei Grant e collaboratori sono, ancora oggi, una pietra di paragone per capire la biologia evolutiva di questi uccelli. In particolare i Grant hanno illustrato la stretta correlazione che esiste tra la variabilità dei passeri e quella delle piante e del territorio da essi visitato.

Tra i risultati che più mi hanno colpito vi sono i dati collezionati quando il clima si faceva più ostile, mancava l’acqua e la competizione per la sopravvivenza diventava una questione di vita o di morte. In queste estreme condizioni i Grants hanno visto che la sopravvivenza dipendeva dalla efficienza con cui i passeri riuscivano a procurasi il cibo. Hanno così verificato il bilancio tra l’energia che i passeri investivano per la ricerca del cibo e l’energia che ottenevano da questo.

Brillante è stato il modo con cui hanno fatto tale calcolo. Conoscendo passeri e territorio nei minimi particolari , hanno contato il numero di semi mangiati dai passeri in un anno ; poi hanno calcolato l’energia necessaria per rompere questi semi in base alla loro durezza, grandezza e posizioni sul terreno e infine hanno misurato l’energia che si estraeva da tali semi. In questo modo hanno verificato che i passeri che superavano la stagione erano quelli dotati di caratteristiche morfologiche tali che se mangiavano ad esempio 20 semi, spendevano l’ energia corrispondente a 19.
Vita e morte si giocavano la partita nell’intervallo di un seme in più o un seme in meno!! Per conseguire questo traguardo un ruolo cruciale lo avevano quelle minime diversità misurate. Se un passero aveva il becco di 11 mm era facilitato nel recupero dei semi, se lo aveva di 10.5 mm, era svantaggiato. Risultato il primo passava il turno, il secondo no. .
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Leggendo questo esperimento con gli occhiali della termodinamica è facile rendersi conto che il valore critico di EROEI , in queste condizioni estreme e isolate , è quello unitario. Ogni insieme , formato da un certo numero di semi con una certa durezza, grandezza e localizzazione sul terreno, è una fonte di energia . Ci sono diverse fonti di energia, come ci sono diverse caratteristiche morfologiche per i passeri. I valori di EROEI marginalmente superiori alla unità indicano il gruppo di passeri che sopravvivono , quelli inferiori a uno indicano il gruppo che sparisce. La selezione naturale dunque opera in conformità al principio di conservazione della energia , e , in questo caso, l’indice di EROEI ruota intorno a 1.


L’ indice EROEI per le fonti di energia non rinnovabili e rinnovabili
Sulla base dei dati forniti da Bardi si possono confrontare i valori dell’indice di EROEI per le tecnologie relative alle fonti rinnovabili ( FR) con le tecnologie relative a quelle non rinnovabili (FNR) .Per le FR i dati sono compresi tra 50-250 per l’energia idroelettrica , tra 5-80 per quella eolica , tra 25 e 80 per il Fotovoltaico a film sottile e tra 4 e 9 il Fotovoltaico convenzionale che utilizza silicio 4-9. Per le FNR l’indice varia tra 50 e 100 per il petrolio negli anni sino al 1970, tra 5 e 10 per il petrolio ai nostri giorni, tra 5 e 100 per il nucleare , tra il 2 e 17 per il carbone , tra il 5 e il 6 per il gas naturale. Una valutazione tra il 5 e il 27 viene poi fatta per le biomasse
E’ interessare notare che questi EROEI sono tutti ampiamente superiori al valore unitario. Come l’esempio dei passeri ha illustrato il valore unitario è stato ottenuto per un sistema chiuso ove si realizzavano condizioni di vita estreme. Quando il sistema diventa aperto , cioè i flussi netti di energia, materia e informazioni che lo attraversano non sono nulli, il calcolo del rapporto tra energia ricavata e energia investita diventa più complicato. Infatti le variabili in gioco aumentano e le possibilità di retroazioni positive o negative possono avere effetti non prevedibili.
In questo quadro , per semplici uditori interessati a informazioni che aiutino ad avere più consapevolezza su ciò che ci circonda , mi sembra importante rilevare l’ampiezza della forbice in cui tali dati sono compresi. Infatti la forbice fornisce una prima valutazione del grado di incertezza che oggi circonda questi temi.
Adottando questo criterio, le tecnologie relative alle fonti di energia rinnovabile hanno una forbice di gran lunga più elevata di quella delle tecnologie delle fonti tradizionali . Pertanto una strategia ragionevole potrebbe essere quella di ridurre il grado di incertezza che oggi esiste per le fonti rinnovabili.

Verso una rete delle eco-energie per ridurre il loro grado di incertezza?
Questa domanda se la pongono molte persone che sono consapevoli dei rischi che le tecnologie basate sulla combustione del petrolio, del carbone e di gas come il metano e quelle sull’impiego del nucleare ,hanno causato al clima e all’ambiente del Pianeta. Produrre energia elettrica con fonti non rinnovabili appare un passo giusto verso quello che non pochi esperti definiscono come un futuro energetico “verde” . Un futuro che dovrebbe evitare o limitare l’innalzamento della temperatura del Pianeta e i conseguenti apocalittici scenari.
Ma per fare questo passo, la riduzione del grado di incertezza che oggi accompagna l’utilizzo delle eco-energie è uno stadio decisivo. Uno dei motivi che causa questa incertezza è la fragilità delle eco-energie nei confronti della variabilità del clima nelle varie regioni del Pianeta. Per quanto riguarda il nostro continente, si osserva che quando il clima è avverso in un posto, potrebbe essere favorevole in un altro. Pertanto l’incertezza sul funzionamento di un produttore locale a causa della variabilità del clima , potrebbe essere ovviato se questo produttore fosse connesso con una rete elettrica unica , che attraversa tutta l’Europa e che è alimentata da tutte le sue eco-energie. In questo modo se una sorgente locale entrasse in crisi , la fornitura di energia elettrica a quel paese potrebbe essere garantita dalla energia elettrica , prodotta in un altro paese e circolante sulla rete unica a cui tutti possono dare e ricevere. Così facendo ogni paese può avere una quota di eco-energia stabile per tutto l’anno indipendentemente dalla variabilità climatica. Un progetto attraente, che nel 2010 ha mosso un primo passo, è stato concordato tra i paesi della Europa del Nord. Ad esso ne dovrebbe seguire un altro da parte del Sud e le due reti fornirebbero all’Europa una buona fetta di eco-energia con vantaggi tali da compensare i costi per la costruzione di queste reti. . .
Se l’iniziativa procedesse essa sarebbe certamente un passo nella direzione giusta , se si vogliono limitare i danni , che la combustione delle fonti di energia tradizionale causa , come non trascurabile effetto collaterale per la sua attuale produzione di energia elettrica , al clima del Pianeta. In ogni caso il fatto che le strutture della Unione Europea siano coinvolte direttamente è segno di una sensibilità a lavorare insieme superando, almeno su questo tema , egoismi e reciproche diffidenze.
Nel 1932, mio padre , un tecnico frigorista, era imbarcato sull’incrociatore Garibaldi , per svolgere il suo servizio militare nelle acque del Mar Rosso. Una volta ,durante una sosta in porto, parlò con un pescatore che ogni giorno si recava alla spiaggia vicina per pescare la sua razione quotidiana di pesce, Mio padre provò a dirgli che se avesse avuto a disposizione una ghiacciaia o un frigorifero avrebbe potuto fare una scorta maggiore di cibo per lui, per la famiglia e per il villaggio. Il pescatore sorrise, lo guardò e disse: “ ..no buono perché nel mare ci sono sempre pesci ed io posso pescarli quando voglio..”.
Quello che mi colpisce oggi, di questa testimonianza raccolta da mio padre, non è tanto il rifiuto della tecnologia, ma la serenità di quel pescatore che aveva fede nel mare. Una risorsa che conteneva sempre tanti pesci , che il pescatore coglieva con il suo lavoro , per mettere in tavola, ogni giorno e senza ansie, il cibo quotidiano . Sarà questo il valore aggiunto che si potrà avere dal credere possibile una rete unica di tutte le eco-energie ?


( dario beruto)












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lunedì 17 agosto 2015

Un nuovo studio dice che anche 2°C di riscaldamento sono 'altamente pericolosi'

Da “Inside Climate News”. Traduzione di MR (via Michael Mann). 

James Hansen e 16 altri mirano a fare pressione sui colloqui di Parigi in direzione di forti risultati con un nuovo saggio pubblicato prima del peer-review. 

James Hansen, ex capo dell'Istituto Goddard per gli Studi Spaziali della NASA
e conosciuto come il “padre del riscaldamento globale”, parla ad una
manifestazione per il cambiamento climatico a Washington D.C..
Hansen, insieme ad altri 16 scienziati, pubblicherà un saggio questa settimana
che afferma che la minaccia del riscaldamento globale
è di gran lunga maggiore di quanto chiunque abbia sospettato.
Foto: Focus the Nation, flickr
Quando i leader mondiali si incontreranno a Parigi il prossimo dicembre per accordarsi su un nuovo trattato internazionale sul cambiamento climatico, il loro obbiettivo sarà quello di mantenere il riscaldamento atmosferico al di sotto dei 2°C, il punto dopo il quale il cambiamento climatico catastrofico sarà pressoché inevitabile, come dicono gli scienziati. Ma un nuovo studio pubblicato questa settimana da una squadra di 17 importanti scienziati del clima internazionali avverte che anche 2°C di riscaldamento sono “altamente pericolosi” e potrebbero causare un aumento del livello del mare “di almeno diversi metri” in questo secolo, rendendo gran parte delle città costiere del mondo inabitabili. “Il costo sociale ed economico della perdita di funzionalità delle città costiere è praticamente incalcolabile”, scrivono gli autori. “Non è difficile immaginare che i conflitti che emergono dalle migrazioni forzate e dal collasso economico potrebbero rendere ingovernabile il pianeta, minacciando il tessuto della civiltà”.

sabato 15 agosto 2015

Buon Ferragosto a tutti con un piccolo sfogo di Ugo Bardi


Un'immagine della "nuova normalità". A Firenze, un negozio cerca di difendersi dall'ondata di calore bestiale di questa estate montando alla meglio un condizionatore d'aria, senza preoccuparsi del fatto che sta sparando aria calda nella strada, proprio addosso ai turisti sudati e accaldati. 



Buon Ferragosto a tutti! Qui a Firenze le previsioni danno pioggia per oggi e per domani; l'estate non è ancora finita, ma sembra che ormai abbiamo passato il peggio. Ce la siamo cavata, nel complesso, con danni limitati: calura asfissiante per oltre un mese, ma intervallata da qualche pioggia per cui il problema degli incendi non è stato così grave come avrebbe potuto essere. Ora possiamo sperare di arrivare a Settembre senza ulteriori grossi guai, perlomeno in termini di temperature.

Certo è, comunque, che quest'Estate abbiamo avuto una buon assaggio della "nuova normalità" che ci sta portanto il cambiamento climatico. A parte il calore brutale, i disastri causati dal maltempo sono stati spettacolari. Vi dirò che non avevo mai visto con i miei occhi una casa col tetto scoperchiato dal vento. L'avevo visto solo in TV, e soprattutto case americane, di quelle tutte in legno che sembrano quelle dei tre porcellini e il lupo cattivo. Vedere delle case di Firenze con i tetti completamente demoliti e scaraventati in cortile, beh, è stato abbastanza impressionante.

Tanto è stato lo shock di queste cose che in televisione qualcuno ha menzionato il "cambiamento climatico". Fortuna che hanno trovato subito qualche "esperto" che ha tranquillizzato tutti dicendo che sono normali temporali estivi.

A parte la timida, e subito rintuzzata, intrusione della realtà sullo schermo TV, il paese continua a vivere una fase che oserei chiamare "Alzheimer politico". Ovvero, uno stato in cui il paziente continua a ripetere le stesse cose in continuazione; senza reagire agli stimoli esterni. Così, ci ricordiamo vagamente che è esistito un tempo di crescita economica nel passato e ci sembra che non esista niente altro che quel tempo come oggetto di tutti i desideri.

Questa catatonia politica che ci affligge non è colpa di particolari forze politiche. Tutti i volti che vediamo in TV sono un po' come la "stanza degli specchi" che c'era una volta nei luna park. Specchi deformanti che ti fanno più alto o più basso, più grasso o più magro, diritto o storto, ma sei sempre tu. Così, i politici attuali sono uno specchio solo leggermente deformato della società che li produce. Siamo noi: siamo privi di idee, aggressivi, disorientati, privi di punti di riferimento, ci attacchiamo a insultare questo o quello per non avere niente di meglio che riusciamo a pensare.

Su questo, c'è un post molto interessante di John Michael Greer (L' "arcidruido") intitolato, correttamente, "la guerra contro il cambiamento" Greer sostiene che la distinzione fra "progressisti" e "conservatori" consiste ormai soltanto nel fatto che i progressisti sono diventati conservatori, nel senso che si oppongono a ogni e qualsivoglia cambiamento, mentre i conservatori accettano qualche cambiamento, purché sia nel senso di peggiorare le cose.

Direi che la cosa si applica perfettamente alla situazione italiana, con la cosiddetta "sinistra" ha in odio profondo le fonti rinnovabili e qualsiasi cambiamento nel senso di una vera sostenibilità (che non sia soltanto cosmetica), mentre la destra continua ad inneggiare a fare buchi più profondi per attingere risorse dal mare di petrolio sul quale notoriamente l'Italia galleggia. Questa idea della destra viene poi messa in pratica con entusiasmo dalla sinistra.

Ma direi anche che Greer è un po' ottimista nel senso che la paralisi mentale affligge oggi ogni forza politica. E non solo le forze politiche, è una paralisi che affligge l'intera società che non trova altro rifugio che prendersela con lo spauracchio di turno, dalla Russia di Putin alla Germania della Merkel, se non rifugiarsi nel complottismo più estremo in forme financo disdicevoli per la dignità umana, tipo scie chimiche o imminente era glaciale.

Bene, scusate questo piccolo "rant" da parte mia - un termine traducibile come "sfogo" oppure "togliersi i sassolini dalla scarpa". Ma, veramente, l'inerzia che abbiamo di fronte davanti ai cambiamenti che ci stanno arrivando addosso è impressionante C'è qualche speranza di dare una smossa alla società? Difficile dirlo; di certo il 2016 sarà più caldo del 2015 e il 2017 sarà ancora peggiore, ma si troveranno sempre esperti che vanno in TV che dicono che è tutto normale.


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Nota: in realtà questo 2015 ha visto un cambiamento epocale di visione e di interpretazione: l'enciclica "Laudato si" del Papa. Impressionante che sia arrivata dallo spauracchio principale dell'incartapecorita e ingessata "sinistra". Eppure, è dalla Chiesa di Roma - residuo di un epoca remota - che arrivano le proposte di cambiamento. Mi ricorda un po' Tonybee quando si metteva nei panni degli antichi romani e diceva "Cosa mai potrà venire di buono da Betlemme?" Eppure......



giovedì 13 agosto 2015

Shock ambientale e sua gestione politica II

Guest post di "Sergio Barile".

Come la finanza internazionale ci sterminerà tutti prima della catastrofe ecologica; ma con grande giubilo di autorazzisti e antiumani.


« Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi. » J.M. Keynes, 1933 

3 – La politica come gestione della complessità sociale (astenersi demagoghi)

C'è chi sostiene che la cultura occidentale non sia altro che un commento a Platone, e un motivo di ingombrante evidenza c'è: la particolare traiettoria culturale dell'Occidente potrebbe essere riassunta dalla dialettica tra Socrate e Trasimaco. Oggetto, la giustizia.

Per chi è poco avvezzo alla speculazione filosofica, sottolineo che l'etica getta le fondamenta dell'ordine sociale, la Costituzione che è, appunto, fonte di diritto e giustizia.

L'etica non è condivisa: c'è quella dello schiavo e quella del padrone, quella di Socrate, che poi verrà trasfigurata in quella comunemente ritenuta giudaico-cristiana, e quella che si evince dalla considerazione di Trasimaco: «la giustizia è l'utile del più forte». (Etica che troverà una sua esplicitazione e una sua "formalizzazione in via allegorica" solo nella modernità, con il più famoso dei filosofi morali gentili: Nietzsche).

L'economia, prima della sua matematizzazione ad opera dei marginalisti (1870 - 1890), è stata storicamente un ramo della filosofia morale; ovvero, nonostante ci sia un terreno epistemico comune, le diverse teorie che sviluppano i diversi modelli affondano le proprie radici nella filosofia morale.

La scienza economica, come espressione di epistème, è strumentale alla materializzazione dell'etica su cui si fonda l'ordine sociale: l'economia politica è la scienza [1che studia e regola, di fatto, i rapporti tra classi e gruppi sociali. La politica è, in primis, politica economica, e i diritti sociali sono il vero contendere che precede il conflitto per le rivendicazioni di tutte le altre specie di diritti. (Politica come sovrastruttura del potere economico)

Riassumendo: la storia della cultura occidentale trova la sua più alta espressione nelle riflessioni sulla giustizia sociale e sul conflitto distributivo. 

Ovvero nelle riflessioni politiche.

La comprensione della Politica è studio della complessità, in cui il conflitto di interessi ne limita la corretta comprensione, come il principio di indeterminazione di Heisenberg limita le possibilità sperimentali del fisico teorico. La dialettica politica si riflette nelle sue irredimibili contraddizioni a livello cognitivo.

Le risorse culturali, con buona pace degli amanti delle discussioni da bar, sono tutto.

3 – Il progresso culturale ha portato le civiltà e la politica, il progresso economico ha portato l'economia politica e la follia. 

Guarda un po', anche le moderne teorie che descrivono il conflitto distributivo possono essere dialetticamente divise in due paradigmi contrapposti: (neo)classiche, promotrici di una politica economica (neo)liberale, e keynesiane, promotrici di politiche più o meno socialiste.

Se la produzione Y è funzione del lavoro e del capitale  - ovvero Y = f(L , K) - allora, stante la logica stringente delle precedenti considerazioni, il lavoro sta a sinistra, e il capitale sta a destra (in politica economica: non necessariamente nelle parentesi o nell'Emiciclo).

Va da sé, che:

b) l'economista classico e liberale (con i vari "nei" o meno) difende gli interessi del capitale;

c) l'economista keynesiano (in particolare con il prefisso "post", di post-keynesiano), difende quelli del lavoro.

Insomma, “gli economisti” non esistono.

(Anche un “aziendalista”, o un esperto in “finanza” dovrebbe astenersi dal parlare di economia politica a titolo personale vantando il titolo di “economista” e, magari, i professionisti di macroeconomia e di economia internazionale dovrebbero prima esplicitare il loro “conflitto di interessi”)

4 – La sintesi della dialettica politica dopo le tragedie del XX secolo

Il valore che si dà al fattore lavoro è ciò che genera la dialettica nella sovrastruttura politica: le classi subalterne, che cercano emancipazione tramite il lavoro, sono rappresentate da chi promuove politiche economiche di matrice keynesiana, le classi dominanti sono rappresentate dalle forze politiche liberali che propongono la flessibilizzazione del fattore lavoro, la sua disciplina tramite agganci valutari, il liberoscambio internazionale, e il liberismo anti-interventista.

Nel '48, il popolo italiano, tramite l'Assemblea Costituente eletta a suffragio universale, ha fatto un scelta precisa: «L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro».

Lavoro come diritto e dovere: unico mezzo che contemporaneamente promuove la dignità individuale e sociale, e sostanzializza la partecipazione politica, contribuendo allo sviluppo materiale e spirituale della società. La Repubblica si impegna inderogabilmente a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l'uguaglianza sostanziale dei cittadini e limitano il pieno sviluppo della persona umana. 

L'individuo dello stato liberale lascia il passo alla persona umana individuata, non più come edonista soggetto isolato, ma come protagonista di una rete relazionale. L'identità individuale diventa inseparabile dalla comunità sociale di 
riferimento.

Il mercato non può più essere “libero”: deve essere indirizzato a fini sociali e solo l'equità distributiva può garantire la stabilità politica, sociale ed ecologica.

Keynes e Beveridge: le costituzioni moderne rigettano lo stato liberale in favore dello stato sociale.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sull'esempio dei nostri Padri costituenti, ha adottato gli stessi fondamenti valoriali: l'inviolabilità della dignità umana da perseguire con politiche di piena occupazione.

Ottanta milioni di morti è qualcosa di inconcepibile per una persona sana di mente: «affinché non si ripeta mai più».   

Troppo a cuor leggero si straparla della "inevitabilità" di quel lager a cielo aperto chiamato Africa: e le élite pare abbiano fatto la medesima scelta per le classi subalterne occidentali. Ma il manicomio della (ex)middle-class pullola di autorazzismo antiumano... 

5 – Il mondo prima e dopo Hitler

Prima della Crisi del '29, il libero mercato e i vincoli valutari erano un dogma. 

L'austerità anche dopo.

Fig.1 Carmen Reinhart: immagine plastica della dinamica del conflitto Capitale Vs Lavoro nel mondo. 
A Keynes non diedero retta.

Le maggiori crisi debitorie della storia moderna, quella del 1929 e quella del 2008 (v. fig.1),  sono state precedute da un periodo più o meno lungo nel quale il potere d'acquisto dei lavoratori è stato stagnante, mentre la produttività media del lavoro (la quantità di prodotto per addetto) aumentava[2]: come si è risolta lo squilibrio dato dalla disuguaglianza sociale esplosa nella crisi del '29 è noto. E quella del 2008, come finirà?

D'altronde, il debito inestinguibile si può onorare solo in due modi: col fallimento e l'insolvenza, o col suicidio. Il secondo, a livello aggregato, si chiama genocidio.

I debiti con il sistema finanziario o con l'ecosistema si possono risolvere nei medesimi due modi: con l'equità sociale e una ridistribuzione del reddito, che renda sostenibile l'assetto sociale umano, ovvero i salari devono equamente aumentare con la produttività; oppure con la soppressione dei debitori. (Inutili locuste da sterminare.... porcelli che vogliono vivere al di sopra delle proprie possibilità... del pianeta)


Fig.2 Rick Wolff: immagine plastica della dinamica del conflitto Capitale Vs. Lavoro in USA.
Fig.3: Alberto Bagnai: immagine plastica della dinamica del conflitto Capitale Vs. Lavoro in Italia. 

Il neoclassico crede che l'equilibrio sia raggiunto tramite la giustizia commutativa, con al limite un sussidio minimo garantito, il keynesiano crede che la stabilità sia possibile solo tramite la giustizia sociale[3].

Il neoclassico è un offertista, il keynesiano è "mezzo" malthusiano, ovvero i modelli sono fondati sul concetto di domanda aggregata: è la domanda a generare l'offerta, non viceversa.

Questa distinzione ha fondamentali implicazioni ad iniziare, nel paradigma keynesiano, dal fatto che a livello di polis, di società, di Stato nazione, di sistema economico globale, il modello usato per descriverne le dinamiche non può essere il medesimo di quello "micro", usato per le imprese (lo Stato NON è come una "famiglia"!), ma deve essere aggregato,  "macro", dove la struttura delle "preferenze" non è individuale, ma politica: nasce la macroeconomia moderna.

Uno degli aspetti più controintuitivi è che, poiché il lavoratore, a differenza dello schiavo, è anche consumatore, più il capitalista a livello aggregato aumenta il salario dei suoi dipendenti, più aumenterà i suoi profitti.

(Apriti cielo. 

Una massa di locuste sgraziate e grassocce che si avventa sulle ristrette risorse del nostro amato pianeta...)

Le cose però, ahimè, non stanno proprio così: esiste un vincolo esterno alla crescita - di natura politica! - che considera anche la quantità di risorse presenti su un territorio: questo vincolo è ben espresso dalla legge di Thirlwall.

Se questo equilibrio fosse possibile farlo rispettare a tutte le comunità sociali, la gestione delle risorse scarse sarebbe banalmente ottimizzata e, come faceva notare Keynes a Bretton Woods in cui, come membro della delegazione britannica, proponeva un sistema monetario concentrato proprio sull'equilibrio delle bilance dei pagamenti[4], si materializzerebbe la kantiana pace perpetua. Sì, al contrario di ciò che storicamente propagandano i "federalisti" sulle orme di Kant, il libero scambio implicito nel concetto di federalismo interstatale, è la storica politica economica foriera di instabilità politica e conflitti bellici. Bretton Woods era proprio concentrata su questo noto e condiviso problema: purtroppo pare che la "casa dei Morgan" abbia influenzato in modo decisivo per il sistema monetario vigente...

Ma siamo sicuri che, come vuole la vulgata, le imprese cerchino la massimizzazione del profitto?

Non sempre: se fosse stato così il New Deal non avrebbe incontrato le resistenze che ha incontrato in tutto il mondo, magari risparmiandoci la tragedia del '39 -'45. Infatti, proprio in quegli anni svolgeva queste riflessioni Michal Kalecki, ragionando sulle resistenze dei grandi capitani dell'industria e della finanza: le classi dominanti preferiscono perdere profitti ma aumentare in proporzione la propria influenza sulle istituzioni politiche.

(Oltre che disciplinare i lavoratori nelle fabbriche)

Le politiche deflattive, chiamate di "austerità", sono proprio quelle bramate dalla grande finanza, per due ovvi motivi:

1 - il grande capitale finanziario fa credito: l'inflazione svaluta i debiti e comprime i profitti da interesse. (Va da sé che l'inflazione è di converso "amica" del lavoratore - magari con il salario indicizzato - che è generalmente anche mutuatario)

2 - l'alta disoccupazione e la privatizzazione dello stato sociale aumentano a dismisura l'influenza politica delle oligarchie economiche a discapito delle classi subalterne. Ovvero, a discapito della democrazia.

Il trentennio d'oro keynesiano muore con il primo shock petrolifero e l'austerità deflattiva propagandata bipartisan, giusto un anno dopo il rapporto del Club di Roma: si infiamma la controrivoluzione neoliberista; sono tout court le dinamiche dell' EROEI a generare la sofferenza sociale delle crisi economiche, o come i suoi effetti vengono politicamente gestiti?



A.Bagnai - Fig.28 de "Il tramonto dell'euro", 2012  






Post Scriptum:

(James Mead[5] aveva previsto nel '57 cosa sarebbe successo in Grecia, Nicholas Kaldor nel '71... a proposito di cambi fissi, free trade e politiche deflattive)




















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1 - «Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti», Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty
2 - A. Bagnai, 2014 
3 - Si noti che lo stesso problema demografico è generalmente legato alla povertà: la soluzione è, come ormai dovrebbe essere stato chiarito, sempre doppia. È politica: o si sterminano gli indigenti, che siano dei ghetti o dei paesi non industrializzati, oppure gli si istruisce e gli si arricchisce. 
4 - Equilibrio BdP: equilibrio dei flussi dei fattori della produzione di un Paese con il resto del mondo, approssimabile nell'equilibrio tra import ed export. 
5 - «In a classic paper written in the mid 1950’s Nobel laureate James Meade (1957) posed the fundamental question of the balance of payments problems that would likely arise in a free trade area such as that envisaged in 1992», A.R. Nobay, pag.10 e, aggiungiamo ora, non contenti del risultato dello SME, gli sbilanci della zona euro che hanno permesso gli attacchi speculativi del 2011.