lunedì 20 gennaio 2020

Cambiamento Climatico: Ma chi può capirlo veramente?




Lo stile che va sotto il nome di "rant" in inglese consiste nell'esprimere le proprie idee in modo aggressivo e con totale sicurezza. Diciamo che, in un tipico rant, è come se l'autore ti si piantasse davanti a gambe divaricate e con le mani sui fianchi, dicendoti a muso duro, "ora ti tratto come ti meriti."

E' un modo di scrivere e di parlare che può avere una sua resa, specialmente in politica, e può essere anche piacevole da leggere, ma l'autore deve stare attento a quello che dice, che la figura di color marrone e sempre dietro l'angolo.

Fra i tanti che usano il rant come metodo di espressione, uno è Uriel Fanelli, attualmente sul blog keinpfusch.net. Devo dire che mi trovo più spesso in disaccordo con lui che in accordo, ma devo anche dire che alle volte non solo scrive bene, ma ha anche ragione. In un post recente intitolato, "il bigottismo verde" ha completamente azzeccato alcune cose. La principale è che il cambiamento climatico è una cosa complicata che non è veramente capita né dai sostenitori né dai negatori.

Ed è vero. E il bello che continuiamo a credere che se ne possa "dibattere." Ma la verità non viene fuori da persone che discutono animatamente di cose di cui sanno poco o nulla. E' il malefico effetto della perniciosa idea che "uno vale uno."

Quindi, che possiamo fare? Mah? Forse niente: gli incompetenti rimarranno convinti di non esserlo.

Vi passo Fanelli qui di seguito. Vale la pena di leggere questo pezzetto che, fra le altre cose, confuta molto bene le castronerie di Carlo Rubbia sugli elefanti di Annibale. Il resto del post di Fanelli è più discutibile, ma anche quello vale la pena di leggerlo.



https://keinpfusch.net/il-bigottismo-verde/
Quando si dice che dietro alla constatazione del riscaldamento globale c'e' la scienza, si intende una montagna di pubblicazioni a riguardo, che puntano tutte (circa) alle stesse conclusioni, (diciamo che a seconda dei modelli esiste uno spettro di conclusioni, tutte concordi a meno di fare previsioni diverse del futuro), ma quello che bisogna ricordare e' che nei modelli di evoluzione del clima c'e' una gigantesca interdisciplinarita'.

Significa che la "scienza del riscaldamento globale" contiene paper di geofisica, fisica dell'alta atmosfera, fisica dei proxy solari, geofisica e vulcanologia, biologia, ecologia, geologia marina, chimica degli oceani, biologia degli oceani, botanica, eccetera, eccetera, eccetera.

Questo significa due cose: non esiste UNO scienziato che conosca questa scienza. Tutti ne conosceranno una frazione, ma per rispondere adeguatamente ad ogni critica occorrono interi team di scienziati. Diciamo che se volete davvero avere nella stanza un ente che capisca davvero del riscaldamento globale avete bisogno di una sessantina di specialisti, ad occhio e croce.

Al contrario, questo vale anche per la confutazione: per contestare la scienza del global warming non basta UNO studioso. Innanzitutto perche' non puo' essere competente in tutto lo spettro, e secondo perche' vista la mole di papers a riguardo in una sola vita NON PUO' AVERLI LETTI TUTTI. Quindi, se mi mandate un link con "il celebre scienziato X dice che", vi rido in faccia. Anche se avesse ragione, avrebbe confutato si e no l'uno per diecimila delle prove scientifiche portate, il che significa che non avrebbe dimostrato proprio NULLA.

Detto questo la seconda domanda e': a questo punto cosa posso capirne io? La risposta sincera e' che ho capito alcuni papers (pochi), ho capito circa le conclusioni di altri papers, ho capito il topic di altri, ma la stragrande maggioranza non e' in nessun campo che io conosca e peraltro non avrei il tempo di leggere tutto.

Diciamo che "di questa scienza ho letto qualcosa, decisamente poco".

Adesso andiamo al bigottismo verde. Pur avendo (come chiunque altro) compreso solo una piccola parte di questa scienza, quando ascolto uno di questi verdi che parlano sono certo di una cosa: loro non ne hanno MAI letta NEMMENO una pagina.



domenica 12 gennaio 2020

Riflessioni sul Cancrismo



Un Post di Bruno Sebastiani


L’8 ottobre 2019 sul blog “Nuova Eden – alla ricerca del paradiso perduto” è apparso un saggio dal titolo “Riflessioni sul Cancrismo”. Ho riportato nel mio blog l’intero scritto, consistente in cinque fitte pagine di formato A4.
Vorrei approfittare dello spazio offertomi da Effetto Cassandra per rispondere alle critiche e agli argomenti dell’anonimo estensore dello studio (so solo che si chiama Alessandro e che è l’amministratore di Nuova Eden).
Gran parte delle critiche non sono indirizzate alla teoria cancrista in quanto tale ma al comportamento e alle affermazioni di alcuni suoi “seguaci” (se così si possono definire gli aderenti ad un Gruppo di Facebook …), e non le prenderò quindi in considerazione.
Ma anche per quanto riguarda la conoscenza della teoria in questione ci si trova subito davanti alla disarmante premessa “che non ho avuto modo di leggere il libro “Il Cancro del Pianeta”, né l’altro suo seguito”, da cui consegue che “in questo post […] non parlerò del libro, che io non ho letto, ma parlerò di ciò che ho avuto modo di capire e di conoscere attraverso l’autore stesso e le altre persone che hanno velocemente aderito a questa teoria. La riflessione che voglio fare (e le conseguenti critiche) dunque, hanno a che vedere più che altro con l’atteggiamento di chi aderisce al Cancrismo, con il suo punto di vista e con ciò che ho appreso interagendo con i sostenitori di tale teoria e leggendo articoli e scritti reperibili in rete.”
Mi sentirei più a mio agio se Alessandro avesse letto i miei libri, ma poiché alcune “critiche” riflettono effettivamente dei punti controversi della teoria, sono lieto di cogliere questa occasione per cercare di fugare dubbi e perplessità.
Non mi soffermerò sul punto 1 (l’accusa di “misantropia”), sia perché io non odio il genere umano, ma anzi lo amo, sia perché Alessandro stesso afferma che l’accusa non è rivolta alla teoria, ma a “buona parte dei sostenitori”, e dei sentimenti di costoro ovviamente non mi ritengo in alcun modo responsabile.
Al punto 2 troviamo l’accusa di “meccanicismo” o, se preferite, di “materialismo”. In sostanza Alessandro dice: i dati a sostegno della teoria sono certi ed acclarati, ma non si tiene conto di ogni altra “cosa che non sia evidente o dimostrabile”. Non per niente il paragrafo è titolato “La ragione da sola non basta” ed accusa la teoria di non tenere in adeguato conto la “spiritualità”. Quando Alessandro leggerà “Il Cancro del Pianeta Consapevole” si renderà conto che tutto l’ottavo capitolo (“Chi si è parzialmente opposto alla diffusione del male”, da pag. 101 a pag. 204) è dedicato in particolar modo a tutti i movimenti ascetici, religiosi e spirituali che dal lontano Oriente, all’Africa e all’Europa hanno cercato invano di limitare i danni causati dal progresso materiale. Quanto all’affermazione che “la spiritualità … erroneamente viene accostata alla religione o al bisogno di astrazione”, osservo che è da ritenersi corretta ai giorni nostri, ma che dall’antichità fino a poco prima dell’Età moderna i due termini (religione e spiritualità) potevano tranquillamente considerarsi sinonimi, pur con vari distinguo.
Il punto 3 è “uno dei punti focali dell’analisi fatta dal Cancrismo", e cioè "che la comparsa dell’uomo sulla Terra non sia altro che un 'caso', un brutto scherzo dell’evoluzione, un ‘esperimento finito male’”. Per Alessandro le cose non sono andate così. Il paragrafo ha come titolo la famosa locuzione di Einstein, secondo il quale “Dio non gioca a dadi con l’Universo”. Qui non è la mia teoria a dover scuotere i convincimenti di Alessandro, ma quella di autori ben più autorevoli. Mi riferisco in particolare a Jacques Monod e al suo basilare libro “Il caso e la necessità”, dove è specificato che [Le alterazioni nel DNA] sono accidentali, avvengono a caso. E poiché esse rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell'organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all'origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell'evoluzione: oggi questa nozione centrale della Biologia non è più un'ipotesi fra le molte possibili o perlomeno concepibili, ma è la sola concepibile in quanto è l'unica compatibile con la realtà quale ce la mostrano l'osservazione e l'esperienza. Nulla lascia supporre (o sperare) che si dovranno, o anche solo potranno, rivedere le nostre idee in proposito.” (J. Monod, Il caso e la necessità, Oscar Mondadori, 2017, p. 111)
Subito dopo, Monod soggiunge: “Fra tutti i concetti di natura scientifica, quello del caso distrugge più degli altri ogni antropocentrismo ed è il più intuitivamente inaccettabile da parte di quegli esseri profondamente teleonomici che siamo noi.” (ibidem)
La vita nasce dal caso, “soltanto il caso è all'origine di ogni creazione nella biosfera”, ce lo dice la Biologia, che ci dice anche tante altre cose.
In particolare, se l’uomo in quanto “primate” è anch’egli frutto del caso, nel senso che si è evoluto in centinaia di milioni di anni da quelle prime combinazioni casuali che hanno dato origine alla vita, la sua specie è stata oggetto in tempi molto più recenti di un avvenimento del tutto casuale che lo ha trasformato in Homo sapiens: il suo encefalo ha subìto una abnorme evoluzione come conseguenza di una mutazione genetica. Il biologo molecolare Pietro Buffa così descrive la possibilità di un tale accadimento: “Le mutazioni spontanee sono eventi del tutto casuali perché sono il risultato di una complessa catena di cause ed effetti che, di fatto, è impossibile ricostruire secondo un modello deterministico. Si tratta di errori di copiatura inseriti durante la replicazione del DNA e dovuti, secondo recenti indagini, a ‘tremiti quantistici’ che normalmente interessano le basi nucleotidiche. Per alcuni microsecondi una base può risultare instabile rispetto alle altre, un tempo brevissimo ma sufficiente perché l’apparato di replicazione del DNA la scambi per un’altra, commettendo un errore di trascrizione.” (P. Buffa, I Geni Manipolati di Adamo, Uno Editori, 2015, p. 93)
Studi scientifici riportati anche nel blog de Il Cancro del Pianeta confermano l’ipotesi che lo sviluppo del nostro cervello e dell’intelligenza umana siano conseguenti a mutazioni intervenute in uno o più geni (vedi “Quel gene che ha fatto la differenza tra noi e le scimmie” e “Il cervello dell’uomo è così grande a causa di un ‘errore’ genetico”).
La Biologia tende a ristabilire l’oggettività degli accadimenti, il Cancrismo tende ad attribuire loro il corretto significato in rapporto all’armonia che avrebbe continuato a regnare nella biosfera in assenza di quelle imprevedibili mutazioni genetiche, del tutto analoghe a quelle che sono alla base della carcinogenesi.
Il punto 4 e il punto 5 sono tra loro intimamente connessi. “Il cervello non può essere né buono né malvagio, esso è soltanto uno strumento come un altro” e “Il libero arbitrìo esiste ed ogni essere vivente può applicarlo o meno”.
Il discorso qui rischia di divenire assai complesso. Potremmo risalire alla polemica tra Erasmo da Rotterdam (“De libero arbitrio”) e Martin Lutero (“De servo arbitrio”), ma mi limiterò a questa semplice osservazione: se effettivamente fossimo stati liberi di optare per la salvaguardia della “omeostasi” tra tutte le cellule di Gaia (il mantenimento cioè dell’equilibrio tra le varie componenti della Natura), perché non l’abbiamo fatto? Perché abbiamo brutalmente distrutto questo equilibrio a nostro scandaloso vantaggio e continuiamo a farlo senza alcun segno di ravvedimento?
Secondo la mia teoria ciò è addebitabile al micidiale “combinato disposto” di due elementi.
1 – La neocorteccia, ovvero la parte del nostro encefalo frutto di abnorme evoluzione, è venuta a posizionarsi al di sopra di precedenti “strati” di cervello, ben meno potenti quanto a “capacità elaborativa”, ma nei quali erano (e sono) radicati dalla notte dei tempi i nostri istinti più ancestrali, quello di sopravvivenza individuale e della specie, istinti sviluppatisi per garantire la conservazione delle nostre vite a fianco di quelle di tutti gli altri animali, i quali, a loro volta, sono mossi da analoghi istinti.
2 – Questi istinti spingono ogni essere vivente a utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per il raggiungimento del proprio scopo conservativo / espansivo. Lo scontro con gli istinti altrui stabilisce spazi e modalità per la reciproca convivenza. Laddove i mezzi a disposizione di una specie diventano prevalenti, questi garantiscono a quella specie il successo nei confronti delle altre.
È ciò che è accaduto a noi. Siamo divenuti bipedi, abbiamo iniziato ad usare gli arti superiori per produrre strumenti taglienti, abbiamo addomesticato il fuoco, abbiamo sviluppato un linguaggio simbolico che ci ha consentito di coordinare al meglio le nostre attività di caccia, insomma abbiamo sbaragliato ogni avversario nella lotta per la vita, e non potevamo fare diversamente, in quanto sospinti da quegli incoercibili istinti primordiali.
Vorrei concludere le mie osservazioni sullo studio di Nuova Eden con una postilla finale.
Alessandro, l’amministratore di quel sito, aveva pubblicato un post dal titolo “L’uomo, il cancro del Pianeta” nel 2013, ben due anni prima dell’uscita del mio primo libro sul Cancrismo. In tale post aveva mostrato una sincera attrazione nei confronti della teoria, frenata però dalla speranza / illusione di una possibile regressione spontanea della malattia (dovuta essenzialmente ai comportamenti degli “uomini di buona volontà”).
Non è l’unico intellettuale a sentirsi attratto dalla teoria cancrista, ma al tempo stesso a respingerla per paura della sua “radicalità”. Esemplare in tal senso il carteggio intercorso tra me e Igor Giussani, riportato per intero nel mio blog.
Il Cancrismo effettivamente è duro da accettare in quanto sconfessa ogni convincimento antropocentrico di cui ci siamo nutriti sin dalla nascita. Ma una volta accettato è in grado di mostrare al nostro intelletto i guai procurati alla Natura e come quest’ultima sarebbe bella se solo avessimo rispettato gli equilibri stabilitisi in centinaia di milioni di anni.

mercoledì 8 gennaio 2020

Riscrivendo la storia di Gilgamesh: I Gemelli del Cosmo di Stefano Ceccarelli

di Ugo Bardi




Versione in italiano del post "Rewriting the Story of Gilgamesh: The Cosmic Twins by Stefano Ceccarelli" pubblicato sul blog Chimeras

Questa nota riguarda un recente romanzo dell’autore italiano Stefano Ceccarelli intitolato I Gemelli del Cosmo (Altromondo Editore, 2019). Prima di tutto, diciamo che si tratta di roba profonda, di quelle affascinanti. E’ stato Jorge Luis Borges a dire che tutti i singoli libri sono solo pagine di un grande libro che tutto il genere umano sta scrivendo. Personalmente, aggiungerei che non tutti i libri scritti al giorno d’oggi meritano di essere aggiunti a quel grande libro, ma certi lo fanno, e questo è uno di essi.

Allora, partiamo dall’inizio e, se stiamo discutendo di un unico, gigantesco libro, potremmo decidere di dare uno sguardo alle pagine iniziali per cercare di comprendere cosa è scritto verso la fine. Così, potremmo iniziare con l’Epopea di Gilgamesh, forse il primo romanzo mai scritto. Ma come si lega la storia di Gilgamesh con quella scritta da Ceccarelli? Tutte le buone storie riguardano la ricerca di qualcosa – è stato uno scrittore di fantascienza, Samuel Delany, a dire che non riusciva a pensare di scrivere nient’altro che una nuova versione della ricerca del Sacro Graal. Così, è questo il punto da cui partire.
Ma cos’è esattamente il Sacro Graal? Cosa stanno cercando i nuovi personaggi? E perché quando poi finalmente lo trovano il romanzo termina, o forse scoprono che ciò che hanno trovato è una delusione? Forse c’è qualcosa di profondo in questo. Tutto questo cercare non è rivolto a qualcosa in particolare, ma piuttosto ha a che fare con il modo in cui l’universo funziona. L’universo non è un blob uniforme: è stato creato all’inizio di tutto separando la luce dalle tenebre e Dio stesso vide che questa era una cosa buona. Se ci pensate, la luce non sarebbe ciò che è se non esistesse il buio. Forse la luce è attivamente alla ricerca del buio e forse il buio sta ossessivamente aspettando la luce per fondersi con essa e trasformarsi a sua volta in luce, mentre forse la stessa luce va estinguendosi per diventare tenebra dopo aver speso sé stessa diffondendosi ovunque. E’ l’eterno principio dello Yin e dello Yang, che girano intorno l’un l’altro cercandosi sempre vicendevolmente senza che l’uno si fonda mai del tutto con l’altro.



E allora, che cosa cerca Gilgamesh nella sua saga? La vita eterna, leggiamo. Ma non è questa la vera ragione. La ragione per cui Gilgamesh viaggia, lotta, si dibatte, soffre e va avanti è qualcosa che neanche lo stesso Gilgamesh comprende. Forse possiamo trovarla in alcuni dettagli della saga. Gilgamesh ha un amico nella storia, Enkidu, ma entrambi sono personaggi Yang. Entrambi stanno cercando una controparte, dei personaggi Yin, che forse possiamo trovare nelle due donne menzionate nella storia. Non sono così ben note come i due personaggi principali maschili, ma hanno comunque i loro nomi menzionati per esteso: Shamhat, la sacra prostituta, e Siduri, l’ostessa. Sono ritenuti personaggi minori ma, si badi bene, sono fra i primissimi personaggi femminili di cui conosciamo il nome nella storia della letteratura – vale a dire, personaggi femminili diversi dalle dee. In realtà, queste due donne sono anche lor parte di qualcosa della più elevata sfera delle cose, ma è sempre così nell’universo.
Così, forse possiamo leggere la saga di Gilgamesh come una ricerca da parte del principale personaggio maschile, cioè lo stesso Gilgamesh, della sua controparte femminile. Egli ha solo una rapida visione di lei quando incontra Siduri in una taverna, per poi proseguire nella sua infruttuosa ricerca senza neanche sospettare che ciò che stava cercando era stato così vicino a lui per un po’. Lo stesso accade per Enkidu, che incontra brevemente Shamhat nella foresta, viene sedotto da lei, ma da allora non la incontrerà più. Del resto, è questa la ricerca mitica in tutte le sue manifestazioni letterarie. L’oggetto della ricerca non è mai del tutto afferrato, e se lo è, svanisce mentre l'eroe lo afferra.


Passiamo ora ai Gemelli del Cosmo di Ceccarelli. La storia narra di una coppia di pianeti gemelli, di cui uno è la nostra Terra e l’altro il suo gemello, chiamato Serra, nome che quindi lo distingue dalla Terra da una sola lettera. In realtà, chiamarli “gemelli” è improprio. Essi sono diversi e, per una stranezza della creazione, la Serra non ha nella sua crosta quantità estraibili dell’elemento che noi chiamiamo “oro”. Ma non è questo il punto importante. Terra e Serra sono due pianeti diversi, con Serra che è decisamente femminile in opposizione alla più aggressiva, mascolina Terra. Fra le varie caratteristiche di Serra, una è quella di aver avuto un messia donna, Yesua Krista, la controparte Yin del messia Yang terrestre Gesù Cristo. Un pianeta maschio e uno femmina, due metà che si cercano vicendevolmente, con Krista che non muore sulla croce sulla più gentile Serra, mentre la disponibilità di oro ha corrotto i cuori degli uomini sulla Terra.



Quindi il racconto va avanti descrivendo come gli abitanti della Serra intraprendono la ricerca della Terra. Alla fine, una coppia di serrestri, Yosh e Laylah, riescono a raggiungere la Terra sfruttando uno strano vortice spaziale. Arrivano lì e trovano un pianeta morto, devastato dal riscaldamento globale e dall’inquinamento. E alla fine tornano a casa a mani vuote, proprio come Gilgamesh, incapaci di completare la loro ricerca.
Questa è la storia: il problema è che la fine del racconto non soddisfa le aspettative, con la narrazione che rallenta man mano che va avanti, come un vecchio giocattolo a molla. Non importa: come tutti i buoni romanzi, anche questo ha dei difetti, è inevitabile. Ma, come tutti i buoni romanzi, è una metafora che non si può realmente comprendere in termini razionali. Si deve percepire. E se ci riesci, diventa qualcosa di profondo. Estremamente profondo. Ci dice in che modo stiamo disperatamente cercando qualcosa che non sappiamo descrivere, ma che sappiamo essere lì. E’ la nostra controparte Yin che ci manca per divenire una civilizzazione realmente armoniosa. I serrestri non riescono a trovarla. Gilgamesh non è riuscito a trovarla. Forse neanche noi riusciremo, ma chi lo sa? Forse, come sempre, il cammino è la destinazione.




venerdì 3 gennaio 2020

A proposito di "Greenbusiness"


Di Bruno Sebastiani

Una frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è giustamente passata alla storia. È quella pronunciata da Tancredi, nipote del Principe di Salina, quando, ne “Il Gattopardo”, afferma: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Il giovane nobile aveva capito che il Regno delle Due Sicilie era al tramonto, ma che una certa aristocrazia avrebbe potuto continuare a governare sotto le insegne del nuovo Stato nazionale in via di costituzione. Da tale atteggiamento deriva il termine di “gattopardismo”, di cui noi italiani abbiamo dato prova in tante occasioni.
Probabilmente in questi giorni, consciamente o inconsciamente, questa frase risuona nelle orecchie di molti manager di aziende di ogni dimensione, dalle piccole imprese alle grandi multinazionali.
Come fare a continuare a vendere prodotti inutili e inquinanti a una popolazione che sta prendendo sempre più coscienza dei guai che il consumismo ha causato e sta causando alla biosfera?
Tutto potrà dirsi di Greta Thunberg ma resta innegabile il fatto che, in concomitanza con le sue pubbliche apparizioni, ha iniziato a diffondersi ovunque la consapevolezza della nostra nocività ai danni dell’ambiente e, di conseguenza, è aumentato a dismisura lo spazio dedicato dai media all’argomento. E più i media ne parlano più cresce il numero delle “cellule cancerogene consapevoli”, tanto per parafrasare il titolo di un mio recente libro.
Ma a forza di parlarne e di sentirne parlare in molti è sopravvenuta l’idea di passare dalle parole ai fatti: se i combustibili fossili uccidono la biosfera, perché usarli ancora? se la plastica inquina, perché continuare a comprarla? se i pesticidi e i fitofarmaci avvelenano la natura, perché insistere nell’utilizzarli?
Domande legittime, ma senza risposta. Il progresso ha prodotto tutta una serie di vantaggi materiali all’essere umano che hanno comportato tutta una serie di svantaggi all’ambiente. Come fare ora a eliminare i secondi senza rinunciare ai primi? Perché questo è il cuore del problema. In tanti siamo disposti a fare qualche piccola rinuncia per il bene del pianeta, ma in quanti siamo disposti a rinunciare alla luce elettrica, alle medicine, alle automobili, agli aerei e ai telefonini? E, domanda ancor più inquietante, se anche volessimo rinunciare a tutto ciò, potremmo farlo senza innescare reazioni ancor più devastanti per l’equilibrio artificiale che consente a oltre sette miliardi di esseri umani di convivere?
Mentre le moltitudini si tormentano con questi dilemmi, i manager delle aziende di ogni dimensione, dalle piccole imprese alle grandi multinazionali, si pongono il problema di come continuare a cavalcare la tigre, di come cioè continuare a vendere i loro prodotti percepiti sempre più dalla pubblica opinione come dannosi per l’ambiente e nocivi per la biosfera.
In realtà la pratica del cosiddetto “greenwashing” non è una novità.
Nel 1986 l'ambientalista statunitense Jay Westerveld coniò il termine per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere di invitare gli ospiti a ridurre il consumo di asciugamani facendo leva sull'impatto ambientale dei lavaggi, quando in realtà il vero obiettivo dell’invito era di far risparmiare le catene alberghiere stesse.
Da allora tutte le grandi aziende hanno fatto ricorso, chi più chi meno, alla favoletta del “proteggiamo l’ambiente” ed hanno presentato i loro prodotti in versione agreste – bucolica. Un esempio paradigmatico al riguardo lo offre da anni il marchio Mulino Bianco della multinazionale Barilla.
Ma quello a cui stiamo assistendo oggi (e a cui assisteremo sempre più nel prossimo futuro) va ben oltre a questi quadretti idilliaci che per aumentare le vendite facevano leva più sulla nostalgia dei bei tempi andati che non su una vera e propria consapevolezza ecologica.
Ora il “popolo bue” si sta svegliando. I giovani stanno suonando la carica contro lo scempio realizzato dalle vecchie generazioni, e allora la risposta delle aziende deve essere adeguata a queste che per loro non sono altro che “nuove richieste dei consumatori”.
Non sono più sufficienti immagini statiche e slogan del tipo “un mondo buono”. Occorre essere ancor più incisivi, mostrare ai compratori che il prodotto che hanno davanti è realizzato da una azienda che sta dalla loro parte, che combatte come loro e più di loro per la salvaguardia dell’ambiente, che mette in atto comportamenti virtuosi e processi eco-sostenibili.
La mastodontica macchina della produzione e distribuzione industriale richiede del tempo per adeguarsi a queste nuove esigenze, ma alcuni hanno giocato di anticipo e i primi spot eco-friendly stanno già passando in televisione sotto i nostri occhi.
Uno su tutti si impone per il suo slogan tanto diretto quanto ingenuo: “Viva la Natura, abbasso la CO2”. Mi riferisco, come qualcuno avrà compreso, allo spot dell’AcquaMinerale San Benedetto “ecogreen”.
Un aspetto buffo della vicenda è che la campagna in questione è stata realizzata da una agenzia pubblicitaria che si chiama “The Beef” (il “manzo”, nel senso che i concorrenti fanno tanto fumo e loro l’arrosto), ma questo è un dettaglio secondario.
In realtà se andiamo a vedere nel sito dell’azienda di acque minerali troviamo pagine e pagine di quanto da loro conseguito in tema di produzione di energia da fonti rinnovabili, efficienza dei processi produttivi, realizzazione di contenitori plastici riciclabili e compensazione di CO2 (!?!).
Lascio ad altri l’onere di verificare l’attendibilità e la validità di quanto asserito. Io mi limito ad osservare che tutte queste eco-realizzazioni nulla hanno a che vedere con il processo produttivo in sé e che se sono state attuate lo si deve unicamente all’importanza sempre maggiore che la pubblica opinione attribuisce al fattore ambiente.
Aggiungo anche che, trattandosi di una azienda che produce acque minerali, il beneficio maggiore per la comunità e per l’ambiente sarebbe stato che chiudesse i battenti invitando tutti i clienti ad abbeverarsi direttamente agli acquedotti comunali.
Ma questo è contro la logica della società industriale e della crescita economica. Ed ecco allora i manager delle aziende spremersi le meningi per cambiare tutto affinché tutto continui come prima.
Di queste giravolte ne vedremo tante nei mesi a venire e, laddove non siano false o ingannevoli, avranno anche una qualche utilità nel ritardare l’agonia del pianeta, tenendo presente che un crollo improvviso del sistema comporterebbe enormi problemi di sopravvivenza ai 7 / 8 o 9 miliardi di esseri umani presenti al momento del collasso.
E allora prepariamoci tutti a tuffarci nel green-business, nuova frontiera del capitalismo più avanzato.

domenica 29 dicembre 2019

Se questa è una guerra per la sopravvivenza, le zanzare stanno vincendo




Una foto, fatta ieri a casa mia, di una zanzara tranquillamente appostata sul muro. Non mi era mai capitato in vita mia di vedere zanzare vive (e pungenti) per natale a Firenze. Anni fa, sparivano in ottobre. Ora, tutti gli anni le avevo viste sopravvivere un po' più avanti con la stagione. Mi aspettavo prima o poi di vederle vive a Natale, bene, ci siamo arrivati.

Già in estate, le zanzare hanno reso impossibile stare in giardino o nei parchi: sono troppo numerose e troppo aggressive, ti tormentano sia di notte che di giorno. Devi rifugiarti in casa, dietro una zanzariera e bene equipaggiati con racchette elettriche e insetticidi.

Se questa era una guerra per la sopravvivenza al riscaldamento globale, le zanzare la stanno vincendo alla grande. Mi sa che degli umani si possa dire qualcosa tipo il bollettino di Diaz della prima guerra mondiale: "i resti di quella che fu una delle più potenti specie del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza."

L'unica soddisfazione è che spero che le zanzare di Natale se le ritrovi a casa sua anche Vittorio Feltri che aveva detto "A Bergamo, con due gradi in più si sta meglio."  Forse, ma dissanguati dalle zanzare.

Spero anche che vadano a bucare per bene William Nordhaus che ha preso il premio Nobel per raccontarci che ci conviene adattarci al cambiamento climatico piuttosto che cercare di fermarlo. In effetti, zanzariere, racchette, insetticidi, e creme anti-puntura fanno aumentare il PIL e non è questo che tutti vogliamo?






lunedì 23 dicembre 2019

La Musica Polifonica e l'Occidente: Un Post Natalizio



Pierluigi da Palestrina, "Sicut Cervus" (1604)

Translated from "Cassandra's Legacy"


Verso gli ultimi secoli del Medioevo, l'Europa stava uscendo da un periodo terribile. Le crociate si erano concluse con una serie di sconfitte disastrose e il tremendo sforzo bellico si era ritorto contro gli Europei, generando carestie e epidemie di peste che uccisero più di 100 milioni di persone. Si stima che morì circa il 45-50% della popolazione, in alcune aree probabilmente arrivando al 75-80%.

Tuttavia, l'Europa sopravvisse al disastro, anzi ne venne fuori più forte. Come ho descritto in un precedente post, con il secolo XV la popolazione europea ha ricominciato a crescere, più velocemente di prima. Probabilmente fu perché riuscì a trovare risorse naturali intatte in termini di foreste e terreni fertili.

Il XV secolo fu  fu l'inizio dell'incredibile espansione che portò l'Europa occidentale a dominare la maggior parte del mondo dopo alcuni secoli di conquiste. Ma la tumultuosa espansione non fu senza lotta interna: ogni stato europeo voleva una fetta della nuova prosperità. Con l'andar del tempo, la competizione avrebbe generato le grandi lotte del secolo XVIII, con l'Europa che combatteva contro se stessa nella guerra dei 30 anni, l'età dei roghi delle streghe e altre catastrofi. Molto prima che ciò accadesse, la vecchia unità culturale europea andava perduta: il latino, la vecchia lingua universale che aveva unito l'Europa medievale, stava rapidamente perdendo terreno. Non serviva più.

Ma, prima di scomparire, il latino ha avuto un ultimo momento di gloria. Era la musica polifonica nell'Europa occidentale, una musica delicata, sofisticata, intricata, incredibilmente bella, mai vista prima al mondo. Non che la polifonia non esistesse prima, era forse il tipo di musica più antico della storia umana e ancora oggi sopravvive come musica religiosa nell'Europa dell'Est. Ma la versione dell'Europa occidentale che è durata circa dal 1400 al 1600, era qualcosa di diverso. In precedenza, la musica gregoriana - monofonica - era stata principalmente un abbellimento delle parole della Bibbia. Con la polifonia, la musica si affermò in un'epoca in cui il latino non era più compreso.

A dire il vero, la musica polifonica era ancora cantata in latino e spesso aveva argomenti religiosi, ma era qualcosa di completamente diverso. Era un'espressione della volontà europea di espandersi in nuove regioni. Proprio come i galeoni europei esploravano nuove terre, la musica polifonica europea stava esplorando nuove armonie e nuovi modi di comunicare: mancando di un linguaggio condiviso, la musica doveva venire in soccorso. La musica polifonica potrebbe essere religiosa, ma non lo era necessariamente. Poteva assumere la forma di un madrigale, un tipo di musica laica.

Per circa due secoli, una nuova armonia, mai sentita prima, risuonò in Europa. Poi, quando la lotta divenne più dura e più estesa, la polifonia lasciò il posto alla musica sinfonica, più adatta all'età tragica e violenta che iniziò con il grande massacro della guerra dei 30 anni e si estese fino alle catastrofi delle due guerre mondiali del secolo XX. Durò fino a quando l'inglese divenne la nuova lingua universale. Con l'inglese, la musica ritornò a essere legata alla voce umana e a parole comprensibili. Un genere moderno come il rap è, dopo tutto, un ritorno all'approccio gregoriano alla musica come abbellimento del linguaggio umano.

Oggi la musica polifonica esiste ancora come musica religiosa nell'Europa orientale, ma in Occidente  è una reliquia di un tempo passato. Tuttavia, possiamo ancora apprezzare la padronanza tecnica dei compositori di quel tempo, uno di questi era Pierluigi da Palestrina che componeva Sicut Cervus, dal Salmo 45 della Bibbia.

In realtà, il Sicut Cervus non è solo una bella armonia, è qualcosa di più. Il suo tema è un cervo assetato in cerca di acqua. Dice: "Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te Deus". Che possiamo tradurre come: "Come un cervo brama una sorgente d'acqua, così la mia anima brama te, o Dio". E questo credo esprima bene il desiderio ardente dell'Occidente, l'angoscia per qualcosa che gli stessi occidentali non riescono a identificare ma che ma hanno cercato per secoli con un entusiasmo così smodato da incendiare mezzo mondo. E, qualunque cosa stessero cercando, sembra chiaro che non l'hanno trovato. Oggi, la parabola della dominazione mondiale occidentale sembra essere per lo più conclusa, anche se la lotta si riaccende ancora qua e là. Ma ci rimane qualcosa da così tanto ardore, la musica di un'epoca remota in cui i nostri antenati erano riusciti a creare qualcosa di profondo e di bello che possiamo ancora ammirare oggi: la musica polifonica.

Ho notato in un precedente post come tutte le culture umane hanno tesori che custodiscono e venerano. Questi tesori non sono di proprietà di nessuno ma doni per tutti. In quel post, ho citato Greta Thunberg, la giovane portatrice della fiaccola dei diritti del pianeta, come un dono che l'Occidente potrebbe essere in grado di offrire al mondo al giorno d'oggi. Ma anche un tesoro da donare al resto dell'umanità. Riusciremo mai ad arrivare a un mondo in cui le culture umane si scambiano doni e non bombe? Di certo, non ci siamo ancora, ma chissà mai? Nel frattempo, l'Occidente continua disperatamente a cercare qualcosa che nessuno sa esattamente cosa sia.






mercoledì 18 dicembre 2019

Il dibattito sul clima Inteso come guerra totale




Mi raccontava un mio conoscente di quando era finito in galera accusato di vari reati amministrativi (ma era per ragioni politiche - sono sicuro). Mi ha detto che ha fatto un'esperienza molto interessante, fra le altre cose a Sollicciano (il penitenziario di Firenze) i detenuti fanno dell'ottimo formaggio.

Ora, non so se io vorrei andare in galera per il gusto di fare esperienza -- o magari per un po' di formaggio. Ma forse avevo qualcosa di simile in mente quando, l'altro giorno, mi sono messo all'anima di partecipare a un dibattito televisivo di una trasmissione chiamata "Byoblu" condotta da Claudio Messora. Forse quello che mi ha attirato è il vecchio detto "Molti Nemici -- Molto Onore" (detto anche: "siamo circondati, ora possiamo colpirli in ogni direzione!"). Trovate qui la registrazione.

Nel dibattito, certamente avevo di fronte molti nemici: una bella selezione dei rappresentanti dell'anti-scienza del clima in Italia: Franco Battaglia, Uberto Crescenti, ed Enzo Pennetta. E già eravamo a tre contro uno. In più il conduttore ha condito il tutto con il famoso e disgraziatissimo intervento di Carlo Rubbia del 2014 sugli elefanti di Annibale (e siamo a quattro contro uno). Per finire, Messora stesso era chiaramente di parte usando spesso termini come "catastrofisti" e "allarmisti" ma ancora peggio era un suo sodale che collaborava alla moderazione che era anti-scienza in modo addirittura vergognoso. C'era anche il collega Marco Rosa-Clot, che è una persona seria e competente, ma che non è convinto della relazione umana con il clima, quindi non era propriamente un alleato. Insomma, 6 contro 1.

Com'è che mi sono messo in una cosa del genere? Non lo so -- forse mi sono immaginato di essere un samurai di quelli dei film che fa fuori cinque o sei nemici uno dietro l'altro con una serie di colpi di spada. Comunque, vi racconto come è andata.

Allora, per prima cosa, non è stato difficile gestire Crescenti -- geologo con buone credenziali accademiche ma che non ha capito niente di scienza del clima. Mi è dispiaciuto fargli fare la figura del vecchio pensionato che si lamenta che non ci sono più le mezze stagioni, ma è quello il suo livello.

Per quanto riguarda Pennetta, è uno che si interessa di esoterismo, UFO e robe del genere, occasionalmente cimentandosi a criticare la scienza del clima. Diciamo che non è, come dicono gli americani, "il coltello più affilato nel cassetto." Qui, mi ha letteralmente messo la testa sul ceppo davanti, facendo l'errore di attaccarmi su un campo in cui lui non è familiare, quello delle pretese "previsioni sbagliate del Club di Roma." E' finito maciullato dalle sue stesse fesserie.

Poi c'è stato il clip di Rubbia -- quello famoso del 2014 in cui parla degli elefanti di Annibale e inanella una serie di fesserie sul clima da far rizzare il pelo ai licaoni. Anche qui, è stato abbastanza facile gestirlo facendo notare come Rubbia stesso alla fine del clip abbia dichiarato che era necessario ridurre le emissioni di CO2. Su questo mi ha dato una mano anche il collega Rosa Clot.

Per quanto riguarda il tirapiedi di Messora, ha avuto il coraggio di chiedermi se facevo parte di una setta esoterica gnostica che odiava l'umanità (è vero! Lo trovate nel clip). Non gli ha portato bene.

E veniamo a Franco Battaglia. Qui, le cose non sono andate altrettanto bene. Battaglia, in effetti, è stato molto furbo: sapeva benissimo che se mi avesse tirato fuori qualcuna delle sue tipiche uscite sul clima, tipo la "hot spot troposferica" o la candela accesa nella stanza, l'avrei fatto a pezzi. Invece, ha usato una tecnica inteligente, attaccando da una direzione inaspettata. Ha tirato fuori una dichiarazione di non so più quale politico europeo e mi ha chiesto se secondo me 300 miliardi di euro erano sufficienti per ridurre le emissioni di CO2 del 50% al 2050. E ha condito la domanda con la richiesta "risponda si o no."

Ora, questo tipo di tattica ("risponda si o no") è spesso molto efficace nei dibattiti. Chi la usa ottiene in primo luogo di posizionarsi come leader nel dibattito, poi mette in difficoltà l'avversario se questo cade nella trappola. In questo caso, se io avessi risposto di si, Battaglia avrebbe risposto con la sua tiritera "adesso facciamo un po' di aritmetica" per dimostrarmi che aveveo torto. Se gli avessi risposto di no, avrebbe detto, "allora è d'accordo con me." e via con la tiritera.

Quando ti mettono di fronte al "risponda si o no," la cosa migliore è reagire in modo creativo. Avrei potuto rispondere, "le rispondo solo se lei promette di rispondere si o no a una mia domanda" e poi chiedergli se lui è pagato dall'istituto Heartland (questo è un suo grosso punto debole). Invece, vi devo confessare che Battaglia mi ha preso un po' di sorpresa. Ho reagito contrattaccando, "lei non ha nè l'autorità nè la competenza per farmi queste domande." Al che, tutto gongolante, lui ha detto "Bardi si rifiuta di rispondere," per poi partire con la tiritera. E su questo scambio va detto che ha vinto lui -- perlomeno come effetto sugli ascoltatori un po' più sprovveduti.

Poi, viceversa, ho avuto la buona idea di suggerire al moderatore di fare intervenire Rosa Clot che è un grande esperto di fotovoltaico e, pacatamente, ha demolito le argomentazioni di Battaglia. Il resto non ha molta storia. Nel complesso, credo di essere stato abbastanza efficace, lo si vede dai commenti rabbiosi che sono arrivati. Vuol dire che ho colpito abbastanza duro.

E ora vediamo se possiamo imparare qualcosa da questa esperienza.

1. Per prima cosa, la pochezza scientifica dei critici della scienza del clima è impressionante. Se vi piace vincere facile, vi suggerisco di dibattere con questi qui, tipo Crescenti o Pennetta, che oltre a non capire niente di clima sono anche scarsi come capacità di dibattito. Pensate a qualcosa tipo Conan il Barbaro che affronta in duello il ragionier Castracipolle di Varazze, ecco, qualcosa del genere.

2. Ma il punto 1 (vincere facile) è valido soltanto se siete in grado di avere spazio per ribattere e far valere il vostro punto di vista. Se il moderatore non vi lascia spazio, è un altra storia. E' più o meno quello che è successo a Emiliano Merlin in un recente dibattito dove Crescenti ha avuto un'ora e lui lo hanno zittito. E' successa la stessa cosa anche a me un paio di volte in dibattiti televisivi: quando ho detto qualcosa che non è piaciuta al conduttore, mi hanno tolto la parola e non me l'hanno più ridata. Anche a loro piace vincere facile, ovviamente. Quindi, attenzione: in queste cose ci sono sporchi trucchi. Neanche Conan ce la fa se gli dai una spada di cartone e gli leghi insieme le stringhe delle scarpe.

3. Come ho detto già altre volte, il dibattito scientifico sul clima è ormai completamente sparito. Si è trasformato in un dibattito politico. Questo vuol dire che per quanto possiate schiacciare il vostro avversario con argomenti scientifici, il pubblico si dividerà comunque in fazioni a seconda della loro posizione ideologica. Questo è normale: quando uno va alla partita, tifa per la propria squadra, non per la squadra che gioca meglio. E quindi non vi fate illusioni di poter convincere nessuno usando la scienza. Lo si vede anche dai commenti al video di Messora, tutti a senso unico contro la scienza del clima. Così è la vita.

4. Il dibattito politico segue delle regole molto diverse dal dibattito scientifico. In politica sono ammessi colpi bassi, insulti, attacchi personali, bugie, mezze verità, e cose del genere. E' guerra totale: non si usa il fioretto, ma la mazza ferrata. Dovete starci molto attenti ed essere preparati a rispondere e non è ovvio che uno che non fa di mestiere il politico o il giornalista sia in grado di reggere il confronto con i professionisti.  Una tattica usata con successo da Stefano Caserini è stata di mettere delle regole rigorose prima del dibattito. Però non funziona sempre.

5. Un dibattito di un'ora e mezzo come quello di cui vi ho parlato, ti succhia talmente tanta energia psichica che ti lascia abbacinato per un paio d'ore e ci vuole un giorno intero per riprendersi. E non leggete i commenti che vi fanno, rischiate la depressione. Diciamo che è un po' come andare a vedere un film dell'orrore -- siete contenti quando finisce e vi sentite sollevati perché era solo fantasia. Salvo che questi qui che incontrate nel dibattito sono veri!


E arriviamo alle considerazioni finali. Vale la pena impegnarsi in dibattiti di questo genere? Onestamente, non sono sicuro della risposta. Non sarebbe meglio semplicemente ignorare questa gente? Forse si, certamente per persone come Crescenti o Zichichi si applica il principio di aspettare sulla riva del fiume. Ma è anche vero che persone come Franco Battaglia si stanno rivelando molto pericolose. Battaglia è uno che ha capito moltissimo di come funziona la comunicazione, è un tizio parecchio intelligente che usa tutte le tattiche e i trucchi del caso e risulta molto efficace, soprattutto con un pubblico meno esperto e più facilmente influenzabile. Del resto, è il suo target specifico, su questo ha imparato da Silvio Berlusconi.

Il problema è che Battaglia si sta guadagnando una certa visibilità in Italia come contributore abituale del blog di Nicola Porro sul "Giornale".  E questo può fare grossi danni a tutti quanti. Credo che dovremmo impegnarci a controbattere a queste cose sui media ad alta diffusione, non solo su siti di qualità come climalteranti.it, ma che sono pochissimo diffusi in confronto. Il dibattito sta diventando sempre più serrato e anche più duro: ne va della nostra sopravvivenza. Dovremmo cercare di impegnarci di più per controbattere l'ondata dell'anti-scienza. 



Ultima nota: volevo ringraziare Claudio Messora. In un certo senso, mi ha teso una trappola, ma è anche vero che è stato onesto dicendomi prima chi erano gli altri partecipanti (a parte il tale dell'esoterismo gnostico, ma, vabbé, sorvoliamo). Poi, mi aveva promesso che mi avrebbe dato spazio nel dibattito e lo ha fatto. Quindi, bene così, come dicevo è stata un'esperienza interessante, anche se non mi sono guadagnato nemmeno una fettina di formaggio. Volendo, ci si potrebbe anche riprovare!