lunedì 16 febbraio 2015

Petrolio ed economia: dove siamo diretti nel 2015-16?

Da “Our Finite World”. Traduzione di MR (rev. Luca Pardi)

Di Gail Tverberg

Il prezzo del petrolio va giù. Come possiamo aspettarci che si comporti l'economia nel 2015 e nel 2016?

I giornali negli Stati Uniti sembrano enfatizzare gli aspetti positivi della diminuzione dei prezzi. Ho scritto le Dieci ragioni per cui i prezzi del petrolio alti sono un problema. Se il nostro solo problema fossero i prezzi del petrolio alti, allora i prezzi del petrolio bassi sembrerebbero essere una soluzione. Sfortunatamente, il problema che stiamo incontrando ora sono i prezzi estremamente bassi Se i prezzi continuano su questo livello basso, ci troviamo in seri problemi rispetto alla futura estrazione di petrolio. Mi sembra che la situazione sia molto più preoccupante di quanto creda gran parte delle persone. Anche se ci sono alcuni effetti temporanei positivi, verranno più che compensati da quelli negativi, alcuni dei quali potrebbero essere davvero negativi. Potremmo aver raggiunto i limiti di un mondo finito.

La natura del nostro problema coi prezzi del petrolio

I bassi prezzi del petrolio che stiamo vedendo sono un sintomo di problemi gravi interni all'economia – quello che ho chiamato “aumentata inefficienza” (in realtà “riotrni decrescenti”) che portano a salari bassi. Vedete il mio post Come la aumentata inefficienza spiega il crollo dei prezzi del petrolio. Mentre i salari sono rimasti stagnanti, il costo  dell'estrazione del petrolio è aumentato di circa il 10% all'anno, come descritto nel mio post L'inizio della fine? Le compagnie petrolifere tagliano gli investimenti. Inutile dire che salari stagnanti insieme ad un rapido aumento dei costi di produzione del petrolio portano ad un disallineamento fra:


  • Quanto i consumatori si possono permettere per pagare il petrolio
  • Il costo del petrolio stesso, se il prezzo del petrolio coincide col costo di produzione


domenica 15 febbraio 2015

L'analisi termodinamica rivela un ruolo ampio e trascurato del petrolio ed altre fonti energetiche nell'economia

DaPhys.org”. Traduzione di MR (h/t Emilio Martines)


Un nuovo modello di crescita economica include non solo capitale e lavoro, ma anche energia e creatività come fattori di produzione. L'energia è posta in una posizione uguale a quella di capitale e lavoro. Grazie a R. Kümmel. La seconda legge dell'economia: energia, entropia e le origini della ricchezza


(Phys.org) – Le leggi della termodinamica sono meglio conosciute per affrontare l'energia nel contesto della fisica, ma un nuovo studio suggerisce che gli stessi concetti possono aiutare a migliorare i modelli della crescita economica tenendo conto dell'energia nella sfera economica. Nei modelli di crescita neoclassici, ci sono due fattori principali che contribuiscono alla crescita economica: lavoro e capitale. Tuttavia, questi modelli sono ben lontani dalla perfezione, costituendo meno della metà della crescita economica reale. Il resto della crescita è costituito dal residuale di Solow, che si pensa sia attribuito la fattore di difficile quantificazione del “progresso tecnologico”. Anche se i modelli di crescita neoclassici aiutano gli economisti a capire la crescita economica, il fatto che lascino una parte così importante di crescita economica inspiegata è leggermente inquietante. Persino  Robert A. Solow, il fondatore della teoria neoclassica della crescita, ha dichiarato che il modello neoclassico “è una teoria di crescita che lascia inspiegato il fattore principale della crescita economica”.

Energia, un potente fattore di produzione

In un nuovo studio pubblicato sulla Nuova Rivista di Fisica, il professor Reiner Kümmel all'Università di Würzburg e il dottor Dietmar Lindenberger all'Università di Colonia sostengono che l'ingrediente mancante rappresentato dal residuale di Solow consiste principalmente di energia. Mostrano che, per ragioni termodinamiche, l'energia dovrebbe essere considerata come il terzo fattore di produzione, allo stesso livello dei tradizionali fattori capitale e lavoro. (Per definizione, il lavoro rappresenta il numero di ore lavorative all'anno. Il capitale si riferisce alla riserva di capitale che è elencata nei conti nazionali, che consiste di tutti i dispositivi che convertono energia, i processori di informazione e gli edifici e le installazioni necessarie alla loro protezione e funzionamento. L'energia comprende combustibili fossili e fissili (nucleare), così come le fonti energetiche alternative). La nuova proposta si trova in forte contrasto coi modelli di crescita neoclassici, in cui i fattori di produzione hanno pesi economici molto diversi, che rappresentano i loro poteri produttivi. Nei modelli di crescita neoclassici, questi pesi economici o “elasticità di produzione” sono impostati uguali alla quota dei costi di ciascun fattore di produzione: la quota del costo del lavoro è 79%, il capitale costituisce il 25% e l'energia solo il 5%. Nella loro analisi, i ricercatori hanno scoperto che, a differenza dei modelli neoclassici, i pesi economici dell'energia e del lavoro non sono uguali al costo delle loro quote. Mentre il peso economico dell'energia è molto più grande al costo della sua quota, quello del lavoro è molto più piccolo. Ciò significa che l'energia ha un potere produttivo molto più alto di quello del lavoro, che è il motivo per cui l'energia è relativamente economica mentre il lavoro è caro.


(Sinistra) Crescita economica e (destra) contributi dei tre principali fattori di produzione della crescita economica in Germania alla fine del 20° secolo. Grazie a Kümmel. La seconda legge dell'economia: energia, entropia e le origini della ricchezza

Implicazioni nel mondo reale

Per testare il loro modello nella realtà, Kümmel e Lindenberger lo hanno applicato per riprodurre la crescita economica della Germania, del Giappone e degli Stati Uniti dagli anni 60 al 2000, facendo particolare attenzione alle due crisi petrolifere. Nei modelli neoclassici, riduzioni degli ingressi di energia del 7%, come osservato durante la prima crisi energetica nel 1973-75, avrebbe dovuto causare una riduzione totale della produzione economica di solo lo 0,35%, mentre le riduzioni osservate erano fino ad un ordine di grandezza più grandi. Usando il maggiore peso dell'energia, il nuovo modello può spiegare una porzione molto maggiore delle riduzioni di produzione totali durante quel periodo. Se corrette, le loro scoperte hanno grandi implicazioni. Primo, il nuovo modello non richiede affatto il residuale di Solow. Questo residuale scompare dai grafici che mostrano le curve di crescita empiriche e teoriche. L'energia, insieme all'aggiunta di un più piccolo fattore di “creatività umana”, copre tutta la crescita che i modelli neoclassici attribuiscono al progresso tecnologico.

Secondo, e in qualche modo inquietante, è l'impatto che le scoperte potrebbero avere nel mondo reale. Nel 2012, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha dichiarato nella sua Panoramica Economica Mondiale che “... se il contributo del petrolio alla produzione è stato dimostrato essere molto maggiore della sua quota di costo, gli effetti potrebbero essere drammatici, suggerendo la necessità di un'urgente azione politica”. Secondo l'analisi dell'autore, il potere altamente produttivo dell'energia a basso costo e il basso potere produttivo del lavoro costoso ha implicazioni che riusciamo ad osservare facilmente. Da un lato , i cittadini medi di paesi altamente industrializzati godono di una ricchezza materiale che non ha precedenti nella storia. Dall'altro lato, combinazioni di energia-capitale potenti e a buon mercato stanno sempre più sostituendo il lavoro costoso e debole nel corso di una sempre maggiore automazione. Questa combinazione uccide posti di lavoro per la parte meno specializzata della forza lavoro. E' anche il motivo per cui molte meno persone lavorano in agricoltura e produzione oggi rispetto al passato e più persone lavorano nel settore dei servizi – anche se anche qui, computer e software stanno sostituendo il lavoro o causando la delocalizzazione del lavoro in paesi con salari bassi. Questa ben nota tendenza può essere compresa dal messaggio del nuovo modello secondo cui l'energia è più conveniente e più potente del lavoro.

Dov'è il punto di equilibrio?

Al centro del modello di Kümmel e Lindenberger c'è il concetto dell'equilibrio termodinamico. Come spiegano i ricercatori, le economie devono operare in un equilibrio dove un obbiettivo, come un profitto o il benessere generale, ha un massimo. Per massimizzare questi obbiettivi, l'economia neoclassica presume che non ci siano limiti alle combinazioni di capitale, lavoro ed energia. Senza limiti, l'equilibrio economico è caratterizzato dalla parità fra elasticità della produzione e quote di costo, che è uno degli assunti dei modelli di crescita neoclassici, come descritto sopra. Nel loro nuovo modello, Kümmel e Lindenberger applicano gli stessi principi di ottimizzazione, ma tengono anche conto dei limiti tecnologici su combinazioni di fattori di produzione. In realtà, un sistema di produzione non può funzionare a più della piena capacità e il suo grado di automazione ad un dato momento è limitato dalle quantità di dispositivi che convertono energia e di elaboratori di informazioni che il sistema può ospitare in quel momento. Ulteriori limiti legali e sociali potrebbero porre limiti “leggeri” sui fattori di produzione, in particolare il lavoro. In questo nuovo modello, questi limiti tecnologici sui fattori di produzione impediscono alle moderne economie industriali di raggiungere l'equilibrio neoclassico, dove le elasticità di produzione di capitale, lavoro ed energia sono alle quote di costo di questi fattori. Piuttosto, l'equilibrio delle economie reali, che sono vincolate da limiti tecnologici, è ben lontano dall'equilibrio neoclassico.

Mentre il modello fornisce una nuova prospettiva di crescita economica, la domanda finale rimane ancora: che tipo di strategie stimoleranno la crescita economica e ridurranno la disoccupazione e le emissioni? Qualsiasi sia la domanda, i risultati qui suggeriscono che deve tenere conto del ruolo cardine dell'energia nella produzione economica. “All'interno dell'attuale quadro legale del mercato, serve che la crescita economica proibisca lo spettro della disoccupazione”, spiegano i ricercatori. “La crescita economica alimentata dall'energia, a sua volta, potrebbe portare a sempre maggiori perturbazioni ambientali perché, secondo la prima e la seconda legge della termodinamica, niente nel mondo accade senza conversione di energia e produzione di entropia. E la produzione di entropia è associata all'emissione di calore e particelle, segnatamente biossido di carbonio, finché il mondo usa combustibili fossili al tasso attuale”.

Kümmel è anche l'autore di un libro sul tema intitolato La seconda legge dell'economia: energia, entropia ed origini della ricchezza.



L'uso eccessivo di azoto e fosforo potrebbe causare la devastazione della Terra

Da “Daily Science Journal”. Traduzione di MR. (h/t Alexander Ač)

Di James Hailey



La Terra è sulla strada per diventare inabitabile a causa dell'aumentato uso di fertilizzanti artificiali come fosforo e azoto che stanno superando i limiti planetari. Il fatto è stato confermato dal direttore del Centro per la Limnologia dell'Università del Wisconsin di Madison, il professor Stephen Carpenter, che ha anche dichiarato che “Stiamo correndo verso e oltre i limiti biofisici che permettono la civiltà umana per come la conosciamo”. All'inizio del periodo dell'Olocene, la Terra era un posto molto migliore per vivere a causa delle attività umane che hanno portato a sviluppi raffinati in aspetti sociali, politici e religiosi. Carpenter ha commentato “Ogni cosa importante per la civiltà ha avuto luogo prima del 1914”. Alcune delle cose migliori di allora includevano l'agricoltura, l'ascesa e il declino dell'Impero Romano e la Rivoluzione Industriale. E dopo quell'era le attività umane hanno iniziato a distruggere la Terra.

Il professor Carpenter e la sua squadra hanno portato a termine una ricerca a proposito degli impatti del riscaldamento dovuto al carbonio, compresa la perdita di biodiversità e l'aumento del livello del mare. Spiegando le loro scoperte, i ricercatori hanno affermato che “Abbiamo (le persone) ampiamente cambiato i cicli dell'azoto e del fosforo più di qualsiasi altro elemento. (L'aumento) è nell'ordine del 200-300%. Al contrario, il carbonio è aumentato solo del 10-20% e guardate tutto il tumulto che ha causato nel clima”. Hanno anche sottolineato l'uso non necessario di fertilizzanti artificiali per stimolare l'agricoltura negli Stati Uniti in quanto la terra è già ricca di nutrienti. L'uso eccessivo di fertilizzanti su terre già ricche di nutrienti sta causando impatti negativi e sta spingendo la civiltà oltre i limiti di sicurezza. Alcuni paesi hanno terre ricche di azoto e fosforo, mentre molte altre hanno suolo in cui mancano questi elementi ed hanno difficoltà a coltivare alimenti senza fertilizzanti artificiali. Carpenter ha detto: “Ci sono alcune parti del mondo che sono eccessivamente inquinate di azoto e fosforo ed altre in cui le persone non ne hanno nemmeno a sufficienza per coltivare il cibo di cui hanno bisogno”. Per evitare di alterare l'ecosistema, ha consigliato che gli agricoltori industriali riducano l'uso eccessivo di fosforo e azoto. Ah aggiunto: “Potrebbe essere possibile che la civiltà umana viva al di fuori delle condizioni dell'Olocene, ma non è mai stato provato prima. Sappiamo che la civiltà ce l'ha fatta nelle condizioni dell'Olocene, quindi sembra saggio cercare di mantenerle”.

sabato 14 febbraio 2015

La grande accelerazione dell'attività umana

Da “igbp”. Traduzione di MR (h/t Paul Chefurka)

Comunicato stampa – Da un decennio la IGBP, in collaborazione con lo Stockholm Resilience Centre, ha rivalutato gli indicatori della Grande Accelerazione inizialmente pubblicati nella sintesi IGBP “Cambiamento globale nel sistema terrestre” nel 2004. L'attività umana, prevalentemente il sistema economico globale, ora è il motore principale di cambiamento nel Sistema Terrestre (la somma dei processi fisici, chimici, biologici ed umani del nostro pianeta), secondo una serie di 24 indicatori globali o “display planetario”, pubblicati nella rivista  Anthropocene Review (16 gennaio 2015).

(Link ai grafici degli indicatori)

venerdì 13 febbraio 2015

Samantha Cristoforetti: L'ultima astronauta?

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Intelligente, specializzata, competente, poliglotta ed altro ancora, Samantha Cristoforetti sembra sia stata inventata per un episodio di “Star Trek”. Qui è mostrata nella Stazione Spaziale Internazionale, dove si trova al momento della pubblicazione di questo post. La Cristoforetti potrebbe non essere l'ultima astronauta ad orbitare intorno alla Terra, ma è possibile che la fine di quella che una volta veniva chiamata “era spaziale” non sarà troppo lontana. (Immagine ESA/NASA)

Ho vissuto l'entusiasmo della “era spaziale”, a partire dagli anni 60 e non sono felice di vedere la fine di quel vecchio sogno. Eppure i dati sono chiari e non possono essere ignorati: il volo spaziale umano si sta esaurendo. Guardate il grafico sotto. Mostra il numero totale di di persone lanciate nello spazio ogni anno. (I dati provengono da Wikipediaulteriori dettagli).




giovedì 12 febbraio 2015

Il Picco del Petrolio Accessibile

DaCrude Oil Peak”. Traduzione di MR

Di Matt Mushalik 

 Fig 1: prezzi spot WTI al 23/1/2015



E' del tutto ovvio che gli alti prezzi del petrolio negli ultimi 3-4 anni abbiano ridotto la domanda di petrolio, come mostrato in questo grafico della IEA per il paesi OCSE:




Quindi quale petrolio è accessibile? Usiamo un grafico del Monetary Policy Report (gennaio 2015) della Banca del Canada (che dovrebbe essere teoricamente favorevole alle sabbie bituminose canadesi)


Fig 3: produzione di petrolio per area e costi del ciclo completo

Il rapporto della Banca del Canada dice: “Sulla base di stime recenti dei costi di produzione, circa un terzo dell'attuale produzione potrebbe essere antieconomica se i prezzi permangono intorno ai 60 dollari, particolarmente gli alti costi di produzione di Stati Uniti, Canada, Brasile e Messico (Grafico 4). Più di due terzi dell'aumento dell'offerta di petrolio mondiale attesa sarebbe analogamente antieconomica. Un declino dell'investimento pubblico e privato in progetti ad alto costo potrebbe significativamente ridurre la crescita futura di offerta di petrolio e i membri dell'OPEC avrebbero una capacità di riserva limitata per sostituire una diminuzione significativa dell'offerta non OPEC”. (pdf)

Mettiamo questi costi in grafici di produzione petrolifera:

(1) Offerta di petrolio totale
La Figura 3 si riferisce a 90 mb/g (asse x) che è stata l'offerta totale mondiale del 2013, secondo le statistiche EIA disponibili qui.



Fig 4: offerta di petrolio per paese/area e costo economico del petrolio

Nella Figura 4, le offerte di petrolio sono accatastate in base al costo economico del petrolio del 2014, a partire dall'Arabia Saudita (25 dollari/barile, verde) per arrivare fino alle sabbie bituminose canadesi (80 dollari/barile, rosso scuro). I colori sono stati estesi a tutto il periodo fino al 1980 in modo che sia visibile la storia della produzione. Le linee di diverso tipo mostrano quattro diversi livelli di costo, per cui le loro lunghezze sono indicative solo per mostrare i livelli di produzione corrispondente degli ultimi anni. Sembra che le offerte di petrolio fino a circa 75 dollari abbiano raggiunto il picco (tutti i paesi fino al Brasile). In altre parole, se il mondo è disposto (o in grado) di pagare solo 75 dollari al barile, la corrispondente produzione di petrolio declina dal 2012 – di circa l'1,6% in due anni. Il petrolio a 50 dollari è andato su e giù, ma a soli 56 mb/g o il 60% dell'attuale domanda.

La cosa importante qui è che la produzione di petrolio accessibile non sembra aumentare in volume. Ciò ha gravi implicazioni per la pianificazione economica e dei trasporti. Nella Figura 4, l'offerta di petrolio comprende: petrolio greggio, liquidi del gas naturale, guadagni di processo in raffineria ed altri liquidi (compresi i biocombustibili). Le definizioni della IEA sono qui.

Vediamo come si presenterebbe il grafico se avessimo usato solo il petrolio greggio e il condensato.

(2) Petrolio greggio e condensato:


Fig 5: come nella figura 4, ma solo per il petrolio greggio

Tutto il petrolio greggio fino a 75 dollari è sostanzialmente piatto dal 2005. Il petrolio non convenzionale costoso ha coperto questa tendenza incontestabile.

(3) Costi delle sabbie bituminose canadesi

Com'è quindi arrivata la Banca del Canada a determinare un costo 90 dollari per le sabbie bituminose? La tavola seguente proviene da un rapporto del luglio 2014 dell'Istituto di Ricerca Energetica Canadese.

Costi dell'offerta di sabbie bituminose canadesi e progetti di sviluppo (2014-2048)


Fig 6: costo delle sabbie bituminose canadesi

SAGD sta per steam assisted gravity drainage per i progetti in-situ di sabbie bituminose come descritto qui. Quindi la Banca del Canada ha preso i 90 dollari come media equivalente del WTI. I prezzi sopra assumono un differenziale leggero/pesante di 18 dollari al barile fra il West Texas Intermediate (WTI) e il West Canadian Select (WCS), anche dopo lo storno dell'oleodotto Seaway e la costruzione del ramo meridionale del Keystone XL nel 2013 per collegare Cushing al Golfo del Messico. Questo aumento del WTI, che riduce in tal modo il differenziale Brent, ma non ai livelli storici di 2-5 dollari al barile “indica potenzialmente due cose: o i due mercati non sono più collegati e i prezzi sono rappresentativi soltanto di mercati regionali o la connettività da mercato a mercato non è sufficiente per aumentare i prezzi del WTI ai livelli del Brent (senza costi di trasporto) o una combinazione delle due... Nel tempo, man mano che più bitume miscelato continua a penetrare nei mercati esistenti così come nei nuovi mercati, come la costa del golfo statunitense e i mercati al di fuori del Nord America, il differenziale leggero/pesante potrebbe ridursi in futuro”. (pdf)

Conclusione

Usando la valutazione della Banca del Canada, la produzione di petrolio accessibile a livelli di prezzo fino a 75 dollari ha superato il picco o vi è a ridosso dal punto di svolta del 2005. Ciò significa che l'economia globale non potrà crescere di nuovo “normalmente”.



mercoledì 11 febbraio 2015

Strada obbligata. Un commento.

Di Jacopo Simonetta


In un precedente post, ho riportato la traduzione di un lungo articolo in cui John M. Greer sostiene come una volontaria regressione tecnologica sarebbe una strategia efficace di resilienza.   Tuttavia, l’arcidruido ammette che questa sia un’opzione che non ha alcuna speranza di essere attuata in quanto viola il principale tabù della nostra civiltà: il progresso.

In una sua conferenza di alcuni mesi fa a Pisa, S. Latouche aveva sostenuto qualcosa di simile.   Pur senza entrare nel merito del livello tecnologico, il professore ha infatti sostenendo che un ritorno ai consumi pro capite di 60 anni fa sarebbe sufficiente a riportare l’economia globale entro limiti di sostenibilità.

In linea con alcuni commenti che sono stati fatti, personalmente trovo che l’idea contenga elementi interessanti, ma che non potrebbe essere attuata a scala di nazioni o di super-nazioni.   E non solo per ragioni di tabù, peraltro consistenti ed evidenti. Qui vorrei fare cenno a due soli aspetti.

Il primo è la capacità militare che, da quando esistono gli eserciti, dipende sostanzialmente da due ordini di fattori: la capacità organizzativa e la tecnologia.   Semplicemente, un paese che riducesse il suo livello tecnologico si troverebbe alla mercé di chi questo non lo ha fatto e si tratta di un passaggio solo parzialmente e faticosamente reversibile.    In un contesto di decrescita complessiva, perdere posizioni è facile, riguadagnarne è invece molto difficile.

Il mondo contemporaneo ci offre numerosi esempi di paesi che, per varie ragioni, hanno avuto un esperienza simile.     Forse il caso più eclatante è stato lo smantellamento dell’Armata Rossa all'indomani del collasso dell’URSS.   Il risultato fu che pochi anni dopo la Russia fu sconfitta sul campo dalla Cecenia!

Una lezione che Mosca imparò bene.   Ma solo grazie a 20 anni di sforzi alimentati dal un elevato prezzo degli idrocarburi fossili, a loro volta spinti da enormi investimenti e tecnologie straniere, ha potuto risalire parzialmente la china.

In maniera meno brutale, qualcosa del genere è accaduto anche all'interno della NATO ed in altri casi ancora. Indipendentemente da altre considerazioni, in un contesto di contrazione economica, ridurre il proprio livello tecnologico è una strada a senso unico che comporta enormi rischi politici e militari. Rischi assolutamente intrattabili nel momento in cui, eventualmente, scoppia una crisi grave.

Un secondo ordine di fattori anche più grave negli effetti dipende dalla nostra capacità di estrarre dal Pianeta quanto ci serve. E’ vero che abbassando il livello tecnologico si abbasserebbero i consumi pro capite, ma si abbasserebbe anche la nostra capacità di accedere alle risorse i misura più che proporzionale.

Facciamo un esempio non a caso:  Riserve di petrolio estraibili con le tecnologie del 1950 praticamente non ne esistono più.   Già con sistemi anni ’70 rimarrebbe disponibile ben poco.    E lo stesso credo che valga più o meno per tutti i minerali, con un’importante eccezione, almeno parziale. Una drastica riduzione dei consumi pro capite dei materiali facilmente riciclabili (diversi metalli, vetro, ecc.)  potrebbe portarne il consumo a livelli gestibili, almeno per lungo tempo, recuperandone le immense quantità sepolte nelle discariche ed incorporate in oggetti che diventerebbero inutili.

Vi sono tuttavia problemi che diventerebbero necessariamente critici.    A parte l’energia cui si è fatto cenno, per fare un solo esempio, nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a 2.500 milioni di persone, circa un terzo di adesso. La densità era di circa 18 abitanti per chilometro quadro, mentre oggi è di 52. Considerando solo i terreni in qualche misura agricoli, ognuno di noi dispone oggi di poco più di 2.000 mq contro poco meno di un ettaro di allora. La desertificazione si mangia oltre un milione di ettari ogni anno, la superficie forestale è più che dimezzata, i banchi di pesca sono spariti o ridotti, una miriade di specie di piante, insetti ed altri piccoli animali si sono estinte, il clima diviene sempre più ostile, le riserve idriche si prosciugano eccetera.    Si potrebbe andare avanti per pagine. Non che nel 1950 le cose andassero benissimo, ma eccettuate alcune zone molto circoscritte, la situazione ambientale e la disponibilità di risorse erano molto, ma molto migliori di oggi.

Oggi possiamo vivere in così tanti solo grazie al nostro attuale livello tecnologico.    Un livello che abbiamo raggiunto grazie ad una complessa retroazione fra tecnologia, economia, popolazione, sfruttamento delle risorse.    Invertire la tendenza facilmente potrebbe avviare una retroazione inversa.

D'altronde, con ogni probabilità, è proprio quello che ci accadrà, che lo si voglia  o meno.   Il livello tecnologico è infatti approssimativamente correlato con la disponibilità di energia e sappiamo che la pacchia è finita per sempre.   Esistono ancora grandi risorse energetiche, ma nessuna che sia qualitativamente comparabile a quella che avevamo fino a pochi anni or sono.   E non si può pensare che fonti energetiche scadenti e/o costose possano avere gli stessi effetti di fonti eccellenti ed economiche.   Molti suggeriscono che solo un ulteriore progresso tecnologico può farci uscire dalla trappola.   Ma da sempre il progresso tecnologico ha richiesto disponibilità di risorse di alta qualità, disponibilità di ecosistemi capaci di riciclare gli scarti, capacità della società di gestire una maggiore complessità.    Tre ordini di fattori sulla cui disponibilità futura è legittimo dubitare, dal momento che già ora cominciano a scarseggiare.

Del resto, in alcuni settori il “downgrade” si comincia a vedere.   Per esempio, il rallentamento delle esplorazioni spaziali, ma anche l’abbandono del programma “Space shuttle” e di quelli previsti in seguito per tornare a dei vettori di tipo tradizionale.   Oppure la mesta fine del Concorde, fino al boom di risciò nelle maggiori città europee.    Per non parlare della  parziale sostituzione del petrolio tornando al carbone o, addirittura, al legname!

In conclusione, il mio del tutto personale parere è che ancora esistano molte opzioni per mitigare la caduta della nostra civiltà, ma nessuna che la possa evitare.   E con la caduta della nostra civiltà molte cose che oggi diamo per scontate diventeranno rare, oppure scompariranno del tutto.   Ed ecco che il “downgrade” tecnologico, improponibile a livello di stati, diviene invece una strategia molto interessante a livello di famiglie e piccole comunità resilienti.  In un ambiente di grave e permanente crisi economica, disoccupazione cronica, disordini sociali e guerre locali, carenza di energia e ricambi, eccetera, certamente disporre di tecnologie e conoscenze ripescate da un passato più o meno remoto può rivelarsi un’eccellente opzione.