di Jacopo Simonetta
L’apocalisse è un tema sempre di moda, molto spesso a sproposito. A cominciare dall'ondata di “millenarismo” dell’anno 1.000 dc. che, anziché preludere ad una catastrofe epocale, preluse a due secoli di rigoglio economico ed alla fase culminante di quella civiltà feudale cui ancora oggi dobbiamo buona parte dei nostri monumenti, paesaggi ed archetipi. La catastrofe poi ci fu davvero, ma 350 anni più tardi.
Coloro che deridono l’attuale ritorno alla ribalta di questo tema non mancano quindi di argomenti, ma ciò non elimina quella sgradevole sensazione da “game over” che porta sempre più gente ad ipotizzare addirittura l‘estinzione dell’umanità.
Un argomento che vale quindi la pena di approfondire un poco. Fra gli autori che si sono occupati seriamente del tema, è d’obbligo citare J. Diamond che nel suo best-seller “Collasso” analizza le probabili cause di estinzione di vari gruppi umani. In conclusione del suo libro, Diamond elenca i 5 fattori che, secondo lui, sono potenzialmente capaci di provocare il collasso e la sparizione anche di popolazioni numerose e di civiltà complesse.
Ricordiamoli:
1 – Drastica modifica dell’habitat, in particolare deforestazione;
2 – Cambiamento del clima;
3 – Eccessiva dipendenza dal commercio estero;
4 – Nemici esterni potenti.
5 – Politica disfunzionale, in particolare con classi dirigenti incapaci di capire cosa sta accadendo e reagire in modo tempestivo ed efficace.
Sicuramente entrano in gioco anche altri fattori, ma il fatto che l’umanità nel suo insieme ed in praticamente tutte le sue articolazioni nazionali sia soggetta a tutti e cinque questi fattori contemporaneamente è obbiettivamente preoccupante. Il collasso delle civiltà del passato non ha portato all'estinzione della specie, ma se questi fenomeni si dovessero abbattere tutti insieme sopra di noi a livello planetario, si potrebbe pensare anche a un risultato del genere.
Possiamo dedurne che davvero la nostra è una specie a rischio? Per l’appunto i processi di estinzione sono fra quelli che in questi ultimi decenni abbiamo avuto modo di studiare meglio, cosicché la letteratura sull'argomento è oramai vastissima; in queste pagine farò riferimento soprattutto al lavoro di sintesi di M.E. Gilpin , M.E. Soulé e A. Beeby.
In estrema sintesi, possiamo dire che i processi di estinzione derivano dall'interazione di una serie di retroazioni, detti “extinction vortex”, evidenti soprattutto per gli animali ed in particolare per i mammiferi e gli uccelli. Con altri tipi di organismi (ad esempio con piante e batteri) le cose possono andare anche diversamente, ma qui non ci interessa visto che noi siamo certamente mammiferi.
I tre “vortici” fatali sono i seguenti:
Vortice genetico: Al ridursi della popolazione, si possono presentare crescenti fenomeni di “depressione da consanguineità” (Imbreeding depression), i quali si traducono in una minore vitalità della popolazione (riduzione della natalità, aumento della mortalità giovanile, ecc.) che, a loro volta, riducono la consistenza della popolazione. Non sempre l’uniformità genetica comporta effetti negativi, ma almeno negli animali comporta quasi sempre una ridotta capacità di adattamento. Attenzione che esiste anche l’”outbreeding depression”, non meno pericolosa, perlomeno in alcuni casi ben documentati come, ad esempio, la lepre e la starna.
Vortice Ambientale: Diminuendo la popolazione, gli effetti di incidenti quali maltempo, predazione, malattie, ecc. diventano proporzionalmente maggiori. Inoltre, se le condizioni ambientali diventano instabili, cambiano i tassi di natalità e di mortalità, il che può riflettersi in fluttuazioni improvvise della popolazione che si può trovare repentinamente molto al di sopra o molto al di sotto rispetto alla capacità di carico che, a sua volta cambia rapidamente, impedendo o limitando la capacità di adattamento. Tutto ciò si risolve in una ulteriore decrescita della popolazione ed in una sua maggiore instabilità
Vortice demografico: Al diminuire della popolazione, si riducono le probabilità di incontro fertile fra i sessi e la struttura della popolazione si altera, con una prevalenza di soggetti anziani, meno vitali e meno adattabili dei giovani.
Il peso relativo di queste tre componenti e le retroazioni incrociate fra i diversi vortici cambiano da caso a caso, ma comunque per innescare uno o più vortici sono necessarie due cose: la prima è che la popolazione diminuisca sensibilmente, la seconda (frequente, ma non universale) è che l’area in cui la specie si trova si riduca notevolmente, oppure che venga frammentata in tante piccole zone isolate fra loro.
Una cosa del genere può dunque accadere ad una specie longeva che è attualmente in fase di rapida crescita? Ad una specie il cui areale corrisponde praticamente all'intero pianeta e che ha dimostrato una capacità e rapidità di adattamento straordinarie? La risposta è semplice: No.
Eppure… Siamo davvero sicuri?
Come al solito, fare delle vere previsioni è impossibile perché troppi sono i fattori in gioco e la maggior parte di questi troppo poco conosciuti, oppure intrinsecamente imprevedibili. Chiederci se succederà è quindi futile, ma possiamo invece chiederci se potrebbe succedere. Ed in questo caso la prima domanda che dobbiamo porci è la seguente: E’ possibile che la consistenza della popolazione umana diminuisca molto rapidamente, fino a ridurre i nostri discendenti a piccoli gruppi isolati fra loro ed immersi in un habitat ostile?
Riprendiamo il 5 fattori di Diamond e vediamo meglio come potrebbero giocare in un contesto storico caratterizzato dagli effetti cumulativi dei limiti alla crescita.
1 – Drastica modifica dell’habitat. L’uomo ha sempre modificato fortemente il suo habitat, ma nei due secoli di rivoluzione industriale gli ambienti terrestri ed acquatici sono stati sconvolti quasi ovunque in una misura senza precedenti al fine di aumentarne la capacità di carico in termini umani. Foreste, praterie e paludi sono state convertite in campi coltivati (l’atmosfera, i mari e gli oceani in discariche), creando ecosistemi economicamente molto produttivi, ma estremamente instabili che si reggono esclusivamente sul continuo apporto di energia fossile sotto forma di prodotti chimici, macchine e carburanti. Venendo progressivamente a mancare questi, molti ecosistemi agricoli possono cambiare molto rapidamente, evolvendo verso formazioni secondarie sub-desertiche pressoché inabitabili; oppure verso arbusteti e macchie anche questi ben poco ospitali. Naturalmente l’enorme mano d’opera gratuita che probabilmente sarà messa a disposizione dal dilagare della disoccupazione potrebbe contrastare tali fenomeni, ma non dovunque. Il risultato dipenderà infatti non solo dalla quantità di braccia disponibili, ma anche dalla presenza di teste capaci di guidare costruttivamente quelle braccia. Inoltre, un limite invalicabile alla disponibilità di mano d’opera sarà la disponibilità di cibo, acqua, riparo, difesa, ecc.
E la disponibilità di acqua rischia di essere molto più limitante di quella di cibo. E’ vero che l’abbandono degli acquedotti riporterebbe acqua nei fiumi, ma in vastissime regioni del pianeta le sorgenti ed i pozzi superficiali sono stati prosciugati e non è affatto certo che l’acqua vi ritorni, o vi torni ad essere potabile, in tempi che abbiano un senso dal punto di vista umano.
2 – Cambiamento del clima. Rappresenta certamente una delle maggiori incognite sul nostro futuro. Accantonando l’idea utopica che i governi e le imprese limitino davvero le emissioni clima-alteranti, rimane la concreta possibilità che lo faccia la crisi economica globale. Ma potrebbe essere troppo tardi perché oramai abbiamo già attivato una serie di retroazioni che vanno dal collasso di grandi ghiacciai artici, alla riduzione dell’albedo alle alte latitudini, alla liberazione di metano dai fondali marini e dal permafrost, all’esalazione di anidride carbonica dalla biosfera e dai suoli. Magari non sarà sufficiente per portare alla “sindrome di Venere”, ma di sicuro sarà sufficiente a ridurre in maniera drastica sia la produzione agricola, sia l’acqua in molte regioni, sia la biodiversità ovunque.
3 – Eccessiva dipendenza dal commercio. Oramai quasi tutto quel che viene prodotto viene esportato ed importato, cibo compreso, ed è questa una delle strategia che ha permesso alla nostra specie di pullulare sul pianeta. Man mano che il commercio si ridurrà per la carenza quali-quantitativa di energia o per le crisi politiche e militari, la disponibilità di beni di prima necessità potrebbe diminuire in modo assolutamente drammatico più rapidamente di quanto non possa riorganizzarsi una produzione su scala più locale. Inoltre, gli impianti industriali hanno una limitata elasticità e sono costretti a produrre all'incirca sempre i medesimi quantitativi. Una contrazione del mercato potrebbe quindi portarne molti alla chiusura, provocando un brusco passaggio dall'eccesso alla carenza per molti beni di consumo.
4 – Nemici esterni potenti. Dopo la pausa degli anni ’90, tutti i principali paesi del mondo hanno ripreso ad incrementare i loro apparati militari, con l’unica eccezione dell’Europa. Difficilmente questi paesi sostengono un simile sforzo per nulla. Ciò non è sufficiente per pronosticare una prossima guerra mondiale o qualcosa del genere, ma di sicuro il rischio di conflitti importanti è molto elevato e gli europei si stanno attrezzando per perderla, chiunque la vincesse. Vi è anche la possibilità che una guerra nucleare di vasta portata cancelli le città e riduca a poca cosa il resto del pianeta, ma ritengo che sia molto meno probabile.
5 – Politica disfunzionale. Questo è il fattore chiave che rende impossibile reagire agli altri 4. Sui livelli di gravità e vastità cui siamo giunti in questo campo non credo che sia utile dilungarsi.
Dunque i “Big five” di Diamond possono, complessivamente, provocare una riduzione consistente della popolazione umana, perlomeno su vaste regioni. Ma l’analisi storica non è sufficiente in quanto, necessariamente, trascura alcuni elementi che, storicamente, non sono stati importanti. Ma lo sono adesso o potrebbero diventarlo in futuro.
6 – Collasso della biodiversità. Oggi siamo nel pieno di un’estinzione di massa che non ha precedenti storici (preistorici invece si). Non possiamo sapere fino a che punto procederà, ma già oggi sta alterando il funzionamento degli ecosistemi, ma soprattutto ne pregiudica le potenzialità di recupero anche dopo che la pressione umana fosse diminuita. La biodiversità è infatti l’insieme delle carte con cui la vita gioca la sua partita contro la morte. Togliere biodiversità ad un ecosistema è come togliere organi e tessuti ad un organismo; anche nel caso in cui questo sopravvive, rimane comunque menomato per sempre. Finché si perdono specie e generi, almeno teoricamente ci può essere un recupero, sia pure in tempi nell'ordine delle migliaia o dei milioni di anni. Viceversa, quando si estingue un taxon superiore (ordine, classe o phylum), è certo che niente di simile tornerà mai più ad esistere. Nei tempi lunghi, l’estinzione di massa ed il riscaldamento climatico rappresentano sicuramente i due pericoli maggiori per la nostra discendenza.
7 – Grave carenza di energia fossile. E’ vero che l’uomo è straordinariamente adattabile, ma è anche vero che nel corso degli ultimi 200 anni si è specializzato nello sfruttamento dei combustibili fossili, soprattutto del petrolio. Sostanzialmente, l’agricoltura moderna è un complicato sistema per trasformare petrolio e gas in cose più o meno gradevoli da mangiare. Ed ogni minimo dettaglio della nostra vita dipende da questi materiali che non sono affatto in procinto di esaurirsi, ma che già da qualche anno hanno cominciato a decadere per qualità e disponibilità. Le caratteristiche geologiche, chimiche e geografiche dei giacimenti rendono ineluttabile un graduale declino, mentre crisi economiche e/o militari possono provocare delle forti contrazioni dell’offerta, magari temporanee, ma repentine. Inoltre, praticamente tutti i giacimenti attualmente sfruttati o sfruttabili lo sono solo a condizione di disporre di finanziamenti e tecnologie che solo l’attuale economia globale è in grado di mettere a disposizione. Il disgregarsi del sistema globale in sistemi regionali porrebbe fuori portata molte delle riserve accertate.
In altre parole, i combustibili fossili ci hanno permesso una crescita incredibilmente superiore alla capacità di carico del pianeta, ma si è trattato di un fatto temporaneo.
8 – Pandemia. Nella storia ci sono state alcune pandemie fra cui la famigerata “peste nera”, ma raramente hanno portato all'estinzione di gruppi umani consistenti. Attualmente, il rischio di una pandemia globale è preso molto sul serio dalle autorità nazionali ed internazionali, ma non credo che sia molto probabile. Finché il sistema economico globale continuerà a funzionare, infatti, ci saranno probabilmente i mezzi per contrastarla, come è stato fatto finora. Quando il sistema globale sarà collassato, i mezzi sanitari disponibili diminuiranno molto, ma anche i traffici internazionali e, dunque, le probabilità di contagio. Piuttosto, l’incremento di molti tipi di inquinamento, il peggioramento del clima e dell’alimentazione, il ridimensionamento dei servizi di assistenza ai poveri ed agli ammalati provocheranno certamente una diminuzione dell’aspettativa di vita. Quali effetti, invece, tutto questo avrà sulla natalità è impossibile da prevedere. In ogni caso, si avranno situazioni molto diverse da zona a zona.
E dunque? La mia personale opinione è che l’ipotesi più probabile è un declino relativamente rapido, ma graduale della popolazione globale, ma solo localmente questo processo potrebbe raggiungere la soglia necessaria per avviare dei vortici d’estinzione. Tuttavia, nel corso dei 2-3 secoli a venire, gli affetti combinati del cambiamento climatico, del collasso della biodiversità e di alcune forme di inquinamento potrebbero anche ridurre la popolazione umana a gruppi abbastanza sparuti e distanti da poter avviare un processo di estinzione completa della nostra specie.
Si obbietterà che nel remoto passato la nostra specie è stata costituita da gruppi sparuti e pressoché isolati di persone per decine di migliaia di anni. E non solo non si è estinta, ben al contrario è cresciuta fino a dominare il mondo. Ciò è sicuramente vero, ma i nostri discendenti abiteranno un mondo infinitamente meno ospitale di quello in cui hanno vissuto i nostri antenati. Come ha scritto Bill McKibben, il dolce pianeta su cui la nostra specie si è evoluta non esiste più; ora viviamo su di un pianeta molto diverso, nettamente più caldo ed arido, povero di cibo e di acqua, squassato dalle tempeste e contaminato da veleni di ogni tipo. Possiamo farlo grazie ad una tecnologia ed a fonti energetiche che in gran parte ci abbandoneranno; cosa ci accadrà poi non è dato sapere.
L’apocalisse è un tema sempre di moda, molto spesso a sproposito. A cominciare dall'ondata di “millenarismo” dell’anno 1.000 dc. che, anziché preludere ad una catastrofe epocale, preluse a due secoli di rigoglio economico ed alla fase culminante di quella civiltà feudale cui ancora oggi dobbiamo buona parte dei nostri monumenti, paesaggi ed archetipi. La catastrofe poi ci fu davvero, ma 350 anni più tardi.
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Coloro che deridono l’attuale ritorno alla ribalta di questo tema non mancano quindi di argomenti, ma ciò non elimina quella sgradevole sensazione da “game over” che porta sempre più gente ad ipotizzare addirittura l‘estinzione dell’umanità.
Un argomento che vale quindi la pena di approfondire un poco. Fra gli autori che si sono occupati seriamente del tema, è d’obbligo citare J. Diamond che nel suo best-seller “Collasso” analizza le probabili cause di estinzione di vari gruppi umani. In conclusione del suo libro, Diamond elenca i 5 fattori che, secondo lui, sono potenzialmente capaci di provocare il collasso e la sparizione anche di popolazioni numerose e di civiltà complesse.
Ricordiamoli:
1 – Drastica modifica dell’habitat, in particolare deforestazione;
2 – Cambiamento del clima;
3 – Eccessiva dipendenza dal commercio estero;
4 – Nemici esterni potenti.
5 – Politica disfunzionale, in particolare con classi dirigenti incapaci di capire cosa sta accadendo e reagire in modo tempestivo ed efficace.
Sicuramente entrano in gioco anche altri fattori, ma il fatto che l’umanità nel suo insieme ed in praticamente tutte le sue articolazioni nazionali sia soggetta a tutti e cinque questi fattori contemporaneamente è obbiettivamente preoccupante. Il collasso delle civiltà del passato non ha portato all'estinzione della specie, ma se questi fenomeni si dovessero abbattere tutti insieme sopra di noi a livello planetario, si potrebbe pensare anche a un risultato del genere.
Possiamo dedurne che davvero la nostra è una specie a rischio? Per l’appunto i processi di estinzione sono fra quelli che in questi ultimi decenni abbiamo avuto modo di studiare meglio, cosicché la letteratura sull'argomento è oramai vastissima; in queste pagine farò riferimento soprattutto al lavoro di sintesi di M.E. Gilpin , M.E. Soulé e A. Beeby.
In estrema sintesi, possiamo dire che i processi di estinzione derivano dall'interazione di una serie di retroazioni, detti “extinction vortex”, evidenti soprattutto per gli animali ed in particolare per i mammiferi e gli uccelli. Con altri tipi di organismi (ad esempio con piante e batteri) le cose possono andare anche diversamente, ma qui non ci interessa visto che noi siamo certamente mammiferi.
I tre “vortici” fatali sono i seguenti:
Vortice genetico: Al ridursi della popolazione, si possono presentare crescenti fenomeni di “depressione da consanguineità” (Imbreeding depression), i quali si traducono in una minore vitalità della popolazione (riduzione della natalità, aumento della mortalità giovanile, ecc.) che, a loro volta, riducono la consistenza della popolazione. Non sempre l’uniformità genetica comporta effetti negativi, ma almeno negli animali comporta quasi sempre una ridotta capacità di adattamento. Attenzione che esiste anche l’”outbreeding depression”, non meno pericolosa, perlomeno in alcuni casi ben documentati come, ad esempio, la lepre e la starna.
Vortice Ambientale: Diminuendo la popolazione, gli effetti di incidenti quali maltempo, predazione, malattie, ecc. diventano proporzionalmente maggiori. Inoltre, se le condizioni ambientali diventano instabili, cambiano i tassi di natalità e di mortalità, il che può riflettersi in fluttuazioni improvvise della popolazione che si può trovare repentinamente molto al di sopra o molto al di sotto rispetto alla capacità di carico che, a sua volta cambia rapidamente, impedendo o limitando la capacità di adattamento. Tutto ciò si risolve in una ulteriore decrescita della popolazione ed in una sua maggiore instabilità
Vortice demografico: Al diminuire della popolazione, si riducono le probabilità di incontro fertile fra i sessi e la struttura della popolazione si altera, con una prevalenza di soggetti anziani, meno vitali e meno adattabili dei giovani.
Il peso relativo di queste tre componenti e le retroazioni incrociate fra i diversi vortici cambiano da caso a caso, ma comunque per innescare uno o più vortici sono necessarie due cose: la prima è che la popolazione diminuisca sensibilmente, la seconda (frequente, ma non universale) è che l’area in cui la specie si trova si riduca notevolmente, oppure che venga frammentata in tante piccole zone isolate fra loro.
Una cosa del genere può dunque accadere ad una specie longeva che è attualmente in fase di rapida crescita? Ad una specie il cui areale corrisponde praticamente all'intero pianeta e che ha dimostrato una capacità e rapidità di adattamento straordinarie? La risposta è semplice: No.
Eppure… Siamo davvero sicuri?
Come al solito, fare delle vere previsioni è impossibile perché troppi sono i fattori in gioco e la maggior parte di questi troppo poco conosciuti, oppure intrinsecamente imprevedibili. Chiederci se succederà è quindi futile, ma possiamo invece chiederci se potrebbe succedere. Ed in questo caso la prima domanda che dobbiamo porci è la seguente: E’ possibile che la consistenza della popolazione umana diminuisca molto rapidamente, fino a ridurre i nostri discendenti a piccoli gruppi isolati fra loro ed immersi in un habitat ostile?
Riprendiamo il 5 fattori di Diamond e vediamo meglio come potrebbero giocare in un contesto storico caratterizzato dagli effetti cumulativi dei limiti alla crescita.
1 – Drastica modifica dell’habitat. L’uomo ha sempre modificato fortemente il suo habitat, ma nei due secoli di rivoluzione industriale gli ambienti terrestri ed acquatici sono stati sconvolti quasi ovunque in una misura senza precedenti al fine di aumentarne la capacità di carico in termini umani. Foreste, praterie e paludi sono state convertite in campi coltivati (l’atmosfera, i mari e gli oceani in discariche), creando ecosistemi economicamente molto produttivi, ma estremamente instabili che si reggono esclusivamente sul continuo apporto di energia fossile sotto forma di prodotti chimici, macchine e carburanti. Venendo progressivamente a mancare questi, molti ecosistemi agricoli possono cambiare molto rapidamente, evolvendo verso formazioni secondarie sub-desertiche pressoché inabitabili; oppure verso arbusteti e macchie anche questi ben poco ospitali. Naturalmente l’enorme mano d’opera gratuita che probabilmente sarà messa a disposizione dal dilagare della disoccupazione potrebbe contrastare tali fenomeni, ma non dovunque. Il risultato dipenderà infatti non solo dalla quantità di braccia disponibili, ma anche dalla presenza di teste capaci di guidare costruttivamente quelle braccia. Inoltre, un limite invalicabile alla disponibilità di mano d’opera sarà la disponibilità di cibo, acqua, riparo, difesa, ecc.
E la disponibilità di acqua rischia di essere molto più limitante di quella di cibo. E’ vero che l’abbandono degli acquedotti riporterebbe acqua nei fiumi, ma in vastissime regioni del pianeta le sorgenti ed i pozzi superficiali sono stati prosciugati e non è affatto certo che l’acqua vi ritorni, o vi torni ad essere potabile, in tempi che abbiano un senso dal punto di vista umano.
2 – Cambiamento del clima. Rappresenta certamente una delle maggiori incognite sul nostro futuro. Accantonando l’idea utopica che i governi e le imprese limitino davvero le emissioni clima-alteranti, rimane la concreta possibilità che lo faccia la crisi economica globale. Ma potrebbe essere troppo tardi perché oramai abbiamo già attivato una serie di retroazioni che vanno dal collasso di grandi ghiacciai artici, alla riduzione dell’albedo alle alte latitudini, alla liberazione di metano dai fondali marini e dal permafrost, all’esalazione di anidride carbonica dalla biosfera e dai suoli. Magari non sarà sufficiente per portare alla “sindrome di Venere”, ma di sicuro sarà sufficiente a ridurre in maniera drastica sia la produzione agricola, sia l’acqua in molte regioni, sia la biodiversità ovunque.
3 – Eccessiva dipendenza dal commercio. Oramai quasi tutto quel che viene prodotto viene esportato ed importato, cibo compreso, ed è questa una delle strategia che ha permesso alla nostra specie di pullulare sul pianeta. Man mano che il commercio si ridurrà per la carenza quali-quantitativa di energia o per le crisi politiche e militari, la disponibilità di beni di prima necessità potrebbe diminuire in modo assolutamente drammatico più rapidamente di quanto non possa riorganizzarsi una produzione su scala più locale. Inoltre, gli impianti industriali hanno una limitata elasticità e sono costretti a produrre all'incirca sempre i medesimi quantitativi. Una contrazione del mercato potrebbe quindi portarne molti alla chiusura, provocando un brusco passaggio dall'eccesso alla carenza per molti beni di consumo.
4 – Nemici esterni potenti. Dopo la pausa degli anni ’90, tutti i principali paesi del mondo hanno ripreso ad incrementare i loro apparati militari, con l’unica eccezione dell’Europa. Difficilmente questi paesi sostengono un simile sforzo per nulla. Ciò non è sufficiente per pronosticare una prossima guerra mondiale o qualcosa del genere, ma di sicuro il rischio di conflitti importanti è molto elevato e gli europei si stanno attrezzando per perderla, chiunque la vincesse. Vi è anche la possibilità che una guerra nucleare di vasta portata cancelli le città e riduca a poca cosa il resto del pianeta, ma ritengo che sia molto meno probabile.
5 – Politica disfunzionale. Questo è il fattore chiave che rende impossibile reagire agli altri 4. Sui livelli di gravità e vastità cui siamo giunti in questo campo non credo che sia utile dilungarsi.
Dunque i “Big five” di Diamond possono, complessivamente, provocare una riduzione consistente della popolazione umana, perlomeno su vaste regioni. Ma l’analisi storica non è sufficiente in quanto, necessariamente, trascura alcuni elementi che, storicamente, non sono stati importanti. Ma lo sono adesso o potrebbero diventarlo in futuro.
6 – Collasso della biodiversità. Oggi siamo nel pieno di un’estinzione di massa che non ha precedenti storici (preistorici invece si). Non possiamo sapere fino a che punto procederà, ma già oggi sta alterando il funzionamento degli ecosistemi, ma soprattutto ne pregiudica le potenzialità di recupero anche dopo che la pressione umana fosse diminuita. La biodiversità è infatti l’insieme delle carte con cui la vita gioca la sua partita contro la morte. Togliere biodiversità ad un ecosistema è come togliere organi e tessuti ad un organismo; anche nel caso in cui questo sopravvive, rimane comunque menomato per sempre. Finché si perdono specie e generi, almeno teoricamente ci può essere un recupero, sia pure in tempi nell'ordine delle migliaia o dei milioni di anni. Viceversa, quando si estingue un taxon superiore (ordine, classe o phylum), è certo che niente di simile tornerà mai più ad esistere. Nei tempi lunghi, l’estinzione di massa ed il riscaldamento climatico rappresentano sicuramente i due pericoli maggiori per la nostra discendenza.
7 – Grave carenza di energia fossile. E’ vero che l’uomo è straordinariamente adattabile, ma è anche vero che nel corso degli ultimi 200 anni si è specializzato nello sfruttamento dei combustibili fossili, soprattutto del petrolio. Sostanzialmente, l’agricoltura moderna è un complicato sistema per trasformare petrolio e gas in cose più o meno gradevoli da mangiare. Ed ogni minimo dettaglio della nostra vita dipende da questi materiali che non sono affatto in procinto di esaurirsi, ma che già da qualche anno hanno cominciato a decadere per qualità e disponibilità. Le caratteristiche geologiche, chimiche e geografiche dei giacimenti rendono ineluttabile un graduale declino, mentre crisi economiche e/o militari possono provocare delle forti contrazioni dell’offerta, magari temporanee, ma repentine. Inoltre, praticamente tutti i giacimenti attualmente sfruttati o sfruttabili lo sono solo a condizione di disporre di finanziamenti e tecnologie che solo l’attuale economia globale è in grado di mettere a disposizione. Il disgregarsi del sistema globale in sistemi regionali porrebbe fuori portata molte delle riserve accertate.
In altre parole, i combustibili fossili ci hanno permesso una crescita incredibilmente superiore alla capacità di carico del pianeta, ma si è trattato di un fatto temporaneo.
8 – Pandemia. Nella storia ci sono state alcune pandemie fra cui la famigerata “peste nera”, ma raramente hanno portato all'estinzione di gruppi umani consistenti. Attualmente, il rischio di una pandemia globale è preso molto sul serio dalle autorità nazionali ed internazionali, ma non credo che sia molto probabile. Finché il sistema economico globale continuerà a funzionare, infatti, ci saranno probabilmente i mezzi per contrastarla, come è stato fatto finora. Quando il sistema globale sarà collassato, i mezzi sanitari disponibili diminuiranno molto, ma anche i traffici internazionali e, dunque, le probabilità di contagio. Piuttosto, l’incremento di molti tipi di inquinamento, il peggioramento del clima e dell’alimentazione, il ridimensionamento dei servizi di assistenza ai poveri ed agli ammalati provocheranno certamente una diminuzione dell’aspettativa di vita. Quali effetti, invece, tutto questo avrà sulla natalità è impossibile da prevedere. In ogni caso, si avranno situazioni molto diverse da zona a zona.
E dunque? La mia personale opinione è che l’ipotesi più probabile è un declino relativamente rapido, ma graduale della popolazione globale, ma solo localmente questo processo potrebbe raggiungere la soglia necessaria per avviare dei vortici d’estinzione. Tuttavia, nel corso dei 2-3 secoli a venire, gli affetti combinati del cambiamento climatico, del collasso della biodiversità e di alcune forme di inquinamento potrebbero anche ridurre la popolazione umana a gruppi abbastanza sparuti e distanti da poter avviare un processo di estinzione completa della nostra specie.
Si obbietterà che nel remoto passato la nostra specie è stata costituita da gruppi sparuti e pressoché isolati di persone per decine di migliaia di anni. E non solo non si è estinta, ben al contrario è cresciuta fino a dominare il mondo. Ciò è sicuramente vero, ma i nostri discendenti abiteranno un mondo infinitamente meno ospitale di quello in cui hanno vissuto i nostri antenati. Come ha scritto Bill McKibben, il dolce pianeta su cui la nostra specie si è evoluta non esiste più; ora viviamo su di un pianeta molto diverso, nettamente più caldo ed arido, povero di cibo e di acqua, squassato dalle tempeste e contaminato da veleni di ogni tipo. Possiamo farlo grazie ad una tecnologia ed a fonti energetiche che in gran parte ci abbandoneranno; cosa ci accadrà poi non è dato sapere.
brent a 114$. Ovviamente il prezzo dei carburanti rimane costante, perchè come dicono in America: The show must go on. Quindi lunga vita al BAU, a meno di guerre (Ucraina, Iraq?) o eventi naturali disastrosi, magari innescati dal nostro altruismo e dalla nostra immensa generosità, doti innate della nostra genia, specie se a pagare il conto sono altri o il nostro povero pianeta, che forse alla fine ci spazzerà via. Il che ce lo saremmo anche meritato.
RispondiEliminaDal punto di vista della TERRA, è meglio che noi esseri umani ci estinguiamo.
RispondiEliminaQuando eravamo pochi milioni sul pianeta, e rispettavamo le altre forme di vita, la nostra esistenza era plausibile.
Ma adesso ?
Se ci facciamo un esame di coscienza, non individuale, non a livello di popoli, bensì a livello di “specie”, dobbiamo ammettere che l'uso del fuoco, l'agricoltura, l'allevamento, l'estrazione di minerali, la tecnologia e gli esperimenti genetici non rispettano i fondamenti della VITA.
Non ci siamo solo noi esseri umani sulla terra, ci sono anche piante ed animali, e fiumi, e montagne, e mari, oceani, ed aria.
L'antropocentrismo è l' atteggiamento mentale che considera l'UOMO più importante rispetto alle altre forme viventi e non viventi.
L'antropocentrismo è il nocciolo della nostra pazzia come specie vivente.
Voto per il comportamento dell'essere umano sul pianeta (da uno a dieci) : quale, secondo voi ?
Gianni Tiziano
Io mi sento dire da tutte le parti che la vita umana è importantissima, addirittura sacra. Io rispondo che mi sta bene, che sono d'accordo, ma allora non dovrebbe essere a fortiori importantissimo o addirittura sacro tutto ciò che consente alla vita umana di esistere? Come può qualcosa essere più importante di ciò da cui questo qualcosa dipende?
EliminaMa di solito pensano che sia uno scherzo, ed è un bene, perché chi pensa che dica sul serio fa una faccia molto preoccupata.
Quante cagate....
RispondiEliminaLa stipsi è un disturbo molto fastidioso. Ben vengano i rimedi.
EliminaMi interessava conoscere le sue qualifiche : cosa significa....ha frequentato l' univerrsità di Firenze ?
EliminaGrazie.
"L'antropocentrismo è l' atteggiamento mentale che considera l'UOMO più importante rispetto alle altre forme viventi e non viventi.
RispondiEliminaL'antropocentrismo è il nocciolo della nostra pazzia come specie vivente. "
Quello che mi fa incavolare in queste affermazioni è la loro miopia.
AAMOF, quello che sta portando la specie umana sull'orlo del baratro è proprio la parte più "naturale" della sua struttura genetico-sociale: il rettile + primate che scalcia sotto la corteccia (cerebrale) con le sue mefitiche emozioni e i riflessi condizionati che si sono formati ai tempi della savana.
Per cortesia, smettiamola con queste fandonie "gaiesche" sulle altre forme di vita, che, in realtà sarebbero, al nostro livello della catena alimentare, ESATTAMENTE come noi.
Hai mai visto in batuffolo di gattino che "gioca" con una lucertolina prima di ucciderla? Lo sai cosa si dicono gli uccellini cinguettanti? Dicono "Fuori dalle scatole, questo è il mio territorio" e "Me-la-dai-o-no-me la-dai-sì-o-no?" QUESTA è la Natura: casuale, egoista ed indifferente!
L'unico elemento anti-entropico è l'intelligenza "superiore" dell'uomo, che si oppone ai suoi limiti più antichi, come specie e come singolo.
Ce la faremo? Non lo so: le inerzie da vincere sono tante. Compresa quella dei "paperini" (cfr A.C. Clarke, "Le fontane del Paradiso") che dicono che "non si può fare, perche non si è mai fatto prima...".
C'è del vero in quel che dici, ma secondo me dovresti osservare meglio perché i messaggi che si scambiano gli uccellini sono più complicati e, soprattutto, sono molto più complicati i flussi e le relazioni di cui gli uccellini e noi stessi probabilmente non siamo che temporanei fenomeni di turbolenza.
EliminaComunque è vero che noi siamo l'unica specie capace di apprezzare la sublime bellezza della Natura, come anche l'unica capace di distruggerla su così vasta scala. Siamo l'unica specie capace di capire con buona approssimazione come il mondo funziona, ma ciò nondimeno siamo anche capaci di infischiarcene di tutto quel che sappiamo per continuare a comportarci collettivamente in un modo non molto diverso da quello di una muffa.
Direi che sia chi sostiene la superiorità dell'uomo rispetto alle altre forme di vita, sia chi ne sostiene l'inferiorità ha dei buoni argomenti a suo favore.
Personalmente, penso che semplicemente siamo diversi in quanto siamo capaci di una maggiore complessità. Sui tempi brevi (brevi in scala geologica) è stato un grande vantaggio; ma come andrà a finire? Boh? Io penso che passeremo un bruttissimo momento (sempre in scala geologica), ma come specie ce la caveremo. Dopodiché ci riadatteremo ad un livello di complessità nettamente inferiore all'attuale non per una scelta cosciente, ma perché sarà il massimo che potremo fare.
Ma naturalmente è solo un'idea personale.
Non obbiettavo sui danni che la specie umana ha causato alla biosfera.
EliminaObbiettavo al "gaianesimo" semi-mistico con auto-flagellazione incorporata del commentatore.
La mia impressione è che qualsiasi specie di fosse trovata ad occupare la nostra nicchia ecologica, fossero dei rettili o dei felini invece che dei primati, avrebbe fatto le stesse cose, proprio perché queste sono le vere leggi della natura, a livello micro come a livello macro: la tendenza all'occupazione massima del territorio disponibile e allo sfruttamente massimo delle risorse disponibili.
Il paradosso è semmai che questa stessa "evoluzione" (non parlo di superiorità o inferiorità: l'evoluzione (salve che uno creda in principi divini et similia) è casuale e a-teleologica per definizione...) ci ha dotati di strumenti intellettuali e culturali che ci consentono di renderci conto dei problemi che stiamo causando, e questo è il vero elemento di "rottura" rispetto alle altre specie (per quel che ne sappiamo, ecc., OK, OK... ;-).
Se poi ci abbia dotato anche di strumenti abbastanza potenti per risolverli senza rinunciare al nostro "status" come specie (i.e. trovare una scappatoia al vicolo cieco in cui ci stiamo cacciando che non sia necessariamento una veloce decrescita infelice alla Soylent Green) lo vedremo tra (più o meno) poco.
Non sono particolarmente ottimista, ma non acccetto neppure la visione aprioristica del "tutto è perduto" e del crollo definitivo e inevitabile della civiltà tecnologica, e, soprattutto, le lagne sul tipo "è solo colpa nostra perché siamo brutti e cattivi, mentre il resto di Gaia è gentile e amichevole".
Vedremo...
Dal punto di vista razionale in biologia le specie che distruggono le loro risorse vitali poi subiscono un tracollo. Da questo punto di vista homo non fu e non sarà in alcun modo diverso come specie.
EliminaPoi c'è la questione che la scimmia nuda ha deciso di aggiungere quel Sapiens Sapiens al nome.
Già il pigliare una qualità del 2% della popolazione è estenderla a tutta la specie è un partire con il piede sbagliato.
Insomma, 'sta specie che si crede intelligente e superiore alle altre è dotata pure di strumenti culturali e intellettuali che la mettono in guardia rispetto alla proliferazione incontrollata.
Ciò nonostante la specie continua e cerca di peggiorare con continuazione alcuni pattern-effetti comportamentali.
Insomma, ci sono gli idioti, ma, peggio, ci sono gli idioti che si credono arrogantemente intelligenti e superiori a ciò da cui dipendono.
Homo più importante o meno del resto di Gaia?
Mah, diciamo che una volta che il predatore apicale si sarà estinto o si sarà bruscamente ridimensionato numericamente, il resto del pianeta e dell'universo continueranno del tutto imperterriti a proseguire senza la specie o con essa malconcia e ridotta al lumicino.
Inoltre, se c'è un fondamento razionale nelle religioni animiste, "gaianiste", politeistiche - posso pensare di rendere sacro ciò da cui dipende la mia sopravvivenza - direi che si può obiettare molto di più sullo stupidame monoteistico che ha creato un dio a immagine e somiglianza di una specie dalle connotazioni diciamo almeno ecocide, nichiliste.
Gaia non è gentile o amichevole, Anzi.
E' biologica. E Homo non può non dipendere dalla biologia, dalla temodinamica per quanto essi le disprezzi e le creda inferiori o inutili.
Detto così mi trova 100% d'accordo salvo un dettaglio che è però del tutto personale: non vedo incompatibilità di sorta fra scienza e mistica. Penso anzi che siano due modi complementari di studiare il mondo e dove appaiono delle incongruenze c'è quindi qualcosa di interessante da capire.
Elimina@UnUomoInCammino
Elimina"Mah, diciamo che una volta che il predatore apicale si sarà estinto o si sarà bruscamente ridimensionato numericamente, il resto del pianeta e dell'universo continueranno del tutto imperterriti a proseguire senza la specie o con essa malconcia e ridotta al lumicino."
Brrr: sei davvero un "traditore morale" della tua stessa specie! Robert A. Heinlein si starà rivoltando nella tomba!!! ;-D
Seriamente, il punto è esattamente questo: Gaia "se ne frega di noi" ("eticamente" parlando). Sta a noi (o al 2%, o quel che è, di noi...) trovare soluzioni ai problemi, da noi creati o no che siano.
Personalmente rispetto ogni forma di vita, ma sono stanco di dovermi sentire in colpa per le caratteristiche della mia specie, che non ho scelto io fosse com'é, e non sento di dover nulla ad un'entità fantomatica (o ad un Universo indifferente, se tralasciamo le antropomorfizzazioni spicciole...) che mi ha fatto così come sono, per capriccio o per caso.
Ci estingueremo o ci ridimensioneremo? Possibile. Probabile anche, se vuoi. Ma spero che avremo almeno la dignità di vendere cara la pelle (nel senso "neo-positivista" della locuzione), senza falsi pietismi e auto-flagellazioni gratuite, che ricordano tanto l'atteggiamento del figlio di genitori anaffettivi che si sente in colpa per come loro stessi l'hanno fatto diventare...
Ma ancora risulta così ostico da capire che l uomo ha una coscienza proprio perchè non ha istinti ed il fatto di non avere istinti gli concede il libero arbitrio? Il resto sono solo giustificazioni a cose abominevoli che si è volutamente scelto di fare. Non è in pericolo la Terra ma quest uomo o meglio una bestia senza istinti e manco più coscienza un uomo di merda che ha veramente rotto il cazzo. Buona estinzione e andate a fanculo
EliminaMa vedi te se non mi devo prendere la moto alla fine dei tempi perchè una generazione di merda ha fatto quel cazzo che ha voluto raccontando fregnacce su fregnacce a tutti. Ma minimo gli sgaso in faccia e poi li ammazzo
Elimina"ma i nostri discendenti abiteranno un mondo infinitamente meno ospitale di quello in cui hanno vissuto i nostri antenati. Come ha scritto Bill McKibben, il dolce pianeta su cui la nostra specie si è evoluta non esiste più"
RispondiEliminama che stai a ddì? Ma documentati!
Il "mondo ospitale" in cui hanno vissuto i nostri antenati era quello facilissimo ed allegrissimo del Late Glacial Maximum o dello Younger Dryas... andatevi a vedere che paradiso terrestre era il pianeta 20.000 anni fa al massimo glaciale: mezzo pianeta deserto, un quarto steppico! Come specie ce la siamo cavata in scioltezza! Non lo sapevate? Sapevatelo!
Potrei risponderti che hai torto citando esattamente le tue stesse parole. Fatti un idea della produttività primaria e della biodiversità disponibili in passato e poi se ne riparla.
EliminaIl degrado paesistico è osservabile in molteplici posti (rimaniamo a questo, trascuriamo quello ecologico, urbanistico, economico, etc.).
EliminaAnche per rimanere in ambito nazionale, l'aberrante cementificazione che ha ricoperto di una crosta di squallida edilizia dozzinale milioni di ettari riguarda la costipazione padana, quella della toscana settentrionale (FI-PO-PT), l'area genovese, l'area romana, la conurbazione CA-NA, l'orribile città litoranea del turismificio romagnolo, etc. .
Di cosa dovrebbe documentarsi, Jacopo Simonetta? Dell'ovvio che è sotto il naso di tutti, tranquillisti esclusi?
C'è però un'assuefazione così rapida al degrado, al brutto, all'artificiale che molte persone semplicemente non si accorgono più di essi.
Il fatto che un'area sia vuota di homo sarebbe quindi "brutta"?
Lo squallore NON è delle aree deserte naturali, ma delle aree costipate antropizzate.
Poi è chiaro che ci si abitua.
Ci si abitua a vivere anche in una cella in isolamento, cavandosela "in scioltezza".
Vuoi assumere che sia "progresso" e cosa positiva?
Se per quello molti citrulli negazionisti del problema della crescita demografica affermano che come fonti di proteine potremmo cibarci di insetti e lombrichi.
Si può affermare di tutto, eh!?
Poi li invitiamo a cena e forniamo loro una fritturina di lombrichi e vediamo un po' come saranno contenti.
Suggerisco di fare il seguente esercizio: procurarsi presso l'ufficio storico dell Istituto Geografico Militare alcune tavolette 1:25.000 nell'edizione del 1958 (la migliore a mio avviso). Ci sono segnate le sorgenti ed i pozzi perenni, Poi fare una serie di passeggiate andando a ricercare dette sorgenti e detti pozzi e segnarsi la percentuale di quelli che ci sono ancora.
EliminaPotremmo parlare di mille indicatori ecologici, psicologici, economici, sociali, estetici, che indicano abruttimento, regressioni, degrado, alienazione, depauperamento di massa.
EliminaSolo che è inutile dire al tossico quanto male gli faccia la roba di cui si fa.
Ci sono milioni di persone ormai sradicati dalla Terra, per dirla alla Wendel Berry, così inquinate dall'artificializzazione e dagli effetti del tumore antropico autoreferenziale che non si accorgono minimamente delle realtà oggettive, misurabile.
La percentuale di sorgenti e pozzi che ci sono ancora?!
Che problema c'è? Tranquilliiii, berremmo l'acqua in bottiglia!
Ihiih
Produttività primaria e biodiversità di che epoca? DI che dati disponi, di quelli dell'800 o del Pleocene? L'affermazione virgolettata è apodittica e fa riferimento ad un "bel tempo che fu - Lost Paradise" che non è altro che un'idea astratta utile all'autoflagellazione di cui si parla diffusamente quì.
EliminaPoi si parlava di sopravvivenza come specie, non certo di "standard of living" ottimali all'occidentale per l'individuo. Certo che la vita nelle caverne del periodo glaciale non era banale, più corta magari, ma come potete dire fosse meno piena di significato e felice?
Meglio l'analisi del Club di Roma. Questa contiene qualcosa di esilarante: "nemici potenti esterni". Ma poi non sarà la crescita demografica, unita alla progressiva tossicosi del pianeta, la ragione semplice per cui i rischi di estinzione dell'umanità sembrano aumentare parecchio?
RispondiEliminadopo 40 anni dalla sua pubblicazione, "limiti della crescita" rimane a mio avviso il miglior testo divulgativo sull'argomento. Non mi pare che in nessun passaggio della loro analisi si escluda la possibilità che eventi bellici rilevanti possano causare danni irreversibili ad una società.
EliminaCon buona pace dei 'Cornucopiani', ho ridotto e tradotto un post di Dale Lately, un giovane arrabbiato inglese, che esprime coerente lungimiranza:
RispondiEliminaSviluppo sostenibile? Quando la smetteremo di prenderci in giro?
L’unica vera sostenibiità è cessare di vivere!
“Con grande fortuna, al nostro matrimonio, un mezzo di trasporto ‘verde’ fu reso disponibile dal luogo del rinfresco, un attrezzatissimo agriturismo: un cavallo da tiro con relativo carro da fieno! ” Ecco la soddisfatta dichiarazione di una sposina tutta ‘verde’ in risposta all’articolo su ‘Matrimoni eco-sostenibili apparso sul The Guardian. “Dopo la festa, frantumammo i vuoti dello Champagne e li fondemmo nel forno per farne stoviglie”.
Cavalli da tiro? Bottiglie trasformate in piatti? Bah...
Da buon occidentale, non mi considero un accanito consumista. Giro in bicicletta, condivido l’abitazione e mangio come un uccellino. Penso che la mia impronta ecologica possa ridursi a quella del mio alluce. Pertanto, quando m’imbatto in sussiegosi snob che vantano d’essere verdi nelle loro lussuose cucine da 20 o trentamila euro, e che cucinano solo con ingredienti ‘ruspanti’...[”Scusate tanto, verde si, ma chic”!]
E così facile essere ‘sostenibili’ abitando in lussuose magioni immerse nel verde...con in più tempo e mezzi. Mezzi che ti consentono l’acquisto di alimenti dal produttore al consumatore e del fatto a mano; tanto da bearsi di vivere l’idillio di tempi andati.
Diverso è l’idillio quotidiano di coloro che sopravvivono in un condomionio di periferia.
Le prediche dei politici ecologicamente sensibili sono tanto accorate quanto ipocrite e contradditorie . Ossia: “ Bisogna ridurre i consumi - dicono - ma mantenere l’occupazione ”. “Bisogna perseguire uno sviluppo sostenibile”! Espressione che è un ossimoro per antonomasia.
Non importa se ciò che predicano è antitetico. Il segreto del successo nell’imbonire il popolo non è essere ‘verdi’ ma ‘apparire verdi’. Lo stesso comportamento vale per le multinazionali, ingorde di risorse, distruttive del paesaggio ed inquinanti. Per esse l’importante sta nel mostrarsi ‘verdi’ nell’immagine pubblicitaria...Il loro motto è: “Biodegradabile, Sostenibile, Riciclabile”!
A chi opina sul loro negativo impatto ecologico, esse rispondono in coro: “Ma non vedete quant’è verde la nostra pubblicità?” “Panorami lussurreggianti, gente sana e raggiante” . “La nostra immagine è verdissima!”. Forse ci considerano tutti quanti imbecilli e di facile persuasione... Invece di patire l’insulto traiamone ammonimento.
Mi taccerete d’eccedere in ironia e sarcasmo...Ma nel frattempo, non vi sarà di sicuro balenata l’ipotesi di passare all’acqua fredda, o di rinunciare all’auto o al Wi-Fi o all’areo; o al telefono o al frigorifero, e a tutti gli altri gadgets ai quali trovereste impossibile rinunciare.
RispondiEliminaL’idea che si possa continuare a godere di tutto ciò senza infliggere sofferenza agli schiavi che estraggono i minerali nè procurare danno all’ambiente, è come pretendere di dimagrire continuando ad ingozzarsi. Anche se inaccettabile dall’etica, della quale siamo fieri inventori, a conti fatti, l’unico vero modo sostenibile è smettere di vivere!
Però possiamo rallegrarci un poco comperando biologico, magari sapone e detersivi biodegradabili e pollo ruspante, sopratutto ficcando il malloppo in una borsa di tela, giusto per salvare almeno un delfino!
In aggiunta concediamoci un pò d’imbonimento ‘verde’. Il suadente film di Al Gore, per esempio. Magari sull’Ipad appena comprato, costruito da schiavi sottopagati che utilizzano metalli rari estratti da miniere di Paesi africani in continuo conflitto armato. Oppure quegli spettacolari documentari della BBC, i quali non fanno che stigmatizzare proprio l’uso dei nostri apparecchi supertecnologici e del danno che quest’ultimi arrecano.
L’imbonimento ‘verde’ è così rassicurante, direi addirittura terapeutico...
Il Pianeta è fottuto, ma rallegriamoci, tra non molto potremo goderci un’inevitabile cerimonia di chiusura!
Il problema saranno le centrali nucleari lasciate senza manutenzione...
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