mercoledì 25 giugno 2014

Come il governo Renzi vuol distruggere l'energia rinnovabile in Italia


Fotovoltaico: la vera speculazione arriva adesso, grazie al governo

Oltre all'effetto nefasto sull'affidabilità economico finanziaria, lo spalma-incentivi ha altre conseguenze negative. Con lo spettro del default che si aggira nel settore del fotovoltaico italiano, questo governo che ha accusato le fonti rinnovabili di speculazione ora favorirà quella vera, di rapina, dei "vulture funds". 


«Don't come knocking on my door». Non bussate alla mia porta. Si chiude così l'articolo pubblicato sul Wall Street Journal a firma di Bonte-Friedheim il CEO di NextEnergy Capital Group che commenta il provvedimento spalma-incentivi sul fotovoltaico varato dal Governo. Ma piuttosto che investitori esteri, saranno ben altri i soggetti attratti, come mosche al miele, in Italia dal default di parecchi impianti fotovoltaici che seguiranno i provvedimenti degli ultimi giorni e che potranno acquistarli a prezzi di saldo, mentre continueranno a ricevere incentivi, anche se ridotti o spalmati.

Si chiamano "Vulture funds" e sono i fondi "avvoltoio" specializzati nell'accaparrarsi, a prezzi da saldi, ciò che rimane della crisi una volta raschiato il fondo del barile, per poi magari rivendere, dopo poco tempo a prezzi migliori, o magari, come nel nostro caso a godersi gli incentivi ridotti o spalmati perché di una cosa siamo certi: gli 11 GW, su 17,7 (altro che una piccola parte che coinvolge 8.600 soggetti come sostenuto dal ministro Guidi) interessati dal provvedimento continueranno a produrre elettricità anche quando passeranno in mano alla speculazione, quella vera, a causa dei default indotti dallo spalma-incentivi che saranno più probabili di quanto non si pensi.

"I continui cambiamenti nel settore stanno spaventando gli investitori e saranno parecchi quelli che si tireranno indietro.- commenta GB Zorzoli, presidente del Coordinamento Free - E ci sarà anche lo spettro del rientro immediato richiesto dalle parte delle banche per il cambiamento delle posizioni". E le banche a loro volta dovranno rivendere, tentando di realizzare; ed ecco che con ogni probabilità saranno i raiders dei 'vulture founds' ad entrare in azione come sta succedendo in Spagna per le rinnovabili e in tutta l'Europa colpita dalla crisi, per quanto riguarda il mercato immobiliare, dove acquisiscono immobili al 20% del loro valore di dieci anni fa.

Ma è sul serio reale il rischio dei default a fronte di incentivi, come vuole la vulgata, 'ricchi'? Sì, perché una consistente parte degli impianti fotovoltaici della 'migliore generazione' sono già passati di mano, anche per via dell'incertezza italiana, nel cosiddetto mercato secondario, perdendo di valore, mentre sono più bassi i margini sulle ultime edizioni del Conto Energia. Per questa ragione se iniziamo a ragionare in termini squisitamente industriali, e non ideologici, ci si accorge che potrebbero essere non pochi i business plan a rischio.

"Con la struttura che si è impostata attraverso lo spalma-incentivi è abbastanza matematico il fatto che molti non potranno coprire le rate. - ci spiega Piero Pacchione, di Green Utility - E oltre a ciò c'è da dire che le banche non sono strutturate per gestire gli impianti e potrebbero rivenderli anche con ribassi del 50% al netto degli ammortamenti". Inoltre, c'è anche il fatto che: "far iniziare il periodo di decurtazione dell'8% al primo luglio 2014, in estate, periodo nel quale si concentra il 60% del fatturato annuo del fotovoltaico, significa voler provocare dei seri problemi fin da settembre". Secondo Pacchione il problema non riguarda investitori esteri oppure quelli italiani, ma gli investitori e basta.

E a una nostra domanda se ci sia stata volontà politica o incapacità, Pacchione risponde secco: "con lo spalma-incentivi forse c'è stata incapacità, ma sulla questione dei SEU (Sistemi efficienza d'utenza, ndr) la volontà politica di bloccarli è scientifica (si veda quanto scritto su questa pagine, ndr)». Il 5-10% di oneri di sistema sull'energia autconsumata, infatti, riduce la forbice di convenienza comune tra produttore e consumatore, ma soprattutto il fatto che siano previsti aumenti futuri della quota, peraltro solo a cairco dei nuovi impianti, aumenta l'incertezza, rendendo difficili investimenti in cui la stabilità del prezzo dell'energia elettrica è fondamentale.

"I contratti di project financing prevedono che il cambio tariffa possa essere un elemento per il default del progetto. - taglia corto Paolo Lugiato, consigliere di assoRinnovabili, responsabile per il settore fotovoltaico dell'associazione - Prima scatta il distribution lock, ossia il blocco dei dividendi per garantire il flusso di cassa verso gli istituti bancari, poi c'è il vero e proprio default del progetto che avviene quando il flusso di cassa è pari alla rata del mutuo". In pratica non è necessario "andare sotto" ma per gli istituti di credito il rischio diventa troppo grande anche quando si va alla pari.

Le ragioni sono chiare. Le rinnovabili sono intermittenti e anche se hanno un rendimento annuo medio, ci sono periodi poco produttivi, come quelli piovosi o poco ventosi, durante i quali hanno bisogno di una provvista. "E bisogna tenere conto anche del contesto nel quale questo provvedimento si inserisce. - prosegue Lugiato - Abbiamo avuto l'abbassamento del prezzo dell'elettricità, la robin tax, l'abolizione del prezzo minimo garantito, tutti elementi che hanno eroso la redditività degli impianti". Insomma, anche per Lugiato lo spettro del default per molti impianti non è una possibilità remota, come invece sostengono dalle parti del MiSE, dove arrivano ad affermare che il provvedimento potrebbe portare a una migliore gestione di parecchi impianti che sarebbero mal gestiti.

"La vera botta la vedremo il 1° gennaio 2015 quando gli impianti che avranno scelto l'autoriduzione dell'8% a cui si aggiunge il 10% di trattenuta da parte del GSE, si ritroveranno con il 18% in meno di flusso di cassa. - afferma Giovanni Simoni, amministratore delegato di Kenergia - Si tratta di una riduzione importante che metterà a massimo rischio gli impianti del secondo e terzo Conto energia".

Su quali possano essere le potenziali quotazioni del watt fotovoltaico in default a fronte dell'aggressione speculativa dei "vulture funds" non si possono fare ipotesi visto che il fenomeno da noi non è ancora definito, ma si possono fare ipotesi diverse su ciò che sta accadendo nel contesto elettrico. Di sicuro la manovra del Governo ha una portata epocale sul fronte dell'affidabilità economico finanziaria del mercato dell'energia poiché introduce il concetto di retroattività, cosa che minerà l'affidabilità dell'Italia circa gli investimenti in tutto il settore energetico, non solo nelle rinnovabili. Non a caso il Wall Street Journal apre il proprio pezzo affermando «A quanto pare il governo italiano ha un rapporto difficile con i capitali privati», ossia tutti i capitali privati, non solo quelli legati alle rinnovabili. E lo fa, come abbiamo visto, favorendo la speculazione, quella vera e rapace fatta di rapina, dopo aver urlato ai quattro venti di voler colpire la "speculazione" nelle rinnovabili che tra parentesi, è bene sempre ricordarlo, hanno agito sempre e comunque sotto le leggi e i regolamenti dello Stato.

Il boom dello scisto statunitense è finito, serve una rivoluzione energetica per evitare i blackout

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

Di Nafeez Ahmed

Il cane da guardia dell'energia globale conferma che “la festa è finita” - riduce le proiezioni della produzione statunitense e richiede un investimento urgente



I funzionari del Regno Unito hanno dichiarato che la Gran Bretagna ha bisogno di frackin perchè l'industria 'prosperi' e 'l'economia cresca'. Sempre più dati contestano queste dichiarazioni. Foto: Brennan Linsley/AP

Odio dire ve lo avevo detto, ma...

Nel 2012, la IEA prevede che gli Stati Uniti avrebbero superato l'Arabia Saudita nella produzione di petrolio grazie al boom dello shale nel 2020, diventando degli esportatori netti nel 2030. La previsione è stata vista da molti come la prova decisiva del rinnovamento dell'era del petrolio, mentre i detrattori informati venivano nel migliore dei casi ignorati, nel peggiore ridicolizzati.

Fra i miei molti rapporti che esponevano gli errori geologici ed economici dietro alla narrativa del boom dello scisto ci sono questo, questo, questo e questo. Anche qui al Guardian, un titolo ha dichiarato che il rapporto della IEA mostra dimostrava che “l'idea del picco del petrolio era andata in fumo”. Ma l'ultima valutazione della IEA ha provato che i detrattori avevano ragione su tutto. La Panoramica sull'Investimento Energetico Mondiale dell'Agenzia pubblicato questa settimana dice che la produzione di tight oil statunitense – che attinge in gran parte da Bakken, nel Nord Dakota e ad Eagle Ford in Texas – raggiungerà il picco intorno al 2020 prima di declinare.

La nuova analisi mette fine al mito dei '100 anni di fornitura' ampiamente diffuso dall'industria e si avvicina alla valutazione più scettica di un picco del tight oil statunitense entro questo decennio. Il rapporto della IEA dice:

“... la produzione da parte del Nord America raggiunge un plateau [circa dal 2020] e poi diminuisce da meta degli anni 20 del 2000 in poi”.

L'ammanco renderà gli Stati Uniti, e i paesi dell'Europa che pensano di importare dall'America, sempre più dipendenti dalle forniture dal Medio oriente:

“Tuttavia c'è un rischio che l'investimento in Medio oriente non riesca a salire in tempo da evitare un ammanco di fornitura, a causa di un clima di investimento incerto in alcuni paesi e della priorità data spesso a spese in altre aree”.

La IEA ha evidenziato che sulla scia della Primavera araba, gli stati petroliferi del Medio Oriente stanno sentendo la pressione di deviare massicci sussidi petroliferi che mantengono la produzione in più spese sociali per alleggerire l'instabilità. Se non lo fanno potrebbero essere rovesciati. Questi paesi versano 800 miliardi di dollari in introiti del petrolio in sussidi energetici – e se non riescono a coprire l'ammanco previsto a causa della caduto post picco della produzione statunitense, per il 2025 il costo medio di un barile di petrolio potrebbe salire di 15 dollari. Lo scorso marzo, quando ho affrontato il pericolo di uno shock petrolifero imminente, mi è stato detto confidenzialmente da un portavoce del Dipartimento dell'Energia e del Cambiamento Climatico del Regno Unito che non c'era rischio che si spegnessero le luci – la politica del regno Unito aveva sistemato tutto. Ora il capo economista della IEA, Fatih Birol dice:

“In Europa stiamo affrontando il rischio che si spengano le luci. Non è uno scherzo”.

Ci servono 48 trilioni di dollari di nuovo investimento per mantenere le luci accese – e non è per niente chiaro se investire in petrolio e gas non convenzionali sempre più costosi risolverà qualcosa senza impatti seri sull'economia globale. Attualmente, di già, il rapporto della IEA rivela che oltre l'80% dell'investimento delle compagnie petrolifere sta andando per compensare i giacimenti esauriti in cui la produzione è in declino. L'agenzia fa anche un appello ad aumentare gli investimenti in rinnovabili e per aumentare l'efficienza, insieme ad un riforma dei regolamenti per incentivare gli investimenti, come parte del pacchetto.

Mentre l'impero dei combustibili fossili si sta frantumando, il settore dell'energia rinnovabile ha ricevuto il 60% dell'investimento totale in impianti dal 200 al 2012. Coloro che continuano ad investire in combustibili fossili per risolvere i nostri guai energetici ed economici dovrebbero prendere nota: non sono la risposta. Il tempo di uscirne è stato ieri.

martedì 24 giugno 2014

Renzi continua a fare danni: spegnere le centrali fotovoltaiche per far posto al gas e al carbone




Lettera Aperta al presidente del Consiglio

Di Paolo Rocco Viscontini


Egr. Presidente del Consiglio,

il Suo governo rischia di distinguersi come il primo della Storia della Repubblica che è intervenuto con degli interventi retroattivi su delle leggi dello Stato. Mi riferisco ai tagli agli incentivi agli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 200 kWp.

A parte il fatto che quando ci si muove all’interno delle leggi dello Stato bisognerebbe sentirsi tranquilli perché si considera impossibile che qualcosa cambi, ma anche entrando nello specifico si scopre che tutte le motivazioni usate dal Ministero dello Sviluppo Economico per giustificare questo provvedimento sono palesemente infondate.

Sono stati usati termini inappropriati, a cominciare dalla parola “speculatori”: speculatore è “chi consegue un vantaggio personale sfruttando senza scrupoli una situazione a scapito di altri”. Non dimentichiamoci che l’obiettivo del Conto Energia era incentivare le installazioni di impianti fotovoltaici, garantendo equi rendimenti a chi avesse deciso di installarli.

Ora si sta facendo di tutta l’erba un fascio: si dichiara che tutte le installazioni sopra i 200 kWp hanno rendimenti altissimi, tanto da intervenire dicendo “togliamo a chi ha avuto troppo per dare a chi ha avuto meno”. Si dimentica che dal 2005 a oggi si sono susseguite più leggi del Conto Energia (ben 5!) e nella maggior parte dei casi le tariffe d’incentivazione erano tali da creare le condizioni per ottenere un rendimento equo e non certamente eccessivo. Solo chi è riuscito a ottenere un prezzo d’impianto basso in momenti di tariffe alte è riuscito a guadagnare di più, ma si tratta di casi numericamente molto inferiori e non si può certamente incolparli di un comportamento scorretto, perché han fatto quello che tutti, Lei incluso, avrebbe fatto: credo sia naturale cercare sul mercato un buon prezzo. Se poi la tariffa in quel periodo era più alta, tanto da generare un rendimento più alto, era ed è un problema di chi ha fatto la legge. Inoltre, se speculazioni ci sono state, sono da ricondursi ai cosiddetti “sviluppatori”, che vendevano a prezzi alti le autorizzazioni, approfittando della complicazione della burocrazia italiana. Intervenire ora sui proprietari degli impianti è solo inutile e profondamente sbagliato.

Si vuole denigrare chi ha semplicemente creduto in una legge dello Stato, nata per indirizzare degli investimenti, mirati, come voleva fare lo Stato italiano, a sviluppare il settore fotovoltaico. Era pure stato stabilito un budget, per legge. Ora, a posteriori, si vuole ridurre il budget di spesa, nonostante ci siano dei contratti tra Stato italiano (tramite il GSE) per oltre 12 mila impianti. Tra l’altro una gran parte di questi 12 mila impianti sono di IMPRESE MANIFATTURIERE e di AZIENDE AGRICOLE che li hanno realizzati sui propri tetti o nelle aree limitrofe alle unità produttive! Quelle stesse imprese che Lei continua a dire che vuole aiutare.

Cambiare ora le condizioni significa mettere in ginocchio migliaia di aziende! Una gran parte di loro non riuscirà più a pagare le rate del leasing o del finanziamento. Ci saranno miliardi di Euro di ulteriori sofferenze per le banche italiane, che avranno ancora più difficoltà a dar credito alle aziende italiane. Ricordo infatti che gli oltre 18.000 megawatt installati son stati realizzati grazie a circa 50 miliardi di Euro di prestiti bancari.

E per moltissime aziende e imprenditori l’impianto fotovoltaico, realizzato sul tetto della fabbrica o su un terreno, rappresenta ora l’unica risorsa che li aiuta a stare in piedi in questo durissimo periodo di crisi.

Con le loro scelte, i funzionari del Ministero dello Sviluppo Economico responsabili per i temi energetici, stanno facendo un danno enorme al Suo Governo e quel che più conta all’Italia.

Non caschi infatti nel tranello di chi Le vuol far credere che in questo modo si colpiscono solo gli investitori, pure stranieri. Mi chiedo come sia possibile fare discorsi in giro per il mondo volti ad attrarre capitali dall’estero e poi distruggere investimenti di investitori che hanno pensato che l’Italia fosse un paese affidabile.

Le ricordo che i fondi d’investimento che hanno investito negli impianti fotovoltaici sono gli stessi che investono in infrastrutture e in aziende italiane garantendo capitali per la ripresa. Già diversi fondi d’investimento stranieri han dichiarato il loro sbigottimento e hanno detto che se una tale norma passerà bloccheranno ogni altro tipo di investimento per l’Italia. In realtà un gran danno è già stato fatto, anche perché il solo sentirne parlare ha fatto capire che l’Italia non è più un paese affidabile (vedere articolo sul Wall Street Journal). Non penso sia felice di sentirsi dire che prima di Lei ci si sentiva sicuri di investire in Italia e ora non più.

I suoi referenti al Ministero dello Sviluppo Economico l’hanno informata che già circa un mese fa addirittura le ambasciate degli Stati Uniti d’America e d’Inghilterra hanno inviato delle formali lettere di protesta al Ministero, spaventati dalle notizie che giravano circa questo paventato taglio retroattivo agli incentivi?

Le diranno che la legge è stata stilata in modo da dare la possibilità ai proprietari d’impianto di non soffrire particolari problemi (tariffe più basse per più anni per confermare il monte incentivi atteso). Non ci creda! I problemi sarebbero enormi. Non entro nei dettagli. Il panico che quello che state per fare sta creando dovrebbe bastare.

Non mancheranno i ricorsi contro questo cambio di regole, che è palesemente incostituzionale. Si avranno pertanto migliaia di cause che lo Stato perderà di certo, trovandosi a dover pagare i danni causati da un provvedimento fondamentalmente illegale, come sostiene il Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Valerio Onida: “Un simile provvedimento violerebbe sia le norme costituzionali in materia di retroattività e di tutela dell’affidamento, sia gli obblighi internazionali.” Purtroppo però i lunghi tempi della giustizia porteranno nel frattempo a default finanziari e conseguenti chiusure di aziende (non solo aziende del settore fotovoltaico).

Forse non sa che nell’ultimo anno si sono succeduti una serie di interventi che hanno già ridotto drasticamente i rendimenti degli impianti fotovoltaici.

Con la “rimodulazione” degli incentivi (che beffarda definizione) moltissimi impianti andranno in default finanziario, che vuol dire che non ci saranno neppure i soldi per garantirne la manutenzione. Risultato: non solo salteranno quelle poche aziende sopravvissute ai disastri causati dall’ex ministro Passera e dal suo Quinto Conto Energia, che si erano concentrate sulle manutenzioni degli impianti (perché purtroppo il settore del fotovoltaico era già stato colpito pesantemente portando alla chiusura migliaia di aziende e causando decine di migliaia di disoccupati, alla faccia delle belle parole sull’occupazione che sentiamo sempre alla televisione), ma addirittura molti impianti, a causa dell’assenza di assistenza tecnica, dovranno pure essere spenti!

Ma forse questo era proprio l’obiettivo finale: far spegnere gli impianti fotovoltaici per poter riaccendere le centrali a olio combustibile, carbone e gas che negli ultimi 2 anni hanno visto le loro ore di funzionamento crollare a causa dell’inaspettata e significativa crescita della produzione fotovoltaica.

Non penso possa essere orgoglioso di un simile risultato.

Infatti gli oltre 18 mila MWp di installazioni fotovoltaiche hanno permesso nel 2013 di coprire l’8% della produzione elettrica nazionale su base annuale e quote che vanno dal 20-25% nelle ore diurne dei giorni lavorativi a oltre il 50% nei giorni festivi. Sono risultati straordinari che hanno consentito di:
  • ridurre il prezzo dell’energia nella Borsa elettrica di quasi la metà, effetto positivo che però non passa all’utente finale! Il Ministero dello Sviluppo Economico dovrebbe concentrarsi su come risolvere questa questione invece che accanirsi contro il fotovoltaico. Qui sì che ci sono le vere speculazioni!
  • ridurre le spese di importazione PER combustibili fossili di diversi miliardi di euro all’anno (corrispondente miglioramento della bilancia dei pagamenti nazionale)
  • salvare centinaia se non migliaia di vite umane (meno emissioni dalle centrali a combustibile fossile significa molti meno tumori)
  • creare un’occupazione indotta importante e stabile grazie alle manutenzioni degli impianti
Il cambio retroattivo delle regole interessa ben 11 dei 18 mila MWp di impianti fotovoltaici installati in Italia. Vuol dire che si sta mettendo a rischio oltre il 60% della produzione di energia elettrica fotovoltaica italiana, pari a quasi il 5% della copertura della produzione elettrica nazionale. E ricordo che si tratta di una PRODUZIONE NAZIONALE, in quanto non dipende da alcuna fonte energetica estera. Mi sembra semplicemente assurdo sostituire questa produzione di energia PULITA e INESAURIBILE (ricordo che gli impianti funzionano ben oltre i 20 anni del Conto Energia) con energia FOSSILE inquinante e pure proveniente dall’estero.

Ora, stimato Presidente, ha forse ancora un’opportunità di correre ai ripari, dichiarando che non era stato correttamente informato e che non toccherà gli investimenti nel fotovoltaico.

E’ l’unico modo per uscire da questo impasse senza troppi danni. Mi creda, ci sono altri modi, più seri e onesti, per abbassare i costi dell’energia elettrica alle imprese italiane.

Cordiali saluti,
Ing. Paolo Rocco Viscontini (operatore del fotovoltaico)

Il declino dell'economia industriale italiana






L'economia industriale italiana sta venendo stritolata dall'alto costo delle materie prime. A questo si aggiunge il peso di una burocrazia spaventosa che è l'emblema moderno della teoria di Tainter che vede il crollo delle civiltà come dovuto all'eccessivo costo delle loro burocrazie. Il risultato è un economia italiana che si fa sempre più virtuale, sempre più eterea, sempre più orientata verso prodotti di lusso nella moda, nel turismo o nel settore alimentare. E' un'economia fragile, soggetta alla variabilità dei gusti planetari e che crea ricchezza solo per pochi.

In questo post, Miguel Martinez dal blog "Kelebek" coglie bene le tendenze del momento.


Aura d’Italia

Ogni tanto, mi viene da scrivere una riflessione sperimentale, dove semplifico molto e compio sicuramente errori, ma mi serve per mettere in ordine esperienze e idee.

Quindi non prendete troppo alla lettera ogni parola, cercate di cogliere il senso generale.

Innanzitutto, la crisi sta cambiando il volto dell’economia italiana. Tra tante altre realtà, ha messo in crisi i pilastri della sinistra realmente esistente, istituzioni come la Coop e il Monte dei Paschi di Siena, con il loro contorno politico.

Contemporaneamente, diventa centrale la commercializzazione dell‘Aura d’Italia.

Aura di di Estrosi Creativi che Coniugano Modernità e Tradizione nel Solco tracciato da Leonardo e Michelangelo… con due aspetti paralleli e inseparabili: turismo e moda.

Il grosso ricade su tre luoghi-cartolina che tutto il mondo riconosce, cioè Venezia, Firenze e Roma.

Ma Roma è troppe cose insieme, Venezia è quasi disabitata; per cui nei fatti, questa Aura si concentra soprattutto a Firenze, che non è solo luogo turistico, ma centro simbolico del sistema-moda planetario (anche se i centri economici sono ben altri, da New York a Milano).

Questo fatto ci permette di capire come abbia fatto il sindaco di Firenze a scardinare in pochi anni l’intero sistema del PD e impadronirsene, per poi passare a diventare addirittura il politico-protagonista di tutta l’Italia.

Tenendo presente, però che il vero potere non ama mai farsi vedere, e quindi non bisogna insistere troppo sull’esuberante personalità dell’ex-sindaco.

L’industria dell’Aura è l’inevitabile accompagnamento dell’immensa divaricazione della ricchezza mondiale: il settore del lusso, ci dicono, è l’unico che non conosce crisi. E questa industria ha come base, non l’accumulazione di piaceri, ma una disperata gara di prestigio tra uomini che devono dimostrare la propria potenza attraverso una serie di gesti prefigurati di spreco su scala gigantesca.

Allo stesso tempo, il mercato dell’Aura riflette il generale narcisismo, la smaterializzazione e la finta intimità dell’era della Jeune Fille.

Non è altro che la pubblicità di se stessa, e come ogni pubblicità, è quindi giovane, bella, seducente, entusiasmante.

Il mercato della moda, a differenza di quello turistico, genera ben poco di ciò che una volta si chiamava “lavoro”: gli scaricatori stagionali a Pitti Moda, il designer di gioielli, la modella eccezionale, il buttafuori sono figure numericamente irrilevanti.

Ma questo mercato muove capitali enormi, in grado di condizionare la politica, la cultura, i media… Nulla può fermare le cifre che i signori del lusso sono in grado di schierare sul campo. Cifre che ovviamente non hanno nulla a che fare con “l’Italia” o con “Firenze”, visto che scorrono dentro il mondo parallelo del denaro virtuale planetario.

Il mercato dell’Aura genera e rimodella l’Aura stessa. Decide, ad esempio, che il museo/monumento, invece di essere luogo in cui si può scoprire il proprio territorio, deve diventare sede di “eventi” mediatici, un continuo spettacolo a sostegno dell’industria dell’Aura (Pucci riveste il Battistero, Stefano Ricci decide l’illuminazione del Ponte Vecchio, Ferragamo prende in mano gli Uffizi…).

Il mercato dell’Aura deve vendere ciò che la gente già conosce, e quindi se riduce l’Italia a Firenze/Venezia/Roma, riduce a sua volta Firenze a due o tre monumenti facilmente riconoscibili in tutto il mondo. Il resto della città può fare da dormitorio, e i brandelli di centro non ancora distrutti possono diventare valvole di sfogo per la parte bassa dell’industria turistica.

Ecco che i punti chiave diventano modello di città, turismo, moda, gentrificazione, patrimonio, urbanistica, paesaggio.


lunedì 23 giugno 2014

Il culto dello sportello: come liberarsi dei rifiuti ingombranti




Vedi anche
Gli imperi muoiono di burocrazia
Il culto dello sportello-I
Il culto dello sportello-II
Il culto dello sportello -III
Il culto dello sportello - IV


Vecchi scaffali, una poltrona ormai lisa, materassi inutilizzabili e altra roba. Vado sul sito della nostra municipalizzata per vedere come devo fare per liberarmene. C'è scritto che il ritiro di rifiuti ingombranti è gratuito e che si può telefonare per avere un appuntamento, oppure prenotare per posta elettronica.

Preparo una lista della roba da buttare e la spedisco all'indirizzo indicato, insieme con tutti i miei dati - indirizzo, telefono, eccetera. Mezz'ora dopo, mi arriva una risposta che è semplicemente lo stesso testo che si trova su internet con le istruzioni su cosa fare. Il mio messaggio non lo hanno letto o, se lo hanno letto, non lo hanno minimamente preso in considerazione. Sembra proprio che non ci sia scampo. Lo devo fare via telefono.

Chiamo il numero indicato. Musichette varie, prema tale bottone e tal'altro, il nostro operatore le risponderà appena possibile, eccetera..... suona di nuovo la musichetta, poi ripete, i nostri operatori sono occupati, eccetera...... Come sempre in questi casi, tocca aspettare un bel po'.

Finalmente, mi risponde l'operatore e mi chiede l'elenco delle cose da ritirare. Le dico, "guardi; ho mandato l'elenco via posta elettronica. Non sarebbe più semplice per lei prenderlo da li?" Mi risponde in modo piuttosto scortese, "lei non si preoccupi, questa è la procedura." Dopo di che, però, ci ripensa e mi dice, "si, in effetti il suo messaggio è arrivato. Ora faccio un copia e incolla." Al che, mi verrebbe da dirle, "e allora che bisogno c'era che perdessi tutto questo tempo ad aspettare al telefono sentendo musichette?" Ma la tipa mi sembra già abbastanza nervosetta, per cui mi trattengo. Mi richiede un'altra volta tutti i dati che avevo già mandato via internet. Poi mi da l'appuntamento. Grazie e arrivederci.

Il tutto mi ha richiesto una buona mezz'ora. Niente di grave, certo, ma fa rabbia pensare che il tutto si poteva fare benissimo a costo zero e in tempi molto più rapidi per mezzo di un sito internet. Invece, viene fatta a costi che non so valutare pagando degli operatori che passano la giornata a sentirsi elencare mobili vecchi da buttare. Non deve essere un mestiere piacevole e capisco anche che la tipa che mi ha risposto fosse piuttosto nervosa. Sono costi, però, che alla fine ricadono sulla municipalizzata e di riflesso sugli utenti. Insomma, i ritorni decrescenti della complessità continuano a colpire!








Il Maggio più caldo mai registrato nella storia

Daclimatecrocks.com”. Traduzione di MR


Fonte: Istituto di Potsdam per la Ricerca sull'Impatto del Clima

Nota preliminare: Le temperature di maggio battono facilmente quelle del 1998 alimentate da El Niño. El Niño che si sta sviluppando quest'anno sembra essere in stallo in qualche modo. Più di quanto mi aspettassi.

Climate Progress:

L'Agenzia Meteorologica del Giappone ha riportato lunedì che il periodo marzo-maggio è stato il più caldo in più di 120 anni di misurazioni. E' stato anche il maggio più caldo mai registrato.



Questo è particolarmente degno di nota perché stiamo ancora aspettando l'inizio de El Niño. Di solito è la combinazione delle tendenze di fondo al riscaldamento e degli schemi regionali di riscaldamento de El Niño che portano a nuovi record di temperatura globale.

Potreste chiedervi come sia possibile che il mondo abbia segnato il record del marzo, aprile e maggio più caldi (la primavera boreale) quando non è stato particolarmente caldo negli Stati Uniti (posto che ignoriamo la California e l'Alaska). Risulta che ci sia un pianeta intero là fuori che è diventato ben caldo:






domenica 22 giugno 2014

Estinzione della specie umana?

di Jacopo Simonetta

      L’apocalisse è un tema sempre di moda, molto spesso a sproposito.   A cominciare dall'ondata di “millenarismo” dell’anno 1.000 dc. che, anziché preludere ad una catastrofe epocale, preluse a due secoli di rigoglio economico ed alla fase culminante di quella civiltà feudale cui ancora oggi dobbiamo buona parte dei nostri monumenti, paesaggi ed archetipi.   La catastrofe poi ci fu davvero, ma 350 anni più tardi.
Dilettante!

Coloro che deridono l’attuale ritorno alla ribalta di questo tema non mancano quindi di argomenti, ma ciò non elimina quella sgradevole sensazione da “game over” che porta sempre più gente ad ipotizzare addirittura l‘estinzione dell’umanità.

Un argomento che vale quindi la pena di approfondire un poco. Fra gli autori che si sono occupati seriamente del tema, è d’obbligo citare J. Diamond che nel suo best-seller “Collasso” analizza le probabili cause di estinzione di vari gruppi umani.   In conclusione del suo libro, Diamond elenca i 5 fattori che, secondo lui,  sono potenzialmente capaci di provocare il collasso e la sparizione anche di popolazioni numerose e di civiltà complesse.

Ricordiamoli:

1 – Drastica modifica dell’habitat, in particolare deforestazione;
2 – Cambiamento del clima;
3 – Eccessiva dipendenza dal commercio estero;
4 – Nemici esterni potenti.
5 – Politica disfunzionale, in particolare con classi dirigenti incapaci di capire cosa sta accadendo e reagire in modo tempestivo ed efficace.

Sicuramente entrano in gioco anche altri fattori, ma il fatto che l’umanità nel suo insieme ed in praticamente tutte le sue articolazioni nazionali sia soggetta a tutti e cinque questi fattori contemporaneamente è obbiettivamente preoccupante. Il collasso delle civiltà del passato non ha portato all'estinzione della specie, ma se questi fenomeni si dovessero abbattere tutti insieme sopra di noi a livello planetario, si potrebbe pensare anche a un risultato del genere.

Possiamo dedurne che davvero la nostra è una specie a rischio?   Per l’appunto i processi di estinzione sono fra quelli che in questi ultimi decenni abbiamo avuto modo di studiare meglio, cosicché la letteratura sull'argomento è oramai vastissima; in queste pagine farò riferimento soprattutto al lavoro di sintesi di M.E. Gilpin , M.E. Soulé e A. Beeby.

In estrema sintesi, possiamo dire che i processi di estinzione derivano dall'interazione di una serie di retroazioni, detti “extinction vortex”, evidenti soprattutto per gli animali ed in particolare per i mammiferi e gli uccelli.   Con altri tipi di organismi (ad esempio con piante e batteri) le cose possono andare anche diversamente, ma qui non ci interessa visto che noi siamo certamente mammiferi.

I trevorticifatali sono i seguenti:

Vortice genetico: Al ridursi della popolazione, si possono presentare crescenti fenomeni di “depressione da consanguineità” (Imbreeding depression), i quali si traducono in una minore vitalità della popolazione (riduzione della natalità, aumento della mortalità giovanile, ecc.) che, a loro volta, riducono la consistenza della popolazione.   Non sempre l’uniformità genetica comporta effetti negativi, ma almeno negli animali comporta quasi sempre una ridotta capacità di adattamento.   Attenzione che esiste anche l’”outbreeding depression”, non meno pericolosa, perlomeno in alcuni casi ben documentati come, ad esempio, la lepre e la starna.


Vortice Ambientale:  Diminuendo la popolazione, gli effetti di incidenti quali maltempo, predazione, malattie, ecc. diventano proporzionalmente maggiori.   Inoltre, se le condizioni ambientali diventano instabili, cambiano i tassi di natalità e di mortalità, il che può riflettersi in fluttuazioni improvvise della popolazione che si può trovare repentinamente molto al di sopra o molto al di sotto rispetto alla capacità di carico che, a sua volta cambia rapidamente, impedendo o limitando la capacità di adattamento.   Tutto ciò si risolve in una ulteriore decrescita della popolazione ed in una sua maggiore instabilità

Vortice demografico:  Al diminuire della popolazione, si riducono le probabilità di incontro fertile fra i sessi e la struttura della popolazione si altera, con una prevalenza di soggetti anziani, meno vitali e meno adattabili dei giovani.



Il peso relativo di queste tre componenti e le retroazioni incrociate fra i diversi vortici cambiano da caso a caso, ma comunque per innescare uno o più vortici sono necessarie due cose:   la prima è che la popolazione diminuisca sensibilmente, la seconda (frequente, ma non universale) è che l’area in cui la specie si trova si riduca notevolmente, oppure che venga frammentata in tante piccole zone isolate fra loro.

Una cosa del genere può dunque accadere ad una specie longeva che è attualmente in fase di rapida crescita?   Ad una specie il cui areale corrisponde praticamente all'intero pianeta e che ha dimostrato una capacità e rapidità di adattamento straordinarie?   La risposta è semplice: No.

Eppure…   Siamo davvero sicuri?

Come al solito, fare delle vere previsioni è impossibile perché troppi sono i fattori in gioco e la maggior parte di questi troppo poco conosciuti, oppure intrinsecamente imprevedibili.   Chiederci se succederà è quindi futile, ma possiamo invece chiederci se potrebbe succedere.   Ed in questo caso la prima domanda che dobbiamo porci è la seguente:   E’ possibile che la consistenza della popolazione umana diminuisca molto rapidamente, fino a ridurre i nostri discendenti a piccoli gruppi isolati fra loro ed immersi in un habitat ostile?
Riprendiamo il 5 fattori di Diamond e vediamo meglio come potrebbero giocare in un contesto storico caratterizzato dagli effetti cumulativi dei limiti alla crescita.

1 – Drastica modifica dell’habitat.   L’uomo ha sempre modificato fortemente il suo habitat, ma nei due secoli di rivoluzione industriale gli ambienti terrestri ed acquatici sono stati sconvolti quasi ovunque in una misura senza precedenti al fine di aumentarne la capacità di carico in termini umani.   Foreste, praterie e paludi sono state convertite in campi coltivati (l’atmosfera, i mari e gli oceani in discariche), creando ecosistemi economicamente molto produttivi, ma estremamente instabili che si reggono esclusivamente sul continuo apporto di energia fossile sotto forma di prodotti chimici, macchine e carburanti.   Venendo progressivamente a mancare questi, molti ecosistemi agricoli possono cambiare molto rapidamente, evolvendo verso formazioni secondarie sub-desertiche pressoché inabitabili; oppure verso arbusteti e macchie anche questi ben poco ospitali.   Naturalmente l’enorme mano d’opera gratuita che probabilmente sarà messa a disposizione dal dilagare della disoccupazione potrebbe contrastare tali fenomeni, ma non dovunque.   Il risultato dipenderà infatti non solo dalla quantità di braccia disponibili, ma anche dalla presenza di teste capaci di guidare costruttivamente quelle braccia.   Inoltre, un limite invalicabile alla disponibilità di mano d’opera sarà la disponibilità di cibo, acqua, riparo, difesa, ecc.

E la disponibilità di acqua rischia di essere molto più limitante di quella di cibo.   E’ vero che l’abbandono degli acquedotti riporterebbe acqua nei fiumi, ma in vastissime regioni del pianeta le sorgenti ed i pozzi superficiali sono stati prosciugati e non è affatto certo che l’acqua vi ritorni, o vi torni ad essere potabile, in tempi che abbiano un senso dal punto di vista umano.

2 – Cambiamento del clima.   Rappresenta certamente una delle maggiori incognite sul nostro futuro.   Accantonando l’idea utopica che i governi e le imprese limitino davvero le emissioni clima-alteranti, rimane la concreta possibilità che lo faccia la crisi economica globale.   Ma potrebbe essere troppo tardi perché oramai abbiamo già attivato una serie di retroazioni che vanno dal collasso di grandi ghiacciai artici, alla riduzione dell’albedo alle alte latitudini, alla liberazione di metano dai fondali marini e dal permafrost, all’esalazione di anidride carbonica dalla biosfera e dai suoli.   Magari non sarà sufficiente per portare alla “sindrome di Venere”, ma di sicuro sarà sufficiente a ridurre in maniera drastica sia la produzione agricola, sia l’acqua in molte regioni, sia la biodiversità ovunque.

3 – Eccessiva dipendenza dal commercio.   Oramai quasi tutto quel che viene prodotto viene esportato ed importato, cibo compreso, ed è questa una delle strategia che ha permesso alla nostra specie di pullulare sul pianeta.   Man mano che il commercio si ridurrà per la carenza quali-quantitativa di energia o per le crisi politiche e militari, la disponibilità di beni di prima necessità potrebbe diminuire in modo assolutamente drammatico più rapidamente di quanto non possa riorganizzarsi una produzione su scala più locale.   Inoltre, gli impianti industriali hanno una limitata elasticità e sono costretti a produrre all'incirca sempre i medesimi quantitativi.   Una contrazione del mercato potrebbe quindi portarne molti alla chiusura, provocando un brusco passaggio dall'eccesso alla carenza per molti  beni di consumo.

4 – Nemici esterni potenti.   Dopo la pausa degli anni ’90, tutti i principali paesi del mondo hanno ripreso ad incrementare i loro apparati militari, con l’unica eccezione dell’Europa.   Difficilmente questi paesi sostengono un simile sforzo per nulla.   Ciò non è sufficiente per pronosticare una prossima guerra mondiale o qualcosa del genere, ma di sicuro il rischio di conflitti importanti è molto elevato e gli europei si stanno attrezzando per perderla, chiunque la vincesse.   Vi è anche la possibilità che una guerra nucleare di vasta portata cancelli le città e riduca a poca cosa il resto del pianeta, ma ritengo che sia molto meno probabile.

5 – Politica disfunzionale.   Questo è il fattore chiave che rende impossibile reagire agli altri 4.   Sui livelli di gravità e vastità cui siamo giunti in questo campo non credo che sia utile dilungarsi.

Dunque i “Big five” di Diamond possono, complessivamente, provocare una riduzione consistente della popolazione umana, perlomeno su vaste regioni.   Ma l’analisi storica non è sufficiente in quanto, necessariamente, trascura alcuni elementi che, storicamente, non sono stati importanti.   Ma  lo sono adesso o potrebbero diventarlo in futuro.

6 – Collasso della biodiversità.    Oggi siamo nel pieno di un’estinzione di massa che non ha precedenti storici (preistorici invece si).   Non possiamo sapere fino a che punto procederà, ma già oggi sta alterando il funzionamento degli ecosistemi, ma soprattutto ne pregiudica le potenzialità di recupero anche dopo che la pressione umana fosse diminuita.   La biodiversità è infatti l’insieme delle carte con cui la vita gioca la sua partita contro la morte.   Togliere biodiversità ad un ecosistema è come togliere organi e tessuti ad un organismo; anche nel caso in cui questo sopravvive, rimane comunque menomato per sempre.   Finché si perdono specie e generi, almeno teoricamente ci può essere un recupero, sia pure in tempi nell'ordine delle migliaia o dei milioni di anni.   Viceversa, quando si estingue un taxon superiore (ordine, classe o phylum), è certo che niente di simile tornerà mai più ad esistere.   Nei tempi lunghi, l’estinzione di massa ed il riscaldamento climatico rappresentano sicuramente i due pericoli maggiori per la nostra discendenza.

7 – Grave carenza di energia fossile.   E’ vero che l’uomo è straordinariamente adattabile, ma è anche vero che nel corso degli ultimi 200 anni si è specializzato nello sfruttamento dei combustibili fossili, soprattutto del petrolio.   Sostanzialmente, l’agricoltura moderna è un complicato sistema per trasformare petrolio e gas in cose più o meno gradevoli da mangiare.   Ed ogni minimo dettaglio della nostra vita dipende da questi materiali che non sono affatto in procinto di esaurirsi, ma che già da qualche anno hanno cominciato a decadere per qualità e disponibilità.   Le caratteristiche geologiche, chimiche e geografiche dei giacimenti rendono ineluttabile un graduale declino, mentre crisi economiche e/o militari possono provocare delle forti contrazioni dell’offerta, magari temporanee, ma repentine.    Inoltre, praticamente tutti i giacimenti attualmente sfruttati o sfruttabili lo sono solo a condizione di disporre di finanziamenti e tecnologie che solo l’attuale economia globale è in grado di mettere a disposizione.   Il disgregarsi del sistema globale in sistemi regionali porrebbe fuori portata molte delle riserve accertate.
In altre parole, i combustibili fossili ci hanno permesso una crescita incredibilmente superiore alla capacità di carico del pianeta, ma si è trattato di un fatto temporaneo.

8 – Pandemia.   Nella storia ci sono state alcune pandemie fra cui la famigerata “peste nera”, ma raramente hanno portato all'estinzione di gruppi umani consistenti.   Attualmente, il rischio di una pandemia globale è preso molto sul serio dalle autorità nazionali ed internazionali, ma non credo che sia molto probabile.   Finché il sistema economico globale continuerà a funzionare, infatti, ci saranno probabilmente i mezzi per contrastarla, come è stato fatto finora.   Quando il sistema globale sarà collassato, i mezzi sanitari disponibili diminuiranno molto, ma anche i traffici internazionali e, dunque, le probabilità di contagio.   Piuttosto, l’incremento di molti tipi di inquinamento, il peggioramento del clima e dell’alimentazione, il ridimensionamento dei servizi di assistenza ai poveri ed agli ammalati provocheranno certamente una diminuzione dell’aspettativa di vita.   Quali effetti, invece, tutto questo avrà sulla natalità è impossibile da prevedere.   In ogni caso, si avranno situazioni molto diverse da zona a zona.

E dunque?   La mia personale opinione è che l’ipotesi più probabile è un declino relativamente rapido, ma graduale della popolazione globale, ma solo localmente questo processo potrebbe raggiungere la soglia necessaria per avviare dei vortici d’estinzione.   Tuttavia, nel corso dei 2-3 secoli a venire, gli affetti combinati del cambiamento climatico, del collasso della biodiversità e di alcune forme di inquinamento potrebbero anche ridurre la popolazione umana a gruppi abbastanza sparuti e distanti da poter avviare un processo di estinzione completa della nostra specie.

Si obbietterà che nel remoto passato la nostra specie è stata costituita da gruppi sparuti e pressoché isolati di persone per decine di migliaia di anni.   E non solo non si è estinta, ben al contrario è cresciuta fino a dominare il mondo.   Ciò è sicuramente vero, ma i nostri discendenti abiteranno un mondo infinitamente meno ospitale di quello in cui hanno vissuto i nostri antenati.   Come ha scritto Bill McKibben, il dolce pianeta su cui la nostra specie si è evoluta non esiste più; ora viviamo su di un pianeta molto diverso, nettamente più caldo ed arido, povero di cibo e di acqua, squassato dalle tempeste e contaminato da veleni di ogni tipo.   Possiamo farlo grazie ad una tecnologia ed a fonti energetiche che in gran parte ci abbandoneranno; cosa ci accadrà poi non è dato sapere.