mercoledì 3 dicembre 2014

Il prezzo del petrolio evidenzia il reale stato dell'economia

DaThe Automatic Earth”. Traduzione di MR

(quello che fa impressione nella foto qui sotto è come gli americani erano magri 60 anni fa. Cosa diavolo è successo che li hanno fatti diventare una nazione di balenottere spiaggiate? Forse la spiegazione si trova nel menu di questo ristorante per camionisti? - UB)


Jack Delano: bar alla stazione di servizio per camionisti sulla Statale 1, Washington DC, giugno 1940

Dovremmo essere grati del fatto che il prezzo del petrolio sia crollato in questo modo (perdendo un altro 6% oggi proprio mentre sto scrivendo). Non perché rende la benzina nelle nostre auto un po' meno cara, questo è niente in confronto all'altro servizio che ci fornisce il crollo del prezzo. Cioè, che ci permette di vedere in che stato si trova realmente l'economia, senza il velo multistrato della propaganda, le invenzioni, i dati aggiustati, i salvataggi e le dispense al sistema bancario. Ci mostra l'enorme misura in cui sta crollando la spesa al consumo, quanto la gente sia diventata più povera, mentre le borse stabiliscono nuovi record. Ci mostra anche quanto siano diventate disperate le nazioni produttrici, che hanno visto un terzo di quella che spesso è la loro principale fonte di introito svanire in pochi mesi. La Nigeria è stata la prima della fila a svalutare la propria valuta, altre seguiranno presto. L'OPEC oggi ha deciso di non tagliare la produzione, ma a qualsiasi decisione fossero giunti, niente avrebbe fatto la minima differenza. Solo il fatto che i prezzi hanno cominciato a scendere di nuovo dopo che è stata resa pubblica mostra quanto siano diventati insensati i mercati finanziari, storditi dai soldi facili per i quali non serve nemmeno un neurone funzionante. L'OPEC è diventata una piece teatrale e nel mondo reale là fuori le cose si stanno complicando. Le nazioni produttrici di petrolio non possono permettersi di tagliare la propria produzione in un vago tentativo, con risultati molto incerti, di aumentare i prezzi. Il solo modo di compensare le proprie perdite è quello di aumentare la produzione, quando e dove ciò è possibile. E alcune non possono nemmeno farlo.

L'Arabia Saudita ha aumentato la produzione nel 1986 per abbassare i prezzi. Tutto ciò che deve fare oggi per ottenere la stessa cosa è non tagliare la produzione. Ma i sauditi hanno perso molto peso, insieme all'OPEC; non è più il 1986. Ciò è dovuto in una certa misura al petrolio di scisto americano, ma la crisi finanziaria globale è un fattore molto più importante. Solo adesso stiamo veramente cominciando a vedere quanto quella crisi abbia già colpito duramente il miracolo delle esportazioni cinesi e la sua domanda di risorse, un motivo importante del collasso del petrolio. Quest'anno gli Stati Uniti hanno importato meno petrolio dai membri dell'OPEC di quanto abbia fatto nei precedenti 30 anni, mentre gli americani guidano per distanze pro capite molto inferiori e lo scisto vive il suo salto temporaneo finanziato dal debito. Ora tutti i produttori di petrolio, non solo i trivellatori dello scisto, si trasformano in Regine Rosse, cercando semplicemente di compensare le perdite con sempre maggiore difficoltà. Nel frattempo, l'industria americana dello scisto è un camion senza autista, coi freni rotti, alimentato da capitale speculativo a basso costo. La questione alla base è che lo scisto statunitense non ha più a che fare con ciò che è fattibile, ma con ciò che può essere ancora finanziato domani. E la stampa si sta svegliando solo adesso riguardo al carattere da schema Ponzi dell'industria. In un pezzo piuttosto consistente della scorsa settimana, John Dizard del Financial Times (FT) ha concluso dicendo:

Anche la gente che è nell'industria petrolifera da molto tempo è in grado di ricordare un ciclo di sovra-investimento che duri quanto quello in risorse non convenzionali statunitensi. Non sono solo gli ingegneri degli idrocarburi ad aver creato questa bolla; ci sono gli ingegneri finanziari che hanno inventato nuovi modi per pagarla.

Mentre la Reuters il 10 novembre (h/t Yves di NC) ha parlato di enormi problemi dal fondo KKR dello scisto:

La KKR, che ha condotto l'acquisizione del produttore di petrolio e gas Samson per 7,2 milioni di dollari nel 2011 ed ha già venduto metà dei suoi possedimenti terrieri per affrontare i prezzi dell'energia più bassi, pianifica di vendere il suo deposito di petrolio di Bakken in Nord Dakota, che vale meno di 500 milioni di dollari, come parte di un piano di ridimensionamento. 

Le obbligazioni della Samson sono scambiate intorno ai 70 centesimo di dollaro, indicando che il patrimonio netto della KKR e dei suoi partner nella società saranno probabilmente spazzati via se l'intera società venisse venduta adesso. I guai finanziari della Samson sottolineano come la storia d'amore fra i patrimoni privati e la rivoluzione dello scisto del Nord America porta dei rischi. La posta in gioco sono è particolarmente alta per la KKR, che ha visto svanire una scommessa di 45 milioni di dollari sui prezzi del gas naturale quando l'azienda elettrica texana Energy Future Holdings ha presentato istanza di fallimento quest'anno.

Ed oggi, Tracy Alloway del FT menziona le grandi banche e le loro perdite legate all'energia:

Le banche, compresa Barclays e wells Fargo, stanno affrontando forti perdite potenziali  su un prestito di 850 milioni di dollari fatto a due società del gas, segno di quanto la drammatica scivolata del prezzo del petrolio cominci a ripercuotersi nell'economia più allargata. [..] se Barclays e Wells tentassero di sindacare il prestito da 850 milioni di dollari adesso, questo varrebbe 60 centesimi di dollaro.

E questo è un solo prestito. A 60 centesimi di dollaro, una perdita di 340 milioni di dollari. Chi può dire quanti prestiti del genere, o più grandi, ci siano in giro? Messe insieme, queste storie che filtrano lentamente dalla congiuntura fra energia e finanza, danno a chi è disposto ad ascoltare un accenno di idea delle perdite in cui è incorsa l'economia globale e dai grandi finanziatori. C'è un bagno di sangue che fermenta nell'ombra. I paesi possono vedersi tagliati i propri introiti di un terzo e andare avanti, magari con nuovi leader, ma molte società non possono perdere tanto introito e andare avanti, di certo non quando sono pesantemente sotto pressione. I sauditi rifiutano di tagliare la produzione e dicono: che tagli l'America. Ma i produttori americani di petrolio non possono tagliare nemmeno se volessero, ciò farebbe emergere i loro carichi di debito e metterebbe fine alla loro esistenza. Inoltre, la storia dell l'indipendenza energetica gioca naturalmente un grande ruolo. Ma coi prezzi che continuano a cadere, gran parte di quell'industria andrà a gambe all'aria perché il credito viene revocato. La quantità di soldi persi nel 'ciclo di sovra-investimento' sarà stupefacente e non c'è bisogno di chiedersi chi lo pagherà. Indicare i rischi delle bolle petrolifere del passato rischia di tralasciare il punto che il tipo di leva e di credito a buon mercato ammucchiato sul petrolio e il gas di scisto, come dice anche Dizard, è senza precedenti. Come ha scritto Wolf Richter all'inizio dell'anno, l'industria ha perso oltre 100 milioni di dollari in tre anni di esercizio. Non perché non vendesse, ma perché i costi sono stati – e sono – davvero formidabili.

C'è più debito che va sotto terra che petrolio che ne esce. Lo scisto era una proposta in perdita anche a 100 dollari (al barile, ndT). Ma ciò è rimasto nascosto dietro alle scommessa sostenute da prestiti allo 0,5% che hanno alimentato la speculazione terriera su cui era basata dall'inizio. Il WTI è sceso sotto i 70 dollari oggi. Potete far fare i conti ai vostri figli di 3 anni da desso in poi. Mi chiedo quante persone si gratteranno la testa mentre riempiranno i loro serbatoi questa settimana e si chiedano quanto questa benzina a buon mercato sia croce o delizia. Dovrebbero. Dovrebbero chiedersi come, perché e quanto la caduta del prezzo della benzina sia il riflesso del reale stato dell'economia globale e ciò che questo dice sul loro futuro. Godetevi il tacchino.



martedì 2 dicembre 2014

Inversione di tendenza: l'OPEC mostra ai produttori degli Stati Uniti chi è il boss

DaResource insight”. Traduzione di MR

Di Kurt Cobb

Parafrasando Mark Twain: le voci della morte dell'OPEC sono state ampiamente esagerate. La copertura mediatica asfissiante dell'ascesa della produzione petrolifera statunitense negli ultimi anni ha portato alcuni a dichiarare che il potere dell'OPEC nel mercato del petrolio ora stia diventando irrilevante in quanto l'America probabilmente si sta avviando verso l'indipendenza energetica. Questa copertura mediatica, tuttavia, ha oscurato il fatto che quasi tutto l'aumento della produzione è venuto da tight oil ad alto costo trovato in profondi depositi di scisto. L'ipotesi piuttosto stupida è stata che i prezzi del petrolio avrebbero continuato ad aggirarsi al di sopra dei 100 dollari al barile a tempo indeterminato, rendendo l'estrazione di quel tight oil redditizia a tempo indeterminato. Chiunque abbia capito l'economia di questo tipo di produzione e le dinamiche del mercato del petrolio ne aveva una migliore percezione. Ed ora, la narrazione super pubblicizzata dell'autosufficienza petrolifera americana sta per ricevere un duro colpo. Dopo settimane di speculazione sui veri motivi che stanno dietro alla decisione dell'OPEC di mantenere la produzione di fronte al declino della domanda mondiale – che ha portato ad un grande calo dei prezzi del petrolio – il cartello petrolifero ha dichiarato, durante il suo recente incontro, che sta cercando di distruggere la produzione di tight oil statunitense rendendolo non redditizio.

Una delle cose che può fare un cartello – se controlla una fetta sufficiente di mercato – è distruggere la competizione attraverso una guerra dei prezzi. In qualche modo il pubblico e  i decisori politici si sono fissati sulla capacità dell'OPEC di ridurre la produzione in modo da aumentare i prezzi ed ha dimenticato la sua capacità di inondare il mercato mondiale di petrolio, non solo di stabilizzare i prezzi, ma di causarne il crollo. L'industria sostiene che gran parte dei giacimenti di tight oil statunitense siano redditizi al di sotto degli 80 dollari. E i trivellatori dicono che stanno abbassando i costi e che possono sostenere prezzi inferiori. La mossa dell'OPEC ora metterà alla prova queste dichiarazioni. L'attuale riferimento americano dei prezzi di circa 65 dollari al barile suggerisce che l'OPEC ha preso in considerazione i punti di pareggio citati nell'articolo linkato sopra. E' in gran parte l'Arabia Saudita che permette all'OPEC di avere una flessibilità di produzione, visto che il suo regno conserva una significativa capacità di riserva, che si dichara sia fra gli 1,5 e i 2 milioni di barili al giorno (Mb/g). L'OPEC dice, ne suo “World Oil Outlook 2014” che tutta l'OPEC ha circa 4 MB7g di capacità di riserva, anche se un analista di recente a fissato la cifra a 3,3 Mb/g. Qualsiasi sia il numero preciso, in termini pratici l'Arabia Saudita è la Walmart del mercato mondiale del petrolio, capace di condizionare un calo del prezzo girando qualche valvola o non chiudendole di fronte al calo della domanda. In questo caso, il paese non ha chiuso nessuna delle proprie produzioni in risposta all'indebolimento della domanda mondiale. Né lo hanno fatto gli altri membri dell'OPEC. Avendo incrociato braccia sufficienti nel recente incontro dell'OPEC, l'Arabia Saudita l'ha avuta vinta con un impegno dei membri dell'OPEC a mantenere la produzione stabile, mettendo così ulteriore pressione sul prezzo del petrolio sull'onda del calo della domanda. Entrambi i principali contratti future sono scesi del 7% dopo l'annuncio.

L'effetto in Nord Dakota è stato di gran lunga maggiore di quanto l'attuale calo dei prezzi dei future del petrolio indichi. Quello stato, che è al centro del boom del tight oil statunitense, è lontano da raffinerie ed oleodotti. I produttori di petrolio usano trasporti ferroviari costosi per portare il loro petrolio sul mercato. Il risultato è che i produttori del Nord Dakota sono di fronte ad una diminuzione significativa alla bocca di pozzo. In ottobre, la diminuzione media è stata di 15,40 dollari a barile al di sotto del riferimento statunitense dei prezzi dei future del greggio leggero. Se prendiamo quella diminuzione e la applichiamo alla chiusura dello scorso venerdì, ciò implicherebbe che i produttori del Nord Dakota ora ricevono 50,59 dollari a barile – un livello che è improbabile che sia redditizio eccetto che per i pozzi più prolifici. Se i prezzi rimangono bassi, l'OPEC raggiungerà quasi sicuramente il proprio obbiettivo di impedire un investimento significativo in nuova produzione nello stato. Un'altra grande produzione di tight oil si trova in Texas, vicino agli oleodotti e quindi non soggetta a diminuzioni di questa grandezza. Tuttavia, con il petrolio intorno ai 65 dollari al barile, è probabile che la produzione aumenterà pochissimo in Texas nei giacimenti di tight oil, sempre che aumenti. I i depositi che non siano “sweet spots” che vengono attualmente trivellati sono quasi sicuramente antieconomici con dei prezzi del genere. Se un prolungato prezzo basso del petrolio porta a perdite dolorose e permanenti per i possessori di azioni ed obbligazioni dei trivellatori del tight oil – e per quelli investiti direttamente in pozzi veri e propri – ci sarà meno appetito fra gli investitori a gettarsi nella mischia anche quando il prezzo del petrolio recupera. E' esattamente ciò su cui conta l'OPEC. Sa che il flusso libero di contanti (il contante guadagnato da operazioni meno le spese di capitale) dei trivellatori indipendenti è stato fortemente negativo dal 2010. Le trivellazioni forsennate degli ultimi anni sono state finanziate in gran parte da emissione di titoli e debito, piuttosto che dai guadagni dei pozzi precedenti.

Con questi nuovi prezzi bassi del petrolio, è improbabile che molti investitori saranno disposti a mettere più soldi per lavorare nei depositi di tight oil americani. Ciò renderò arduo per i trivellatori finanziare nuove trivellazioni, visto che non hanno contante sufficiente generato dalle attuali operazioni. In aggiunta, coi prezzi del petrolio significativamente bassi, molti trivellatori indipendenti potrebbero avere difficoltà a ripagare i loro debiti, a parte pagare i costi di trivellare un gran numero di nuovi pozzi. E coi tassi di declino annuali della produzione nelle aree di tight oil di circa il 40% - che significa semplicemente che non trivellare per un anno avrebbe come conseguenza un declino del 40% - i trivellatori devono trivellare un gran numero di pozzi solo per compensare i declini di produzione dei pozzi esistenti PRIMA che ottengano nuovi pozzi che si aggiungano realmente al tasso generale di produzione. Un calo significativo del tasso di trivellazioni nei giacimenti di tight oil statunitensi potrebbe in effetti risultare in una produzione complessiva generale più bassa. Prezzi del petrolio più bassi tendono ad aumentare la domanda di petrolio, in quanto le persone si possono permettere più energia a scopo industriale e di consumo. Così, l'OPEC  si aspetta in pieno l'aumento della domanda e quindi l'aumento dei prezzi sul medio termine – ma no, spera, sufficientemente presto da salvare i trivellatori di petrolio. Se le cose restano come sono, prezzi del petrolio bassi tendono ad aumentare l'attività economica e potrebbero aiutare l'Europa e l'Asia ad evitare la recessione abbassandone i costi energetici in modo significativo. Ma le cose potrebbero non rimanere come sono, visto che almeno un analista crede che rotta nei mercati petroliferi potrebbe portare a dei default a cascata che cominciano con i titoli spazzatura del debito dei trivellatori e passano attraverso le banche pesantemente coinvolte nel debito delle compagnie petrolifere. Questo, a sua volta, potrebbe causare un collasso generale delle borse. Così, anziché promuovere la crescita economica, i bassi prezzi del petrolio sarebbero la causa del prossimo crollo in borsa e della prossima recessione mondiale. Una tale recessione farebbe ulteriormente sprofondare i prezzi del petrolio, mettendo un'estrema pressione finanziaria sui membri dell'OPEC meno ben forniti dell'Arabia Saudita. E sconvolgerebbe il programma dell'OPEC per il ritorno a prezzi e profitti più alti – ritardandolo forse per anni. Metterebbe anche un altro chiodo sulla bara della storia dell'indipendenza economica americana – di quelli che persino il sempre ottimista Dipartimento per l'Energia degli Stati Uniti non avrebbe mai pensato coi prezzi alti – spostando molti dei giacimenti di petrolio statunitensi precedentemente ritenuti praticabili nella categoria degli antieconomici.

lunedì 1 dicembre 2014

La spirale

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

durante le ultime settimane si è verificata una forte discesa del prezzo del petrolio, che si muoveva da più di due anni in una gamma relativamente stretta di prezzi abbastanza alti.


Nel post di questa settimana analizzerò in dettaglio ciò che sta succedendo col prezzo del petrolio. Si tratta di un post abbastanza lungo, quindi l'ho organizzato in sezioni: Introduzione, Volatilità e Recessione, Gli eventi del 2008 e del 2011, Fondamentali, Conseguenze e Conclusione.

Introduzione

Se ci concentriamo sul prezzo del barile di petrolio di tipo Brent (quello di riferimento in Europa), vediamo che dagli inizi del 2011 era valutato al di sopra dei 100 dollari, con un paio di picchi al di sopra dei 120 all'inizio del 2011 e del 2012 e un paio di flirt con la linea dei 100 dollari, che ha agito da prezzo di riferimento o linea da non oltrepassare verso il basso. Ora: venerdì scorso il barile di Brent era valutato 86 dollari ed era arrivato qualche dollaro in meno i giorni precedenti. La forte volatilità dei prezzi del petrolio è uno dei sintomi di problemi di fornitura di questa materia prima fondamentale. Lo abbiamo spiegato infinite volte in questo blog: quando l'attività economica è vigorosa, la domanda sale ma la produzione non riesce a tenere il ritmo, quindi il prezzo sale fino al punto di danneggiare l'attività economica. Allora si chiudono le imprese e si lasciano persone nella disoccupazione, la domanda diminuisce, il prezzo scende bruscamente e questo permette che poco dopo cominci la ripresa economica, la domanda torna a salire e torniamo al punto di partenza. Mentre la produzione di petrolio sale lentamente o addirittura ristagna c'è da aspettarsi che si riproducano periodicamente questi cicli di ripresa e caduta. Tuttavia, nella misura in cui la produzione di petrolio diminuisce (cosa che non è ancora successa se consideriamo tutti gli idrocarburi liquidi, che è già una cosa discutibile di per sé) la cosa che ci si può aspettare è che la sequenza di salite e discese acceleri, a volte con cambiamenti di enormemente bruschi che spingono il prezzo del petrolio verso l'alto o verso il basso al punto che interi paesi collassano (verso l'alto se il paese che collassa è un paese produttore o verso il basso se il paese che collassa è un paese consumatore).

Come spiegherò in questo post, l'attuale abbassamento dei prezzi è un sintomo terribile di gravi ed imminenti problemi economici e di produzione di petrolio, conseguenza di molte tensioni accumulate durante anni di fuga in avanti. E per quello risulterebbe abbastanza comico, se non fosse tanto triste e tanto sintomatico della nostra cecità come società, vedere che di fronte ad un momento tanto preoccupante e critico come quello attuale, sono emerse voci che hanno detto “questa cosa del picco del petrolio” non è certo causata da questa riduzione dei prezzi. C'è persino chi dice che questo non lo avevamo previsto e che tutte le analisi che facciamo in questo ed in altri luoghi sono pura spazzatura, perché in realtà il picco del petrolio si allontana sempre di più (sono arrivato persino a leggere un tweet di un famoso gestore di azioni collegate al petrolio che affermava che la caduta del prezzo del petrolio era segno di abbondanza di offerta).

Volatilità e recessione

Niente di più lontano dalla realtà, naturalmente. Soffermarsi esclusivamente sul prezzo del petrolio per descrivere il picco è un errore e ancora di più lo è pensare che i problemi di fornitura di petrolio generino semplicemente prezzi persistentemente più alti: in realtà, ciò che genera il picco del petrolio è un'enorme volatilità (salite e discese del prezzo selvagge). Abbiamo insistito su quest'idea dal principio, in realtà. Una delle cose che mi ha spinto a fare divulgazione del problema del picco del petrolio è stata proprio il fatto di vedere che dopo del chiaro segnale del 2008 (lo stesso anno il barile valeva 147 dollari a luglio e 36 a dicembre), non si è verificata una reazione razionale ai problemi che erano già evidenti. Mente chi dice che non lo stiamo dicendo da anni e nel mio caso proprio dall'inizio: il quinto post che ho pubblicato su questo blog, il 3 di febbraio del 2010, si chiamava “Previsione dei prezzi del petrolio per i prossimi 10 anni” e illustrava il problema della ipervolatilità del prezzo con un disegno fatto anni fa da Dave Cohen:


Un anno dopo, mi chiedevo se l'aumento repentino dei prezzi, non molto lontani dai 130 dollari al barile, indicasse che ci trovavamo in un altro di questi picchi di volatilità e se si stesse verificando l'ondata recessiva del 2011. Ed ora, nel 2014, siamo sul punto di un'altra recessione mondiale, a quanto pare. Permettete che vi citi due paragrafi del mio post “Previsione dei prezzi del petrolio per i prossimi 10 anni”, pubblicato quattro anni e mezzo fa:

“Prevedere il valore del picco è più o meno impossibile, ma possiamo invece prevedere che l'economia indebolita non potrà mantenere prezzi crescenti fino a valori tanto alti come 150 dollari, per cui probabilmente il prossimo picco sarà più basso. Mentre perdura la situazione di plateau del petrolio, l'unica cosa che possiamo azzardare è la cadenza dei picchi, ipotizzando che dopo il picco il prezzo si stabilizza ad un valore di circa 40 dollari”.

Ed anche

“Da qui si conclude anche che i tempi di ricorrenza degli shock petroliferi saranno ogni tre anni, sempre il luglio: 2008, 2011, 2014, 2017, 2020, ecc. Cioè, in questo decennio ci aspettano 4 shock petroliferi, sempre quando se ipotizziamo di essere sul plateau del petrolio”. 

Il modello che ho usato in quel post era di una banalità offensiva e la realtà è stata naturalmente molto più complessa (io stesso affermavo già nel post stesso che le cose sarebbero state molto più complicate). E' tuttavia curioso vedere che, effettivamente, i picchi successivi dei prezzi non sono stati alti come i quasi 150 dollari del luglio 2008 e che le date ipotizzate per la maggior volatilità del prezzo del petrolio (2008, 2011, 2014...) non sono state tanto lontane e sembrano segnare le date delle successive “Grandi Recessioni, ora che si comincia a riconoscere che potremmo trovarci alle porte della terza. Ma sicuramente la dinamica del prezzo e dell'offerta di petrolio si sta rivelando assai più complicata. Per la parte dei prezzi, proprio qualche mese fa qualcuno mi rinfacciava che non si sarebbe verificato con la volatilità che ho sempre definito come sintomo dei problemi di offerta di petrolio, di fronte a cui ho scritto un post in cui si toccavano diversi temi e in quanto a questo, ho indicato il seguente grafico, sovrapponendo il disegno di Cohen all'evoluzione reale del prezzo del barile di petrolio:


Il modello di Dave Cohen è questo, un modello, ma nonostante la sua semplicità si direbbe comunque che stia cogliendo qualcosa di quello che succede, specialmente se ora alla fine del 2014 il prezzo sta collassando. Prime di entrare nell'analisi in maggiore profondità cosa spieghi queste deviazioni osservate rispetto al modello semplice del comportamento del prezzo, lasciate che vi dica che questa visione secondo cui i problemi del petrolio non comportano semplicemente prezzi alti ma volatilità non la mia personale, ma è condivisa praticamente da tutta la comunità dei picchisti. In particolare, vi raccomando un eccellente articolo di Gail Tverberg perché possiate farvi un'idea più certa di cosa stia succedendo. Così quelli che criticano i picchisti per l'abbassamento repentino del prezzo del barile di greggio si allaccino le cinture, perché ora arrivano le curve e anche molto pericolose. E leggano, per esempio ciò che dice ASPO sul fenomeno.

Gli eventi del 2008 e del 2011

Telecomunista, un'eminenza nel trattamento dei dati e delle diverse agenzie pubbliche, ha pubblicato poche settimane fa su burbuja.info il seguente grafico.


Se guardate il grafico con attenzione, vedrete che ci sono state due volate della produzione di “tutti i liquidi del petrolio (petrolio greggio convenzionale + greggi non convenzionali + alcuni succedanei più o meno assimilabili) proprio dopo due plateau di produzione. La prima volata si verifica dopo la crisi del 2008 e si sostiene coi biocombustibili. Purtroppo, i biocombustibili in realtà non apportano energia netta, per cui nella realtà la cosa non richiede tempo. I governi americano ed europeo, che hanno reso obbligatorio che parte della miscela delle loro benzine e gasoli avessero una parte di biocombustibile, hanno perso interesse per questi combustibili, nel momento in cui hanno verificato che non riducono la dipendenza esterna ed hanno cominciato a ritirare i sussidi al suo consumo, cosa che ha portato alla stagnazione della loro produzione:



In pratica, ciò che è successo è che il prezzo del petrolio non è aumentato perché la mancanza di sufficiente petrolio nel mercato è stata compensata dai biocombustibili, che oltre a causare le guerre della fame non erano né energeticamente né commercialmente redditizi e che pertanto sono stati sussidiati con ulteriore debito degli Stati. Cioè, per mantenere il meccanismo mondiale in funzione è stata sfruttata una risorsa che non doveva essere prodotta e che fondamentalmente trasforma l'austerità e le sanzioni alla propria popolazione e ad altre in idrocarburi liquidi. Ma già nel 2011, essendo già ovvio il fiasco dei biocombustibili, e con una nuova recessione in marcia, era necessario cercare qualcosa di più con cui dare impulso alla produzione di petrolio ed è qui che emerge con forza il fracking, come evidenza la fascia di colore viola del grafico di Telecomunista più in alto. Senza l'apporto dei condensati e del petrolio leggero di roccia compatta (light tight oil) americano, la produzione totale di idrocarburi liquidi sarebbe diminuita di 3 milioni di barili al giorno. Sfortunatamente, qui succede una cosa simile a quella dei biocombustibili: le compagnie che estraggono queste risorse si stanno rovinando (come evidenziano i sempre più numerosi articoli che avvertono di questo sulla stampa economica) e quella montagna di debito inevitabilmente scoppierà prima o poi. E tarderà meno a scoppiare se il prezzo del barile diminuisce troppo per un periodo sufficientemente lungo. Alla fine, data l'importanza cruciale e strategica del petrolio, gli stati riscatteranno queste compagnie, addossando ancora una volta il costo ai cittadini e di nuovo trasformando sofferenza sociale in idrocarburi liquidi. Non è proprio una sciocchezza. 

Fondamentali

I movimenti coi biocombustibili e con gli idrocarburi e con i combustibili liquidi derivati dal fracking spiegano perché il prezzo si è mantenuto alto senza grandi alti e bassi (eccetto nel momento in cui si rinuncia a continuare a dare impulso ai biocombustibili come grande soluzione nel 2011, cosa che si abbina perfettamente col piccolo picco dei prezzi di quell'anno e la conseguente ondata recessiva). Ma cosa sta succedendo ora? Il prezzo si è mantenuto stabile al di sopra dei 100 dollari negli ultimi 3 anni e di colpo ha cominciato a scendere, anche al di sotto di questa barriera dei 100 dollari al barile. Se si studiano i fondamentali del mercato, si trovano tre possibili fattori nell'offerta ed uno nella domanda. I tre fattori nell'offerta sono: 


In quanto alla domanda, c'è un unico fattore che appare in tutte le analisi: la domanda mondiale è debole. Da mesi si accumulano gli indizi negativi in molti paesi (caduta delle esportazioni tedesche, scarsa creazione di impiego negli Stati Uniti, malessere in Francia e delusione nei confronti del presidente Hollande, l'Italia che non solleva la testa nonostante l'elezione come presidente del presunto riformista Renzi...), ma sono particolarmente importanti quelli che arrivano dalla Cina, poiché oggigiorno è la fabbrica del mondo e la sua evoluzione è molto segnata dall'evoluzione della domanda, soprattutto in Occidente. E dalla Cina non vengono dati buoni: l'indice PMI è piuttosto basso e molti indicatori sono in ribasso (per esempio, la forte caduta della domanda di acciaio in quel paese). Insomma, si prefigura una recessione globale, cosa che quadra bene con il concomitante crollo delle borse mondiali. Un modo per cercare di capire cosa sta succedendo è guardare i rapporti sulla congiuntura del mercato del petrolio pubblicati mensilmente dalla IEA, gli Oil Market Report. Seguendo la stessa metodologia che ho usato due anni fa nel post “Quando la domanda supera l'offerta”, ho calcolato i grafici trimestrali di offerta (in verde) e domanda (in rosso) di tutti gli idrocarburi liquidi del mondo. Ho separato due periodi: fino al 2005 e a partire dal 2005. Vediamo il primo di questi grafici. L'asse verticale rappresenta la produzione media di tutti i liquidi del petrolio durante questo trimestre ed è espressa in milioni di barili al giorno. 


Fino al 2020 si osserva un chiaro andamento stagionale, con più domanda di petrolio in inverno ed autunno e meno in primavera ed estate. L'offerta cerca di adeguarsi alla domanda in modo leggermente anticiclica: avviene nell'ambito della domanda nei mesi di maggior domanda ma viene compensata da un'offerta maggiore alla domanda nei mesi di minor domanda. Per questo vediamo incroci molteplici fra le due curve e le scorte che conserva l'industria nei propri depositi servono a compensare le fluttuazioni (sei compra di più nei momenti di minor consumo e si compra di meno in quelli di maggior consumo). A partire dal 2003 (se guardate il grafico di Telecomunista, è più o meno quando la produzione di petrolio greggio smette di crescere significativamente) comincia una corsa fra offerta e domanda, che procedono più unite, e resta resta meno spazio fra le due curve. Cosa succede a partire dal 2005? Di tutto.


Nel 2005 e 2006 la curva dell'offerta supera per la maggior parte del tempo, e ampiamente, quella della domanda. Ciò dovrebbe significare che il mercato è rifornito più che bene, ma non dimenticate che una parte sempre maggiore di quanto prodotto sono liquidi del gas naturale, che sostituiscono il petrolio per per alcune funzioni (per esempio, per la sintesi del propilene). Così probabilmente, in termini di ciò che il mercato chiedeva realmente (benzina, gasolio, kerosene), l'offerta combaciava sufficientemente e questo spiegherebbe perché in quegli anni il prezzo è aumentato con estrema rapidità. Sfortunatamente, l'introduzione dell'annotazione “tutti i liquidi del petrolio” da parte della IEA fa sì che questi dettagli non possano essere percepiti nei grafici. 

Arriva il 2008 e il consumo, che generalmente oscillava di circa 2 milioni di barili al giorno (Mb/g) ogni anno, cala di quasi 4 Mb/g. Il prezzo crolla in quell'anno e l'offerta tenta di inseguire la domanda, rimanendo sempre più alta per tutto quell'anno. Di nuovo, l'inclusione nello stesso paniere di “tutti i liquidi del petrolio” rende incomprensibile l'evoluzione del prezzo del petrolio, visto che secondo questo grafico l'offerta è sempre stata maggiore della domanda per tutto il 2008, compreso in luglio quando il prezzo è arrivato a quasi 150 dollari al barile. Verso il 2009 la domanda comincia a recuperare, anche se non recupera le sue oscillazioni annuali caratteristiche fino al 2010. E alla fine del 2011 torniamo a vedere il paradosso di avere un'offerta che eccede di molto la domanda e così il prezzo sale ancora. Presumibilmente, perché è il momento in cui si comincia a vedere che i biocombustibili non diminuiscono la dipendenza energetica del mondo. Naturalmente gli economisti non capiscono il perché, che non è altro che il suo EROEI basso, cioè, che non stanno producendo energia netta sfruttabile. E in questo momento emerge con forza il petrolio leggero di roccia compatta e i condensati di alcune piattaforme di gas di scisto degli Stati Uniti, tutti estratti col fracking. Il petrolio leggero di roccia compatta è sì petrolio, anche se essendo leggero non funziona per distillare il gasolio, ma fornisce un sollievo alla domanda di combustibili fossili del pianeta e pertanto la situazione comincia a normalizzarsi nel 2012 e nel 2013... fino ad ora. I grafici finiscono nel secondo trimestre del 2014. Le linee sottili che vengono dopo sono le proiezioni che si deducono dall'ultimo (a proposito, ho corretto un errore sciocco nelle tavole). Come vedete, la IEA sta facendo una previsione basata su qualcosa di molto semplice: semplicemente scommette che torniamo a cominciare un ciclo normale in cui l'offerta si va ad incrociare con la domanda durante l'anno: ora bisogna che la domanda comincia ad aumentare e che l'offerta lo faccia più moderatamente durante l'inverno e logicamente si spera che succederà il contrario durante la primavera e l'estate. 

Ma cosa sta succedendo in realtà? Come vedete, non c'è niente di spettacolare nell'offerta prevista e l'ultimo aumento della produzione non è niente di completamente pazzesco, soprattutto se si tiene conto che i Libia ancora si produce solo la metà del petrolio che era arrivata a produrre quotidianamente e che i problemi con lo Stato Islamico rendono qualsiasi proiezione sulle esportazioni irachene sia molto speculativa. Sembra piuttosto che il problema principale si stia originando con la domanda, che non sta seguendo il modello del 2008 e del 2011, dove l'offerta ha superato la domanda nei momenti in cui dovrebbe succedere il contrario. Il problema è che comprendere tutto ciò che assimiliamo al petrolio nello stesso grafico impedisce di distinguere con chiarezza che tutto questo è realmente ciò che chiede il mercato. La IEA dovrebbe considerare seriamente di separare il mercato del greggio dal resto dei mercati degli idrocarburi liquidi nelle sue analisi, visto che non sono assolutamente fruibili ed equivalenti (come abbiamo discusso parlando del picco del diesel). 

Conseguenze

E' ancora presto per sapere se il crollo della domanda continuerà durante i prossimi mesi, causato da una possibile interruzione dell'attività globale. Sebbene stiamo realmente entrando in un processo recessivo, i Governi possono prendere molte misure per attenuare il problema e di fatto sembra che il Governo nordamericano abbia intrapreso una nuova campagna per stampare più soldi per tentare di scongiurare questo pericolo. L'efficacia di tale misura verrà verificata nelle prossime settimane. Tuttavia, ciò che ha evidenziato la forte diminuzione del prezzo del petrolio è un gran nervosismo in molti dei paesi produttori. Alcuni analisti si sono affrettati a dichiarare che, in realtà, questa diminuzione dei prezzi è il risultato di una sporca manovra dell'Arabia Saudita, alla quale gli autoproclamati esperti attribuiscono consensualmente la capacità eterna di controllare il mercato. Secondo loro, l'Arabia Saudita starebbe inondando il mercato di petrolio per far abbassare i prezzi. La cosa in cui questi esperti non si mettono d'accordo è con quale fine il regno saudita faccia questo. Alcuni opinano che lo facciano per favorire l'affossamento della ribelle Russia, altri che vorrebbe distruggere l'affare dello scisto negli Stati Uniti, altri ancora credono che l'Arabia Saudita stia tentando di strangolare economicamente lo Stato Islamico in Iraq... 

Ma, come abbiamo visto, non è l'Arabia saudita quella che sta aumentando la propria produzione, ma principalmente la Libia e gli aumenti osservati non eccedono rispetto alle quantità più o meno abituali per questo periodo dell'anno. Inoltre, come abbiamo commentato qualche mese fa, tutto indica che la produzione di greggio abbia iniziato il proprio declino. E in quanto all'Arabia Saudita non sembra possibile che possa aumentare sensibilmente la propria produzione di petrolio, piuttosto questa comincerà presto a diminuire. Perciò è possibile negare alla grande: non si stanno producendo grandi quantità di petrolio extra nel mercato con il fine di affossare i prezzi e men che meno è l'Arabia Saudita colei che sta provocando questa abbondanza immaginaria. Quello che invece sta succedendo con tutta probabilità è che la terza recessione sta già avanzando, la domanda crolla e con essa il prezzo. La Deutsche Bank ha pubblicato recentemente un'analisi sul prezzo minimo al quale ogni paese deve vendere il barile di petrolio, onde evitare di entrare in gravi deficit fiscali che potrebbero compromettere la loro stabilità:


Come vedete, i grandi produttori (Russia e Arabia Saudita) sarebbero già adesso in deficit mentre altri paesi che si trascinano problemi da tempo risulta che si trovavano già in una situazione di deficit fiscale. Non è nulla di nuovo: un anno e mezzo fa lo abbiamo spiegato su questo stesso blog. Il problema è molto più grave di quanto alcuni “esperti” proclamano. Non si tratta, no, di garantire un appartamentino ed un lavoro ad ogni coppietta o di ostentare ricchezza: si tratta di conservare la pace sociale in paesi che soffrono gravi squilibri. L'Arabia Saudita ha certamente abbastanza soldi per mantenere questa situazione per molti mesi, ma la maggior parte degli altri produttori si troverebbero in problemi gravi solo nel giro di settimane. Il sistema globale è malamente puntellato e potrebbe sgretolarsi con una rapidità inusitata se non si reagisce in fretta. 

Non solo i paesi sono a rischio. Abbiamo già visto che le 127 maggiori compagnie di gas e petrolio del mondo si sono indebitate irrazionalmente per mantenere la finzione di un mondo in espasione (arrivando all'assurdità di richiedere credito per distribuire i dividendi, cosa che ha sicuramente fatto in Spagna la società elettrica Endesa). Queste compagnie si sono impantanate in progetti di petrolio e gas non convenzionali che hanno dimostrato di avere un rendimento nullo o negativo. Ciò include i biocombustibili, le sabbia bituminose del Canada e il resto dei petroli extra pesanti, le acque ultraprofonde e, naturalmente, gli idrocarburi estratti mediante fracking. Come abbiamo già spiegato, dagli inizi di quest'anno le compagnie più grandi hanno cominciato a disinvestire fortemente nei giacimenti meno rettitizi, concentrandosi su un volume di affari inferiore ma di maggior rendimento e la pressione per aumentare questo disinvestimento va aumentando. Se l'attuale diminuzione dei prezzi va avanti ed è sufficientemente duratura, se si abbandoneranno altri progetti e questo farà sì che nel giro di un paio di anni quel petrolio che si sarebbe dovuto cominciare a mettere in produzione semplicemente non ci sarà. 

I nervi dei produttori sono a fior di pelle, mentre i loro consumatori abituali sono esangui. Praticamente non c'è tempo per reagire. Senza dubbio l'OPEC ridurrà leggermente la produzione per tentare di contenere la caduta del prezzo del greggio, ma questa strategia ha un raggio corto: se si taglia molto l'esportazione, il prezzo al barile di cui ogni paese ha bisogno sale, per cui dovrebbero tagliare ancora di più l'esportazione ed il prezzo necessario per equilibrare i conti salirebbe ancora di più. Davvero in quel senso non c'è molto margine. Prima o poi i paesi produttori si renderanno conto che ciò cui sono interessati è che qualcuno di loro affondi perché gli altri possano sopravvivere. In questo gioco folle, in questa assurda fuga in avanti, l'Iraq è fra quelli che hanno le carte peggiori, insieme ad altri paesi come Siria e Yemen.

Conclusione

Apparentemente, siamo già alle porte della Terza Grande Recessione. Sono mesi che ci sono gli indizi del suo arrivo e il crollo in poco tempo degli indici di borsa e dei prezzi di molte materie prime sono il risultato previsto del crollo della domanda associata alla crisi economica. La diminuzione del prezzo del petrolio in particolare è molto pericolosa, poiché compromette la sostenibilità finanziaria di numerose imprese di molti paesi che dipendono dagli introiti delle proprie esportazioni petrolifere per garantire la pace sociale, impegnate in modo del tutto irrazionale nell'estrazione di idrocarburi non convenzionali. 

Al livello degli 85 dollari al barile in cui si stanno stabilizzando i prezzi in questo momento, i rischi sono minori e sarebbe sopportabile se questo livello di prezzi non durasse troppo a lungo. Tuttavia, se la diminuzione dei prezzi prosegue, si potrebbe scatenare tutta una serie di conseguenze a valanga molto sgradevoli: il fallimento delle compagnie petrolifere o l'abbandono in massa dei giacimenti e delle estrazioni meno redditizie obbligherà gli Stati (in particolare gli Stati Uniti) ad intervenire, sottraendo risorse ad altre cose e probabilmente aggravando i propri problemi economici e sociali. Dall'altra parte, nei paesi produttori più deboli ci si possono attendere rivolte e guerre civili. Tutto ciò comporterebbe un crollo repentino della produzione di petrolio, che scatenerebbe problemi di fornitura e porterebbe immediatamente a prezzi del petrolio e di altre materie prime estremamente  alti che farebbero sprofondare le economie occidentali in una recessione ancora più profonda e questa ad un crollo ancora maggiore della domanda, ricominciando tutto il ciclo in una spirale oscura: recessione – distruzione della domanda e conseguente abbassamento del prezzo – crollo della produzione per fallimenti, rivolte e guerre e di conseguenza prezzi alti – di nuovo recessione, eccetera. L'instabilità accumulata nel sistema economico e produttivo globale è tale che una volta che si innesca la spirale sarà difficile fermarla e quando alla fine si fermerà potremmo trovarci molto più in basso di quando l'abbiamo fatta partire. Ci troviamo di fronte ad un abisso che nella nostra irresponsabilità collettiva, nella nostra irrefrenabile fuga in avanti, abbiamo contribuito a scavare. Ed ora stiamo allungando la gamba, allegramente, verso il vuoto che abbiamo davanti. 

Saluti.
AMT

domenica 30 novembre 2014

Un nuovo studio fornisce i dettagli di un'accelerazione allarmante dell'aumento del livello dei mari

DaClimate Progress”. Traduzione di MR

Di Ari Phillips


Foto:Shutterstock

La fusione del ghiaccio polare Antartico e dei ghiacciai continentali, insieme all'espansione termica dell'acqua dell'oceano hanno accelerato l'aumento del livello del mare al tasso più alto in almeno 6.000 anni, secondo un nuovo studio contenuto negli Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze. Usando dati provenienti dai campioni di antichi sedimenti di Asia ed Australia, i ricercatori sono tornati indietro per 35.000 anni di storia de livello dei mari, scoprendo che negli ultimi 6.000 anni è cambiato poco – fino a 150 anni fa. 

Usando indicatori dei livelli del mare delle ere, come la locazione di antiche radici di alberi e molluschi, la ricostruzione degli scienziati non ha trovato prove del fatto che il livello dei mari abbia avuto fluttuazioni di più di circa 8 pollici durante il periodo relativamente stabile che è durato fra i 6.000 e 150 anni fa. Poi, dall'inizio della rivoluzione industriale, il livelli del mare sono già saliti della stessa quantità. Gli scienziati attribuiscono al cambiamento climatico e all'aumento delle temperature che causano la fusione del ghiaccio polare e dei ghiacciai e l'espansione termica degli oceani la causa primaria del rapido ed estremamente insolito aumento del livello del mare. L'acqua si espande quando si riscalda e c'è acqua che si riscalda a sufficienza nell'oceano da causare un impatto significativo sui livelli del mare. 

La finestra temporale di 35.000 anni è stata scelta perché rappresenta un periodo interglaciale con temperature globali maggiori che separa ere glaciali. L'attuale interglaciale dell'Olocene ha persistito dalla fine del Pleistocene, circa 12.000 anni fa, con periodi interglaciali che di solito vedono intervalli da circa 40.000 a 100.000 anni. I ricercatori hanno scoperto che il ghiaccio ha cominciato a fondersi 16.000 anni fa ed ha smesso circa 8.000 anni fa, ma i livelli del mare non hanno iniziato a rallentare fino a circa 6.000 anni fa. 

“Sappiamo dall'ultimo periodo interglaciale che quando le temperature erano di diversi gradi maggiori di oggi c'era molta più acqua negli oceani, con livelli introno a 4 o 5 metri più alti di oggi”, ha detto al Guardian l'autore principale Kurt Lambeck, un professore all'Università Nazionale Australiana. “La questione è quanto rapidamente avviene il cambiamento se si aumentano le temperature”. 

Lambeck ha detto che l'aumento del livello del mare degli ultimi 100 anni è “fuori discussione” e che “ciò cui abbiamo assistito è insolito, di sicuro senza precedenti per questi periodi interglaciali”. Ha anche detto che questo è un processo che non può semplicemente essere spento e che “i livelli del mare continueranno a salire per qualche secolo a venire anche se manteniamo le emissioni di carbonio ai livelli di oggi”. “Ciò che vediamo nei mareografi non lo vediamo nelle passate registrazioni, quindi sta succedendo qualcosa oggi che non succedeva prima”, ha detto Lambeck. “Penso che sia chiaramente l'impatto dell'aumento delle temperature”. 

L'aumento del livello del mare causerà grande danno e dislocamento lungo le linee costiere in tutto il mondo. Uno studio recente ha scoperto che le grandi città degli Stati uniti lungo le coste avranno 10 volte tanto più allagamenti per metà secolo. Negli Stati uniti, quasi 5 milioni di persone vivono in aree a meno di quattro piedi al di sopra dell'alta marea, una quota che è particolarmente suscettibile all'aumento dei livelli del mare che potrebbero aumentare di quella quota per la fine del secolo.

sabato 29 novembre 2014

Ma quale pausa? Il 2014 è “in corsa” per diventare l'anno più caldo mai registrato

Da “Climate Crocks”. Traduzione di MR


I dati preliminari della NASA indicano il settembre più caldo mai registrato.

Climate Central:

“Se continuiamo con un allontanamento coerente dalla media per il resto del 2014, scalzeremo il 2010 come l'anno più caldo mai registrato”, ha detto Jake Crouch, un climatologo del National Climatic Data Center del NOAA durante una conferenza stampa giovedì.

Nello specifico, se ogni mese dell'anno che rimane si classificherà fra i primi cinque più caldi, il 2014 si prenderà il primo posto, ha detto. 

La notizia potrebbe risultare sorprendente a coloro che vivono nella parte orientale degli Stati Uniti (e anche d'Europa, ndt.), che ha visto un anno relativamente freddo finora, con un inverno rigido seguito da un'estate quasi nella media (che è sembrata estremamente mite in confronto alle recenti estati bollenti). Ma il quadro globale mostra che l'Est è stato “praticamente la sola area di terraferma del globo che ha avuto temperature più basse della media”, ha detto Crouch. (Gli Stati Uniti occidentali, al contrario, sono stati un forno).

Il grafico sotto mostra i punti in cui il 2014 è in relazione con gli altri anni fino a questo momento. Delle persone che ne sanno mi hanno detto che il 2014 è “in corsa” per diventare l'anno più caldo, alche se servirà un periodo torrido per essere il numero 1. E' molto probabile che si assesti fra i primi 5.


giovedì 27 novembre 2014

Petrolio: la quiete prima della tempesta, secondo la IEA

Da “Oil Man”. Traduzione di MR

La IEA avverte nel suo ultimo rapporto annuale: il pianeta petrolio sta per entrare in una zona ad altissimo rischio, nonostante ciò che potrebbe far pensare l'attuale prezzo dell'oro nero. Conseguenza della rivoluzione del petrolio “di scisto” negli Stati Uniti e del rallentamento della crescita mondiale, la spettacolare riduzione dei prezzi del barile minaccia di prosciugare gli investimenti indispensabili per allontanare lo spettro del picco del petrolio, conferma la IEA.

Il capo economista della IEA Fatih Birol, avverte:

“L'immagine a breve termine di una mercato del petrolio ben approvvigionato non deve mascherare i rischi futuri (…), nella misura in cui aumenta la dipendenza nei confronti dell'Iraq e del resto del Medio Oriente”. 




Crescita prevista della produzione mondiale di greggio (la produzione attuale è dell'ordine dei 90 milioni di barili al giorno) Fonte: IEA, 2014.

Il dottor Birol non si arrischia a dire quanto tempo potrebbe durare l'attuale crollo del prezzo del barile (tuttavia, a margine di una presentazione a Brussels, evoca a mezza voce un periodo di due anni), ma secondo lui, la tendenza a lungo termine è necessariamente al rialzo del prezzo dell'oro nero: Egli prevede:

“Tenuto conto dei tempi necessari per sviluppare i nuovi progetti di estrazione, le conseguenze di una mancanza di investimenti potrebbe impiegare del tempo a materializzarsi. Ma cominciano ad accumularsi nuvole sull'orizzonte a lungo termine della produzione mondiale di petrolio; sono foriere di possibili condizioni di tempesta di fronte a noi”. 

La linea della potenziale tempesta emerge esaminando il grafico della IEA riprodotto qua sotto:

- il boom della produzione americana dovrà finire prima della fine del decennio (conformemente alle diagnosi più recenti dell'amministrazione Obama);

- al di fuori degli Stati Uniti, non ci sono repliche significative da aspettarsi dal boom del petrolio “di scisto” (o di roccia compatta, per essere più precisi);

- i petroli non convenzionali nordamericani (petrolio di roccia compatta negli Stati uniti, sabbie bituminose in Canada) non saranno sufficienti da soli ad apportare una compensazione delle fonti convenzionali di petrolio in declino;

- già più che delicato da conservare da quando il barile è sceso sotto i cento dollari (in particolare per le "majors"), il gigantesco sforzo di investimento – dell'ordine dei 500 miliardi di dollari l'anno – necessario al fine di compensare il declino naturale del numero delle vecchie e più grandi fonti di greggio e giunte alla maturità, è più difficili da sostenere in particolare ora che il barile è crollato sotto gli 80 dollari , rileva la IEA, in particolare per quanto concerne le sabbie bituminose e le trivellazioni ultra profonde al largo del Brasile. In giugno, quando il barile era ancora a 115 dollari, la compagnia petrolifera francese Total ha riposto negli scaffali un progetto da 10 miliardi di dollari in Canada, perché non offriva un rendimento sufficiente. Ormai, segnala il Financial Times, emergono problemi molto consistenti di redditività dei progetti offshore e rapporti di tensioni vive condivise dai paesi membri dell'OPEC. Il ritmo delle trivellazioni del petrolio di roccia compatta negli Stati uniti sembra flettere in queste ultime settimane, constata altrove l'agenzia Bloomberg;

- last but not least (at all), in rosso sul grafico, quello che si chiama “Medio Oriente” corrisponde essenzialmente alla crescita attesa della produzione di greggio iracheno. Comprenderete le vertiginose implicazioni geostrategiche – agghiaccianti? - dell'importanza futura, ben più cruciali di oggi, attribuite dalla IEA alla produzione irachena (paese più o meno in stato di guerra o sotto embargo da 34 anni), mentre il dottor Birol constata, senza sorpresa, che “l'appetito” degli investitori per l'Iraq sembra di questi tempi un po' ridotto...

Sul fronte del clima, l'accordo fra Stati Uniti e Cina siglato la settimana scorsa è a giusto titolo qualificato come “storico” da fatih Birol.

Il presidente Barack Obama ha impegnato gli Stati uniti a ridurre dal 26 al 28% le loro emissioni di CO2 nel 2025 in relazione al loro livello del 2005. Il presidente cinese Xi Jinping, in cambio, assicura che le emissioni cinesi raggiungeranno un picco “verso il 2030”.

Questo accordo è “storico” se non altro perché conferma la probabilità molto alta di un'alterazione irreversibile del clima, anche se, ancora una volta, non è una sorpresa.



Il futuro del carbone cinese è l'altra grande novità celata nel rapporto annuale della IEA:
il grafico della IEA (con “un alto livello di certezza”, precisa Fatih Birol) sull'avvio corrente di un picco del consumo cinese di carbone.


IEA, 2014.

Con quale energia ha scelto la Cina di alimentare prioritariamente la propria economia, riducendo l'intensità delle proprie emissioni di gas ad effetto serra?

Lo sviluppo del nucleare in Cina promette di essere non meno spettacolare di quello delle energie rinnovabili pianificato da Pechino:


Evoluzione della potenza nucleare installata da qui al 2040. IEA, 2014.

130 GW in più nel 2040, è quasi più del doppio del parco nucleare francese e più del 30% della totalità del parco nucleare americano, il primo del mondo. La Cina attualmente dispone di una capacità nucleare di 12 GW.

mercoledì 26 novembre 2014

Crisi dello Stato: una prospettiva dal punto di vista della crisi energetica

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

il tema che affronterò oggi appartiene a un tipo diffuso di argomenti dei quali preferisco non parlare. Non mi piace parlare di questi temi non perché siano un tabù, ma perché non mi considero sufficientemente capace e in possesso della conoscenza adeguata per affrontarli in modo appropriato, per cui più che in altri casi quello che potrei dire è fortemente discutibile e persino sbagliato, almeno in parte, Insomma, che la mia opinione su questi temi non è più qualificata di quella di qualsiasi altro cittadino, pertanto non mi pare sia corretto sbandierarla da questo blog, dandole un rilievo che non ha. Tuttavia, noto che progressivamente le discussioni su internet ed altri media  si stanno incancrenendo nella misura in cui ci avviciniamo alla successiva grande ondata recessiva globale (della quale l'attuale tendenza al ribasso del prezzo del petrolio è un sintomo chiaro, visto che non è aumentata la produzione ma i prezzi scendono, ergo è la domanda che retrocede poiché si sta distruggendo a causa della recessione che avanza – e non dell'efficienza, come a volte si dice per confondere ancora di più). E ultimamente rilevo che c'è una certa confusione sul posizionamento politico, in chiave molto classica e partitica, di alcune cifre della discussione della crisi energetica in spagnolo, particolarmente le mie. Posizione partitica che non è rilevante in termini assoluti, come ho ripetuto tante volte, e che pregiudicherebbe la trasmissione di un messaggio di carattere trasversale e non partitico. Tuttavia, e nonostante tutte le premesse che finisco per esprimere, credo che sia interessante chiarire una questione chiave per capire perché il binomio capitalismo-comunismo è, a mio modo di vedere, superato e perché dovremmo esplorare altre dimensioni della discussione. Essenzialmente, parlerò del ruolo dello Stato così come lo vedo io con le mie conoscenze limitate, perché credo che quello che deve venire non potrà somigliare in nulla ai due sistemi apparentemente opposti anche se entrambi si basano su un forte statalismo.

Il ruolo dello Stato

Ci sono molte discussioni storiografiche ed antropologiche sull'origine e la funzione dello Stato, delle quali sono uno scarso conoscitore. Tuttavia, c'è una serie di caratteristiche che vengono attribuite con un sufficiente consenso allo Stato. Una di queste è che lo Stato è il depositario del diritto alla violenza legittima, cioè, è l'unico agente che ha diritto ad agire violentemente in difesa di un bene percepito come comune se non esiste nessun altro mezzo per garantirlo. Lo Stato, che in sé non è altro che una serie di istituzioni create ad un certo punto per la gestione di un paese, diventa, in virtù di questo e di altri diritti, un soggetto di diritto, cioè, un ente con diritti e doveri riconosciuto da altri soggetti di diritto come lui. Per dirlo più semplicemente, lo Stato spagnolo è riconosciuto come l'interlocutore valido per discutere qualsiasi cosa che abbia a che fare col territorio che amministra, cioè la Spagna.

Dato che lo Stato ha il monopolio della violenza legittima, qualsiasi violenza esercitata nel suo territorio da chiunque non sia lo Stato diventa illegittima. Perché le cose siano più chiare, lo Stato, usando il proprio potere legislativo, promulga leggi che esplicitano la non legittimità di quelle azioni per mezzo di disposizioni legali che stabiliscono condizioni penali per i contravventori. Cioè, lo Stato stabilisce con delle leggi quale castigo corrisponde a chi esercita un determinato tipo di violenza che non sia ricoperta dallo Stato stesso. Visto che lo Stato ha diritto di far violenza a qualsiasi aspetto della nostra convivenza (per esempio, sparando a un rapinatore di un supermercato se questo mette in pericolo la vita di altri , o anche negando alcuni assembramenti di massa e inviando polizia antisommossa a picchiare i manifestanti se non se ne vanno, o anche mandando in carcere coloro non pagano le proprie tasse), lo Stato ha un grande potere su tutti noi e per questo è giusto si definiscano in modo molto chiaro quali siano i fini dello Stato e che ci sia un grande consenso sociale sul fatto che questi fini siano legittimi. Qui viene uno degli aspetti più delicati del meccanismo statale: dato che nei sistemi democratici si riconosce che la sovranità è del popolo, tutto il potere in realtà proviene dal popolo e lo Stato, che è un soggetto a parte ma con il grande potere della violenza, come abbiamo detto, deve il suo potere a quel popolo che in realtà glielo ha consegnato. Pertanto, lo Stato deve interpretare correttamente il dettato del popolo e da qui proviene la grande importanza del fatto che le istituzioni dello Stato siano trasparenti e democratiche, come modo per assicurare che si sta compiendo la volontà del popolo.

Come sappiamo tutti, gli Stati moderni sono strutture di una grande complessità e per la loro gestione servono funzionari specializzati e con esperienza. Permettetemi un inciso qui: la parola “funzionario”, in Spagna come in altri paesi, ha molte connotazioni negative, perché la maggioranza della gente di solito la associa a “funzionari di sportello” indolenti che hanno dovuto sopportare nel corso di una qualche operazione con l'Amministrazione. Ed i think tank liberali, nella loro crociata per spogliare lo Stato di tutto ciò che non è monopolio della violenza (curiosamente, ma neanche tanto, come vedremo), sono soliti approfittare di questa cattiva percezione per usare la parola “funzionario” come un insulto. Tuttavia, chiunque abbia avuto a che fare con imprese di grandi dimensioni e complessità si sarà incontrato con amministratori che svolgono funzioni del tutto analoghe a quelle dei funzionari di sportello e di simile indolenza. Si vede che ciò che favorisce quest'atteggiamento (che in realtà non è nemmeno maggioritario ma è più visibile perché è un'attività a contatto col pubblico) è il tipo di lavoro amministrativo tedioso e senza incentivi. Per di più, si è soliti ignorare che la maggioranza dei funzionari sono maestri, professori universitari, medici, infermieri, letterati, militari, pompieri, ispettori fiscali, scienziati, guardie forestali, avvocati, procuratori, giudici e un lungo eccetera di tecnici più diversi il cui lavoro non sempre è visibile ma è fondamentale. A causa della complessità dello Stato che stiamo esponendo, è necessario mantenere questi corpi di funzionari specializzati, che logicamente non possono essere sostituiti allo stesso ritmo dell'alternanza democratica del paese. Per questo è richiesto che i funzionari lavorino in modo fedele al servizio del Governo di turno per il bene del paese, a prescindere dalle loro convinzioni partitiche. In cambio, viene loro riconosciuto uno statuto del lavoro speciale, che in da tempo e specialmente in questi tempi incerti viene percepito come un privilegio inadeguato.

Cosa succede quando un potere sufficientemente forte, tipicamente economico, corrompe qualche struttura dello Stato? Che lo Stato si scollega dalla fonte della sua legittimità, che è il consenso sociale, e si comporta a beneficio di questi altri interessi, naturalmente in modo subdolo per evitare una rivoluzione popolare. Non credo che valga la pena farvi degli esempi, perché sono sicuro che ve ne verranno in mente molti anche senza sforzarvi. Di fatto, il potere economico o di altro tipo non ha bisogno, per i propri fini, di corrompere troppo tutte le strutture dello Stato, perché per costituzione gli Stati tendono ad essere fortemente gerarchici e centralizzati. Se si ottiene il controllo del vertice (per esempio, del Governo) o delle strutture immediatamente inferiori (gli alti funzionari), tutto il resto del macchinario dello Stato lavorerà in modo cieco e implacabile a favore di questo potere corruttore, in applicazione della massima secondo la quale i funzionari di rango inferiore hanno l'obbligo di soddisfare e servire fedelmente ciò che viene loro richiesto in virtù della loro condizione di servitori pubblici, al di là delle loro preferenze ideologiche.

Pertanto, la struttura piramidale e non deliberativa dello Stato lo rende più vulnerabile all'ingerenza illegittima di agenti non popolari, il che dà accesso a questi agenti a forme incontrastate di violenza, non sempre fisica. Si tende a pensare che quando succede questo sia per un difetto concreto dello Stato o persino della società che lo partorisce. Al contrario, da mio punto di vista non sufficientemente documentato ma che si basa sull'osservazione empirica del fatto che non c'è uno Stato non corrotto ma solo gradi diversi di corruzione, credo che la corruzione sia una caratteristica intrinseca degli Stati. Inoltre, che il ruolo dello Stato sia andato rinforzandosi durante la storia in simbiosi con l'ingerenza sempre maggiore dei poteri economici, di modo che alla fine il difetto della corruzione statale non è accidentale ma strutturale.

Capitalismo e comunismo

I due grandi sistemi economici che hanno dominato la discussione durante il ventesimo secolo sono il capitalismo e il comunismo (usare questi nomi è una semplificazione semantica, ma per non rendere questa discussione più complicata, prego i più pignoli che me lo concedano). Al margine di queste discussioni teoriche, la pratica dell'attuazione di entrambi i sistemi è stata completamente subordinata all'esigenza di uno Stato e, nei casi in cui questo non c'era in quanto tale, si è finiti per crearlo a beneficio del sistema economico. A mio modo di vedere, il carattere statalista del comunismo e del capitalismo non è una coincidenza, ma una necessità di entrambi i sistemi per ottenere i propri fini. Nel caso del comunismo di taglio sovietico e simili, la necessità di uno Stato forte risulta evidente a tutti: stiamo parlando di un'economia pianificata, che impone restrizioni ad ogni tipo di attività e che supervisiona in modo estenuante i dettagli della vita pubblica e privata dei suoi cittadini. Nel caso del capitalismo, la percezione popolare, incoraggiata da certi settori della società, è che sia un sistema di libertà e che qualsiasi ingerenza dello Stato in realtà è dannosa. Parrebbe, pertanto, che il capitalismo sia in qualche modo contrario ad uno Stato forte. Niente di più lontano dalla realtà. L'economia capitalista moderna è più pianificata che mai e le percezione di libertà, di capacità elettiva, non è altro che una finzione costruita abilmente.

Molte grandi imprese hanno bisogno che lo Stato le sovvenzioni o le favorisca indirettamente costringendo i suoi cittadini a consumare i suoi prodotti o attraverso esenzioni fiscali. Ha tutta la logica del mondo: l'investimento che queste imprese fanno per influire sullo Stato aumenta i loro benefici, mentre lo Stato beneficia del controllo sociale che queste imprese assicurano, attraverso i loro lavoratori e il loro controllo sui mezzi di comunicazione. E qui la simbiosi Stato-capitale negli Stati capitalisti. I casi nei quali lo Stato favorisce in modo indecente le grandi imprese non sono isolati ma ripetuti: la grande industria aeronautica sta in piedi grazie agli ordini di aerei militari (se qualcuno mi può far passare il collegamento che ho lasciato qualche settimana fa su Facebook...), le grandi banche vengono salvate quando fanno investimenti massicciamente rovinosi, il settore delle auto è sostenuto da piani statali consecutivi di sussidio all'acquisto di un'auto nuova, alle industrie petrolifere riducono le tasse, le grandi società elettriche ottengono regolamenti favorevoli ai propri interessi e contro il bene comune... E questo per non parlare degli scandali ambientali, a volte con gravi conseguenze per la popolazione, taciuti persino con l'uso della forza, grazie al controllo di uno Stato piegato agli interessi di un capitale che non conosce frontiere (“Ricordate Bhopal”).

Non c'è grande settore dell'economia capitalista di oggi che non sia sostenuto dallo Stato e questo non succede da ora, per colpa della crisi, ma è da molto tempo che è così. Di fatto, se uno si scomoda a immergersi nei libri di Storia vedrà che nella configurazione dei moderni Stati capitalisti la cosa è sempre stata così. Ma è solo ora che la sconnessione dalla volontà del popolo sovrano è più evidente. Per esempio in Spagna con l'Iniziativa Legislativa Popolare che promuoveva il pagamento in natura delle abitazioni ipotecate (con l'appoggio di quasi un milione e mezzo di forme) è stata sostanzialmente ignorata nel suo iter parlamentare. Il disprezzo dello Stato della volontà del popolo non è a sua volta una cosa nuova, ma di sempre. Semplicemente prima la gente si guadagnava meglio da vivere e preferiva continuare così piuttosto che passarla nell'impresa di fronteggiare gli abusi dello Stato, cosa quasi sempre inutile. Se si guardano con attenzione le differenza fra comunismo e capitalismo, queste non sono tanto grandi. Il comunismo sovietico è stato molto meno efficace dal punto di vista produttivo ed ha generato molte inefficienze, in molti casi frutto della disaffezione delle classi popolari agli obbiettivi dello Stato (qualcosa di molto naturale se teniamo conto del fatto che lo stato sovietico rifiutava la sovranità popolare anche se formalmente diceva di difenderla). Tuttavia, con l'attuazione di certe misure chiave, il comunismo cinese si è evoluto negli ultimi decenni verso quote di produttività superiori a quelle dell'Occidente, dimostrando che un paese comunista può essere tanto capitalista-statalista quanto qualsiasi democrazia occidentale e senza il costo aggiuntivo (economico) della democrazia.

La crisi dello Stato, conseguenza della crisi energetica?

Si può sostenere che la crisi dello Stato, in particolare quelle degli stati capitalisti come quelli in cui viviamo, è cominciata già da molto tempo. Il sintomo più chiaro di questa crisi di legittimità è stato il rifiuto dell'ingerenza in guerre in terre straniere a difesa di interessi falsi ed assurdi, il cui massimo esponente è stato il movimento di rifiuto della guerra in Vietnam negli Stati Uniti alla fine degli anni 60 e all'inizio degli anni 70 del secolo scorso, o il rifiuto della seconda Guerra del Golfo all'inizio di questo secolo. E' anche legittimo sostenere che la proliferazione delle pubblicazioni indipendenti favorita dalla diffusione di internet alimenta il focus e l'indagine delle disfunzionalità dello Stato  e in un certo modo aggrava la percezione delle stesse, cosa che ha a sua volta una parte importante  di ragione. Tuttavia, ciò che sta rendendo intollerabile le situazione di disprezzo della volontà popolare che dura già da decenni sono le crescenti difficoltà economiche delle famiglie. E causato del malessere popolare, che non può già più beneficiare del benessere materiale, ciò che porta a mettere sistematicamente in discussione i diversi ruoli esercitati dallo Stato. Le citazioni dello Stato disfunzionale escono continuamente fuori nelle conversazioni quotidiane, con speciale enfasi sui casi concreti e personalizzati di corruzione, ma con un fondo di sfiducia generalizzata verso il buon lavoro e persino verso i fini dell'Amministrazione (un esempio di rabbiosa attualità in Spagna è il primo caso di infezione da ebola in Europa, verificatosi a Madrid per ciò che molti considerano una gestione negligente ed imprudente dell'assistenza a due rimpatriati). In questi giorni è frequente che un notizia falsa apparsa su una pubblicazione satirica venga presa erroneamente da alcuni come vera, semplicemente perché l'atrocità descritta credibile in mezzo all'attuale degrado (nel quale, per esempio, si vede come normale ed accettabile abbandonare bambini la cui famiglia non ha altro sostegno se non quello della mensa scolastica durante i mesi estivi).

Pertanto, credo abbia fondamento dire che la messa in discussione dello Stato e il clamore crescente per la sua riforma, per la sua rigenerazione, provenga in gran parte dello scontento causato dalla crisi economica interminabile che stiamo vivendo. Crisi che, in ultima istanza, non potrà mai finire a causa della decrescita energetica, per colpa della crisi energetica. Potrà essere mantenuto uno Stato centralizzato e complesso in una situazione di ritorni decrescenti, di diminuzione dell'attività economica, di diminuzione delle entrate? E' chiaro che la risposta è no se la diminuzione è grave. E dato il corso prevedibile degli eventi (senza bisogno di scomodare scenari più drammatici) sembra evidente che gli Stati capitalisti ad un certo punto giungeranno alla loro fine. Ed il momento chiave che segna la loro scomparsa è il momento in cui perdono il loro potere principale: il monopolio della violenza. Quando lo Stato smette di pagare gli stipendi alla polizia smetterà di poter imporre la sua volontà e in quel momento smetterà praticamente di esistere.

Il futuro post-statalista

Che futuro attende i nostri paesi dopo la fine dei loro rispettivi Stati? Nessuno lo sa con certezza e questo tema, su quello che hanno teorizzato gli esperti da decenni, è ancora meno propizio per le mie divagazioni personali del tutto non autorizzate. Forse alcuni paesi conserveranno Stati più semplificati, forse in altri si recupereranno forme di organizzazione precedenti, molte delle quali democratiche; altri paesi, disgraziatamente, soccomberanno sotto un nuovo giogo feudale e, in ogni caso, la disgregazione sarà la norma. Ciò che mi è chiaro è che il futuro dipenderà dalle decisioni che prendiamo ora. Niente è perduto se non vogliamo che lo sia. Forse il primo passo per sapere dove si trova questo futuro che interessa a tutti costruire, tanto l'operaio della fabbrica quanto il suo titolare, è uscire dai vecchi schemi di discussione e cominciare a guardare dimensioni del dibattito lungamente ignorate, come per esempio quelle che trattano dei limiti ecologici di questo pianeta che dobbiamo condividere.

Saluti.
AMT