sabato 16 giugno 2018

La Seconda Legge della Termodinamica – la voragine in mezzo all’economia circolare


Di Paul Mobbs, pubblicato originariamente sul sito Free Range Activisim
 Da “Resilience”. Traduzione di MR


Perché l’ultimo tormentone della sostenibilità consumistica non solo non affronta il cuore del problema, ma è destinato a fallire.


Nota di Ugo Bardi - L'autore di questo testo, Paul Mobbs, fa alcune considerazioni corrette ma, nel complesso, non ha capito gran che proprio dell'argomento principale di cui parla. Purtroppo, vale una legge generale in questo campo "quelli che non capiscono la termodinamica sono condannati a produrre entropia inutilmente." Tuttavia, vale la pena di leggerlo perché è vero che molti di quelli che parlano a sproposito di economia circolare hanno capito ancora meno di lui. 
 

Questa mattina, ascoltando Radio 4, ho ascoltato le due parole chiave giustapposte che ho imparato a temere negli ultimi due anni; “economia circolare”. E’ un’idea fantastica e non posso criticare la vera convinzione di chi la promuove. Il mio problema è che il modo in cui descrivono ha poco a che fare con la realtà fisica del mondo, pertanto si tratta semplicemente di un jolly per “uscire gratuitamente dall’inferno” per consumatori ricchi – che sono, a quanto sembra, coloro che sostengono più a gran voce questa idea.

Come succede spesso nelle eco-storie atte a farti sentire bene, l’intervistatore del programma di oggi [1] era tutto leggero ed arioso; e ovviamente in imbarazzo perché non aveva la sicurezza di sé per porre una qualsiasi domanda fondamentale e scomoda all’intervistato.

Il segmento stava esaminando la nuova ricerca [2] dell’Università di Portsmouth. Hanno scoperto un enzima mutante da batteri che hanno scoperto vivere fra la plastica nei centri di riciclaggio. Come tutti gli enzimi [3] – come le cose che vengono aggiunte al detersivo di modo che possiate pulie i vestiti senza bollirli – queste molecole complesse accelerano le reazioni chimiche agendo sui legami chimici che tengono insieme le cose. In questo caso, l’enzima spezza i legami della molecole di polietilene teraftalato [4] (PET).

Idea splendida. E, se si dimostra essere ecologicamente sicura, eccellente chimica. Non è questo il problema qui.


Entriamo nella “economia circolare”
Lo scienziato quindi descrive il valore di questo enzima come parte dell‘economia circolare’ [5] – un concetto proposto negli anni 80, e reso popolare in anni recenti da organizzazioni come la Ellen MacArthur Foundation [6], per passare da un processo economico lineare ad uno circolare:

  • Economia ‘lineare’‘ – significa che i materiali vengono creati, usati e smaltiti come rifiuti, richiedendo che vengano impiegate nuove risorse per sostituirli, che è il modo in cui funziona il cuore dell’economia oggi; 
  • Economia ‘circolare‘ – significa che tutti i materiali ed i prodotti vengono fatti e venduti di modo che il loro contenuto possa essere completamente riciclato ed usato in nuovi prodotti di nuovo, ovviando alla necessità di produrre nuove risorse per sostituirli.

E’ una buona idea. Un’idea che sosterrei con tutto il cuore, se non fosse per un piccolo intoppo tecnico che percepisco in questo concetto; le Leggi della termodinamica [7] – e in particolare la mia preferita, la Seconda Legge della Termodinamica [8].

Le Leggi della Termodinamica sono nate in parallelo con l’industrializzazione, essendo state inizialmente usate per descrivere il funzionamento dei motori a vapore. Col tempo, la scienza ha perfezionato i principi di queste ‘leggi’ ed ora le ritiene universali.

La Seconda Legge ha a che fare con le reazioni irreversibili – cioè, operazioni che una volta intraprese non possono essere annullate.

Ciò che l’idea di ‘economia circolare’ proporrebbe in relazione alle bottiglia di plastica in PET è: prendi un po’ di gas naturale (sì, al contrario dell’idea che la plastica provenga dal petrolio, gran parte delle plastiche provengono da sottoprodotti leggeri della raffinazione del petrolio, ma più che altro gas naturale e condensato) e trasformalo in plastica PET; poi facci una bottiglia di plastica con una macchina modellatrice; usa la bottiglia; poi ricicla la bottiglia e continua a riciclarla dopo ogni uso – ovviando alla necessità di usare altro gas naturale per creare plastica. Di conseguenza, l’uso della bottiglia diviene ‘circolare’.

Perfetto, non è così?


Le restrizioni termodinamiche alla speranza umana

Naturalmente, c’è sempre un enorme “ma” in situazioni come questa.

In questo caso, l’uso della plastica rappresenta una reazione ‘reversibile’ – puoi fare plastica e poi riciclarla per fare altra plastica. Risolto!

L’energia spesa per farlo, tuttavia, non è un processo irreversibile [9]. Non può essere recuperata. La Seconda Legge impone che l’energia può essere usata, ma nel processo la ‘qualità’ (leggi ‘utilità’, o ‘densità’, o ‘valore’) di quell’energia viene degradata e, una volta degradata, quella ‘qualità’ non può essere recuperata senza usare anche più energia di quella che è stata spesa quando è stata usata l’energia per la prima volta.

Per esempio, l’acqua che scorre a valle può far girare una turbina e produrre elettricità; ma ci vuole più elettricità di quella che è stata generata per riportare di nuovo lo stesso volume di acqua indietro verso la cima della collina.

Ora, a questo punto i fautori dell’economia circolare parleranno di energia rinnovabile, evitando quindi il problema delle risorse finite che vengono usate per alimentare il processo. E’ vero, fino a un certo punto. E quel punto è, i sistemi di energia rinnovabile di cosa sono fatti? Risorse finite.


I limiti dell’energia rinnovabile

Solo perché l’energia rinnovabile è ‘rinnovabile’ non significa che le macchine che ci servono per raccoglierla siano esenti dai limiti finiti delle risorse terrestri [10].

Ci sono grandi progetti per alimentare il mondo usando energia rinnovabile. La difficoltà è che nessuno si è scomodato a verificare per vedere se le risorse per produrre quell’energia siano disponibili. Una ricerca recente suggerisce che le risorse necessarie per produrre quel livello di capacità attualmente non possono essere fornite [11].

Il punto di crisi è che mentre potrebbero esserci indio, gallio, neodimio ed altri metalli rari a sufficienza per costruire turbine eoliche o pannelli FV per il mezzo miliardo (più o meno) di consumatori ricchi ( che sono le persone che con più probabilità staranno leggendo questo articolo), non ce ne sono a sufficienza per dare a tutti lo stesso livello di consumo energetico – le avremmo finite molto prima.

Per esempio, il primo metallo che gli esseri umani hanno fuso [12] circa 9.000 anni fa, è stato il rame. Da allora il rame è stato un eccellente indicatore dello sviluppo umano, col consumo che aumenta in linea con lo sviluppo umano. Un motivo di questo è che man mano che l’uso industriale è crollato (per esempio sostituendo tubi di rame con la plastica) abbiamo usato più rame per nuove tecnologie (per esempio l’elettronica – circa il 14% [13] del peso di un telefono cellulare è rame).

Il rame ha anche uno dei migliori e più collaudati sistemi di riciclaggio, ma nonostante questo è stato stimato che solo metà di tutto il rame viene riusato [14].

Il problema è che, a causa del suo lungo ed intensivo uso globale, ci stiamo avvicinando al ‘picco del rame’ [15] – il punto in cui la quantità di rame rimasta nel sottosuolo e, cosa più importante, il crollo della qualità del suo minerale, riduce la quantità che può essere prodotta annualmente. E, cosa ancora più significativa, l’impatto ecologico [16] del crollo della qualità del minerale di rame è che l’energia consumata e i gas serra emessi dalla sua produzione aumentano esponenzialmente.

Ora naturalmente usiamo il rame in modo più efficiente. E dovessimo esserne a corto, l’aumento dei prezzi aumenteranno i tassi di riciclo – anche se questo aumenterà anche i furti [17] di rame nella società. La difficoltà è che, appena la settimana scorsa [18], l’industria del rame ha annunciato di essere preoccupata per la produzione dopo il 2020.

La strategia è importante, ma il cambiamento ‘reale’ è cruciale


OK, torniamo all’economia ‘circolare’.

Ciò che realmente importa qui non è tanto il materiale usato nella produzione, ma la densità energetica della produzione. La densità energetica non è solo una questione di quanta energia serve per produrre un articolo, ma quanto dura quell’articolo. Questo a sua volta condiziona il ‘ritorno’ dell’energia investita nella sua produzione – o EROEI [19].

Diciamo che una bottiglia di plastica impiega se settimane per essere fatta, riempita, comprata, consumata, raccolta e riprocessata fino ad essere rifatta. E’ buono, perché riciclare la plastica può rappresentare un risparmio di più del 50% [20] sull’energia usata per produrla in confronto ai materiali vergini.

Ciò che determina la sostenibilità a lungo termine di questo però non è solo il risparmio una tantum, ma la percentuale che può essere fattibilmente risanata e riusata.

Ipotizziamo che, nel migliore dei casi, possiamo recuperare il 60% del contenuto della bottiglia sul ciclo di sei settimane. Dopo un ciclo, sei settimane, ci rimane il 60% del materiale. Dopo due cicli, 12 settimane, ci rimane il 60% x 60% = 36%. Dopo tre cicli c’è il 60% x 36% = 22%. Dopo quattro cicli il 13%, eccetera.

Alla fine di un anno (o 8 o 9 cicli), ci rimarrebbe solo l1% della plastica.

La reazione ovvia è, “be’, ricicliamo di più”. Il problema è che raggiungere un tasso di recupero alto richiede in realtà la spesa di più energia, riducendo l’energia risparmiata – e man mano che ci si avvicina al 100%, la quantità richiesta è probabile che superi l’energia necessaria per produrre nuova plastica da materie prime.

Per esempio, riciclare in aree urbane densamente popolate è facile, perché la gestione dei rifiuti è una parte essenziale della capacità di gestire un’area urbana. Ma nelle aree rurali e nei paesi meno densamente popolati? A che punto l’energia spesa per far andare un veicolo di raccolta supera l’energia risparmiata col recupero dei materiali? (risposta – dipende completamente dalle circostanze locali, quindi deve essere valutata come parte del processo di pianificazione, piuttosto che generalizzata in anticipo).

“E’ il consumo, stupido!”

E’ la stessa cosa per il problema del crollo del minerale di rame. Più la tua fonte è diffusa, più energia devi spendere per recuperarla. Ottenere la plastica facile, diciamo la prima metà, sarà facile. Ottenere il successivo 20% potrebbe costare lo stesso sforzo. Il 10% successivo il doppio. A l’ultimo 20%. Potrebbe non produrre alcun risparmio.

Alternativamente, potremmo estendere la vita della bottiglia – riempiendola anziché riciclandola. Ciò avrebbe un effetto significativo, ma anche così, ad ogni ciclo di riempimento, un certo numero di bottiglie verrebbero scartate.

Però non ignorate questa opzione. Si può dire che, al posto di aumentare i tassi di riciclo, estendere la vita di servizio delle risorse probabilmente ha il profilo energetico migliore – visto che riduce non solo la necessità di rifabbricare le risorse, ma anche la necessità di riciclarle/sostituirle. Il problema è che spesso il riuso richiede un cambiamento di gran lunga più grande e la cooperazione dei consumatori – esattamente la cosa che una economia ‘liberale’ odia fare perché comporta l’imposizione di azioni al consumatore.


Dimenticate la linea di Bill Clinton sulla ‘economia’; "E’ il consumo, stupido!"
Cosa ancora più importante, in tutto questo processo, viene spesa energia [21]; e l’energia è la cosa che non possiamo recuperare. Pertanto, dobbiamo evitare di rifabbricare o recuperare, per prima cosa. La difficoltà è che nessuno vuole sostenere questo – combinando riuso multiplo, riciclo intensivo E tempo di servizio più lungo – in quanto questo significa l’eliminazione effettiva di consumismo, moda, ‘innovazione’ e molte delle altre caratteristiche totemiche [22] della moderna economia consumistica materialista.

Quindi, ancora una volta, dato che una grande quantità della ricchezza mondiale deriva dallo sfruttamento delle risorse, qualsiasi cambiamento di questo schema è probabile che abbia implicazioni enormi per l’economia quotidiana [23] sulla quale si basano la maggior parte dei ricchi consumatori per consumare.


La ‘economia circolare’ deve accettare la realtà termodinamica

Arthur Eddington [24] era uno scienziato (e quacchero) che ha fatto progredire la fisica e l’astrofisica nei primi decenni del XX secolo, ed ha reso popolari le teorie di Albert Einstein – contro il pregiudizio anti tedesco ed anti ebraico dell’establishment scientifico.

In relazione alla Seconda Legge della Termodinamica, Eddington ha prodotto una famosa affermazione:

Se qualcuno ti fa notare che la tua teoria preferita dell’universo è in disaccordo con le equazioni di Maxwell – allora tanto peggio per le equazioni di Maxwell. Se si scopre che sono contraddette dalle osservazioni – be’, questi sperimentatori pasticciano un po’ con le cose a volte. Ma se si scopre che la tua teoria è contro la seconda Legge della Termodinamica, non posso darti alcuna speranza; per lei non rimane altro che crollare nella più profonda umiliazione.

La ‘economia circolare’ è, secondo me, uno stratagemma per far percepire ai consumatori ricchi che possono continuare a consumare senza la necessità di cambiare le loro abitudini. Non c’è niente di più lontano [25] dalla realtà e la ragione principale di questo è la necessità di energia per alimentare l’attività economica [26].

Mentre il concetto di ‘economia circolare’ ha certamente le idee giuste, essa si sottrae agli aspetti più importanti della nostra crisi ecologica di oggi [27] – è il consumo il problema, non il semplice uso di risorse. Anche se il principio potrebbe essere fatto funzionare per una percentuale relativamente piccola [28] della popolazione umana, non potrebbe mai essere una soluzione mainstream per tutto il mondo a causa della sua dipendenza da tecnologie di energia rinnovabile per farla funzionare – e delle schiaccianti limitazioni nel raccogliere energia rinnovabile.

Per riconciliare l’economia circolare con la Seconda legge dobbiamo applicare non solo cambiamenti al modo in cui usiamo i materiali, ma al modo in cui li consumiamo. Inoltre, ciò implica una tale riduzione dell’uso di risorse [29] da parte dei consumatori più ricchi e sviluppati, che l’immagine dell’economia circolare proposta dai suoi fautori, non corrisponde alla realtà [30] di farla funzionare per la maggioranza della popolazione mondiale.

In assenza di una proposta che soddisfi le limitazioni globali all’energia ed alle risorse [30] sul sistema umano, compresi i limiti alla produzione di energia rinnovabile, l’attuale rappresentazione della ‘economia circolare’ non è un’opzione praticabile. Praticamente quindi, non è altro che un balsamo per la coscienza dei consumatori ricchi che, nel profondo, sono abbastanza consapevoli da rendersi conto che la loro vita di lussi presto sarà finita, man mano che le crisi collegate ecologica ed economica [31] morderanno sempre più in alto nella scala del reddito.


Riferimenti:
  1. BBC Radio 4: ‘Today’, 17 april 2018 – https://www.bbc.co.uk/programmes/b006qj9z
  2. Guardian Online: ‘Scientists accidentally creat https://www.bbc.co.uk/programmes/b006qj9z e mutant enzyme that eats plastic bottles’, 16th April 2018 – https://www.theguardian.com/environment/2018/apr/16/scientists-accidentally-create-mutant-enzyme-that-eats-plastic-bottles
  3. Wikipedia: ‘Enzima’ - https://it.wikipedia.org/wiki/Enzima
  4. Wikipedia: ‘Polietilene teraftalato – https://it.wikipedia.org/wiki/Polietilene_tereftalato
  5. Wikipedia: ‘Circular economy’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Economia_circolare
  6. Wikipedia: ‘Ellen MacArthur Foundation’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Ellen_MacArthur_Foundation
  7. Wikipedia: ‘Laws of thermodynamics’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Laws_of_thermodynamics
  8. Wikipedia: ‘Second law of thermodynamics’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Secondo_principio_della_termodinamica
  9. Wikipedia: ‘Processo irreversibile’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Irreversible_process
  10. BioScience: ‘Limiti energetici alla crescita economica’, vol.61 no.1, gennaio 2011 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/brown2011.shtml
  11. EU Joint Research Committee: ‘Metalli cruciali nelle tecnologie energetiche strategiche – valutare i metalli rari man mano che la filiera di fornitura si restringe nelle tecnologie energetiche a basso tenore di carbonio’, 2011– http://www.oakdenehollins.com/pdf/CriticalMetalsinSET.pdf
  12. Wikipedia: ‘Età del rame’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Et%C3%A0_del_rame
  13. U.S. Geological Survey: ‘Cellulari riciclati – uno scrigno di metalli preziosi, luglio 2006 – https://pubs.usgs.gov/fs/2006/3097/fs2006-3097.pdf
  14. Environmental Science and Technology: ‘Analisi dinamica dei flussi globali di rame, Glöser et al., vol.47 no.12 pp.6564-6572, maggio 2013 – https://pubs.acs.org/doi/full/10.1021/es400069b
  15. Wikipedia: ‘Picco del rame’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Peak_copper
  16. Resource Policy: ‘La sostenibilità ambientale delle miniere in Australia: macrotendenza chiave e limiti incombenti’, Gavin M. Mudd, vol.35 no.2 pp.98-115, giugno 2010 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/mudd2010.shtml
  17. Wikipedia: ‘Furti di metalli’ – https://en.wikipedia.org/wiki/Metal_theft
  18. Mining: ‘Crisi della fornitura di rame prima del previsto – esperti’ 10 aprile 2018 – http://www.mining.com/copper-supply-crunch-earlier-predicted-experts/
  19. Wikipedia: ‘Energy returned on energy invested’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Ritorno_energetico_sull%27investimento_energetico
  20. Ecological Modelling: ‘Analisi delle impronte energetiche associate al riciclo di vetro e plastica – casi studio per l’ecologia industriale’, vol.174 no.1-2 pp.175-189, maggio 2004 – https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0304380004000067
  21. Sustainability: ‘Energia, crescita economica e sostenibilità ambientale: cinque proposte’, vol.2 pp.1784-1809, 18 giugno 2010 – http://www.mdpi.com/2071-1050/2/6/1784/pdf
  22. Nature: ‘Tempo di lasciarsi indietro il PIL’, vol.505 pp.283-285, 16 gennaio 2014 – http://www.nature.com/polopoly_fs/1.14499!/menu/main/topColumns/topLeftColumn/pdf/505283a.pdf
  23. International Journal of Transdisciplinary Research: ‘La necessità di nuovo paradigma basato sulla biofisica in economia per la seconda metà dell’era del petrolio’, vol.1 no.1 pp.4-22, 2006 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/hallklitgaard2006.shtml
  24. Wikipedia: ‘Arthur Eddington’ – https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Eddington
  25. Journal of Cleaner Production: ‘Perché siamo drogati di crescita? La strada difficle verso la decrescita nel percorso involutivo dello sviluppo occidentale’, vol.18 no.6 pp.590-595, aprile 2010 – https://degrowth.org/wp-content/uploads/2011/05/Van-Griethuysen-why-are-we-growth-addicted.pdf
  26. The Australian National University : ‘Il ruolo dell’energia nella crescita economica’, Centre for Climate Economics & Policy, ottobre 2010 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/stern2010.shtml
  27. PNAS: ‘Tracciare il superamento ecologico dell’economia umana’, vol.99 no.14 pp.9266-9271, 9 luglio 2002 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/wackernagel2002.shtml
  28. The Corner House: ‘Sicurezza energetica: per chi? Per cosa?’, febbraio 2012 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/cornerhouse2012.shtml
  29. Paul Mobbs/MEI: ‘L’energia al di là del petrolio – potreste tagliare il vostro uso di energia del 60%?’, giugno 2005 – http://www.fraw.org.uk/mei/energy_beyond_oil_book.shtml
  30. Ecological Economics: ‘Decrescita e fornitura di denaro in un mondo con scarsità di energia’, vol.84 pp.187-193, 28 marzo 2011 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/douthwaite2011.shtml
  31. Proceedings of the Royal Society B: ‘Un collasso della civiltà globale può essere evitato?’, vol.280 no.1754, 7 marzo 2013 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/ehrlich2013.shtml
  32. Melbourne Sustainable Society Institute: ‘Il collasso globale è imminente?: Un confronto aggiornato dei Limiti della Crescita coi dati storici’, Research Paper No.4, agosto 2014 – http://www.fraw.org.uk/library/pages/turner2014.shtml

venerdì 15 giugno 2018

La propaganda che uccide: il caso Mata Hari

Traduzione di un mio post su "Cassandra's Legacy" - da "Ossin"


Un secolo dopo la sua morte, Mata Hari resta la figura esemplare di spia femminile, un caso estremo di «femme fatale». La si considera come una persona che, non solo seduceva gli uomini per desiderio di danaro e potere, ma anche perseguendo una sorta di desiderio lussurioso di vederli uccidersi a migliaia sui campi di battaglia. Ma non è mai stata quello che si dice di lei. Piuttosto è stata una delle prime vittime di ciò che noi oggi chiamiamo le «Fake News», conosciuto anche col nome di «propaganda», un insieme di tecniche di manipolazione di massa, che cominciavano allora a svilupparsi e che oggi hanno raggiunto la perfezione

Poco più di cento anni fa, il 24 luglio 1917, Margaretha Gertruida Zelle, conosciuta col nome di  Mata Hari, veniva condannata a morte da un tribunale militare a Parigi con l'accusa di essere una spia dei Tedeschi. Si disse che aveva trasmesso informazioni che avevano provocato la morte di «forse cinquantamila soldati francesi». Venne fucilata qualche mese dopo.

Oggi, rileggendo gli atti processuali, emerge con evidenza l'assurdità e l'incoerenza delle accuse. Se si vuole l'esempio di una corte di giustizia composta da marsupiali ("kangaroo court" in inglese), è proprio questo il caso. E' impossibile che Mata Hari abbia potuto fare quello che era accusata di aver fatto. E' stata piuttosto un capro espiatorio ucciso per distrarre il pubblico in un momento in cui la guerra andava male per la Francia. Detto in una parola: si trattava di una montatura. Uno dei primi esempi degli effetti mortali della propaganda (oggi chiamata anche col nome di «Fake News») che in quei tempi cominciava a diventare una caratteristica comune del nostro mondo.

Il processo ha segnato la fine di una carriera di ballerina e attrice che Margaretha Zelle aveva cominciato al ritorno in Europa dall'Indonesia, che allora si chiamava «Indie Olandesi». Aveva trascorso solo qualche anno laggiù come moglie di un ufficiale olandese, ma le era stato sufficiente per assorbire qualche elemento della cultura locale che le permetteva di dirsi buddista. Apprese dalla lingua locale anche quanto bastava per potere scegliere «Mata Hari» come nome d'arte, espressione che significa (sembra) «La luce dell'Alba». Come ballerina, Mata Hari è stata molto criticata ai suoi tempi ed è probabile che la sua danza non fosse niente di più che uno strip-tease di sapore orientale. Tuttavia diventò molto popolare in Europa, dopo avere dato la sua prima rappresentazione a Parigi nel 1905.

Nel corso degli anni seguenti, Mata Hari abbandonò progressivamente gli spettacoli di spogliarello in pubblico e si dice che sia diventata una cortigiana di alto rango, seducendo i ricchi e i famosi (in parte, anche questo può essere un fatto inventato dalla propaganda). Durante la guerra, ha forse tentato di fare l'agente segreto, ma è più probabile che sia stata semplicemente strumentalizzata. In un certo senso, sia i servizi segreti francesi, che quelli tedeschi, hanno collaborato per mandarla di fronte al plotone di esecuzione. I Tedeschi l'hanno considerata come un oggetto di propaganda utile per dimostrare come i Francesi fossero capaci di ammazzare una donna innocente, mentre i Francesi hanno usato il processo per dimostrare come fossero risoluti contro i traditori (e le traditrici).

Il processo e la detenzione di Mata Hari sono un esempio di crudeltà e di intimidazione. Le ultime immagini che abbiamo di lei non mostrano più la danzatrice che era stata, ma una donna fisicamente distrutta dopo mesi di vita in prigione. Dopo l'esecuzione, Mata Hari ha ricevuto anche l'estremo insulto, le venne rifiutata una sepoltura dignitosa, il suo corpo venne sezionato su un tavolo di ospedale e i suoi resti vennero gettati nella spazzatura. Si racconta che la sua testa mummificata sia stata tenuta per qualche anno nel museo di anatomia a Parigi, prima di essere anch'essa gettata via e persa. Le si è negato lo statuto di essere umano, considerandola piuttosto come una specie di insetto da eliminare. La trasformazione degli esseri umani in insetti, e la loro susseguente eliminazione, è qualcosa che Kafka aveva già profeticamente descritto nel romanzo La Metamorfosi.

Più tardi, l'antropologo Roy Rappaport ha definito «menzogne diaboliche» quelle che  «manipolano la struttura stessa della realtà». Oggi noi chiamiamo queste menzogne con il termine più neutro di «fake news», come fossero solo una moda che va e viene. Ma le «fake news» possono uccidere e una delle loro vittime è stata Mata Hari. La combinazione mortale di nazionalismo e di propaganda che l'ha uccisa sarebbe continuata fino ad esplodere negli anni successivi con la Seconda Guerra Mondiale, portando l'Europa a impegnarsi in uno dei peggiori stermini di innocenti della storia fino ad oggi. Mata Hari è stata tra le prime ad essere travolta da questa ondata di uccisioni senza senso. E' stata uccisa a sangue freddo da persone che, molto probabilmente, sapevano perfettamente che era innocente.
Può darsi che l'influenza orientale su Mata Hari non sia stata solo una indoratura per nobilitare un po' le sue danze, ma è possibile che ella abbia seriamente studiato il buddismo e altre correnti di pensiero orientali mentre si trovava nelle Indie olandesi. Il suo atteggiamento al momento dell'esecuzione, la sua calma, l'evidente convinzione che la morte sia solo un passaggio, sembra suggerirci che il suo buddismo non fosse solo una posa, ma qualcosa che aveva davvero preso a cuore. Cento anni dopo, abbiamo ancora qualcosa da apprendere dalla sua storia.

Queste note si basano principalmente sul libro di Rusell Warren Howe, Mata-Hari. L’histoire vraie (Éditions de l’Archipel, Paris 2007), e sul rapporto contemporaneo di Emile Massard, Espionnes à Paris (Gallimard, 1922), ma sono disponibili molte informazioni sulla sua storia. Mentre in passato qualcuno ancora sosteneva che era stata una spia, oggi l'opinione diffusa è che non lo sia stata.

martedì 12 giugno 2018

Accaparra Terre : Crescono Abitanti e Auto




Un Post di Silvano Molfese

Da quando gli stati ed i gruppi industriali più spregiudicati hanno toccato con mano il picco mondiale del petrolio convenzionale, alcune società di investimento, spalleggiate dai propri governi, hanno alzato la testa dalle miniere e preso di mira lo strato più superficiale della crosta terrestre: il suolo.
La rapida crescita della popolazione mondiale pone diversi problemi prima di tutto la disponibilità di cibo: l’industria agricola ha praticamente esaurito tutte le innovazioni tecniche, introdotte a partire dalla fine del 1800 tese ad aumentare le rese agricole, come: i fertilizzanti di sintesi, l’abbassamento della taglia nel riso e nel grano, l’esaltazione del vigore ibrido per il mais, ecc. (1).
Le ragioni di questo interesse per le terre altrui si spiega con l’aumento delle bocche da sfamare e con un più diffuso benessere economico: centinaia di milioni di persone mangiano maggiori quantità di carne, latte e uova .
A tutto ciò si aggiunge un fenomeno decisamente preoccupante che è la trasformazione di cereali in carburante per le auto. (2)  Pertanto tra il 2005 ed il 2009 è iniziata la corsa all’accaparramento di terre in altri stati.

Rivedendo la tabella sull’accaparramento di terre nel mondo, ho pensato di incrociare i dati sulla popolazione e la superficie territoriale dei principali stati coinvolti nell’accaparramento di terre.

     Tabella n. 1 – Principali Stati accaparratori e Stati bersaglio

Modificata da Gardner, State of the World 2015, pag. 71

In testa alla classifica degli stati che si accaparrano terre troviamo gli USA con ben 6,9 milioni di ettari acquisiti in altri stati del mondo. (tabella n. 1)
Caso anomalo è il Brasile che, pur avendo una bassa densità di abitanti si trova sia nell’elenco dei paesi accaparratori di terre (1,4 milioni di ha) e sia in quello dei paesi bersaglio, che subiscono l’accaparramento (1,8 milioni di ha).

Se dall’elenco dei paesi che si accaparrano terra escludiamo gli stati della penisola arabica, notoriamente desertici, vediamo che gli Stati Uniti, nonostante siano al secondo posto dopo il Brasile quanto a disponibilità procapite di terra, sono stati particolarmente attivi nell’acquisizione di terre all’estero.
Tra i paesi europei Regno Unito e Olanda si sono accaparrati in complesso ben quattro milioni di ettari di terra: all’incirca una superficie estesa quanto Veneto ed Emilia-Romagna; il Regno Unito, che ha una popolazione venti volte inferiore all’India, si è appropriato di una area superiore a quella di cui si è appropriato il popoloso stato  indiano.

In Europa tra gli stati bersaglio compare l’Ucraina che cede diritti sulle proprie terre con 1,6 milioni di ettari: una superficie più estesa di tutta la Calabria. La fertile superficie persa dall’Ucraina rappresenta il 60 % delle terre cedute in Europa. (3)

   Tabella n. 2 –  Popolazione (1960 e 2016) e superficie territoriale degli stati
            accaparratori e degli stati bersaglio.

Ho riportato i dati della superficie da Wikipedia; quelli sulla popolazione dalla Banca Mondiale: https://data.worldbank.org/indicator/SP.POP.TOTL?name_desc=false

La popolazione dei suddetti 19 stati in quasi sessanta anni è aumentata di  oltre 2,2 miliardi di persone.
Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono due stati prevalentemente desertici che nel 1960 contavano meno di 4,2 milioni di abitanti, si ritrovano attualmente con il dover sfamare una popolazione praticamente decuplicata. Negli Emirati Arabi Uniti l’aumento della popolazione è stato a dir poco vertiginoso: le bocche da sfamare sono aumentate di quasi cento volte in poco meno di sessant’anni! (tabella 2)

La popolazione ucraina, nell’ arco di tempo considerato, è quella cresciuta meno di tutte le altre della lista esaminata, sia in percentuale ( 5,5%) e sia in valore assoluto, circa 2,3 milioni di persone.
La superficie territoriale procapite (*) ovviamente diminuisce nettamente in tutti gli stati: tra quelli accaparratori Singapore è cosi piccolo da non essere nemmeno rappresentato a questa scala: se prima erano quattro are per abitante, è passato ad una sola ara nel 2016; per gli Emirati Arabi Uniti e l’ Arabia Saudita ho riportato i valori riferiti al 1960 tra parentesi per evitare che andassero fuori scala (Figura n. 1).

     Figura n. 1 - Stati accaparratori: ettari procapite 1960 e 2016


Tra i paesi bersaglio, che cedono diritti sulle loro terre, possiamo vedere chiaramente che nel 1960 c’erano sei stati con più di dieci ettari di superficie territoriale procapite: dopo quasi sessant’anni il valore più elevato è quello della Repubblica del Congo che raggiunge a mala pena i 6,7 ettari per abitante: prima era quasi cinque volte tanto.(Figura n. 2)


     Figura n. 2 - Stati bersaglio:  ettari procapite 1960 e 2016



Il peso dell'industrializzazione

Tra i paesi presenti in questo elenco gli USA, pur essendo al quarto posto per la crescita della popolazione in valore assoluto, (oltre 140 milioni di abitanti in più rispetto al 1960: è come se si fosse aggiunta la popolazione di Italia e Germania.) risulta la nazione più motorizzata del pianeta: indicativo a questo proposito il numero di autovetture circolanti, oltre 268 milioni, una concentrazione di oltre 80 auto per 100 abitanti.  (https://www.statista.com/statistics/183505/number-of-vehicles-in-the-united-states-since-1990/)

Questo aumento della popolazione negli Stati Uniti ha comportato un’aggiunta di quasi centoventi milioni di autovetture: se oltre al carburante considero strade, ferro, plastica, elettronica e quant’altro, si comprende il giro di interessi industriali coinvolti nella motorizzazione individuale. 
Ovviamente il rovescio della medaglia è dato dagli effetti altamente deleteri dei rifiuti immessi nei cicli vitali della biosfera prodotti dall’industria, primo fra tutti il carbonio. In modo più o meno diretto superfici sempre più estese diventano improduttive anche per l’inquinamento di suolo e acqua legato agli scarichi industriali. A mio avviso tutto ciò rappresenta il fallimento dell’industrializzazione del mondo.

Crescono i conflitti per la terra e le disuguaglianze sociali diventano sempre più evidenti. Analizzando questi dati possiamo dire che il sistema economico in cui siamo immersi, il capitalismo, è fallimentare.

Si può fare diversamente? Faccio qualche esempio.

Bruce Leon, un ricercatore americano ripreso da Vandana Shiva, fece un confronto, riferito al 1972, tra la zootecnia tradizionale, rappresentata dai bovini indiani e quella industriale degli USA: in India per l’alimentazione bovina si utilizzavano in minima parte alimenti commestibili dall’uomo, rispetto all’industria zootecnica statunitense. (Tabella n. 3)

Tabella n. 3 - Confronto al 1972 tra zootecnia industrializzata (USA) e tradizionale  (India)

Modificata da: Vandana Shiva, 1995 . Monocolture della mente. Bollati Boringhieri, 131.

Ridurre il numero di figli per coppia è semplice con i profilattici: tecnica plurisecolare. Per risparmiare materiali ed energia basta tener conto che un’ auto pesa 1,5 tonnellate: si possono costruire circa un centinaio di biciclette.
Le soluzioni alternative ci sono ma vengono scartate dal sistema perché non promuovono il profitto. Il primo passo da fare sarebbe chiedersi come uscire da questo sistema economico.

(*) L’Italia ha un territorio di 301 mila km 2 ; nello stesso arco di tempo gli abitanti sono passati da  50,2 a 60,6 milioni; al 2016  la superficie territoriale procapite è di quasi 0,5 ettari.


Bibliografia

            1)  Brown L. , 1999 – Nutrire nove miliardi di persone. State of the world 1999.
      Edizioni Ambiente , 137 - 157.
2)  Brown L., 2011 – Un mondo al bivio. Edizioni Ambiente,  94
3)  Gardner G., 2015 – Mounting losses of agricultural resources – State of the                                            World 2015, Islandpress, 65-78








  



sabato 9 giugno 2018

Viaggiare Elettrico: Nuovo Gruppo di Facebook



Con il nuovo governo, c'è grande movimento e interesse sui veicoli elettrici - sembra che i dinosauri dei fossili siano, per il momento, caduti un po' in disgrazia. Non si sa per quanto, purtroppo.

In ogni caso, ho creato un gruppo Facebook dedicato ai veicoli elettrici per vedere di muovere un po' di più le acque. Se volete aderire, lo trovate a https://www.facebook.com/groups/242023066531046/

Il mio libro sui veicoli elettrici lo trovate qui!

giovedì 7 giugno 2018

Miracolo a Roma: Qualcuno ha capito quali sono le vere priorità!



Qui di seguito, il testo di una parte dell'intervento di Gianni Girotto

Devo mio malgrado lanciare un allarme relativamente ai posti di lavoro, dal momento che già l'Italia, a causa delle scellerate scelte politiche nel settore delle energie rinnovabili, ha perso circa 120mila posti di lavoro negli ultimi anni, ma ora il pericolo è quello relativo alla filiera italiana dell'automotive (che secondo questo studio afferisce complessivamente 800mila impiegati, secondo quest'altro, addirittura 1,2 milioni).

Ora, come ho avuto modo ampiamente di spiegarvi nel corso dell'ultimo anno con tutta una serie di miei video farciti di dati e disposizioni di legge, l'Italia è terribilmente, terribilmente in ritardo nel processo OBBLIGATORIO di passaggio dai veicoli benzina/diesel a quelli a bassissime emissione (insomma elettrici/idrogeno per farla breve). E attenzione che quando dico OBBLIGATORIO lo intendo proprio in senso giuridico/legale, dal momento che già nel lontano 2011 il “Libro bianco sui trasporti” dell'Unione Europea, prescrive che entro il 2030 le città dovranno dimezzare l’uso delle auto con motore a scoppio, ed eliminarle del tutto entro il 2050 (e parallelamente aumentare il trasporto su ferro - guarda un po'esattamente quello che dice il M5S), ma evidentemente la vecchia politica italiana ignora questo semplice dato normativo.

Ed ignora, come detto tante volte, che le auto elettriche, non servono solo ad avere città ad aria più sana e pulita, ma essendo sostanzialmente di "pacchi di batteria su ruote", anche a risolvere il puzzle delle fonti di energia rinnovabile, in quanto fungeranno da "magazzino" per stoccare gli eccessi di produzione (tipicamente diurni del fotovoltaico) ed andare in soccorso della rete aiutandola nei momenti di difficoltà (dispacciamento elettrico), funziona questa remunerata e che diventerà la principale fonte di reddito dei produttori di energia del futuro, quando le centrali fossili chiuderanno. E i risultati di queste ignoranze sono che per appunto manca una politica industriale relativa, e quindi le nostre imprese di settore, mediamente bravissime, con numerose punte di eccellenza, si muovono "alla cieca", nel senso che devono appoggiarsi/riferirsi ai costruttori e ai mercati esteri, visto che quelli interni sono praticamente assenti, e naturalmente questo non giova alla loro salute.

Diversamente, Cina e 10 Stati USA, per dare CERTEZZA agli operatori, che possono così investire in loco, ha stabilito PER LEGGE delle PERCENTUALI VINCOLANTI di vendita di veicoli elettrici, in modo che qualsiasi costruttore di automobili che voglia vendere in tali nazioni debba vendere per l'appunto anche una quota minima di tali veicoli nella versione elettrica (per la Cina parliamo dell'8% minimo entro il 2020). Viceversa in Italia la situazione è tale che per esempio nei (ancora troppo pochi) appalti pubblici per l'acquisto di autubus elettrici, spesso i pochi produttori italiani non partecipano nemmeno, e i veicoli medesimi vengono forniti, indovinate un po', dalla Cina, alla faccia dell'Italia patria dell'automobile.

domenica 3 giugno 2018

Fusione nucleare: vale ancora la pena investirci in un’era di energia rinnovabile a buon mercato?


Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Una panoramica di Giuseppe Cima della situazione della fusione nucleare. L’argomento è complesso, ma Cima identifica il punto cruciale: anche ipotizzando che la fusione nucleare dovesse funzionare come ci si aspetta, sarebbe più costosa delle tecnologie rinnovabili attualmente disponibili. Considerate anche che ci vorrà almeno mezzo secolo prima che possiamo avere reattori a fusioni in grado di produrre energia commercialmente disponibile (forse). Quanto saranno migliori e più a buon mercato le rinnovabili per allora? Considerando che la fusione non è una tecnologia “pulita”, come a volte si dice, né ora né in futuro. Quindi, perché spendiamo ancora soldi e risorse per questa tecnologia? Un esempio ulteriore della fede cieca umana nella tecnologia e nei suoi miracoli (U.B.)



ITER TOKAMAK. Guardando attentamente, in fondo a destra, in un cerchietto rosso, c’è un uomo con un giacchetto giallo. La probabile dimensione del confinamento magnetico del reattore a fusione è enorme ed è il cuore della maggior parte dei problemi.  

Il mio punto di vista sulla fusione nucleare, in poche parole
 Di Giuseppe Cima
Oggigiorno, poche imprese investirebbero in centrali nucleari convenzionali. Negli Stati uniti, anche sussidi del 100% non riescono ad attrarre investimenti privati per una centrale nucleare a fissione, la forma classica di energia nucleare. Per cui le prospettive per una ripresa del nucleare non sono rosee.

Ma c’è un’altra forma di energia nucleare, la fusione termonucleare, quella che alimenta le stelle. La fusione, il fenomeno dei nuclei leggeri che si attaccano, è una reazione nucleare distinta dalla fissione, dove gli atomi pesanti, come l’uranio, si spezzano. La ricerca sull’energia di fusione è stata perseguita sin dagli anni della Seconda Guerra Mondiale in laboratori nazionali e in università in tutto il mondo. Nonostante gli sforzi, però, finora questa non ha fornito un’indicazione chiara del fatto che sia fattibile. Quali sono le attuali prospettive di questa forma di energia?


Tecnologie di fusione

Ci sono due modi di bruciare combustibile per la fusione nucleare calda: farlo reagire molto rapidamente prima che il gas che brucia voli via, che è come funziona la bomba H, o usare un campo magnetico per isolare il plasma dalla pareti del reattore. Il metodo della bomba può essere replicato in una serie di micro esplosioni in laboratorio, ma la frequenza deve essere sufficientemente alta da produrre una corrente elettrica rilevante e questo pone enormi problemi ancora irrisolti. Un gigantesco esperimento di fusione negli Stati uniti, il National Ignition Facility, ha dimostrato quanto sia difficile e costoso produrre una micro esplosione una volta al giorno. Immaginate di farlo centinaia di volte al secondo per anni. Anche con un budget fornito dai militari per lo sviluppo di armi, la fusione a laser è lontanissima dal puntare ad un reattore commerciale credibile.

Pertanto, dall’inizio della ricerca sull’energia di fusione, gran parte degli sforzi sono stati dedicati al confinamento magnetico del plasma caldo a stato stazionario. Dopo 70 anni di tentativi, quasi tutti nel campo si sono concentrati su un progetto che viene chiamato TOKAMAK, un’invenzione russa. I test fatti finora indicano che la dimensione minima del nucleo di un potenziale reattore sarà grande, della dimensione di un grande edificio. ITER è un tokamak attualmente in costruzione in Francia per dimostrare la fattibilità della fusione, è di questa dimensione ma, a parte la dimensione, è così costoso che la sua costruzione sta richiedendo il contributo finanziario di tutta le nazioni sviluppate della terra. 

Il nucleo del reattore a forma di ciambella ITER ha 30 metri di diametro e 20 metri di altezza. Si tratta di un dispositivo estremamente complesso, molto più sofisticato di una centrale nucleare a fissione di potenza equivalente e circa 10 volte il suo volume. Il suo nucleo pesa più di 30.000 tonnellate, solo la base di ITEr utilizza 200.000 metri cubi di cemento.

La dimensione è l’inconveniente più ovvio della fusione: la grande dimensione rende impossibile produrre in massa questi reattori. Questo fattore dà un vantaggio considerevole alla competizione a favore di generatori comparativamente piccoli: le turbine a gas da 50-100 MW, pale eoliche efficienti di pochi MW, pannelli solati FV di meno di un kW. Questi generatori possono essere trasportati da camion e la velocità del loro sviluppo industriale è stata inversamente proporzionale alla potenza di un singolo modulo. Il costo dell’elettricità del fotovoltaico e dell’eolico ha origine principalmente dal costo del capitale investito nel generatore e nella sua attrezzatura ausiliaria, proprio come succede per la fusione deuterio-deuterio in cui il combustibile è quasi gratis. Le centrali a gas naturale bruciano combustibile economico ed hanno il costo del generatore più basso di tutti, ma sono degli inquinatori di CO2, oggigiorno un grave inconveniente. 

Dobbiamo specificare che il combustibile per la fusione è quasi gratis solo nel caso della fusione deuterio-deuterio. L’idea attuale, invece, è quella di usare la reazione più semplice del deuterio col trizio, essendo il secondo un altro isotopo dell’idrogeno. Si tratta di un isotopo molto raro che può essere prodotto nello stesso TOKAMAK che lo brucia, ma non in quantità sufficiente da mantenere attive queste reazioni. Questo è un altro problema dei reattori di tipo ITER, per il momento nascosto sotto al tappeto.

A causa della sua grande dimensione e complessità, è molto difficile immaginare che un reattore a fusione TOKAMAK possa essere meno costoso di un reattore a fissione convenzionale e le stime odierne dettagliate pongono il costo del kWh a più di 12 centesimi (di dollaro), solo per il costo del capitale e prima di conoscere tutti i dettagli di un reattore funzionante.

Invece, l’elettricità commercializzata da FV ed eolico non incentivati è attualmente venduta a prezzi fra i 2 e i 7 centesimi, a seconda del posizionamento, e c’è spazio per ulteriori risparmi. Queste fonti sono intermittenti, la fusione non lo è, ma per una produzione elettrica dominata dalle rinnovabili, il costo aggiuntivo dello stoccaggio dell’energia comporterebbe una frazione del costo della produzione di energia. Si tratta di una considerazione puramente economica: le rinnovabili sono già meno costose della fusione. 

C’è un secondo inconveniente molo rilevante collegato alle grandi dimensione del reattore a fusione: il suo tempo di sviluppo. ITER sperimenterà con vero combustibile di fusione non prima del 2035 e porterà avanti realisticamente gli esperimenti per i 10 anni seguenti. Ciò comporta che questa fase sperimentale, non un prototipo dato che ITER sarà incapace di produrre energia, sarà durata circa 50 anni. 

Per incidere nella produzione mondiale di elettricità si dovrebbero implementare migliaia di reattori della dimensione di 1 GW. Quanto tempo di fase di sperimentazione si dovrebbe considerare per raggiungere l’obbiettivo da quando ITER avrà risposto all’inziale giro di domande? Forse 100 anni, cioè un paio di fasi sperimentali.

Per riassumere, Oltre alla pletora di problemi di progettazione irrisolti, persino sconosciuti, di natura tecnica, la fusione magnetica pone problemi collegati alle enormi dimensioni del nucleo del reattore TOKAMAK: un grande costo del kWh e un tempo di sviluppo molto lungo. Per coloro che sono sensibili alla “pulizia” della fusione devo anche accennare che ITER alla fine del suo ciclo di vita presenterà un conto di circa 30.000 tonnellate di rifiuti fortemente radioattivi senza aver prodotto un singolo kWh. La fusione magnetica non è pulita: i prodotti delle reazioni potrebbero essere poco radioattivi, ma il macchinario no.

Perché il reattore dev’essere grande

Perché un reattore magnetico a fusione dev’essere grande, fisicamente molto ampio? E’ stato dimostrato che il combustibile termonucleare brucia nella bomba H, ma può anche bruciare in modo non esplosivo; pensate al sole. Perché qualsiasi combustibile bruci in stato stazionario, l’energia rilasciata nel volume della materia che brucia è uguale all’energia che ne esce, il calore prodotto equivale al calore perso, l’equazione del bilancio energetico. Il tasso al quale l’energia viene prodotta cresce in proporzione alla densità del combustibile, il numero dei nuclei atomici per unità di volume. La densità di potenza del reattore aumenta con la densità della particelle che reagiscono.

Il plasma in un reattore è un gas di costituenti atomici quasi in equilibrio termico, il suo contenuto di energia cinetica è caratterizzata da una pressione. Se il plasma del TOKAMAK deve essere contenuto in un campo magnetico, la pressione del campo prodotto dai magneti superconduttori esterni sulla posizione del plasma al momento è limitata a meno di 200 atmosfere dalla forza meccanica dei magneti. Sono prevedibili miglioramenti del fronte dei magneti, e sarebbero d’aiuto, ma i materiali magnetici sono essi stessi soggetti alle leggi della natura dei solidi: questi miglioramenti saranno marginali.

Come in un normale gas, la pressione del plasma è proporzionale alla temperatura e alla densità delle particelle. La temperatura di fusione dev’essere nella gamma delle centinaia di milioni di gradi Celsius, quindi, a causa del limite della pressione magnetica, la densità delle particelle risulta essere molto bassa, un milione di volte meno della densità molecolare dell’aria che respiriamo. Il risultato è una densità a bassa potenza. 

Dall’altra parte dell’equazione dell’equilibrio di potenza del reattore, l’energia persa dal plasma è dettata dai movimenti turbolenti del plasma stesso e della dimensione del dispositivo. E stato sperimentalmente dimostrato che la turbolenza è presente ad un livello significativo in tutti i plasma di interesse termonucleare confinati magneticamente, proprio come l’acqua in un canale.

L’analogia è vicina a quella del flusso d’acqua in un canale. Questo flusso è limitato da una irriducibile coda di turbolenza, con una dipendenza trascurabile dai dettagli costruttivi del canale. E’ la stessa cosa per il confinamento dell’energia nel plasma termonucleare, è dominato da inevitabili movimenti turbolenti del fluido. Ma esiste sempre un nucleo in reazione abbastanza grande da raggiungere la parità di energia perché il suo volume (produzione di energia) rispetto alla superficie (perdite) aumenta con la sua dimensione, una considerazione meramente geometrica. Il sole, anche senza un campo magnetico, è certamente grande abbastanza per il pareggio.

Sono queste le ragioni per cui il reattore TOKAMAK dev’essere molto grande. La dimensione necessaria per mantenere l’alta temperatura del nucleo perché il plasma fonda. E’ questo il fattore principale che rende la fusione nucleare costosa e molto difficile.


Il concetto di fondo
 

Per come stanno le cose, le tecnologie rinnovabili di oggi sono considerevolmente meno costose di un potenziale reattore a fusione – anche ipotizzando che funzionasse come ci si aspetta. Il mio lavoro nella fusione ha coinciso con la deregolamentazione di Reagan del settore elettrico quando qualcosa di simile è accaduto fra centrali a gas e a carbone. Lo sviluppo di grandi motori a reazione per l’aviazione ha reso possibile generatori elettrici efficienti, poco costosi e prodotti in serie che si sono dimostrati impossibili da battere e gli investitori in centrali a carbone hanno fallito per permettere all’industria americana di approfittare della tecnologia più nuova e meno costosa. Allora era troppo presto per la rivoluzione dell’eolico e del FV, ma ora sono qui per rendere la fusione nucleare obsoleta prima che si dimostri che funziona.


L’autore

Giuseppe Cimaè stato impiegato in diversi impianti da parte di laboratori di fusione e università in Europa e negli Stati Uniti per gran parte della sua carriera: Euratom Culham nel Regno Unito, ENEA di Frascati e CNR di Milano, the Fusion Research Center dell’Università del Texas ad Austin. Ha pubblicato circa 50 articoli peer-review in questo campo, in gran parte sulle onde EM per la diagnostica del plasma e il riscaldamento, le configurazioni magnetiche, la misurazione delle turbolenze. Dopo aver perso fiducia in un approccio decostruzionista alla fusione, ha dato vita ad un’industria di automazione industriale in Texas. Attualmente è in pensione a Venezia, dove lotta per la proteggere l’ambiente, conservare l’energia ed insegnare tecnologia e scienza.