sabato 15 giugno 2019

venerdì 7 giugno 2019

ERA DELLA SOCIOPATIA

Autore : Derrick Jensen - Primavera 2013
Traduzione : Gianni Tiziano

Il termine Antropocene non solo non ci aiuta a fermare questa cultura dall'uccidere il pianeta – esso contribuisce direttamente ai problemi che intende affrontare.
Innanzitutto, è gravemente ingannevole. Non sono gli umani quelli che "trasformano" - leggi, uccidono - il pianeta. Sono gli umani civilizzati. C'è una differenza. È la differenza tra le antiche foreste e New York City, la differenza tra 60 milioni di bisonti su una vasta pianura e campi di cereali geneticamente modificati carichi di pesticidi -ed erbicidi- . È la differenza tra fiumi pieni di salmoni e fiumi uccisi dalle dighe idroelettriche. È la differenza tra culture i cui membri si riconoscono come uno fra i tanti e i membri di questa cultura, che convertono tutto a proprio uso.
Per essere chiari, gli Indiani Tolowa hanno vissuto dove io ora vivo per almeno 12.500 anni e quando il primo dei civilizzati arrivò il luogo era un paradiso. Ora, 170 anni più tardi, i salmoni sono stati portati all'estinzione, le sequoie sono state ridotte al 2% della loro estensione, e i campi (precedentemente foreste) sono pieni di tossine.
Per essere ancora più chiaro: gli Umani non distruggono gli ambienti naturali. Sono gli umani civilizzati che distruggono gli ambienti naturali, e lo hanno fatto fin dall'inizio della civiltà. Uno dei primi miti scritti è di Gilgamesh che sta disboscando quello che ora è l'Iraq - abbattendo foreste di cedri così fitte che la luce del sole non toccava mai il suolo, tutto questo per poter creare una grande città e, più precisamente, per poter fare grande il suo proprio nome.
Tutto questo è cruciale, perché gli autori di atrocità cercano così spesso di convincere se stessi e tutti gli altri che ciò che stanno facendo è naturale o giusto. La parola "Antropocene" tenta di rendere naturale l'assassinio del pianeta fingendo che il problema sia "l'uomo" e non un tipo specifico di uomo collegato a questa particolare cultura.
Il nome manifesta anche il supremo narcisismo che ha caratterizzato questa cultura sin dall'inizio. Naturalmente i membri di questa cultura presenterebbero il loro comportamento come rappresentativo per "l'uomo" nel suo complesso. Le altre culture non sono mai esistite veramente, tranne che come razze minori che stanno semplicemente per accedere alle risorse.
Usando il termine Antropocene si nutre di quel narcisismo. Gilgamesh ha distrutto una foresta e si è fatto un nome. Questa cultura distrugge un pianeta e nomina un'era geologica dopo sé stessa. Che sorpresa.
Dicono che un segno di intelligenza è la capacità di riconoscere gli schemi. Bene, i membri di questa cultura non devono essere molto intelligenti. Abbiamo avuto 6.000 anni per riconoscere il disegno di genocidio ed ecocidio alimentato dal narcisismo e dalla sociopatia di questa cultura, e il comportamento sta semplicemente peggiorando. I membri di questa cultura hanno avuto 6.000 anni per riconoscere che le culture che stavano conquistando erano spesso sostenibili. E continuano a insistere con questo nome che tenta di includere tutta l'umanità nel loro comportamento spregevole.
Il narcisismo si estende con il disconoscimento che esistono altre culture. Comprende anche la credenza che nient'altro sul pianeta esista pienamente. È come se l'adesivo sull'auto dicesse: "Non siamo l'unica specie sulla Terra: ci comportiamo come se lo fossimo". Di recente ho sentito un astronomo che cercava di spiegare perché è importante esplorare Marte. L'esplorazione, disse, "risponderà alla domanda più importante di tutte: siamo noi da soli ?" Su un pianeta traboccante di vita meravigliosa (per adesso), lui fa questa domanda? Ho una domanda più importante. Lui è pazzo? La risposta è si. È un narcisista e un sociopatico.

Naturalmente i membri di questa cultura, che hanno chiamato se stessi senza un brandello di ironia o umiltà Homo sapiens , mentre stanno uccidendo il pianeta, dichiarerebbero questa l'era dell'uomo.
L'Antropocene non dà alcun accenno agli orrori che questa cultura sta infliggendo. "L'Era dell'Uomo"? Oh, questo è carino. Siamo il numero uno, giusto? Invece, il nome deve essere orribile, deve produrre shock, vergogna e indignazione commisurati a questa atrocità di uccidere il pianeta. Deve richiamarci a differenziare noi stessi da questa cultura, per mostrare che questa etichetta e questo comportamento non ci appartengono. Deve richiamarci a dimostrare che non lo meritiamo. Deve richiamarci a dire e intendere: "Non una sola cultura Indigena cacciata dalla propria terra, e nemmeno più una specie estinta!"
Se daremo un nome a questa era, almeno siamo onesti e precisi. Posso suggerire, "L'Era della Sociopatia"?

Derrick Jensen è l'autore di oltre 20 libri, tra cui Deep Green Resistance

sabato 1 giugno 2019

Ma i Giapponesi sono più intelligenti degli Italiani?

Giapponesi molto intelligenti


In questi giorni, mi è capitato davanti un qualcosa abbastanza allucinante, Un rapporto OCSE di cui vi passo qualche dato qui di seguito.


Allora, quello che vedete sono i punteggi ottenuti ai test da italiani e da giapponesi a seconda dei vari livelli scolastici; "secondary" sta per "scuole medie", mentre "tertiary" significa "università"

Vedete come i giapponesi con un titolo di studio liceale hanno un livello medio di alfabetizzazione leggermente superiore di quello dei laureati italiani. Questo mi spiega, fra le tante cose, la ragione di certe esperienze allucinanti che ho avuto con i miei studenti. In ogni caso, è solo uno dei dettagli del rapporto OCSE, dove l'Italia ne esce con le ossa rotte non solo in confronto con il Giappone. Ovviamente, questo non vuol dire che gli Italiani siano più stupidi dei Giapponesi o di altri, però l'intelligenza deve essere accoppiata con un certo grado di cultura e di competenza, altrimenti serve a poco.


In sostanza, niente di nuovo: la scuola italiana è un disastro e lo sappiamo tutti. Non credo che ci siano colpe particolari in questa vicenda, è solamente la combinazione di un certo numero di fattori che si auto-rinforzano. Un paese economicamente debole, strangolato dalla burocrazia e governato da una classe di parassiti ignoranti si trova in difficoltà in una situazione di competizione internazionale sempre più dura.

Ne consegue che l'economia va male e i nostri studenti non trovano che studiare sia un buon investimento del loro tempo. Come dico spesso, prendersi una Laurea oggi vuol dire cinque anni di sofferenze in cambio di una vita di disoccupazione. I migliori se ne vanno a lavorare all'estero, lasciando qui i meno bravi che diventano politici o insegnanti. La scuola ne risente in termini di qualità, quelli che cercano di far qualcosa per migliorare si trovano di fronte a un muro di burocrazia che impedisce di fare qualsiasi cosa.

Ma, consoliamoci, in qualsiasi cosa si può sempre peggiorare. Dopo che qualcuno ha parlato di ritornare al grembiulino per le elementari, qualcuno potrebbe proporre seriamente di tornare al Minculpop. Oppure, potrebbe piovere.












sabato 25 maggio 2019

Chi ha Ucciso la Twizy? Requiem per una Microcar

VI ricordate del film "Chi ha Ucciso L'auto Elettrica?" Racconta di come la General Motors abbia distrutto e eliminato il suo primo modello elettrico, la EV1, negli anni '90. Sarò forse un po' complottista, ma mi sa che qualcosa di simile- sia successa alla microcar elettrica della Renault, la Twizy. I dati disponibili indicano un crollo delle vendite che potrebbe essere il preludion alla fine della produzione della microcar.


La storia comincia quando mi è venuto in mente che forse mi sarei potuto comprare una Twizy per andare in giro per una città sempre più congestionata e invivibile come sta diventando Firenze (e meno male che i nostri amministratori vogliono portarci ancora più gente facendo un nuovo aeroporto). Così, mi sono fatto un giretto su Internet e ho scoperto un po' di cosette. La prima è che la Twizy è stata messa in commercio nel 2012 e che è tuttora in vendita. E che costa veramente tanto. Andate a vedere voi i listini della Renault e mi dite se non è un prezzo fuori di testa per un aggeggio che ha sicuramente i suoi pregi ma, insomma, non ha nemmeno i finestrini!

Allora, ho guardato in giro se ce ne sono di usate. Si, ce ne sono e a dei prezzi che, a prima vista, sembrano molto convenienti. Tenendo conto che il motore di un veicolo elettrico non ha la stessa usura di uno a pistoni, comprare una Twizy usata sembrerebbe un buon affare.. 

E qui è venuto fuori l'inghippo. Fino a qualche anno fa, la Twizy si vendeva esclusivamente con le batterie a noleggio E il contratto di noleggio è per la vita del veicolo, non lo si può interrompere se non restituendo l'intero veicolo alla Renault!. Questo genera una serie di problemi che sono descritti in questo documento. In sostanza, il veicolo invecchia e perde di valore, e le batterie pure, ma tu paghi sempre la stessa cifra. E se tu volessi sostituirle con delle batterie nuove, più performanti, non lo puoi fare. La cosa peggiore è che se vuoi vendere la tua Twizy, devi trovare qualcuno che si accolli il contratto di noleggio a vita delle batterie: ovvero qualcuno che paghi il prezzo di noleggio per batterie nuove ma che si porta a casa delle batterie vecchie. Un po' come nei film dell'orrore, ti puoi liberare di una maledizione soltanto passandola a qualcun altro. Non c'è da stupirsi se le Twizy usate costano poco.

Intendiamoci, non è che sia un imbroglio: la Renault ti propone un contratto con certe clausole e se le firmi è tua responsabilità leggere bene prima che cosa stai firmando. Ma è probabile che molti degli acquirenti delle prime Twizy avessero firmato il contratto di noleggio delle batterie senza rendersi conto che firmavano una specie di matrimonio "finché morte non ci separi" e quando l'hanno capito si sono arrabbiati niente male. Questo ha generato anche una petizione perché la Renault li liberasse dalla maledizione (senza effetto, mi pare di capire).

Così stando le cose, non c'è da stupirsi se i risultati non sono stati brillanti. Dopo il trionfalismo del 2012-2013 in cui si parlava della Twizy come del veicolo elettrico più venduto al mondo, le vendite sono rimaste statiche o in diminuzione - in controtendenza rispetto all'aumento delle vendite di tutti gli altri veicoli. Secondo i dati disponibili sul sito Renault, sembra che nel 2019, fino al 30 Aprile, siano state vendute 2 (dicasi DUE!) Twizy in tutta Europa e poche centinaia in tutto il mondo. Da notare che dell'altro veicolo elettrico Renault, la Zoe, ne sono stati venduti oltre 15.000 in Europa nello stesso periodo. Insomma, le cose vanno decisamente male per la Twizy. Forse c'è qualche errore nei dati, ma se sono giusti è chiaro che la Twizy è al capolinea. A meno di un miracolo, la Renault smetterà presto di produrla.


Ma allora la Twizy era proprio un concetto sbagliato? Io credo di no -- non lo era affatto se fosse stata venduta a un prezzo ragionevole e senza il contratto-capestro per le batterie. La Twizy è (era?) un concetto di veicolo molto interessante: leggero, piccolo, non inquinante, avrebbe potuto essere un buon complemento al trasporto pubblico nelle città e un mezzo utile per le medie distanze fuori città. Sicuramente, la Twizy sarebbe stata particolarmente interessante per il concetto di TAAS (transport as a service). Allora, cosa è successo?

Mi sa proprio che ci fosse qualcuno alla Renault al quale la Twizy gli stava proprio antipatica e che ha fatto di tutto per sabotarla. Non sarebbe una cosa sorprendente dopo la storia dell'EV1 della General Motors. Magari non era una questione di sabotare il veicolo elettrico in se, ma semplicemente un calcolo pratico che la Twizy era in competizione con la Zoe elettrica, macchina più costosa e sulla quale la Renault sicuramente ha pensato di poter fare maggiori profitti. Non sorprende che abbiano deciso di puntare sulla Zoe, anche a costo di affossare la Twizy. Ed è quello che è successo.

Per ora, rimaniamo bloccati sul concetto della "macchina" intesa come un aggeggio che pesa almeno una tonnellata -- tipicamente anche due o tre -- che ti compri come se dovessi correre la Parigi-Dakar mentre invece quello che ci devi fare in pratica è portare il bambino a scuola tutte le mattine. Ma così stanno le cose. Ci vorra tempo per liberarsi da certi veicoli obesi e inutili, ma prima o poi ci arriveremo.


venerdì 17 maggio 2019

Il rumore dell’acqua – viaggiare dove, come, e perché




Matsuo Bashō (1644–1694) ci ha lasciato uno dei più famosi poemi al mondo, tre sole linee nel formato giapponese dell’Haiku:


L’antico stagno
Una rana si tuffa
Il rumore dell’acqua


Il significato del poema ha molto a che vedere col fatto che Bashō era un grande viaggiatore: passò gli ultimi decenni della sua vita a vagabondare per il Giappone sempre alla ricerca della nuova sensazione, di una nuova scoperta che lo ispirava per un nuovo poema.

Bashō era il discendente di una lunga epopea di viaggi che era partita, probabilmente dal centro dell’Africa per gli umani moderni che si sono sparpagliati per tutto il mondo su un arco di tempo di migliaia di anni, sempre camminando, sempre andando avanti. Siamo un popolo di viaggiatori. Lo dimostrano i nostri piedi piatti e larghi, tecnicamente siamo dei plantigradi. Confrontate il piede umano con lo zoccolo di un’antilope: vedete la differenza? Siamo fatti per camminare a lungo e senza stancarci e, quando necessario, possiamo correre fino a sfiancare quasi qualunque preda.

A volte, viaggiamo per pura necessità. Ma spesso lo facciamo perché ci piace, perché ci eccita, perché ci da nuove sensazioni – era probabilmente lo stesso per i nostri remoti antenati. Oggi, vediamo questo piccolo rituale del viaggio svolgersi in estate, verso il mare o verso le montagne, o semplicemente il fine settimana, verso qualche oasi di fresco o di ristoro, a ricordarci i viaggi dei nostri antenati nomadi.

Certo, non viaggiamo più soltanto a piedi, ma il viaggio non è soltanto una questione del mezzo di trasporto che usiamo. E’ una questione di infrastruttura e già al tempo di Bashō si poteva viaggiare perché esisteva in Giappone una rete di monasteri che davano ospitalità al pellegrino. Era un idea che esisteva già in Europa nel Medio Evo al tempo dei pellegrinaggi, lunghissimi viaggi a piedi che portavano i fedeli in Terra Santa e, allo stesso tempo, rivitalizzavano l'economia locale che si attrezzava per ospitare e rifocillare i pellegrini.

E oggi? I pellegrinaggi li chiamiamo turismo, le automobili hanno sostituito i piedi, gli alberghi fanno il servizio che una volta facevano i monasteri. Ma il viaggio rimane non solo un lusso ma una necessità. E allora, dove stiamo andando? Come? Perché? Forse non lo sa nessuno di noi, è solo perché ci piace viaggiare.












venerdì 3 maggio 2019

The song peak


I miei ragazzi
 Ai miei ragazzi di terza media cerco di far capire cosa ci aspetta in termini di transizioni e utilizzi dei materiali, soprattutto in campo energetico. Uno dei concetti che essi imparano, in quest’ambito, è proprio quello del picco, declinato prima sul petrolio e, mano a mano, su altri importanti materie prime (uranio, metalli preziosi e via dicendo).
Mi sono interrogato se questa visione possa essere applicata in altri campi e, da bravo ingegnere dei sistemi, mi sono risposto che andamenti analoghi possono essere trovati in ogni campo in cui ci sia una ricerca condizionata da una dimensione fissa del serbatoio da cui si pesca (almeno nel termine della corrente vita della specie umana).
Fenomeni di questo tipo, purtroppo, non possono che condizionare anche aspettative e speranze delle generazioni: se negli anni ’50 c’era il sogno americano in tutto il suo splendore, adesso abbiamo spesso l’incubo distopico dell’apocalisse declinata in tutte le sue forme (invasioni, guerre globali, virus e simili amenità).
Pare che l’abbondanza relativa di risorse (estraibili e utilizzabili senza sforzi) sia in grado di influenzare i temi che il cinema ci propone, probabilmente anticipando tendenze già visibili.

E la musica?

Cosa c’è di più sottile e insieme corposo che definisce lo stato d’animo di un’epoca? Cosa meglio descrive il sentimento di un’epoca?
Prendiamo in considerazione la cosiddetta musica leggera dalla fine degli anni 40 del XX secolo ad oggi:


Essa si può sommariamente dividere in Rock e Pop e, in entrambi i casi, parte da vincoli non superabili che descrivono il “giacimento” di melodie e ritmica da cui è possibile attingere per creare una canzone. Ancora una volta il giacimento è una super-semplificazione di un fenomeno che porta, tra le migliaia di canzoni prodotte, quelle che fanno veramente successo e che verranno ricordate nel tempo.
La tesi è quindi che le migliori canzoni, quelle da ricordare, abbiano un andamento nel tempo simile a quello che descrive il comportamento di una risorsa mineraria finita: una crescita, un picco, un declino più o meno pronunciato. I migliori motivi saranno scoperti con andamento crescente (maggior impiego di risorse in termini di persone che si mettono a creare attratte dai guadagni, 1945-1965) fino alla saturazione e al declino (1965-oggi) a causa dei maggiori mezzi impiegati su un “serbatoio” di motivi migliori via via in esaurimento (pur in presenza di un numero maggiore di persone impiegate nella creazione con più mezzi).
Ho quindi pensato di analizzare con un po’ di numeri questa tesi, a partire dalla Top 500 Songs del Rolling Stone Magazine, che dovrebbe essere una lista delle migliori canzoni. Dal punto di vista metodologico ho considerato tre indici (lungo i lustri e i decenni), col seguente significato:

1.    Canzoni: numero secco di canzoni presenti in lista nel periodo. È un indice quantitativo della produzione nel periodo, in qualche modo proporzionale alla vastità del serbatoio e delle tecnologie di cattura (numero di persone, mezzi a disposizione)

2.    Valore: somma del valore delle canzoni nel periodo. Il valore è inteso come il complemento a 500 della posizione della canzone nella lista. La prima canzone ha valore 500, l’ultima ha valore 0. Si può considerare come una sorta di momentum della produzione nel periodo considerato.
3.    Valore specifico: Divisione del valore per le canzoni nel periodo. Si può intendere come una misura della qualità della produzione

Analisi su 5 anni

Con il periodo considerato a 5 anni si notano le seguenti cose:
1.    Esiste indubitabilmente un picco della produzione delle canzoni, centrato intorno al 1965
2.    La produzione scende molto ripidamente negli anni 70 e si azzera praticamente dagli anni 80 in poi.
3.    La tendenza è esaltata se consideriamo l’indice relativo al valore complessivo che pesa anche la qualità della canzone
4.    Esiste una costante diminuzione della qualità delle canzoni (valore specifico): sembra essere un trend costante e praticamente indiscutibile

Analisi su 10 anni

Vedere le cose sui decenni esalta le tendenze rendendole immediatamente visibili. Esiste un picco della produzione intorno agli anni 60, i decennio d’oro di questo tipo di musica. Esiste un preoccupante, costante decadimento della qualità musicale negli anni.

Riflessione finale
Una considerazione: da decenni i giovani interpretano il senso della propria vita e della propria generazione grazie alla musica che ascoltano. Se quest’ultima si ripiega, per forzata mancanza di originalità, nei rifacimenti delle cover o in generi derivati… non si può condannare una generazione per mancanza di ideali. I giovani respirano quelle vibrazioni che furono felici negli anni 50, mature negli anni 70, collassate dagli anni 80 in poi.

PS l'immagine sulla composizione delle tendenze è presa da wikipedia, le altre immagini sono di originale composizione dell'autore


Pierluigi Germano