domenica 30 maggio 2021

India: l'apocalisse è stata rimandata a causa della pioggia.

 


Sull'India, da più di un mese un buon numero di commentatori aveva costruito una narrazione apocalittica con l'evidente scopo di terrorizzarci tutti. Tanto per cambiare, l'epidemia cresceva in modo "esponenziale" e presto avrebbe spazzato il paese con milioni di morti e scene da inferno dantesco (che ci hanno abbondantemente propinato in forma di fotografie agghiaccianti)
 
Bene, sembra proprio che l'apocalisse in India sia stata rimandata, probabilmente a causa della pioggia. In effetti, il monsone sta arrivando e con quello le pioggie estive. Ed è noto che in India le influenze stagionali arrivano in estate, a differenza che da noi, dove sono invernali. E' un clima diverso, la diffusione degli aerosol che portano il virus segue leggi diverse.
 
Vedete nel grafico (da worldometer) la situazione dei contagi in India. Non c'è stata nessuna apocalisse, la crescita "esponenziale" è durata ben poco, come è normale. Adesso, sia i contagi come i decessi sono in calo. 
 

 
Non solo, ma se rapportate al numero dei test fatti, si vede che la situazione attuale in India NON è peggiore di quanto lo era a primavera dell'anno scorso. (i dati sul numero dei test in India li potete trovare su https://ourworldindata.org/).
 
Infine, se comparate con l'Italia, considerando che gli indiani sono quasi un miliardo e 400 milioni, la mortalità da Covid-19 è infinitesimale. Molto minore che da noi.
 
Da notare infine che gli indiani non hanno fatto un lockdown generalizzato, mentre invece portano tutti la mascherina. Le vaccinazioni sono in corso, ma vaccinare tutti quanti è un'impresa difficile (per non dire impossibile). Per cui è probabile che l'epidemia stia semplicemente seguendo il suo ciclo stagionale, normale per l'India.
 
Questo vuol dire che l'epidemia è finita già in India? No, può darsi benissimo -- anzi è probabile -- che avremo altri cicli epidemici, via via che la stagione avanza. Ma non c'è ragione di pensare che debba arrivare l'apocalisse.
 
 

giovedì 20 maggio 2021

A che Servono i Paracadute? Sicurezza contro Realtà.

 Il vecchio e glorioso "C-119" detto familiarmente il "vagone volante" Fra le altre cose, era progettato per il lancio dei paracadutisti dall'ampio portellone posteriore. 

 

Il mio primo viaggio in aereo fu un bel po' di anni fa, quando ero ancora al liceo. Fu quando l'aeronautica militare offrì un viaggio in aereo per la scuola militare di Napoli a un gruppo di aspiranti allievi della scuola di guerra aerea di Firenze (non è che volevo fare il top gun, ma avevo la fissa di fare l'astronauta e la scuola di guerra aerea poteva essere una strada per riuscirci). 

Il vetusto C-119 che ci portava da Pisa a Napoli aveva come regola che i passeggeri indossassero un'imbracatura completa di moschettone per il paracadute. Mi ricordo che quando ci fecero vedere i paracadute e ci spiegarono come agganciarli e come usarli, la cosa lasciò tutti un po' perplessi. Uno del nostro gruppo domandò al sergente se il paracadute servisse veramente a qualche cosa. Il sergente rispose, serafico, "se ti devi buttare, ti serve." 

Impeccabile. Ma era chiara l'implicazione per delle persone che non erano incursori addestrati, come noi. Era quasi impossibile immaginarsi una condizione in cui sarebbe stato preferibile buttarsi col paracadute piuttosto che restare a bordo e affrontare un atterraggio di emergenza. 

Alla fine dei conti, decisi di non iscrivermi all'accademia militare e di seguire piuttosto una carriera universitaria più convenzionale. Ma quel primo volo mi è rimasto nella memoria. Molto più tardi, mi è capitato di lavorare su progetti di ricerca dell'industria aerospaziale, dove impari parecchio su come funzionano le cose e che l'aeronautica non è una cosa romantica come mi potevo immaginare quando ero liceale. Delle molte cose che ho imparato, una è come si gestisce la sicurezza. Si parte dal principio che il rischio zero non esiste e non può esistere, ma anche che il rischio si può minimizzare. E l'idea di fondo è che i soldi vanno spesi dove hai il miglior rapporto benefici/costi. Ovvero devi spendere soldi per la sicurezza dove ce n'è più bisogno.

Questo spiega perché in nessun aereo civile vi daranno un paracadute per il viaggio. Non è perché il paracadute non funziona: come ci aveva detto il sergente quella volta, funziona se vi buttate. Ma in quale situazione un paracadute potrebbe veramente essere utile? Buttare fuori dal portellone di un aereo civile uno dopo l'altro i turisti in viaggio per le Maldive sarrebbe come minimo poco pratico, per non parlare del fatto che finirebbero fatti a fettine dalle ali o dai timoni di coda (o forse risucchiati dai motori). Ma il problema è un altro: la grande maggioranza degli incidenti aerei avvengono in fase di decollo o di atterraggio. E, in quel caso, ovviamente avere un paracadute non serve a gran cosa.

Tuttavia, c'è un fattore emozionale non trascurabile nel fatto di viaggiare in aereo. Alcune persone sono effettivamente terrorizzate all'idea. Se avete un amico o un amica che fa l'assistente di volo, vi potrà raccontare qualche storia interessante di passeggeri spaventati (oppure, lo potete leggere qui). La paura di volare è una sensazione ancestrale: non siamo nati per infilarci dentro un tubo di alluminio pressurizzato che vola nel cielo.

La paura di volare non è una cosa razionale, non la combatti facendo vedere le statistiche che dicono che il volo è uno dei mezzi di trasporto più sicuri che esistono. E sappiamo tutti che la maggioranza delle persone non è in grado di valutare i rischi in modo quantitativo sulla base di dati statistici. 

Probabilmente è per questa ragione che ogni tanto si sente parlare della possibilita di una "capsula eiettabile" che in caso di emergenza sparerebbe i passeggeri fuori dall'aereo, per poi portarli a terra con un paracadute.

Impossibile? No, i caccia militari hanno dei sedili eiettabili che funzionano bene e che hanno salvato la vita di molti piloti. Certo, il turista medio difficilmente sopravviverebbe alle accelerazioni intorno ai 12 g tipiche di questi sistemi ma li si potrebbero progettare in modo da essere più gentili con gli eiettati. Salverebbero delle vite? Probabilmente si.

Ovviamente, il problema non è la tecnologia, ma il costo. E non è nemmeno il fatto che i costi sarebbero stratosferici, ma semplicemente che i soldi spesi in questa tecnologia sarebbero meglio spesi in altri accorgimenti per la sicurezza degli aerei. Quindi, parlare di aerei civili dotati di capsule eiettabili è solo un esercizio di fantasia, più o meno come parlare di viaggi sulla Luna per tutta la famiglia per il fine settimana. 

Ma la storia dei paracadute sugli aerei ci offre la possibilità di riflettere sul fatto che si può spendere troppo per la sicurezza e fare dei danni, pur con ottime intenzioni. Ci sono molti esempi fuori dall'aeronautica di direttive e leggi bene intenzionate che sono state effettivamente attuate, generando poi più danni che benefici. Un esempio classico è quello degli additivi anti-fiamma che per legge dovevano essere usati per trattare i pigiami per bambini negli Stati Uniti a partire dal 1972.

Mi posso immaginare che questa idea balzana sia venuta in mente a qualche politico che ha creduto in buona fede di fare una cosa buona. O, più probabilmente, a qualcuno pagato dalla lobby dell'industria chimica che vedeva un nuovo mercato per certi prodotti. 

In ogni caso, il risultato è stato un disastro, sparpagliando per il mondo sostanze cancerogene che si possono assorbire per via cutanea e che ancora sono in giro nelle case. La legge fu abolita nel 1978 dopo una lunga polemica. Ma, a distanza di 50 anni da quella legge disgraziata, ci sono ancora sostanze anti-fiamma cancerogene nei pigiami e in altri vari oggetti domestici che potete comprare.

Il bello della faccenda dei pigiami anti-fiamma è che nessuno ha mai prodotto uno studio quantitativo dei rischi/benefici dell'idea. Se ci pensate sopra, in effetti, come si potrebbe fare uno studio del genere? Quasi impossibile. Tutto è stato basato sul ragionamento che più sicurezza è sempre una cosa buona. 

E chi si sarebbe potuto opporre a una legge che aveva come scopo migliorare la sicurezza dei bambini? Come si suol dire, lo zerbino davanti alla porta dell'Inferno porta la scritta, "benvenuti ai beneintenzionati."

Quello delle sostanze anti-fiamma è solo uno degli esempi possibili di come si possa spendere troppo per la sicurezza. Se ci pensate bene, potete trovarne molti altri dove il tentativo di ridurre i rischi ha fatto più danni che benefici.


lunedì 17 maggio 2021

Punteggio Individuale

 


di Bruno Sebastiani





Nel 2010, quando scrissi “P.I. Punteggio Individuale” (libro che ora ho auto-prodotto), non si aveva notizia di alcun programma volto a “classificare” gli esseri umani in base alle proprie caratteristiche.

Al contrario, la “privacy” era sulla bocca di tutti e sembrava essere assurta al ruolo di nuova “dea” laica.

Poi una serie televisiva di successo, “Black Mirror”, nel 2016 toccò l’argomento. Nel primo episodio della terza stagione si raccontava di un ipotetico futuro in cui ognuno poteva attribuire, sotto forma di stelline (da una acinque), meriti o demeriti al proprio prossimo. Ma si trattava ancora di fantasia.

Nel frattempo, poco alla volta, dalla Cina cominciò a diffondersi la notizia che si stava procedendo a inserire ogni cittadino e ogni impresa in una graduatoria, sulla base di un Sistema di Credito Sociale stabilito per legge.

Così, a distanza di tanti anni dalla sua stesura, mi son deciso a pubblicare il manoscritto perché “ciò che nasce per scherzo spesso diviene realtà”, come recita uno dei sottotitoli.

Il tema di questo libro rientra nel più vasto argomento che ho trattato ne “L’Impero del Cancro del Pianeta”, e cioè come è possibile che una popolazione di dieci miliardi e più di cellule cancerogene (ovvero noi Homo sapiens) possa sopravvivere nel prossimo futuro in un Organismo dalle risorse limitate e super-sfruttate (ovvero il pianeta Terra).

La risposta è che prima o poi arriverà il collasso, ma, prima che ciò accada, le cellule cancerogene si organizzeranno in modo da ottimizzare al massimo le residue risorse alimentari ed energetiche.

Cosa significa in concreto tutto ciò? Come avverrà questa “ottimizzazione”?

Innanzitutto, i regimi politici al potere convinceranno le popolazioni della necessità di adottare provvedimenti restrittivi delle libertà individuali. Non sarà difficile farlo, perché si tratterà di provvedimenti rispondenti a necessità reali, concretamente verificabili da chiunque.

I lockdown, i coprifuoco e le zone rosse e arancioni dell’era Covid sono emblematici al riguardo.

Ma poi neppure questi provvedimenti saranno sufficienti a razionare le risorse sempre meno disponibili a livello globale.

Vi saranno Paesi ricchi che alimenteranno di più i loro cittadini e le loro macchine, e Paesi poveri dove imperverserà la miseria e l’indigenza. Questo avviene già oggi, ma il divario continuerà ad allargarsi e ciò produrrà emigrazioni di massa, tumulti, guerre.

A quel punto si dovrà far ricorso al Governo Unico Mondiale, a quella autorità sovranazionale già invocata da più soggetti, compresi gli ultimi pontefici della Chiesa Cattolica (vedasi il paragrafo 175 dell’Enciclica “Laudato sì”).

E che provvedimenti potrà prendere questo G.U.M. (come lo chiamo nel mio fanta-saggio)? Come farà a mettere ordine in una umanità difforme quanto a ricchezza, istruzione, situazione sanitaria ecc.?

Io credo che uno dei primi provvedimenti sarà quello di realizzare un dettagliato censimento di tutta la popolazione mondiale, con l’indicazione, per ciascun censito, di ogni notizia utile alla “catalogazione”.

Solo da qui, da questo enorme data-base, potrà prendere avvio ogni tentativo di riforma di qualche efficacia. L’ubiqua diffusione della “grande ragnatela mondiale” e delle reti fonia-dati di ultima generazione (5G e successive) renderanno possibile questa mastodontica operazione di classificazione di tutte le cellule cancerogene del Pianeta.

Ma, a questo punto, perché non assegnare a ogni cittadino un “rating”, un “Punteggio Individuale” tale da semplificare ogni tipo di rapporto con la Pubblica Amministrazione e gli altri Enti, pubblici e privati?

Sto già viaggiando nel futuro, e certamente quanto prefigurato troverà mille ostacoli sul suo cammino. Non perché non abbia una sua logica, ma semplicemente perché gli apparati burocratici (alias Stati nazionali, Enti locali, Amministrazioni periferiche ecc.) lotteranno strenuamente per non farsi strappare dagli artigli la preda succulenta che stanno lentamente scarnificando, ovvero i corpi dei cittadini loro sottoposti.

Dunque, l’evoluzione non sarà spontanea. Guerre, ecocatastrofi e sommovimenti di miriadi di disperati costringeranno l’umanità a strutturarsi in modo sempre più accentrato.

E, a quel punto, quanto descritto nel mio libro potrà avverarsi.

Non scendo in ulteriori dettagli per non rovinare il piacere della lettura. Sappiate solo che le immagini distopiche che descrivo in “P.I. Punteggio Individuale” non sono ciò che mi auguro, bensì ciò che temo.




mercoledì 12 maggio 2021

Memi assassini: I Roghi delle Streghe e Altre Follie Popolari

 From "The Seneca effect - di Ugo Bardi


Una moderna interpretazione di Anna Göldi. giustiziata nel 1782 per stregoneria a Glarona, in Svizzera. Si dice che sia stata l'ultima strega giustiziata in Europa, almeno a seguito di un processo. La storia delle grandi cacce alle streghe del XVI e XVII secolo rimane per molti aspetti un mistero. Che cosa ha fatto sì che questa follia si impadronisse delle menti degli europei? Ancora più strano, cosa fece sparire quella follia? Il male sembra avere un ciclo naturale di crescita e declino. È possibile accelerare il declino di un meme assassino se le brave persone si uniscono per rifiutarlo.


Nel 1841, Charles MacKay pubblicò il suo libro, "Delusioni popolari straordinarie e la pazzia delle folle." Fu una pietra miliare: il primo studio del campo che oggi chiamiamo memetica, termine coniato da Richard Dawkins per indicare come le idee ("memi ") si diffondono nella coscienza umana collettiva.  MacKay fu forse il primo nella storia a dichiarare pubblicamente che le grandi cacce alle streghe della fine del XVI e dell'inizio del XVII secolo erano una forma di follia collettiva . Nemmeno Voltaire (1694 - 1778) aveva toccato quell'argomento, nonostante le sue critiche a tutti i tipi di superstizioni religiose

Fra i vari stermini di massa, la guerra alle streghe non è stata la peggiore mai registrata. In Europa, ha causato circa 50mila vittime, in circa un secolo. Ma fu estremamente scioccante e crudele, soprattutto per aver colpito per lo più donne che non avevano la possibilità di difendersi. Oggi, viene ricordata come una forma particolarmente virulenta di follia collettiva. L'espressione "caccia alle streghe" è rimasta addirittura proverbiale. 

Questa fase storica ha generato molti studi nei tempi moderni, per lo più concentrati sulla spiegazione del motivo per cui è iniziata la caccia alle streghe. Le spiegazioni sono molte ma, in generale, si concorda che fosse correlata allo stress generato dalla Riforma e dalle guerre associate. Apparentemente, torturare e uccidere donne era una forma di rilascio dello stress. La mente umana deve avere molti seri problemi, evidentemente, ma questo lo sappiamo già, e non solo a causa della caccia alle streghe.

In ogni caso, è successo quello che è successo e dovremmo essere contenti che non sia durato più di quanto sia durato. Ma questo genera un'altra domanda: cosa ha fatto cessare la caccia alle streghe? È un punto fondamentale: se potessimo capire cosa fa smettere le persone di credere nei memi assassini, potremmo fermarli prima. 

Ma pochi degli studi che esaminano la guerra alle streghe hanno fatto uno sforzo specifico per capire perché la persecuzione è cessata. L'idea generale sembra essere che quando le condizioni che hanno causato la caccia alle streghe sono scomparse, le cose sono tornate al loro stato normale. A volte, si propone anche che l'illuminismo abbia posto fine agli omicidi. Lesson e Ross  (1) hanno proposto nel 2018 che:

"Il diciassettesimo secolo, tuttavia, fu il periodo della rivoluzione scientifica, i cui effetti potrebbero aver alla fine eroso la credenza popolare nella stregoneria, erodendo la richiesta popolare di procedimenti penali per stregoneria insieme ad essa fino a quando i processi alle streghe potrebbero essere finalmente abbandonati facilmente dai produttori religiosi".

Non per screditare uno studio eccellente sotto molti aspetti, ma questa interpretazione mi sembra completamente sbagliata. La pena di morte per le persone riconosciute colpevoli di avvelenamento o danneggiamento di altri aveva l'aspetto di una risposta razionale della società a una minaccia che, all'epoca, sembrava reale e documentata. Durante il XVI e il XVII secolo, la scienza aveva poco o nulla da dire sulla possibilità o meno di avvelenare le persone usando miscele di erbe o altri metodi.

Come dice Chuck Pezeshky, "la verità è la rappresentazione affidabile e valida delle informazioni che consente il coordinamento condiviso dell'azione all'interno di un social network". In alcuni casi, questa rappresentazione sociale coincide con la visione scientifica, ma questa non è la regola e non è nemmeno una cosa comune.  

Scovare le streghe non era soltanto il lavoro degli inquisitori. Dal libro di Trevor-Roper "The European Witch-Craze" (1991) potete capire quanto l'idea della minaccia delle streghe fosse diffusa a tutti i livelli della società. E di quanto intensamente si credesse che eliminare le streghe fosse un dovere sociale, una cosa che tutti dovevano fare per il bene di tutti gli altri. Un leader che non si impegnava nella caccia alle streghe non era considerato un buon leader. In certe regioni, esprimere dubbi sulla bontà dell'idea di sterminare le streghe poteva essere pericoloso per chi lo faceva.

Se la verità è un concetto sociale, allora dobbiamo comprendere la caccia alle streghe in un contesto sociale, nella forma delle entità che chiamiamo memi. Cosa fa vivere e morire i memi? Charles MacKay ci dà un suggerimento interessante quando dice: “Gli uomini, è stato detto, pensano in branchi; si vedrà che impazziscono in branchi, mentre recuperano i sensi solo lentamente, e uno per uno. "  

Come ho detto, MacKay è stato un grande innovatore e questa frase, di per sé, è un'affermazione corretta di come i meme si propagano. Si comportano esattamente come gli agenti patogeni fisici in un'epidemia: sei infettato dagli altri ma ti riprendi da solo. 

In effetti le infezioni memetiche possono essere descritte dalle stesse equazioni utilizzate in epidemiologia, come abbiamo mostrato in un articolo del 2018 insieme alle mie colleghe Ilaria Perissi e Sara Falsini. Le epidemie sono il risultato di feedback interni che, a loro volta, sono il risultato della struttura di rete del sistema. Questa struttura genera i tipici cicli "a campana". I processi di stregoneria sono probabilmente il primo caso storico di un ciclo memetico per il quale disponiamo di dati quantitativi (dati di Leeson e Ross, 2018 (1))). La curva a campana è chiaramente visibile.

Il modello ci dice che la diffusione di un'epidemia memetica è un fenomeno collettivo dovuto al fatto che le persone vengono infettate da altri. Al contrario, l'epidemia diminuisce perché le persone diventano individualmente "immuni" al meme. Il concetto di "immunità di gregge" vale non solo per le epidemie fisiche, ma anche per quelle virtuali. È ciò che alla fine rende la società resistente a questi memi assassini.

C'è un punto ancora più fondamentale sul declino dei meme killer, ben espresso da Trevor-Roper:

Intellettuali e funzionari di terzo grado hanno iniziato a dire che la mania era ingiusta e irrazionale. E quello che hanno detto è stato dato per scontato. Poi è arrivata l'intellighenzia, che ha mostrato che ciò che era stato detto per due secoli era sbagliato a causa di alcuni piccoli dettagli nell'interpretazione delle scritture. E quella fu la fine del processo.

Questa affermazione segna una differenza tra epidemie fisiche e memetiche. Un'epidemia fisica non si preoccupa troppo delle gerarchie umane. Un re può morire di peste proprio come qualsiasi cittadino comune. Ma, in un social network, la propagazione dei meme è influenzata dalla struttura gerarchica: le persone tendono a fidarsi delle autorità. Trevor-Roper ha identificato una verità profonda con la sua dichiarazione: la caccia alle streghe declinò perché la gente comune ("intellettuali e funzionari di terzo grado") iniziò a rendersi conto che il meme era malvagio e che loro (o le loro mogli, sorelle o madri) rischiavano di essere bruciate sul rogo. Quindi cessarono di dar retta ai loro leader e combatterono il meme.

Sembra che se vogliamo fermare i memi malefici, dobbiamo farlo partendo dal basso. Non possiamo riporre troppa speranza in leggi, tribunali, trattati e nobili principi: sono tutti sotto il controllo delle élite e possono essere piegati, trasmogrificati o ignorati. Ma la guerra memetica viene combattuta a tutti i livelli del social network. Le persone comuni possono rimanere stordite per un po' dal trattamento "Shock and Awe" che ricevono, ma a lungo andare capiscono. Non possiamo aspettarci di essere in grado di fermare il male rapidamente, ma un meme malvagio non può durare a lungo quando persone oneste si uniscono per combatterlo. Se la storia è una guida, il male è sorprendentemente fragile.


An meiner Wand hängt ein Japanisches Holzwerk
Maske eines bösen Dämons, bemalt mit Goldlack.
Mitfühlend sehe ich
Die geschwollenen Stirnadern, andeutend
Wie anstrengend es ist, böse zu sein.

Sulla mia parete è appesa una scultura giapponese,
La maschera di un demone malvagio, decorata con lacca dorata.
Con simpatia osservo
le vene gonfie della fronte, indicando
che fatica è essere malvagi.

 Bertolt Brecht 

 

lunedì 10 maggio 2021

Lunga vita per "Medioevo elettrico"


 

 

 Un post di Fabio Vomiero

 

Personalmente concordo molto con la raccomandazione fatta dal prof. Bardi ai lettori/commentatori del suo blog "Medioevo elettrico", un sito molto interessante e peraltro, proprio di recente, rinnovato nel titolo e nelle intenzioni.

E' abbastanza chiaro, infatti, come la collocazione di un blog come questo nel panorama informativo generale non passi soltanto dall'eventuale spessore culturale degli articoli proposti, ma anche, inevitabilmente, dalla qualità degli interventi e delle discussioni che seguono generalmente il post, i quali, più di ogni altra cosa, testimoniano in qualche modo il target di pubblico che l'articolo proposto è riuscito a intercettare.

Sì, perchè ogni tipo di comunicazione non dovrebbe mai essere fine a sè stessa, ma, se fatta consapevolmente, dovrebbe avere sempre lo scopo di raggiungere, nel miglior modo possibile, un certo destinatario, che in questo caso è rappresentato da una certa tipologia di pubblico. Ci si potrebbe per esempio anche rivolgere ad un illusorio "tutti", con il rischio però alla fine di non riuscire a raggiungere paradossalmente nessuno, oppure, come penso sia il caso di "Medioevo elettrico" si possa invece avere in testa veramente una progettualità consapevole, legata sia alla proposta, che al target di pubblico che si vorrebbe tentare di coinvolgere.

Ebbene, il prof. Bardi, nelle sue note, prova chiaramente a definire quale possa essere la linea editoriale del suo blog. Si vuole proporre un taglio che abbia certamente delle velleità di tipo scientifico, o tutt'al più filosofico-scientifico, visto che poi scienza e filosofia non sono per niente delle discipline così estranee tra di loro. E questo è perfettamente condivisibile in quanto la formazione e il background scientifico del prof. Bardi, nonchè le sue spiccate doti comunicative, conducono naturalmente a questo tipo di impostazione, immagino.

Pertanto, appare chiaro come una proposta di questo tipo miri prevalentemente ad un pubblico che, come minimo, nutra almeno un certo interesse e una certa simpatia nei confronti della scienza e soprattutto sposi e condivida, di conseguenza, un certo modo di pensare, di ragionare e di proporsi.

Purtroppo la situazione socio-culturale dominante in questo Paese non è esattamente questa, e credo sia giusto ribadirlo. Forse producono più click e visualizzazioni certi siti di fatto inutili, quando non addirittura dannosi, che parlano magari sfacciatamente di credenze comuni e di complotti, e che mirano a colpire quella parte animalesca di noi che reagisce d'istinto sentendosi minacciata da ogni sorta di presunta provocazione. Basti guardare ai contenuti di Facebook, per esempio, quel grande contenitore olistico dove, simultaneamente, può essere vero tutto ma pure il suo contrario, e dove se pubblichi un pseudoarticolo sulle scie chimiche ricevi centinaia di "mi piace", mentre se pubblichi un articolo raffinato di "Medioevo elettrico", non lo legge nessuno. Troppo serio, troppo impegnativo... Non ho voglia di pensare, non ho tempo di approfondire...

Quindi certo, il prof Bardi ha tutto il mio appoggio se intende sposare una linea editoriale di una certa qualità scientifica dove, per principio logico, non possa affatto essere vero tutto e pure il suo contrario e dove si cerchi veramente, con la saggia consapevolezza di chi non intende diffondere Verità Assolute, ma piuttosto prospettive di conoscenza, di raccontare fatti e non fattoidi, di cui siamo già abbondantemente circondati. Sarebbe bello che su "Medioevo elettrico" si aggiungessero anche altri commentatori esperti e competenti che apprezzino l'offerta e che abbiano voglia di cogliere gli assist intellettuali per contribuire a portare avanti delle discussioni serie di approfondimento, in cui tutti abbiano la possibilità di confrontarsi costruttivamente e di imparare sempre qualcosa di nuovo.

Guardate che non è facile trovare spazi di opportunità di questo tipo.

Ma la comunicazione scientifica, altrimenti chiamata anche e orribilmente "divulgazione", ha però, per sua natura, regole e identità ben precise, l'abbiamo accennato appena sopra. Una di queste riguarda proprio la discussione, a me piace chiamarla "Igiene della discussione". Se si parla di A, si discuta di A e magari della frontiera di A, probabilmente di Z e di B, ma non certo del numero 4, se non c'entra proprio niente.

Quindi, regola numero uno: pertinenza e rilevanza.

Penso che alla fine, escludendo il problema trasversale dell'educazione, che nemmeno voglio nominare, il prof. Bardi intendesse riferirsi proprio a questo.

 

sabato 8 maggio 2021

NOTA PER I COMMENTATORI DEL BLOG "MEDIOEVO ELETTRICO"

 


Una raccomandazione da UB

Lo spazio per i commenti di questo blog raggiunge mediamente poche centinaia di persone, ma è comunque uno spazio pubblico, accessibile a tutti quelli che passano da queste parti. E ho avuto commenti privati da parte di persone che mi dicevano che non è serio che un blog con qualche velleità scientifica accetti dei commenti come quelli che arrivano ogni tanto. Non mi è parso che avessero torto.

Non si pretende che i commenti siano tutti al livello degli articoli revisionati delle riviste scientifiche, ma un pochino di attenzione prima di sparare a caso senza pensarci troppo si potrebbe anche richiedere. Va bene nei social, dove la gente si sbraca come vuole a dire le peggio fesserie, ma a me piacerebbe che questo blog mantenesse uno standard un tantinello più elevato. 

Ci sono e continuano ad arrivare, per la verità, alcuni commenti interessanti e ragionati, ma nella media siamo messi maluccio. A parte quelli i razzisti e offensivi, ne ho cancellato non pochi che mi parevano semplicemente ripetitivi, inutili, non informati, e in generale poco interessanti. 

Vi dico onestamente che sono stato tentato dall'idea di chiudere semplicemente la sezione dei commenti del blog, ma per ora la lascio aperta. Se vi sembra di avere qualcosa da dire che è interessante anche per altre persone, mandatemelo in forma di un post da pubblicare. Non vi garantisco la pubblicazione, ma sicuramente di leggerlo criticamente e di pubblicarlo se lo merita. Altrimenti, per favore, non scrivete semplicemente quello che vi passa per la testa in quel momento. 

Allora, grazie per l'attenzione e vediamo di continuare. 


UB

mercoledì 5 maggio 2021

Idrogeno: I Veicoli Elettrici Sono Molto più Efficienti


Vi passo qui di seguito (cortesia di Veronica Aneris) l' "Executive Summary" del recente rapporto di "Transport and Environment" a proposito dell'idrogeno come combustibile per veicoli stradali. La conclusione è ed era scontata: l'idrogeno semplicemente non è comparabile con le batterie, specialmente in vista della transizione verso le rinnovabili. Tuttavia, sembra che anche le cose scontate debbano essere spiegate ai nostri decisori politici. Quindi ecco il riassunto, per il rapporto completo, questo è il link. .




Executive Summary

Quale deve essere il ruolo dell’idrogeno nel futuro del trasporto su strada? Sempre più frequentemente ne sentiamo parlare come soluzione strategica per la decarbonizzazione del settore. L’attenzione al tema si è intensificata notevolmente negli ultimi mesi in seno al dibattito sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Tuttavia, malgrado la centralità che gli viene conferita, i limiti dell’utilizzo dell’idrogeno come soluzione per decarbonizzare il trasporto su strada sono molteplici e noti da tempo.

Primo fra tutti l’efficienza energetica, che nel caso dei veicoli a idrogeno a celle combustibili è meno della metà rispetto agli elettrici a batteria. L’idea di utilizzare l’idrogeno come vettore energetico non è nuova. L’enfasi nei confronti dell’“economia basata sull’idrogeno” risale all’ottimismo degli anni ‘50 quando l’energia nucleare aveva fatto nascere il sogno - mai divenuto realtà - di un'energia abbondante e a basso costo. Un secondo - temporaneo - picco di interesse nei confronti di questa tecnologia si è manifestato con l'avvento delle energie rinnovabili nei primi anni del 21esimo secolo. Quello che ha sempre tagliato le gambe all’idrogeno è stata la bassa efficienza associata al processo di produzione, distribuzione ed utilizzo.

Oggi la presa di coscienza politica nei confronti della crisi climatica in atto e la necessità di decarbonizzare l’economia in tempi brevi ha generato un nuovo ritorno di interesse nei confronti di questa tecnologia. Di fatto l’idrogeno verde, prodotto al 100% da fonti rinnovabili, può rappresentare una soluzione importante nel complesso puzzle delle differenti tecnologie che si renderanno necessarie per raggiungere l’obiettivo europeo di zero emissioni nette al 2050. Se da un lato il tallone d’Achille dell’idrogeno - la sua bassa efficienza - resta uno dei limiti principali al suo sviluppo, dall’altro l'imprescindibilità dell’obiettivo di decarbonizzazione potrebbe giustificarne l’utilizzo in quei settori dove non esistono alternative migliori, più efficienti e meno costose, come ad esempio i settori hard-to-abate o l’aviazione.

L’impellenza di effettuare rapidamente la transizione ad un’economia climaticamente neutrale ha però messo in campo una nuova sfida di portata considerevole: il dispiegamento in tempi brevi di grandi quantità di energia rinnovabile. Questo obiettivo è particolarmente sfidante per il nostro paese, per il quale la velocità di installazione di rinnovabili è largamente inferiore a quella necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici 2030 e 2050. L’attuale frazione di energia rinnovabile prodotta è troppo piccola e troppo preziosa perché si possa pensare di sprecarne oltre la metà in processi inefficienti quando vi sono alternative migliori. Se l’impegno dei governi a raggiungere la neutralità climatica è serio, l’efficienza energetica non può certo essere un’opzione e va messa al primo posto. Il criterio alla base della scelta di qualsiasi percorso di decarbonizzazione deve essere quello di favorire - ove possibile - l’impiego di tecnologie a maggior rendimento, minimizzando la necessità di energie rinnovabili addizionali necessarie per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette.

Per il trasporto su strada, che nel frattempo ha visto l’affermazione della mobilità elettrica, largamente più efficiente, meno costosa e già tecnologicamente matura per molti segmenti, l’utilizzo dell’idrogeno non è giustificabile, se non in applicazioni di nicchia, né lo è lo spazio che esso occupa nel dibattito politico attuale italiano sulla transizione energetica. Non a caso alcuni emeriti esponenti della comunità scientifica italiana hanno definito “follia energetica” l’attenzione dedicata all’idrogeno nella definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per tutti quei settori che non siano specificatamente nautica, aeronautica e grandi produzioni industriali (Energia per l’Italia, 2021).

Molte sono inoltre le questioni che ruotano intorno al tipo di idrogeno utilizzato, i costi di produzione e trasporto, e la prontezza commerciale dei veicoli. Questo briefing ha l’obiettivo di fornire alcune informazioni di base rispetto all'attuale catena di produzione, trasporto e distribuzione dell'idrogeno, lo stato dell’arte del mercato e l’eventuale ruolo che può giocare nella decarbonizzazione del trasporto terrestre.

La lettura dei documenti, dei progetti, delle esperienze e della letteratura tecnica e scientifica relativa alle applicazioni dell’idrogeno, quale vettore e stoccaggio energetico, nel settore dei trasporti terrestri, dimostra che non costituisce una strada percorribile e utile per la decarbonizzazione del settore. Anzi, nel caso di competizione tra risorse scarse, è di ostacolo ad altre alternative ambientalmente ed economicamente preferibili, come l’elettrificazione.

Per i veicoli leggeri la risposta alla decarbonizzazione è rappresentata dalla tecnologia elettrica a batteria e in questo senso il mercato ha già deciso. Per i veicoli pesanti, le economie di scala associate al rapido sviluppo del mercato delle auto elettriche amplificano il business case per i camion a batteria e sempre più numerosi sono gli annunci dei produttori di camion sulla messa in produzione di serie di autocarri elettrici, mentre i camion a idrogeno sono ancora in fase prototipale e bisognerà attendere almeno il 2026 per vederne la messa in produzione di serie in Europa.

Per il trasporto merci di lungo raggio (>500km) non è ancora chiaro se la mobilità elettrica sarà in grado di avere tutti i requisiti necessari per sopperire alle esigenze della logistica merci in termini di autonomia e tempi di ricarica. Ma il buon senso da un lato e lo stato dell’arte attuale della tecnologia e del mercato dall’altro indicano che il ruolo dell’idrogeno nella decarbonizzazione del trasporto su strada, se mai ne avrà uno, resterà limitato ad applicazioni di nicchia (decine di migliaia di mezzi, rispetto a milioni). Per queste ragioni è opportuno sviluppare ricerche e sperimentazioni, ma non accettabile lo sviluppo di progetti industriali, come per altro emerge con evidenza dai pochi progetti concreti tra le proposte del PNRR.


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