venerdì 21 agosto 2015

mercoledì 19 agosto 2015

Il Ritorno Energetico dell'Energia Investita.


Il concetto di "Ritorno Energetico" (EROI o EROEI), proposto per la prima volta da Charles Hall nel 1986, ha avuto un notevole successo. Oggi, forma la base di una visione del mondo che considera la disponibilità di risorse naturali, e minerali in particolare, come il fattore critico della nostra esistenza. Non tutti hanno capito il concetto che la graduale diminuzione del ritorno energetico ottenuto dai combustibili fossili è quello che sta creando tutto il disastro che ci vediamo intorno, anche se, va detto, il sistema finanziario e l'idiozia dei nostri politici ci stanno mettendo del loro per peggiorare. 

In questo post, Dario Beruto, ingegnere chimico e ex docente all'Università di Genova, riassume i punti centrali del concetto di "EROEI". Questo articolo è stato pubblicato in Luglio dalla rivista genovese "Il Gallo" ed è riprodotto qui con il permesso dell'autore







Guest post di Dario Beruto


IL RITORNO ENERGETICO DELLA ENERGIA INVESTITA

Voci fuori dal coro.


Enzo Tiezzi ( 1938-2010) fu docente di Chimica Fisica presso l’Università di Siena, e con il suo libro “ Tempi Storici, Tempi Biologici” ( ed. Garzanti 1984), ha illustrato , in modo molto convincente, in cosa consiste “ il gap dei tempi”. Mentre i ritmi dell’evoluzione naturale sono molto lenti, quelli della tecnologia e/o delle tecnologie che utilizziamo per trasformare e riciclare materiali, energia e informazione avvengono a una velocità tale da turbare lo stato di equilibrio metastabile che il nostro Pianeta ha conseguito attraverso processi evolutivi iniziati 14.000 milioni di anni fa.

La situazione di disagio che si è generata ai nostri giorni è stigmatizzata dalle variazioni globali e regionali che il clima del pianeta presenta , dall’avanzare della desertificazione, dal depauperamento delle risorse , dalla deforestazione dei polmoni della terra e da un lungo elenco di altri guai tutti riconducibili alle attività umane. Il nostro Pianeta è dotato di sistemi di recupero notevoli . Quando in passato ha subito catastrofi ha sempre avuto il tempo di risollevarsi, ma oggi l’aggressione o l’ “impronta” che gli uomini lasciano è tale che la Terra non ha il tempo di recuperare

Per coloro che sono interessati a qualche cifra , la rivista “Science” , nel giugno del 2014, ha pubblicato un allarmante paragone tra l’impronta attuale e quella massima sostenibile dal Pianeta. Immettiamo circa il 120% in più di gas serra, la desertificazione avanza con ritmi che sono del 50% superiori di quelli consentiti, consumiamo il 40% in più delle risorse che ci sono consentite, e le scorte di acqua sono minacciate. Certamente questi non sono dati sperimentali, risentono delle ipotesi che si sono fatte per risolvere i sistemi di equazioni su cui i modelli si basano, i rilievi statistici possono indurre in errore, ma , anche tenendo conto di tutto ciò, illustrano le linee di tendenza che ci dovrebbero indurre a qualche riflessione..

Dove è andato a finire l’ammonimento di Tiezzi che non si è mai stancato di segnalare come non possa esistere una crescita infinita su un pianeta finito?

Cosa è il ritorno energetico della energia investita?

Nella Enciclopedia libera Wikipedia alla voce ritorno energetico dell’energia investita si può leggere : “ un coefficiente che esprime il rapporto tra l’ energia che si ricava da una fonte di energia da sfruttare e l’energia che si investe per ottenerla”.
.L’acronimo inglese di tale concetto è EROEI, se è minore dell’unità significa che c’è stata una perdita, se è maggiore di uno c’è stato un guadagno. Un parametro che è molto semplice da capire, ma che può rivelare aspetti ignoti ai più quando si procede al suo calcolo. Ugo Bardi, chimico fisico all’Università di Firenze e membro della sezione italiana della associazione internazionale per lo studio del picco del petrolio e del gas (ASPO), ha discusso, da competente , il concetto di EROEI nella sua nota la “ La banca dell’Energia” , apparsa in rete dal 2005 e utile anche per coloro che non sono addetti ai lavori. Ho conosciuto Ugo Bardi negli Stati Uniti presso l’Università della California di Berkeley, quando tutti e due, ricercatori per la disciplina Scienza dei Materiali, si lavorava rispettivamente sulla Chimica Fisica delle Superfici e sulle Reazioni Gas-Solido alle Elevate Temperature. In questi settori si condivide il linguaggio della Termodinamica. Con piacere ho visto che su questo retroterra il Bardi affronta oggi le problematiche delle Risorse, della Economia e dell’Ambiente , in ciò seguendo la via indicata da Tiezzi.
Bardi coglie il segno quando definisce EROEI un coefficiente tecnologico-economico. Infatti per valutare l’energia investita per sfruttare una certa fonte di energia non si incontrano solo problemi scientifici e tecnologici , ma anche esigenze , economiche, finanziarie, politiche e sociali, che premono in un senso o nell’altro. Di questa “ giungla dell’economia reale, delle distorsioni del mercato dovute ad interventi finanziari non trasparenti”, dice il Bardi , bisogna tenere conto per valutare criticamente i valori finali di EROEI , ma , allo stesso tempo, egli sottolinea come “ la misura dell’EROEI sia la vera pietra di paragone per confrontare le diverse tecnologie energetiche. Infatti questo coefficiente è strettamente legato al principio di conservazione della energia.
Condivido questo richiamo alla termodinamica e, proprio per questo, desidero riflettere sul valore di EROEI quando , al di fuori della “ giungla ” degli interessi umani , si considerano i fenomeni di sopravvivenza in natura. Ciò mi ha spinto a rivisitare e a rileggere un caso molto noto , studiato da grandi esperti di biologia evolutiva.

I Passeri di Darwin.
Jonathan Weiner nel suo affascinate libro , “The beak of the Finch” ( Il becco dei Passeri, Vintage books, 1994) ,descrive , da par suo , l’esperienza di due scienziati Peter e Rosemary Grant,che hanno passato venti anni della loro attività collezionando dati sulle caratteristiche morfologiche e sul metabolismo di colonie di passeri che vivevano, in isolamento, sulla poco ospitale isola di Daphne dell’arcipelago delle Galapogos. I dati raccolti venivano catalogati e poi spediti alla Università di Pricenton dove erano elaborati. Non è esagerato dire che dopo vent’anni i ricercatori conoscevano ogni singolo passero della colonia , i suoi periodi riproduttivi e le loro attività per procurarsi il cibo. Questa precisa e metodologica osservazione ha consentito di misurare tutte le minime variazioni che avvenivano nella loro morfologia e nel loro metabolismo. Misuravano il loro becco, le ali, la coda, il peso, il loro sangue e su queste basi ottenevano dati per capire gli elementi chiave della forza più stupefacente che opera in natura : la selezione naturale. Le scoperte dei Grant e collaboratori sono, ancora oggi, una pietra di paragone per capire la biologia evolutiva di questi uccelli. In particolare i Grant hanno illustrato la stretta correlazione che esiste tra la variabilità dei passeri e quella delle piante e del territorio da essi visitato.

Tra i risultati che più mi hanno colpito vi sono i dati collezionati quando il clima si faceva più ostile, mancava l’acqua e la competizione per la sopravvivenza diventava una questione di vita o di morte. In queste estreme condizioni i Grants hanno visto che la sopravvivenza dipendeva dalla efficienza con cui i passeri riuscivano a procurasi il cibo. Hanno così verificato il bilancio tra l’energia che i passeri investivano per la ricerca del cibo e l’energia che ottenevano da questo.

Brillante è stato il modo con cui hanno fatto tale calcolo. Conoscendo passeri e territorio nei minimi particolari , hanno contato il numero di semi mangiati dai passeri in un anno ; poi hanno calcolato l’energia necessaria per rompere questi semi in base alla loro durezza, grandezza e posizioni sul terreno e infine hanno misurato l’energia che si estraeva da tali semi. In questo modo hanno verificato che i passeri che superavano la stagione erano quelli dotati di caratteristiche morfologiche tali che se mangiavano ad esempio 20 semi, spendevano l’ energia corrispondente a 19.
Vita e morte si giocavano la partita nell’intervallo di un seme in più o un seme in meno!! Per conseguire questo traguardo un ruolo cruciale lo avevano quelle minime diversità misurate. Se un passero aveva il becco di 11 mm era facilitato nel recupero dei semi, se lo aveva di 10.5 mm, era svantaggiato. Risultato il primo passava il turno, il secondo no. .
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Leggendo questo esperimento con gli occhiali della termodinamica è facile rendersi conto che il valore critico di EROEI , in queste condizioni estreme e isolate , è quello unitario. Ogni insieme , formato da un certo numero di semi con una certa durezza, grandezza e localizzazione sul terreno, è una fonte di energia . Ci sono diverse fonti di energia, come ci sono diverse caratteristiche morfologiche per i passeri. I valori di EROEI marginalmente superiori alla unità indicano il gruppo di passeri che sopravvivono , quelli inferiori a uno indicano il gruppo che sparisce. La selezione naturale dunque opera in conformità al principio di conservazione della energia , e , in questo caso, l’indice di EROEI ruota intorno a 1.


L’ indice EROEI per le fonti di energia non rinnovabili e rinnovabili
Sulla base dei dati forniti da Bardi si possono confrontare i valori dell’indice di EROEI per le tecnologie relative alle fonti rinnovabili ( FR) con le tecnologie relative a quelle non rinnovabili (FNR) .Per le FR i dati sono compresi tra 50-250 per l’energia idroelettrica , tra 5-80 per quella eolica , tra 25 e 80 per il Fotovoltaico a film sottile e tra 4 e 9 il Fotovoltaico convenzionale che utilizza silicio 4-9. Per le FNR l’indice varia tra 50 e 100 per il petrolio negli anni sino al 1970, tra 5 e 10 per il petrolio ai nostri giorni, tra 5 e 100 per il nucleare , tra il 2 e 17 per il carbone , tra il 5 e il 6 per il gas naturale. Una valutazione tra il 5 e il 27 viene poi fatta per le biomasse
E’ interessare notare che questi EROEI sono tutti ampiamente superiori al valore unitario. Come l’esempio dei passeri ha illustrato il valore unitario è stato ottenuto per un sistema chiuso ove si realizzavano condizioni di vita estreme. Quando il sistema diventa aperto , cioè i flussi netti di energia, materia e informazioni che lo attraversano non sono nulli, il calcolo del rapporto tra energia ricavata e energia investita diventa più complicato. Infatti le variabili in gioco aumentano e le possibilità di retroazioni positive o negative possono avere effetti non prevedibili.
In questo quadro , per semplici uditori interessati a informazioni che aiutino ad avere più consapevolezza su ciò che ci circonda , mi sembra importante rilevare l’ampiezza della forbice in cui tali dati sono compresi. Infatti la forbice fornisce una prima valutazione del grado di incertezza che oggi circonda questi temi.
Adottando questo criterio, le tecnologie relative alle fonti di energia rinnovabile hanno una forbice di gran lunga più elevata di quella delle tecnologie delle fonti tradizionali . Pertanto una strategia ragionevole potrebbe essere quella di ridurre il grado di incertezza che oggi esiste per le fonti rinnovabili.

Verso una rete delle eco-energie per ridurre il loro grado di incertezza?
Questa domanda se la pongono molte persone che sono consapevoli dei rischi che le tecnologie basate sulla combustione del petrolio, del carbone e di gas come il metano e quelle sull’impiego del nucleare ,hanno causato al clima e all’ambiente del Pianeta. Produrre energia elettrica con fonti non rinnovabili appare un passo giusto verso quello che non pochi esperti definiscono come un futuro energetico “verde” . Un futuro che dovrebbe evitare o limitare l’innalzamento della temperatura del Pianeta e i conseguenti apocalittici scenari.
Ma per fare questo passo, la riduzione del grado di incertezza che oggi accompagna l’utilizzo delle eco-energie è uno stadio decisivo. Uno dei motivi che causa questa incertezza è la fragilità delle eco-energie nei confronti della variabilità del clima nelle varie regioni del Pianeta. Per quanto riguarda il nostro continente, si osserva che quando il clima è avverso in un posto, potrebbe essere favorevole in un altro. Pertanto l’incertezza sul funzionamento di un produttore locale a causa della variabilità del clima , potrebbe essere ovviato se questo produttore fosse connesso con una rete elettrica unica , che attraversa tutta l’Europa e che è alimentata da tutte le sue eco-energie. In questo modo se una sorgente locale entrasse in crisi , la fornitura di energia elettrica a quel paese potrebbe essere garantita dalla energia elettrica , prodotta in un altro paese e circolante sulla rete unica a cui tutti possono dare e ricevere. Così facendo ogni paese può avere una quota di eco-energia stabile per tutto l’anno indipendentemente dalla variabilità climatica. Un progetto attraente, che nel 2010 ha mosso un primo passo, è stato concordato tra i paesi della Europa del Nord. Ad esso ne dovrebbe seguire un altro da parte del Sud e le due reti fornirebbero all’Europa una buona fetta di eco-energia con vantaggi tali da compensare i costi per la costruzione di queste reti. . .
Se l’iniziativa procedesse essa sarebbe certamente un passo nella direzione giusta , se si vogliono limitare i danni , che la combustione delle fonti di energia tradizionale causa , come non trascurabile effetto collaterale per la sua attuale produzione di energia elettrica , al clima del Pianeta. In ogni caso il fatto che le strutture della Unione Europea siano coinvolte direttamente è segno di una sensibilità a lavorare insieme superando, almeno su questo tema , egoismi e reciproche diffidenze.
Nel 1932, mio padre , un tecnico frigorista, era imbarcato sull’incrociatore Garibaldi , per svolgere il suo servizio militare nelle acque del Mar Rosso. Una volta ,durante una sosta in porto, parlò con un pescatore che ogni giorno si recava alla spiaggia vicina per pescare la sua razione quotidiana di pesce, Mio padre provò a dirgli che se avesse avuto a disposizione una ghiacciaia o un frigorifero avrebbe potuto fare una scorta maggiore di cibo per lui, per la famiglia e per il villaggio. Il pescatore sorrise, lo guardò e disse: “ ..no buono perché nel mare ci sono sempre pesci ed io posso pescarli quando voglio..”.
Quello che mi colpisce oggi, di questa testimonianza raccolta da mio padre, non è tanto il rifiuto della tecnologia, ma la serenità di quel pescatore che aveva fede nel mare. Una risorsa che conteneva sempre tanti pesci , che il pescatore coglieva con il suo lavoro , per mettere in tavola, ogni giorno e senza ansie, il cibo quotidiano . Sarà questo il valore aggiunto che si potrà avere dal credere possibile una rete unica di tutte le eco-energie ?


( dario beruto)












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lunedì 17 agosto 2015

Un nuovo studio dice che anche 2°C di riscaldamento sono 'altamente pericolosi'

Da “Inside Climate News”. Traduzione di MR (via Michael Mann). 

James Hansen e 16 altri mirano a fare pressione sui colloqui di Parigi in direzione di forti risultati con un nuovo saggio pubblicato prima del peer-review. 

James Hansen, ex capo dell'Istituto Goddard per gli Studi Spaziali della NASA
e conosciuto come il “padre del riscaldamento globale”, parla ad una
manifestazione per il cambiamento climatico a Washington D.C..
Hansen, insieme ad altri 16 scienziati, pubblicherà un saggio questa settimana
che afferma che la minaccia del riscaldamento globale
è di gran lunga maggiore di quanto chiunque abbia sospettato.
Foto: Focus the Nation, flickr
Quando i leader mondiali si incontreranno a Parigi il prossimo dicembre per accordarsi su un nuovo trattato internazionale sul cambiamento climatico, il loro obbiettivo sarà quello di mantenere il riscaldamento atmosferico al di sotto dei 2°C, il punto dopo il quale il cambiamento climatico catastrofico sarà pressoché inevitabile, come dicono gli scienziati. Ma un nuovo studio pubblicato questa settimana da una squadra di 17 importanti scienziati del clima internazionali avverte che anche 2°C di riscaldamento sono “altamente pericolosi” e potrebbero causare un aumento del livello del mare “di almeno diversi metri” in questo secolo, rendendo gran parte delle città costiere del mondo inabitabili. “Il costo sociale ed economico della perdita di funzionalità delle città costiere è praticamente incalcolabile”, scrivono gli autori. “Non è difficile immaginare che i conflitti che emergono dalle migrazioni forzate e dal collasso economico potrebbero rendere ingovernabile il pianeta, minacciando il tessuto della civiltà”.

sabato 15 agosto 2015

Buon Ferragosto a tutti con un piccolo sfogo di Ugo Bardi


Un'immagine della "nuova normalità". A Firenze, un negozio cerca di difendersi dall'ondata di calore bestiale di questa estate montando alla meglio un condizionatore d'aria, senza preoccuparsi del fatto che sta sparando aria calda nella strada, proprio addosso ai turisti sudati e accaldati. 



Buon Ferragosto a tutti! Qui a Firenze le previsioni danno pioggia per oggi e per domani; l'estate non è ancora finita, ma sembra che ormai abbiamo passato il peggio. Ce la siamo cavata, nel complesso, con danni limitati: calura asfissiante per oltre un mese, ma intervallata da qualche pioggia per cui il problema degli incendi non è stato così grave come avrebbe potuto essere. Ora possiamo sperare di arrivare a Settembre senza ulteriori grossi guai, perlomeno in termini di temperature.

Certo è, comunque, che quest'Estate abbiamo avuto una buon assaggio della "nuova normalità" che ci sta portanto il cambiamento climatico. A parte il calore brutale, i disastri causati dal maltempo sono stati spettacolari. Vi dirò che non avevo mai visto con i miei occhi una casa col tetto scoperchiato dal vento. L'avevo visto solo in TV, e soprattutto case americane, di quelle tutte in legno che sembrano quelle dei tre porcellini e il lupo cattivo. Vedere delle case di Firenze con i tetti completamente demoliti e scaraventati in cortile, beh, è stato abbastanza impressionante.

Tanto è stato lo shock di queste cose che in televisione qualcuno ha menzionato il "cambiamento climatico". Fortuna che hanno trovato subito qualche "esperto" che ha tranquillizzato tutti dicendo che sono normali temporali estivi.

A parte la timida, e subito rintuzzata, intrusione della realtà sullo schermo TV, il paese continua a vivere una fase che oserei chiamare "Alzheimer politico". Ovvero, uno stato in cui il paziente continua a ripetere le stesse cose in continuazione; senza reagire agli stimoli esterni. Così, ci ricordiamo vagamente che è esistito un tempo di crescita economica nel passato e ci sembra che non esista niente altro che quel tempo come oggetto di tutti i desideri.

Questa catatonia politica che ci affligge non è colpa di particolari forze politiche. Tutti i volti che vediamo in TV sono un po' come la "stanza degli specchi" che c'era una volta nei luna park. Specchi deformanti che ti fanno più alto o più basso, più grasso o più magro, diritto o storto, ma sei sempre tu. Così, i politici attuali sono uno specchio solo leggermente deformato della società che li produce. Siamo noi: siamo privi di idee, aggressivi, disorientati, privi di punti di riferimento, ci attacchiamo a insultare questo o quello per non avere niente di meglio che riusciamo a pensare.

Su questo, c'è un post molto interessante di John Michael Greer (L' "arcidruido") intitolato, correttamente, "la guerra contro il cambiamento" Greer sostiene che la distinzione fra "progressisti" e "conservatori" consiste ormai soltanto nel fatto che i progressisti sono diventati conservatori, nel senso che si oppongono a ogni e qualsivoglia cambiamento, mentre i conservatori accettano qualche cambiamento, purché sia nel senso di peggiorare le cose.

Direi che la cosa si applica perfettamente alla situazione italiana, con la cosiddetta "sinistra" ha in odio profondo le fonti rinnovabili e qualsiasi cambiamento nel senso di una vera sostenibilità (che non sia soltanto cosmetica), mentre la destra continua ad inneggiare a fare buchi più profondi per attingere risorse dal mare di petrolio sul quale notoriamente l'Italia galleggia. Questa idea della destra viene poi messa in pratica con entusiasmo dalla sinistra.

Ma direi anche che Greer è un po' ottimista nel senso che la paralisi mentale affligge oggi ogni forza politica. E non solo le forze politiche, è una paralisi che affligge l'intera società che non trova altro rifugio che prendersela con lo spauracchio di turno, dalla Russia di Putin alla Germania della Merkel, se non rifugiarsi nel complottismo più estremo in forme financo disdicevoli per la dignità umana, tipo scie chimiche o imminente era glaciale.

Bene, scusate questo piccolo "rant" da parte mia - un termine traducibile come "sfogo" oppure "togliersi i sassolini dalla scarpa". Ma, veramente, l'inerzia che abbiamo di fronte davanti ai cambiamenti che ci stanno arrivando addosso è impressionante C'è qualche speranza di dare una smossa alla società? Difficile dirlo; di certo il 2016 sarà più caldo del 2015 e il 2017 sarà ancora peggiore, ma si troveranno sempre esperti che vanno in TV che dicono che è tutto normale.


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Nota: in realtà questo 2015 ha visto un cambiamento epocale di visione e di interpretazione: l'enciclica "Laudato si" del Papa. Impressionante che sia arrivata dallo spauracchio principale dell'incartapecorita e ingessata "sinistra". Eppure, è dalla Chiesa di Roma - residuo di un epoca remota - che arrivano le proposte di cambiamento. Mi ricorda un po' Tonybee quando si metteva nei panni degli antichi romani e diceva "Cosa mai potrà venire di buono da Betlemme?" Eppure......



giovedì 13 agosto 2015

Shock ambientale e sua gestione politica II

Guest post di "Sergio Barile".

Come la finanza internazionale ci sterminerà tutti prima della catastrofe ecologica; ma con grande giubilo di autorazzisti e antiumani.


« Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi. » J.M. Keynes, 1933 

3 – La politica come gestione della complessità sociale (astenersi demagoghi)

C'è chi sostiene che la cultura occidentale non sia altro che un commento a Platone, e un motivo di ingombrante evidenza c'è: la particolare traiettoria culturale dell'Occidente potrebbe essere riassunta dalla dialettica tra Socrate e Trasimaco. Oggetto, la giustizia.

Per chi è poco avvezzo alla speculazione filosofica, sottolineo che l'etica getta le fondamenta dell'ordine sociale, la Costituzione che è, appunto, fonte di diritto e giustizia.

L'etica non è condivisa: c'è quella dello schiavo e quella del padrone, quella di Socrate, che poi verrà trasfigurata in quella comunemente ritenuta giudaico-cristiana, e quella che si evince dalla considerazione di Trasimaco: «la giustizia è l'utile del più forte». (Etica che troverà una sua esplicitazione e una sua "formalizzazione in via allegorica" solo nella modernità, con il più famoso dei filosofi morali gentili: Nietzsche).

L'economia, prima della sua matematizzazione ad opera dei marginalisti (1870 - 1890), è stata storicamente un ramo della filosofia morale; ovvero, nonostante ci sia un terreno epistemico comune, le diverse teorie che sviluppano i diversi modelli affondano le proprie radici nella filosofia morale.

La scienza economica, come espressione di epistème, è strumentale alla materializzazione dell'etica su cui si fonda l'ordine sociale: l'economia politica è la scienza [1che studia e regola, di fatto, i rapporti tra classi e gruppi sociali. La politica è, in primis, politica economica, e i diritti sociali sono il vero contendere che precede il conflitto per le rivendicazioni di tutte le altre specie di diritti. (Politica come sovrastruttura del potere economico)

Riassumendo: la storia della cultura occidentale trova la sua più alta espressione nelle riflessioni sulla giustizia sociale e sul conflitto distributivo. 

Ovvero nelle riflessioni politiche.

La comprensione della Politica è studio della complessità, in cui il conflitto di interessi ne limita la corretta comprensione, come il principio di indeterminazione di Heisenberg limita le possibilità sperimentali del fisico teorico. La dialettica politica si riflette nelle sue irredimibili contraddizioni a livello cognitivo.

Le risorse culturali, con buona pace degli amanti delle discussioni da bar, sono tutto.

3 – Il progresso culturale ha portato le civiltà e la politica, il progresso economico ha portato l'economia politica e la follia. 

Guarda un po', anche le moderne teorie che descrivono il conflitto distributivo possono essere dialetticamente divise in due paradigmi contrapposti: (neo)classiche, promotrici di una politica economica (neo)liberale, e keynesiane, promotrici di politiche più o meno socialiste.

Se la produzione Y è funzione del lavoro e del capitale  - ovvero Y = f(L , K) - allora, stante la logica stringente delle precedenti considerazioni, il lavoro sta a sinistra, e il capitale sta a destra (in politica economica: non necessariamente nelle parentesi o nell'Emiciclo).

Va da sé, che:

b) l'economista classico e liberale (con i vari "nei" o meno) difende gli interessi del capitale;

c) l'economista keynesiano (in particolare con il prefisso "post", di post-keynesiano), difende quelli del lavoro.

Insomma, “gli economisti” non esistono.

(Anche un “aziendalista”, o un esperto in “finanza” dovrebbe astenersi dal parlare di economia politica a titolo personale vantando il titolo di “economista” e, magari, i professionisti di macroeconomia e di economia internazionale dovrebbero prima esplicitare il loro “conflitto di interessi”)

4 – La sintesi della dialettica politica dopo le tragedie del XX secolo

Il valore che si dà al fattore lavoro è ciò che genera la dialettica nella sovrastruttura politica: le classi subalterne, che cercano emancipazione tramite il lavoro, sono rappresentate da chi promuove politiche economiche di matrice keynesiana, le classi dominanti sono rappresentate dalle forze politiche liberali che propongono la flessibilizzazione del fattore lavoro, la sua disciplina tramite agganci valutari, il liberoscambio internazionale, e il liberismo anti-interventista.

Nel '48, il popolo italiano, tramite l'Assemblea Costituente eletta a suffragio universale, ha fatto un scelta precisa: «L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro».

Lavoro come diritto e dovere: unico mezzo che contemporaneamente promuove la dignità individuale e sociale, e sostanzializza la partecipazione politica, contribuendo allo sviluppo materiale e spirituale della società. La Repubblica si impegna inderogabilmente a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l'uguaglianza sostanziale dei cittadini e limitano il pieno sviluppo della persona umana. 

L'individuo dello stato liberale lascia il passo alla persona umana individuata, non più come edonista soggetto isolato, ma come protagonista di una rete relazionale. L'identità individuale diventa inseparabile dalla comunità sociale di 
riferimento.

Il mercato non può più essere “libero”: deve essere indirizzato a fini sociali e solo l'equità distributiva può garantire la stabilità politica, sociale ed ecologica.

Keynes e Beveridge: le costituzioni moderne rigettano lo stato liberale in favore dello stato sociale.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, sull'esempio dei nostri Padri costituenti, ha adottato gli stessi fondamenti valoriali: l'inviolabilità della dignità umana da perseguire con politiche di piena occupazione.

Ottanta milioni di morti è qualcosa di inconcepibile per una persona sana di mente: «affinché non si ripeta mai più».   

Troppo a cuor leggero si straparla della "inevitabilità" di quel lager a cielo aperto chiamato Africa: e le élite pare abbiano fatto la medesima scelta per le classi subalterne occidentali. Ma il manicomio della (ex)middle-class pullola di autorazzismo antiumano... 

5 – Il mondo prima e dopo Hitler

Prima della Crisi del '29, il libero mercato e i vincoli valutari erano un dogma. 

L'austerità anche dopo.

Fig.1 Carmen Reinhart: immagine plastica della dinamica del conflitto Capitale Vs Lavoro nel mondo. 
A Keynes non diedero retta.

Le maggiori crisi debitorie della storia moderna, quella del 1929 e quella del 2008 (v. fig.1),  sono state precedute da un periodo più o meno lungo nel quale il potere d'acquisto dei lavoratori è stato stagnante, mentre la produttività media del lavoro (la quantità di prodotto per addetto) aumentava[2]: come si è risolta lo squilibrio dato dalla disuguaglianza sociale esplosa nella crisi del '29 è noto. E quella del 2008, come finirà?

D'altronde, il debito inestinguibile si può onorare solo in due modi: col fallimento e l'insolvenza, o col suicidio. Il secondo, a livello aggregato, si chiama genocidio.

I debiti con il sistema finanziario o con l'ecosistema si possono risolvere nei medesimi due modi: con l'equità sociale e una ridistribuzione del reddito, che renda sostenibile l'assetto sociale umano, ovvero i salari devono equamente aumentare con la produttività; oppure con la soppressione dei debitori. (Inutili locuste da sterminare.... porcelli che vogliono vivere al di sopra delle proprie possibilità... del pianeta)


Fig.2 Rick Wolff: immagine plastica della dinamica del conflitto Capitale Vs. Lavoro in USA.
Fig.3: Alberto Bagnai: immagine plastica della dinamica del conflitto Capitale Vs. Lavoro in Italia. 

Il neoclassico crede che l'equilibrio sia raggiunto tramite la giustizia commutativa, con al limite un sussidio minimo garantito, il keynesiano crede che la stabilità sia possibile solo tramite la giustizia sociale[3].

Il neoclassico è un offertista, il keynesiano è "mezzo" malthusiano, ovvero i modelli sono fondati sul concetto di domanda aggregata: è la domanda a generare l'offerta, non viceversa.

Questa distinzione ha fondamentali implicazioni ad iniziare, nel paradigma keynesiano, dal fatto che a livello di polis, di società, di Stato nazione, di sistema economico globale, il modello usato per descriverne le dinamiche non può essere il medesimo di quello "micro", usato per le imprese (lo Stato NON è come una "famiglia"!), ma deve essere aggregato,  "macro", dove la struttura delle "preferenze" non è individuale, ma politica: nasce la macroeconomia moderna.

Uno degli aspetti più controintuitivi è che, poiché il lavoratore, a differenza dello schiavo, è anche consumatore, più il capitalista a livello aggregato aumenta il salario dei suoi dipendenti, più aumenterà i suoi profitti.

(Apriti cielo. 

Una massa di locuste sgraziate e grassocce che si avventa sulle ristrette risorse del nostro amato pianeta...)

Le cose però, ahimè, non stanno proprio così: esiste un vincolo esterno alla crescita - di natura politica! - che considera anche la quantità di risorse presenti su un territorio: questo vincolo è ben espresso dalla legge di Thirlwall.

Se questo equilibrio fosse possibile farlo rispettare a tutte le comunità sociali, la gestione delle risorse scarse sarebbe banalmente ottimizzata e, come faceva notare Keynes a Bretton Woods in cui, come membro della delegazione britannica, proponeva un sistema monetario concentrato proprio sull'equilibrio delle bilance dei pagamenti[4], si materializzerebbe la kantiana pace perpetua. Sì, al contrario di ciò che storicamente propagandano i "federalisti" sulle orme di Kant, il libero scambio implicito nel concetto di federalismo interstatale, è la storica politica economica foriera di instabilità politica e conflitti bellici. Bretton Woods era proprio concentrata su questo noto e condiviso problema: purtroppo pare che la "casa dei Morgan" abbia influenzato in modo decisivo per il sistema monetario vigente...

Ma siamo sicuri che, come vuole la vulgata, le imprese cerchino la massimizzazione del profitto?

Non sempre: se fosse stato così il New Deal non avrebbe incontrato le resistenze che ha incontrato in tutto il mondo, magari risparmiandoci la tragedia del '39 -'45. Infatti, proprio in quegli anni svolgeva queste riflessioni Michal Kalecki, ragionando sulle resistenze dei grandi capitani dell'industria e della finanza: le classi dominanti preferiscono perdere profitti ma aumentare in proporzione la propria influenza sulle istituzioni politiche.

(Oltre che disciplinare i lavoratori nelle fabbriche)

Le politiche deflattive, chiamate di "austerità", sono proprio quelle bramate dalla grande finanza, per due ovvi motivi:

1 - il grande capitale finanziario fa credito: l'inflazione svaluta i debiti e comprime i profitti da interesse. (Va da sé che l'inflazione è di converso "amica" del lavoratore - magari con il salario indicizzato - che è generalmente anche mutuatario)

2 - l'alta disoccupazione e la privatizzazione dello stato sociale aumentano a dismisura l'influenza politica delle oligarchie economiche a discapito delle classi subalterne. Ovvero, a discapito della democrazia.

Il trentennio d'oro keynesiano muore con il primo shock petrolifero e l'austerità deflattiva propagandata bipartisan, giusto un anno dopo il rapporto del Club di Roma: si infiamma la controrivoluzione neoliberista; sono tout court le dinamiche dell' EROEI a generare la sofferenza sociale delle crisi economiche, o come i suoi effetti vengono politicamente gestiti?



A.Bagnai - Fig.28 de "Il tramonto dell'euro", 2012  






Post Scriptum:

(James Mead[5] aveva previsto nel '57 cosa sarebbe successo in Grecia, Nicholas Kaldor nel '71... a proposito di cambi fissi, free trade e politiche deflattive)




















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1 - «Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti», Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty
2 - A. Bagnai, 2014 
3 - Si noti che lo stesso problema demografico è generalmente legato alla povertà: la soluzione è, come ormai dovrebbe essere stato chiarito, sempre doppia. È politica: o si sterminano gli indigenti, che siano dei ghetti o dei paesi non industrializzati, oppure gli si istruisce e gli si arricchisce. 
4 - Equilibrio BdP: equilibrio dei flussi dei fattori della produzione di un Paese con il resto del mondo, approssimabile nell'equilibrio tra import ed export. 
5 - «In a classic paper written in the mid 1950’s Nobel laureate James Meade (1957) posed the fundamental question of the balance of payments problems that would likely arise in a free trade area such as that envisaged in 1992», A.R. Nobay, pag.10 e, aggiungiamo ora, non contenti del risultato dello SME, gli sbilanci della zona euro che hanno permesso gli attacchi speculativi del 2011. 

mercoledì 12 agosto 2015

Shock ambientale e sua gestione politica

Pubblico qui un post che parte da ipotesi e idee abbastanza diverse da quelle che si trovano normalmente su "Effetto Risorse," dove tendiamo a vedere l'esaurimento delle risorse come il motore principale di tutto quello che succede. Mi è parso il caso, tuttavia, di presentare questo post, sia per il suo interesse intrinseco, sia per non continuare a parlarci soltanto fra di noi come facciamo spesso. Questa è la prima parte di un'analisi abbastanza complessa, la seconda seguirà fra breve - UB

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Guest post di "Sergio Barile".

Parafrasi biologica della legge di Thirlwall





(Furthermore there is clear evidence that, although economic growth usually leads to environmental degradation in the early stages of the process, in the end the best — and probably the only — way to attain a decent environment in most countries is to become rich) Beckerman, 1992

1 - Introduzione

Iniziamo dalla tesi: qualsiasi politica verde necessita di risorse economiche, poiché per incidere sulle dinamiche in atto questi investimenti sarebbero enormi, e il beneficio sarebbe collettivo e non monetizzabile immediatamente come profitto, l'intervento pubblico tramite spesa a deficit (G) si configura come lo strumento di politica economica più efficace per raggiungere gli obiettivi richiesti dalla comunità scientifica. Per poter aumentare i budget di spesa è necessario che il PIL cresca, quindi è assolutamente necessario evitare le “riforme strutturali” e favorire stato sociale e piena occupazione. Questi aumentano la domanda aggregata (AD) che, in caso di politiche industriale volte a fini sociali di profilo “ambientale” e la conseguente produzione di beni e servizi a carattere “ecologico”, sarà rivolta al consumo di questi beni e servizi verdi. Dato il “moltiplicatore keynesiano” avremo del nuovo valore aggiunto (incremento del PIL) e la contestuale marginale “decrescita felice” delle esternalità negative. 

Senza “crescita” non ci può essere “decrescita”.

Il limite alla crescita, ovvero il vincolo esterno per il decisore politico di una nazione sovrana, pena instabilità e gravi squilibri, è dato dalla legge di Thirlwall.

Quindi, tranchant, l'ammonimento politico: il movimentismo volto alla sensibilizzazione sulle esternalità negative dell'attività economica è storicamente funzionale alla cosmetizzazione del conflitto tra classi. Ovvero, l'imputare ad un vincolo esterno di natura “tecnica” - in generale esogeno al dibattito democratico - politiche di repressione delle rivendicazioni sociali, è parte di una nota strategia politica per imporre in modo dispotico un ordine sociale al riparo dal processo elettorale.

Tolto il dente, tolto il dolore. (E chi non è disposto a prendere in considerazione questa tesi, può risparmiare il tempo della seguente lettura).

2 – Etica e sistemi complessi

Avendo uno sguardo post-keynesiano sul mondo, Malthus deflette fisiologicamente l'orizzonte economico-sociale che si osserva: insomma, Malthus è parte della propria cultura.

Non si può far la medesima affermazione relativamente a quella che viene definita “teoria neo-malthusiana”, a dispetto del nome. 

Se Keynes supportava la necessità di una stabile o positiva crescita demografica, perché individuava nella domanda aggregata il fattore di crescita economica, l'approccio neo-malthusiano, come da tradizione neo-liberale, sulla falsa riga della "trickle-down theory", sostiene che è l'accumulazione del capitale il motore della crescita economica, e che il declino demografico porta ad una crescita del reddito procapite. 

Quindi, perdonando la brutale banalizzazione, se le risorse sono finite, e il paradosso di Jevons scoraggia dalle aspettative progressive dell'evoluzione tecnologica, i lavoratori delle prossime generazioni – con le buone, ovviamente – devono gentilmente smettere di prolificare e consumare. Per il bene delle generazioni future, si intende.

Come Keynes, assumiamo in questa riflessione che l'ipotesi del limite delle risorse sia corretto, e che l'obiettivo sia convergere ad uno stato stazionario, dove demografia e consumo di energia siano in equilibrio, e il “benessere” procapite sia ottimizzato.

Secondo una prospettiva neo-malthusiana, poiché è chi più accumula capitale che contribuisce allo sviluppo economico e spirituale della società, e questo “benessere” ricade – trickle-down - sui nipotini poveri dei sopravvissuti “alla purga demografica”, il benessere del povero sta nella sua povertà (chiaramente relativa al ricco, sicuramente una dignitosissima povertà). 
   
(Nota: poiché esiste una forte correlazione tra oil and finance, vi posso assicurare che questa soluzione è stata già presa; sembra che solo ai BRICS non piaccia particolarmente)

Quindi, chi teme la catastrofe non disperi, sarà accontentato: poiché, se la politica democratica è corrotta, allora i corruttori governano. E chi può corrompere ha il capitale per farlo.

Si chiama “globalizzazione”: privatizzazione di tutte le risorse e del patrimonio pubblico tramite la libera circolazione dei fattori della produzione. Insomma, quelneoliberismoche propugna la  trickle-down economy.

D'altronde, come proclamava la Thatcher, “there is no alternative”. Viene fatto per il bene dell'umanità: per sopravvivere può essere necessario amputarsi un braccio...

Io, però, sono egoista, al mio braccio ci tengo e vorrei pensare ai miei nipotini felici che corrono felici in un verdissimo futuro....

Apro un libro di sociologia e, guarda un po', scopro che non esiste solo il “funzionalismo”, la teoria sociologica per cui il codice Manu indiano può essere desiderabile, ma esiste una sterminata letteratura che tratta la prospettiva del conflitto: la solidarietà tende a svilupparsi maggiormente in gruppi sociali omogenei, in base al potere e al prestigio dei suoi membri, questi gruppi formano della classi in perpetuo conflitto: il conflitto per la distribuzione del reddito prodotto.

Potrebbe essere che il limite della crescita sia strumentalizzabile dalla più forte di queste classi? Può esistere una soluzione che porti al risultato che faccia anche gli interessi delle altre classi? Qui ed ora?

Vediamo.

Innanzitutto alcune definizioni e alcuni chiarimenti: il reddito è un “flusso”, ed è funzione dei fattori della produzione, le risorse naturali sono uno “stock”, fanno parte del patrimonio messo a disposizione da nostro Signore all'ingrato genere umano.

La più grande comunità sociale omogenea che permette “solidarietà economica” - ovvero fiscale e ridistributiva -  si chiama Stato nazionale: il reddito di uno stato nazionale si chiama PIL.  

Primo shock: il PIL è una misura che non c'entra nulla con la crescita “materiale” collegata al consumo delle risorse naturali, o meglio, ad esempio, non esiste una correlazione significativa tra PIL e ed energia consumata che sia valida per tutti gli Stati nazionali. A seconda delle metodologie e dei campioni ci può essere effettivamente una causalità bidirezionale, una causalità tra crescita del PIL e del consumo di energia, oppure viceversa.

Italia e Corea, ad esempio (Soytas-Siri, 2003), due modelli di produzione particolarmente simili e virtuosi nel panorama mondiale dalla seconda metà del Novecento, appartengono al terzo gruppo: drastiche politiche di risparmio energetico non impatterebbero particolarmente sulla crescita.

E comunque, in generale, nei Paesi più ricchi è possibile sostenere il PIL con un impatto minimo o nullo sul consumo energetico.

Chi propone la decrescita del PIL, ovvero recessioni, prolungate deflazioni e depressioni, lo fa da un particolare punto di vista di un particolare gruppo di interessi (classe): oil and finance.

I conflitti bellici scoppiano generalmente per due motivi complementari: il dominio delle risorse, e la risoluzione delle crisi di debito. Generalmente due facce della stessa medaglia.

Le “crisi di debito” e la debt-deflation auspicata – non si sa bene quanto consapevolmente – di alcuni “decrescisti”, fornisce al problema malthusiano una risposta immediata: guerre e carestie. Da sempre.

Il paradosso di Jevons e, più in generale, il limite alla crescita, obbliga, a livello di aggregato mondiale, a coordinare le politiche di approvvigionamento delle risorse energetiche... beh, la soluzione delle nostre élite l'abbiamo già intravista, se si vogliono altri chiarimenti basta fare un giro in Iraq, Siria, Libia, Niger, Ucraina, ecc.

Se si evitasse di frammentare le entità politiche straniere, e la si piantasse di cedere sovranità nazionale alla finanza internazionale in patente violazione degli “gli art.11” delle costituzioni democratiche - finanza secolarmente desiderosa di sorpassare l'assetto vestfalico che ha portato alle democrazie e allo stato sociale – si potrebbe pensare di tornare ad avere una  politica industriale che non sia... il suo semplice smantellamento.  
  
In tal caso, il decisore politico, con pieno controllo di una banca centrale controllata dal Tesoro, ministero espressione della sovranità democratica, ogni decisore politico, per affrontare  gli eventuali shock  a causa dell' LtG, dovrebbe guidare nella tempesta la propria comunità sociale di riferimento: i suoi elettori.

Ora, una premessa: il sistema sociale integrato nella “biosfera”, non è semplicemente un sistema complesso. È un sistema umano.

Quindi, che uno scienziato possa considerarlo semplicemente come qualsiasi sistema biologico, da integrare nella complessità del nostro pianeta, beh, è comprensibile ma non assolutamente da dare per scontato.

Quindi, da un punto di vista politico, ovvero di gestione delle risorse, propongo una precisa etica che faccia da vincolo interno al decisore (più o meno...) istituzionale: ovvero, tra “i vari rubinetti del sistema complesso”, le infinite soluzioni per regolare questo sistema sono ordinate rispetto ad una specifica scala di valori, di cui la dignità dell'Uomo è valore incomprimibile. Astratti ideali? Falsa propaganda da ingegneria sociale? Vediamo.

Innanzitutto abbiamo già tracciato una scala operativa per cui, tra gli infiniti punti di vista, e, tra tutte le “leve e i rubinetti” su cui si può agire, tende a diminuire “l'ordine di grandezza” della azioni possibili. Secondo, una riflessione: un sistema umano è condizionato da un inaspettato fattore: l'Uomo. Quest'etica non è condivisa, e la politica è, in primis, gestione del conflitto (possibilmente in un'aula parlamentare).

Hayek, “padre nobile” della terza globalizzazione (questa), taglia la testa al toro: i sistemi sociali sono troppo complessi per essere gestiti, quindi, apparentemente rifiutando il tipico approccio positivista, propone di non stare a impazzire su questi “sistemi complessi” cercando di governarli tipo URSS, ma di far sì che la selezione darwiniana del mercato potesse, liberata, gestire efficacemente la complessità. Insomma, leggasi Iraq, Siria, Libia, Niger, Ucraina, ecc. Vedi sopra.

In effetti, quella di vedere il sistema sociale come un sistema complesso, rappresentabile da un numero indefinito di “equazioni differenziali”, è un approccio di tipo squisitamente positivista.

Proviamo invece, secondo queste premesse, a dividere il sistema globale che risponde all'LtG come se fosse un organismo costituito da cellule separate da membrane.

Innanzitutto faccio notare che quel sistema complesso a bassissima entropia chiamato Uomo si fa (generalmente...) coordinare dal suo “capo” senza troppe equazioni: un insieme etnicamente omogeneo di uomini si chiama ethnos, un insieme di ethnos che – per omogeneità – può condividere un patto sociale si chiama demos. Ogni demos è un'identità politica che esercita un arbitrio similmente al processo decisionale dell'individuo. Lo Stato nazionale è, in generale, la sua espressione giuridica.

Le “cellule” formano così “tessuti” e “organi” che compongono la macchina vivente  e cognitiva del nostro pianeta, tutti sistemi complessi di differente ordine.

La vita è conservata dall'eterogeneità e dai ruoli: le membrane, regolando flussi e scambi, garantiscono questa eterogeneità, e, in definitiva, la vita.

Membrane troppo “impermeabili” generano la “necrosi dei tessuti”, membrane troppo “aperte” gerano lo “sfaldamento” dell'organismo.

Bene: nei sistemi umani, queste “membrane” sono le “frontiere/dogane” delle comunità sociali che si autodeterminano: in genere, gli Stati nazionali. 

I “flussi” sono i fattori della produzione, e, di questi, il lavoro è l'attività anti-entropica per eccellenza.

Per governare questi “flussi” e raggiungere a livello globale l'obiettivo di sostenibilità come prefissato inizialmente, il decisore politico non dovrebbe “spaccarsi la testa” con enormi sistemi complessi; dovrebbe affidarsi alla scienza che questo genere di complessità, così ridotta, può gestire: l'economia. Ad esempio, il decisore dovrebbe osservare una legge su tutte: quella di Thirlwall. E la comunità internazionale, di converso, dovrebbe far in modo di attuare quel meccanismo per cui ogni nazione raggiunga questo equilibrio che vede nel “vincolo esterno” enunciato da Thirlwall, il limite alla crescita di ogni singola “cellula” che compone il sistema umano, parte dell'ecosistema. Ad esempio, per ottenere questo equilibrio, J.M. Keynes propose il bancor a Bretton Woods (rifiutato dalle élite USA).

Bene, ma cosa è questa “legge” che ogni governo dovrebbe rispettare?

Esiste, oltre al vincolo interno dichiarato in precedenza – ovvero la dignità dell'Uomo che in politica economica si traduce in piena occupazione – un vincolo esterno per cui la crescita di una “cellula” non può essere illimitata (pena il cancro attuale...), ma deve seguire un ritmo di crescita che mantiene “gli scambi” con le altre cellule in equilibrio, e, poiché mediamente quando in percentuale una cellula cresce di “uno”, tende a “succhiare” da tutte le altre  “due”, le membrane vanno regolate in modo da controllare la crescita della cellula.

La politica economica di un Paese consiste, in primis, nel regolare gli scambi per rispettare il vincolo esterno alla crescita: la parafrasi biologica della legge di Thirlwall

lunedì 10 agosto 2015

Arriva il mostro del metano

DaArctic News”. Traduzione di MR

Di Sam Carana

Gli esseri umani non sono mai esistiti nelle condizioni che abbiamo di fronte ora, a prescindere da quanto si risalga nella storia.

Il 4 agosto 2015 sono stati registrati livelli medi globali di metano di 1840 parti per miliardo. Si tratta del livello medio più alto da quando sono iniziati i rilevamenti ed è probabile che questo nuovo record venga presto superato da livelli ancora più alti.

Il biossido di carbonio che viene rilasciato ora raggiungerà il suo impatto di picco fra un decennio. L'alto e immediato impatto del metano lo rende più importante delle emissioni di biossido di carbonio nell'alimentare il tasso di riscaldamento globale nel prossimo decennio.

L'Oceano Pacifico è molto caldo al momento. L'acqua calda scorre dall'Oceano Pacifico attraverso lo Stretto di Bering nell'Oceano Artico. Le temperature di superficie del mare nello Stretto di Bering erano di 20,5°C il 4 agosto 2015. Cioè di 8,7°C più calde di quanto fossero prima. Sono state rilevate temperature di superficie del mare di 11,8°C fra la Groenlandia e le Svalbard il 7 agosto 2015, un'anomalia di 8,5°C.


Il pericolo è che un ulteriore riscaldamento causerà il collasso del ghiaccio marino, che a sua volta porterà ad un riscaldamento ancora maggiore dell'Oceano Artico, mentre la presenza di più acqua libera aumenterà a sua volta la possibilità che si sviluppino forti tempeste che possono mescolare le alte temperature della superficie con quelle del fondo del mare, dando come risultato la destabilizzazione dei sedimenti ed innescando il rilascio di metano che potrebbe essere contenuto in quei sedimenti in grandi quantità.

I rilasci di metano dal fondo dell'oceano Artico minacciano di causare un rapido riscaldamento locale che a sua volta innesca un ulteriore rilascio di metano, in un circolo vizioso di riscaldamento fuori controllo che potrebbe distruggere l'habitat degli esseri umani entro pochi decenni.