lunedì 21 settembre 2015

Ce la facciamo a sostituire i fossili con le rinnovabili prima che sia troppo tardi?


Il risultato di uno dei modelli sviluppati da Alessandro Pulvirenti per descrivere la "Transizione Energetica." Vedete il declino della produzione fossile e il rapido aumento di quella rinnovabile.

Dicevano i Cinesi che vivere in tempi interessanti è una maledizione. In effetti, c'è poco da dubitare che viviamo in tempi interessanti. A parte le varie guerre, stermini di massa, migrazioni, e tutto il resto, abbiamo davanti un problema cruciale: Siamo in grado smettere di bruciare combustibili fossili prima che il cambiamento climatico ci spazzi via? E siamo in grado di sostituirli con qualcosa che ci dia altrettanta energia da permetterci di sopravvivere? E siamo in grado di farlo prima che le risorse fossili si esauriscano?

Bella domanda. Diciamo che vale qualche trilione di dollari; il valore monetario di un'intera civiltà. Ci prova a dare una risposta Alessandro Pulvirenti con una serie di calcoli molto dettagliati e molto interessanti. Come vi potete immaginare, non è un calcolo facile e le assunzioni necessarie sono tante e tutte piuttosto incerte. Ma, in breve, comunque, Pulvirenti basa i suoi calcoli su una diminuzione progressiva dell'EROEI (resa energetica) dei fossili, su una "curva di Hubbert" per i consumi fossili, e sull'idea che una certa frazione dell'energia prodotta (fossile e rinnovabile) verrà riutilizzata per costruire nuovi impianti rinnovabili che, alla fine, sostituiranno completamente quelli fossili.

I risultati variano a seconda delle assunzioni iniziali. Ecco le conclusioni alle quali arriva Pulvirenti.

Visti i risultati dei 4 modelli utilizzati, ci si rende conto che:

E' quasi impossibile escludere totalmente l'uso dei combustibili fossili con le sole fonti rinnovabili, utilizzando le tecnologie attuali e la capacità di produzione delle aziende.

Invece, soddisfare le esigenze di energia elettrica attuali e future (il 50% dell'energia primaria) è una cosa fattibile, ma richiede grandi investimenti per gli impianti di produzione (aziende).

Rinviare ulteriormente la transizione e cercare di effettuarla in futuro in minor tempo, richiederà maggiori risorse energetiche annuali, sia per la produzione dei manufatti (celle PV o aerogeneratori) che investimenti per gli impianti delle aziende prodruttrici; con il rischio che l'eccessiva sottrazione di risorse energetiche, causi una crisi economica e sociale molto intensa.

Questi risultati sono diversi da quelli miei e dai miei collaboratori (Sgouridis et al.), dove troviamo che in effetti è possibile sostituire l'energia fossile con altrettanta energia netta di origine rinnovabile in una arco di tempo di una cinquantina di anni. Anche Greenpeace è venuta fuori con una proposta di arrivare al 100% di energia rinnovabile per il 2050.

Ma non mi sembra che ci siano contrasti fondamentali: dipende dalle assunzioni iniziali. Come tutti sappiamo, anche senza bisogno di calcoli dettagliati, la transizione è complessa e richiede dei sacrifici che, al momento, nessuno ha voglia di fare. E se nessuno ha voglia di fare sacrifici, alla transizione non arriveremo mai, di certo.

Comunque, date un'occhiata al post di Pulvirenti, con il quale mi congratulo per il lavoro svolto. Potete commentare qui, su "effetto risorse," che Alessandro segue normalmente.



domenica 20 settembre 2015

La fine annunciata della civiltà

Da “bastamag.net” Traduzione di MR (via Luca Pardi)

Di Ivan Du Roy


Dei nove limiti vitali al funzionamento del “sistema Terra”, almeno quattro sono già stati superati dalle nostre società industriali, con il riscaldamento globale, il declino della biodiversità o il tasso insostenibile di deforestazione. Superare questi limiti significa prendersi il rischio che il nostro ambiente e le nostre società reagiscano “in modo improvviso ed imprevedibile”,avvertono Pablo Servigne e Raphaël Stevens nel loro libro “Come tutto può collassare”. Ricordando tutti i dati e gli avvertimenti scientifici sempre più allarmanti, i due autori fanno appello ad uscire dalla negazione. “Essere catastrofisti non significa né essere pessimisti né ottimisti, significa essere lucidi”. Un'intervista.

sabato 19 settembre 2015

Un Artico più caldo significa inverni più freddi altrove.

Da “Inside Climate News”. Traduzione di MR (via Skeptical Science)

Di Katherine Bagley

L'aumento delle temperature dell'Artico stanno cambiando il jet stream, portando l'aria fredda più a sud, dimostrando che il cambiamento climatico può alimentare il meteo estremo in modi inattesi. 


Il cambiamento climatico si manifesta con inverni più nevosi in luoghi come Boston, grazie ad un Artico più caldo. Foto: Peter Enyeart, via Flickr

La fusione del ghiaccio marino e le temperature più alte nell'Artico sono responsabili per i brutali picchi di freddo che hanno afflitto parti dell'Asia e del Nord America negli ultimi anni, secondo la nuova ricerca di scienziati coreani ed europei pubblicata lunedì.

Lo studio, pubblicato nella rivista peer-review Nature Geoscience, si aggiunge alle prove crescenti che collegano l'aumento delle temperature nell'Artico al cambiamento degli schemi meteorologici in tutto il globo. Aiuta anche a demolire ulteriormente una delle argomentazioni preferite dai negazionisti: il meteo freddo prova che il mondo non si sta scaldando a causa dell'accumulo di gas serra nell'atmosfera.

Controintutitivo: (Un po' di) volatilità dei mercati è buona, la stabilità non tanto

Da “Resource Insight”. Traduzione di MR

Di Kurt Cobb

Con le borse del mondo che precipitano e i prezzi dei beni in picchiata, sembra appropriato tornare al tema di cui ho parlato in precedenza, cioè del fatto che una certa quantità di volatilità finanziaria è cosa buona per gli esseri umani e per i sistemi che costruiscono e che i tentativi di soffocare la naturale e salutare volatilità di un sistema può portare alla fine ad una maggiore, e persino catastrofica, volatilità. Tutto questo va contro la propaganda con la quale veniamo intrattenuti quotidianamente. Per esempio, agli investitori viene detto che minore è la volatilità dei loro portafogli, minore è il rischio. Ma nel 2008 questo si è rivelato essere falso. Più di recente, man mano che la volatilità nell'ampiamente seguito S&P 500 si è assestata ai minimi storici, quest'anno, gli investitori hanno creduto che la magia della volatilità bassa fosse un fatto permanente. Le banche centrali, attraverso i loro interventi periodici quando i mercati hanno iniziato a crollare, avevano in qualche modo approntato una situazione senza possibilità di perdere per gli investitori. Sarebbe stato vento in poppa per... be', per sempre, se si ascolta Wall Street.

venerdì 18 settembre 2015

Gli esseri umani si trovano di fronte all'estinzione se la distruzione delle piante continua: 'Le leggi della termodinamica non hanno pietà'

Da “International Business Times”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

Di Hannah Osborne




Una sezione di pascolo bruciato vista in un'area deforestata dell'Amazzonia nello stato di Maranhao (Mario Tama/Getty Images)

Uno studio ha scoperto che gli esseri umani o si estingueranno o saranno costretti a tornare a stili di vita da cacciatori-raccoglitori se continuiamo a distruggere la vita vegetale della Terra.
John Schramski, dell'Università della Georgia, ha detto che il nostro pianeta diventerà sempre meno ospitale in conseguenza della perdita di piante e che, se non ci estinguiamo, i nostri stili di vita torneranno quelli dei nostri antenati di 12.000 anni fa. In uno studio pubblicato sulla rivista PNAS, Schramski e colleghi hanno usato la termodinamica (la relazione fra calore ed energia) per guardare l'energia immagazzinata nelle piante e il tasso al quale viene distrutta per stabilire le conseguenze della distruzione continua. La Terra è stata un panorama desolato per miliardi di anni, finché gli organismi si sono evoluti fino a trasformare la luce solare in energia. Dopo di che c'è stata una esplosione di vita vegetale ed animale. I ricercatori stimano che il pianeta contenesse circa 1.000 miliardi di tonnellate di carbonio nella vita vegetale 2.000 anni fa e che da allora gli esseri umani hanno ridotto quella quantità di circa la metà, distruggendola per fare spazio a città e agricoltura. Si pensa che abbiamo distrutto circa il 10% di questa banca di carbonio negli ultimi 100 anni.

Cambiamento climatico: ci salverà la crisi economica?

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

Una delle cose interessanti del modo in cui l'economia funziona è che per fare un dollaro è sempre necessario consumare energia. E il consumo di energia (parlando globalmente) comporta il rilascio di CO2. Come abbiamo visto dall'inizio della Rivoluzione Industriale, man mano che l'economia mondiale cresce, le emissioni di CO2 seguono.

Il PIL mondiale potrebbe cominciare a scivolare? Questa probabilità sembra sempre maggiore. Le borse stanno crollando, man mano che i prezzi dei beni collassano, l'economia della Cina sta sprofondando, i rapporti del debito nel mondo stanno lievitando e le banche centrali sembrano aver finito gli strumenti incentivanti su larga scala. Ovviamente siamo a rischio di inversione economica globale, che potrebbe persino già essere in corso.

Sono stato per lungo tempo dell'opinione di recente condivisa dallo scienziato del clima Christopher Reyer, che è stato citato nell'articolo “Il collasso economico limiterà il cambiamento climatico, prevede uno scienziato del clima" quando dice, "Non siamo nemmeno sulla strada per i +6°C perché le economie collasseranno molto prima che ci arriviamo”.


Per cui ho deciso di fare un piccolo esperimento mentale. Cosa succederebbe alle emissioni di CO2 se il mondo entrasse in una depressione analoga alla Grande Depressione dei primi anni 30, ma in qualche modo più duratura? Come ogni buono scienziato amatoriale, comincio dichiarando le mie ipotesi in anticipo.

Ho cominciato con l'ipotesi chiave che l'intensità di CO2 del PIL (la quantità di CO2 emessa per ogni dollaro di PIL) rimarrebbe costante nel periodo della depressione, il che significa che il declino percentuale delle emissioni di CO2 sarebbe lo stesso di quello del PIL.

Quell'ipotesi iniziale si basa sull'ipotesi sottesa: i fattori che in passato hanno ridotto l'intensità di carbonio del PIL – come l'accumulo di energia rinnovabile e il passaggio a livello mondiale verso le economie dei servizi – non saranno più in gioco. Gli investimenti in nuovi impianti di produzione di energia si fermeranno, in quanto non serviranno più e il mondo sarà troppo occupato a cercare di sopravvivere per preoccuparsi di creare più posti di lavoro in servizi finanziari e nell'arredamento di interni.

Lo scenario si dipana così: ho immaginato che il mondo cade in una depressione che inizia praticamente come la Grande Depressione, con tre anni di scivolamento del PIL a doppia cifra. Questo salto è seguito da una tentata ripresa che recupera un po' di campo economico per un anno o due, dopo di che si insedia una discesa economica più graduale ma di maggior durata, che si dipana man mano che si avvicina il 2030.

Nella mia immaginazione il ripido scivolamento economico inizia il prossimo anno, con tre anni consecutivi di declino del PIL mondiale del 11% – più o meno quello che il mondo ha vissuto dal 1929 al 1932. Quei declini sono seguiti da un anno di ripresa e da un anno di paralisi da far strabuzzare gli occhi. Dopo il 2020, comincia lo scivolamento più lungo e lento. Comincia col 5% all'anno e si riduce gradualmente a declini del 2% all'anno verso la fine del decennio. Ogni anno, le emissioni di CO2 scendono della stessa percentuale del PIL.

Ecco come si presenta l'evento in numeri:


Nel 2030, il mondo emetterebbe solo la metà del CO2 che emette oggi – circa la stessa quantità che emetteva nel 1977. Ciò avverrebbe senza alcuna necessità di investimenti in energie rinnovabili o nucleare e senza la necessità di alcun accordo internazionale. Naturalmente, a quel punto il PIL mondiale sarebbe declinato a sua volta della metà...

Ora, questo non è un piano o una proposta. E' solo una descrizione di quello che accadrebbe durante un declino economico simile a quello che abbiamo già vissuto in un passato non troppo lontano.

A differenza delle conferenze internazionali sul clima “estendi-e-fingi”, o le pie illusioni dei sostenitori delle energie rinnovabili, questo processo è garantito che funzioni. Ed un rapido sguardo alle borse di azioni, obbligazioni e beni proprio in questo momento suggerisce che le possibilità che questo accada in realtà sono piuttosto buone.

Forse c'è qualche speranza, dopotutto, per la biosfera...


giovedì 17 settembre 2015

5 trilioni di tonnellate di ghiaccio perse dal 2002

Da “slate”. Traduzione di MR (via Skeptical Science)

Di Phil Plait 

Scrivo del significato che ha il riscaldamento globale per il nostro pianeta e per noi ormai da molto tempo. Una preoccupazione cruciale riguardo a questo è la perdita di ghiaccio terrestre in Antartide e Groenlandia, per molte ragioni. Una è che è un indicatore dei poli, un'anticipazione di cosa significa alzare il termostato globale. Un'altra è che contribuisce all'aumento del livello del mare, che si sta alzando ormai da un bel po' di tempo. La la perdita di ghiaccio terrestre è forse più importante come innesco politico. La quantità totale di ghiaccio terrestre persa ogni anno è diretta, qui, ora. E i numeri sono impressionanti: usando i dati dei satelliti GRACE lanciati nel 2002, gli scienziati hanno misurato che la calotta glaciale dell'Antartide sta perdendo 134 miliardi di tonnellate all'anno e la Groenlandia ne sta perdendo 287.