Da “The Guardian”. Traduzione di MR
Di Nafeez Ahmed
Il cane da guardia dell'energia globale conferma che “la festa è finita” - riduce le proiezioni della produzione statunitense e richiede un investimento urgente
Odio dire ve lo avevo detto, ma...
Nel 2012, la IEA prevede che gli Stati Uniti avrebbero superato l'Arabia Saudita nella produzione di petrolio grazie al boom dello shale nel 2020, diventando degli esportatori netti nel 2030. La previsione è stata vista da molti come la prova decisiva del rinnovamento dell'era del petrolio, mentre i detrattori informati venivano nel migliore dei casi ignorati, nel peggiore ridicolizzati.
Fra i miei molti rapporti che esponevano gli errori geologici ed economici dietro alla narrativa del boom dello scisto ci sono questo, questo, questo e questo. Anche qui al Guardian, un titolo ha dichiarato che il rapporto della IEA mostra dimostrava che “l'idea del picco del petrolio era andata in fumo”. Ma l'ultima valutazione della IEA ha provato che i detrattori avevano ragione su tutto. La Panoramica sull'Investimento Energetico Mondiale dell'Agenzia pubblicato questa settimana dice che la produzione di tight oil statunitense – che attinge in gran parte da Bakken, nel Nord Dakota e ad Eagle Ford in Texas – raggiungerà il picco intorno al 2020 prima di declinare.
La nuova analisi mette fine al mito dei '100 anni di fornitura' ampiamente diffuso dall'industria e si avvicina alla valutazione più scettica di un picco del tight oil statunitense entro questo decennio. Il rapporto della IEA dice:
“... la produzione da parte del Nord America raggiunge un plateau [circa dal 2020] e poi diminuisce da meta degli anni 20 del 2000 in poi”.
L'ammanco renderà gli Stati Uniti, e i paesi dell'Europa che pensano di importare dall'America, sempre più dipendenti dalle forniture dal Medio oriente:
“Tuttavia c'è un rischio che l'investimento in Medio oriente non riesca a salire in tempo da evitare un ammanco di fornitura, a causa di un clima di investimento incerto in alcuni paesi e della priorità data spesso a spese in altre aree”.
La IEA ha evidenziato che sulla scia della Primavera araba, gli stati petroliferi del Medio Oriente stanno sentendo la pressione di deviare massicci sussidi petroliferi che mantengono la produzione in più spese sociali per alleggerire l'instabilità. Se non lo fanno potrebbero essere rovesciati. Questi paesi versano 800 miliardi di dollari in introiti del petrolio in sussidi energetici – e se non riescono a coprire l'ammanco previsto a causa della caduto post picco della produzione statunitense, per il 2025 il costo medio di un barile di petrolio potrebbe salire di 15 dollari. Lo scorso marzo, quando ho affrontato il pericolo di uno shock petrolifero imminente, mi è stato detto confidenzialmente da un portavoce del Dipartimento dell'Energia e del Cambiamento Climatico del Regno Unito che non c'era rischio che si spegnessero le luci – la politica del regno Unito aveva sistemato tutto. Ora il capo economista della IEA, Fatih Birol dice:
“In Europa stiamo affrontando il rischio che si spengano le luci. Non è uno scherzo”.
Ci servono 48 trilioni di dollari di nuovo investimento per mantenere le luci accese – e non è per niente chiaro se investire in petrolio e gas non convenzionali sempre più costosi risolverà qualcosa senza impatti seri sull'economia globale. Attualmente, di già, il rapporto della IEA rivela che oltre l'80% dell'investimento delle compagnie petrolifere sta andando per compensare i giacimenti esauriti in cui la produzione è in declino. L'agenzia fa anche un appello ad aumentare gli investimenti in rinnovabili e per aumentare l'efficienza, insieme ad un riforma dei regolamenti per incentivare gli investimenti, come parte del pacchetto.
Mentre l'impero dei combustibili fossili si sta frantumando, il settore dell'energia rinnovabile ha ricevuto il 60% dell'investimento totale in impianti dal 200 al 2012. Coloro che continuano ad investire in combustibili fossili per risolvere i nostri guai energetici ed economici dovrebbero prendere nota: non sono la risposta. Il tempo di uscirne è stato ieri.
Di Nafeez Ahmed
Il cane da guardia dell'energia globale conferma che “la festa è finita” - riduce le proiezioni della produzione statunitense e richiede un investimento urgente
I funzionari del Regno Unito hanno dichiarato che la Gran Bretagna ha bisogno di frackin perchè l'industria 'prosperi' e 'l'economia cresca'. Sempre più dati contestano queste dichiarazioni. Foto: Brennan Linsley/AP
Odio dire ve lo avevo detto, ma...
Nel 2012, la IEA prevede che gli Stati Uniti avrebbero superato l'Arabia Saudita nella produzione di petrolio grazie al boom dello shale nel 2020, diventando degli esportatori netti nel 2030. La previsione è stata vista da molti come la prova decisiva del rinnovamento dell'era del petrolio, mentre i detrattori informati venivano nel migliore dei casi ignorati, nel peggiore ridicolizzati.
Fra i miei molti rapporti che esponevano gli errori geologici ed economici dietro alla narrativa del boom dello scisto ci sono questo, questo, questo e questo. Anche qui al Guardian, un titolo ha dichiarato che il rapporto della IEA mostra dimostrava che “l'idea del picco del petrolio era andata in fumo”. Ma l'ultima valutazione della IEA ha provato che i detrattori avevano ragione su tutto. La Panoramica sull'Investimento Energetico Mondiale dell'Agenzia pubblicato questa settimana dice che la produzione di tight oil statunitense – che attinge in gran parte da Bakken, nel Nord Dakota e ad Eagle Ford in Texas – raggiungerà il picco intorno al 2020 prima di declinare.
La nuova analisi mette fine al mito dei '100 anni di fornitura' ampiamente diffuso dall'industria e si avvicina alla valutazione più scettica di un picco del tight oil statunitense entro questo decennio. Il rapporto della IEA dice:
“... la produzione da parte del Nord America raggiunge un plateau [circa dal 2020] e poi diminuisce da meta degli anni 20 del 2000 in poi”.
L'ammanco renderà gli Stati Uniti, e i paesi dell'Europa che pensano di importare dall'America, sempre più dipendenti dalle forniture dal Medio oriente:
“Tuttavia c'è un rischio che l'investimento in Medio oriente non riesca a salire in tempo da evitare un ammanco di fornitura, a causa di un clima di investimento incerto in alcuni paesi e della priorità data spesso a spese in altre aree”.
La IEA ha evidenziato che sulla scia della Primavera araba, gli stati petroliferi del Medio Oriente stanno sentendo la pressione di deviare massicci sussidi petroliferi che mantengono la produzione in più spese sociali per alleggerire l'instabilità. Se non lo fanno potrebbero essere rovesciati. Questi paesi versano 800 miliardi di dollari in introiti del petrolio in sussidi energetici – e se non riescono a coprire l'ammanco previsto a causa della caduto post picco della produzione statunitense, per il 2025 il costo medio di un barile di petrolio potrebbe salire di 15 dollari. Lo scorso marzo, quando ho affrontato il pericolo di uno shock petrolifero imminente, mi è stato detto confidenzialmente da un portavoce del Dipartimento dell'Energia e del Cambiamento Climatico del Regno Unito che non c'era rischio che si spegnessero le luci – la politica del regno Unito aveva sistemato tutto. Ora il capo economista della IEA, Fatih Birol dice:
“In Europa stiamo affrontando il rischio che si spengano le luci. Non è uno scherzo”.
Ci servono 48 trilioni di dollari di nuovo investimento per mantenere le luci accese – e non è per niente chiaro se investire in petrolio e gas non convenzionali sempre più costosi risolverà qualcosa senza impatti seri sull'economia globale. Attualmente, di già, il rapporto della IEA rivela che oltre l'80% dell'investimento delle compagnie petrolifere sta andando per compensare i giacimenti esauriti in cui la produzione è in declino. L'agenzia fa anche un appello ad aumentare gli investimenti in rinnovabili e per aumentare l'efficienza, insieme ad un riforma dei regolamenti per incentivare gli investimenti, come parte del pacchetto.
Mentre l'impero dei combustibili fossili si sta frantumando, il settore dell'energia rinnovabile ha ricevuto il 60% dell'investimento totale in impianti dal 200 al 2012. Coloro che continuano ad investire in combustibili fossili per risolvere i nostri guai energetici ed economici dovrebbero prendere nota: non sono la risposta. Il tempo di uscirne è stato ieri.