mercoledì 2 luglio 2014

ANCORA SULL'IPOTETICA ESTINZIONE DELLA SPECIE UMANA.

di Jacopo Simonetta

          In un precedente post, ho proposto un modello semplificato per descrivere le retroazioni operanti all'interno del sistema socio-economico che possono condurre sia alla crescita esponenziale di economia e popolazione, sia alla loro de-crescita, parimenti esponenziale, a seconda del contesto ed a come evolvono i rapporti fra le diverse riserve ed i diversi flussi all'interno del macro-sistema.

Più recentemente, ho cercato di illustrare brevemente quali sono i meccanismi di estinzione delle specie e mi sono chiesto se fosse possibile, in un futuro nell'ordine dei secoli, che qualcosa del genere accada anche alla nostra specie.

Da alcuni commenti ricevuti sia su questo blog che su facebook, mi sono però reso conto di essere stato poco chiaro su almeno due punti importanti.

Il primo è semplice:  L’uomo si estinguerà sicuramente, come tutte le altre specie del pianeta.   La domanda che si pone non è quindi se accadrà, ma se potrebbe accadere in tempi relativamente brevi (secoli) e se quello che stiamo facendo oggi potrebbe provocare un tale evento.

Questo ci porta al  secondo punto sul quale non credo che si possano invece avere certezze, ma solo discutere un argomento che, indubbiamente, ha un suo torbido fascino.

Si tratta di un terreno molto complesso ed insidioso, dove quasi tutto quello che si può dire può anche essere contestato, ma su alcuni punti possiamo fare affidamento:

1 – L’umanità nel suo complesso ha superato la capacità di carico del pianeta probabilmente durante gli anni ’70 e da allora la situazione è molto peggiorata, anche se le stime quantitative dell'overshoot sono necessariamente imprecise.   A livello locale esistono tuttavia differenze enormi, con comunità che superano i loro limiti per un ordine di grandezza ed altre che, viceversa, sono ancora entro la capacità di carico del loro territorio o quasi.

2 – Quando una popolazione supera i propri limiti di sostenibilità, la capacità di carico si riduce in misura direttamente proporzionale (ma non lineare) all'entità ed alla durate del superamento.

3 – I vortici di estinzione (v. qui) possono essere  attivati da forti decrementi della popolazione ed aggravati dalla frammentazione dell’areale.

Dunque abbiamo una situazione complessa  perché, nel breve termine, quanto più rapidamente diminuisse il numero degli umani sulla Terra, tanto maggiori sarebbero le probabilità di ritrovare condizioni di parziale equilibrio e, dunque, una relativa stabilità demografica.   Un apparente paradosso, in quanto più presto e più rapidamente cominceremo a diminuire, tanto prima e ad un maggiore livello potrebbe ristabilizzarsi la popolazione.    In altre parole, quanto più aumenterà ancora la popolazione, o quanto più posticipato e lento sarà il declino, tanto maggiori saranno le probabilità di scendere a livelli tali da innescare i fatali vortici di cui al mio precedete post.

Contemporaneamente però, lo scatenarsi delle retroazioni illustrate nei precedenti post potrebbero anche accelerare il declino al punto di renderlo fatale.  Molto dipenderà quindi dai fattori che interagiranno con queste retroazioni.   Fra quelli attualmente in essere, penso che i 5 che risulteranno maggiormente cruciali per il destino della nostra specie siano i seguenti:

Demografia.   Come abbiamo visto, tanto più una popolazione supera i limiti di sostenibilità, tanto più aumenta il rischio di una sua estinzione in una fase successiva.   Tuttavia nell'uomo la situazione è resa particolarmente complessa dal fatto che non conta solo il mero dato delle bocche da sfamare, ma anche, ed in modo importante, il livello di consumo pro-capite e complessivo, il livello di dipendenza dalle protesi tecnologiche, la cultura e molti altri fattori ancora.

Clima.   I climatologi discutono quale sia il livello di concentrazione di CO2 in atmosfera capace di scatenare retroazioni dai risultati catastrofici e le stime oscillano perlopiù fra i 350 ed i 450 ppm.   Attualmente siamo a 400 ppm e molte di queste retroazioni sono già partite (scioglimento di ghiacciai artici ed antartici, riduzione dell’albedo alle alte latitudini, liberazione di metano dai fondali marini e dal permafrost, riduzione dell’attività fotosintetica in molte aree del pianeta, ecc.).  Non possiamo sapere quale sarà la situazione fra uno o due secoli, ma sappiamo per certo da essa dipenderà in gran parte il destino della Biosfera e, dunque, dei nostri discendenti.

Biodiversità.   La biosfera del futuro sarà formata dalle forme di vita che si saranno evolute a partire da quelle di oggi.   Se nessuno può sapere quali saranno le condizioni ambientali del futuro, possiamo invece essere certi che quante più forme di vita evitiamo di cancellare oggi, tanto maggiori saranno le probabilità di avere ecosistemi vitali in futuro.   Questo è fondamentale perché l’azione della biodiversità è proprio la forza che tende a stabilizzare la capacità di carico del pianeta, come di un qualsiasi territorio delimitato.   In pratica, è il paracadute in grado di frenare il decremento della popolazione umana.   Anche il clima del futuro dipenderà in modo cruciale dalla biodiversità.   Infatti, nonappena (in un modo o nell'altro)  le emissioni industriali saranno tornate a livelli trascurabili, l’ulteriore evoluzione dell’atmosfera tornerà a dipendere in gran parte dall'evoluzione degli ecosistemi il cui grado di efficienza e di resilienza dipende in gran parte dalla biodiversità.

Suoli ed acqua.   Le riserve di fertilità e la disponibilità di acqua sono altri due fattori chiave nel determinare la capacità di carico di una territorio nei confronti della nostra specie.   E si tratta di due fattori in rapido peggioramento in quasi tutto il globo.  

In sintesi, penso che probabilmente l’inizio della decrescita demografica seguirà di poco il picco globale dell’energia fossile.   Questo perché attualmente la nostra specie vive prevalentemente di questa (in particolare di petrolio greggio) ed è esclusivamente grazie alle fossili che ha potuto raggiungere gli attuali livelli demografici ed organizzativi.   Le energie rinnovabili, perlomeno con le tecnologie attuali, potranno fare molto per mitigare e rallentare questo declino, ma non credo che lo potranno evitare.   

Ma quando l’umanità dovrebbe cominciare a diminuire?   Non lontano dal 2030 pare una data abbastanza ragionevole sia in base al modello Word3, sia in base ad alcune proiezioni circa la disponibilità di energia (Turiel 2012), ma è bene chiarire che l’affidabilità di queste proiezioni è limitata in quanto i dati pubblicati circa le riserve sono intrinsecamente imprecisi e, sovente, volutamente falsati dalle imprese e/o dai governi.

Questo per quanto riguarda l’uomo (specie biologicaHomo sapiens L.), ma che dire dell’uomo moderno (specie culturale - Homo colossus Catton 1981)?    Anche in questo caso sappiamo alcune cose.   Ricordiamole:

1 – Da almeno 50.000 anni l’evoluzione dell’uomo è diventata prevalentemente culturale e solo molto marginalmente genetica.   Se oggi incontrassimo per strada un uomo di Cro-Magnon non ci colpirebbero la sua faccia od il suo portamento, bensì il suo abbigliamento ed il suo comportamento.   Dunque l’umanità attuale appartiene ad una specie (culturale) diversa da tutte quelle precedenti, il che giustifica, a mio avviso, il taxonHomo colossus” introdotto da Catton (vi sono complessi problemi di sinonimia con Homo oeconomicus  Mill 1844, ma qui non ci interessano).   Orbene,  già nel tardo paleolitico Homo sapiens aveva annientato tutte le altre specie biologiche congeneri,  diversificandosi però sul piano culturale con una spettacolare radiazione adattativa.   Nel corso degli ultimi 2 secoli circa, H. colossus ha di fatto annientato od assorbito tutte le altre specie culturali, restando di fatto l’unico taxon umano esistente.   Di solito, quando di una vasta gamma di taxa affini ne rimane solo uno, non è buon segno.

2 - Le società umane, come tutte le forme di vita e molte altre cose ancora, sono strutture dissipative dell’energia ed hanno un’incoercibile tendenza a strutturarsi o destrutturarsi in funzione dell’intensità del flusso di energia che le attraversa.    La società attuale globale è la struttura più complessa nell'universo conosciuto ed infatti è quella che dissipa la maggior quantità di energia in rapporto al proprio peso.   Un uomo medio attuale dissipa diecimila volte l’energia dissipata dal sole per unità di peso (E. Chaisson 2001).   Vale a dire che 1 kg di uomo dissipa quanto 10.000 kg di sole.   Ma se prendessimo alcune categorie (ad es. gli scienziati del CERN, i dirigenti delle grandi holdings, gli astronauti, ecc.) troveremmo che dissipano quantità di energia superiori per almeno un altro ordine di grandezza, semplicemente perché sono la parte maggiormente complessa della società globale.

3 – L’apporto di energia al sistema socio-economico ha già cominciato a degradare per qualità e, forse, anche per quantità (Turiel 2012).   E se non lo ha già fatto, lo farà presto.   E’ chiaro dunque, che, riducendosi l’apporto quali/quantitativo di energia, tali strutture dovranno necessariamente contrarsi e semplificarsi con inevitabili conseguenze sul piano culturale (ad es. chiusura del CERN, collasso della rete Internet, abbandono di musei, ecc.).

4 – Qualora risultasse invece possibile sostituire validamente i combustibili fossili e continuare ad incrementare l’input di energia, come alcuni sostengono, cadremmo invece in quella che Van Vallen ha definito “Effetto Regina Rossa” (da una frase che la Regina dice ad Alice in “Oltre lo specchio", di L. Carroll).  Vale a dire che un organismo evolvendosi modifica il proprio ambiente, cosicché si deve poi ulteriormente evolvere per adattarsi ai cambiamenti che ha indotto e così via, in modo tendenzialmente accelerato.  Finquando la specie riesce a tenere il ritmo, si evolve e permane; quando non riesce più a tenere il passo si estingue.   In riferimento alle specie biologiche questo succede piuttosto raramente in quanto la complessità degli ecosistemi e la limitatezza delle risorse disponibili frenano la retroazione.   Sta però accadendo probabilmente questo alla specie culturale H. colossus che, grazie all’energia fossile, ha potuto accelerare a dismisura la propria velocità evolutiva.   Ma così ha necessariamente provocato una parallela, non lineare, evoluzione dell’ecosistema.   Per un paio di secoli siamo stati più veloci noi e la prova ne è il passaggio da 1 a 140 miliardi di “abitanti 1800 equivalenti".
Se moltiplichiamo il numero di persone per i consumi medi pro-capite
 troviamo che l'umanità odierna ha impatti equivalenti a 140 miliardi dei nostri bisnonni.



















Ma da alcuni decenni la velocità evolutiva dell'ecosistema globale sta superando la nostra come indicato, ad esempio, dal riapparire di infezioni incurabili o dall'inutilità del dibattito politico in materia di clima.   Al momento sono piccoli segni, ma indicano che abbiamo cominciato a perdere terreno, malgrado finora non abbiamo avuto problemi seri di energia.

In sostanza, se avremo carenza di energia, i sistemi economici, culturali e politici di cui facciamo parte si dovranno contrarre e destrutturare di conserva. Se, viceversa, davvero trovassimo il modo di superare la crisi energetica incipiente, non potremmo evitare di accelerare ulteriormente il cambiamento dell’ecosistema globale, rilanciando il meccanismo perverso della “Regina Rossa”.

In conclusione, la mia del tutto personale opinione è che l’estinzione di Homo sapiens L. nel corso dei prossimi 2 - 3 secoli è estremamente improbabile, se non impossibile.   Viceversa, l’estinzione di H. colossus Catton è pressoché certa già entro la metà del secolo corrente.   Ma non sarà questo che fermerà l’evoluzione.   Al contrario, dopo un severo “collo di bottiglia”, c’è da aspettarsi la rapida evoluzione di un vasto numero di specie culturali adattate alle condizioni locali che saranno diversissime da zona a zona.

Una nuova radiazione adattativa è, normalmente, ciò che accade dopo una massiccia estinzione.  Certo, non vedremo mai più i prodigi tecnologici che oggi ci paiono banali semplicemente perché non saranno mai più disponibili le risorse che la nostra civiltà a dissipato.   Ma l’archeologia ci dimostra che società complesse e forme altissime di arte sono possibili anche con risorse relativamente modeste.



martedì 1 luglio 2014

Un petro-capital-tecno-consumista impenitente



Di Silvano Molfese


In un incontro pubblico ho affermato di ritrovarmi con quattro macchine fotografiche, di cui due sono a pellicola. Non dissi però che desidererei una digitale compatta con tele-zoom ottico più potente: aspetto nuovi sviluppi tecnologici ed economici (prezzo più basso). Sono consapevole che l’utilità ricavata da un’altra fotocamera non sarebbe poi granché, eppure la fissazione per questo nuovo acquisto rimane.

Come spiegare il comportamento degli individui nell’odierna società? Serge Latouche usa il termine di megamacchina tecno-economica; Luigi Sertorio parla di era tecnologica per definire l’interazione tra tecnologia ed economia .
Semplicità e sintesi sono i pregi di queste definizioni; tuttavia, secondo me, i predetti termini non mettono bene in evidenza gli elementi basilari che, fino a qualche anno fa, hanno reso vincente la complessa organizzazione della società petro-capital-tecno-consumista globale.

Nella definizione di società ho inserito il petrolio (l’ energia), il capitalismo (l’organizzazione produttiva), la tecnologia ed il consumismo. Uso la definizione petro-capital-tecno-consumista mettendo al primo posto il petrolio, dato che l’energia è la risorsa base per eccellenza. Gli altri termini della definizione si possono spostare a piacimento. Questo parolone è anche cacofonico: a mio avviso riflette le disarmonie della nostra società. 

Il petrolio è un concentrato di energia che si trasporta in modo abbastanza sicuro ed agevole rispetto al metano, per esempio; anche più semplice da usare nei motori, rispetto ai combustibili solidi. Un kg di petrolio ha un contenuto energetico corrispondente a ben più di quattro kg di legna da ardere, stagionata per un anno! E’ grazie al petrolio che possiamo sfrecciare per ore sulle autostrade, abbattere grossi alberi in pochi minuti con poca fatica ecc. .




Il petrolio, in questa definizione, và inteso anche come energia facile; negli USA, agli inizi del secolo scorso, la resa energetica (EROI acronimo di: Energy Return on Energy Invested) variava da cinquanta a cento: considerando un valore intermedio, significa che con un barile di petrolio se ne estraevano settantacinque e quindi, al netto, rimaneva l’energia di ben settantaquattro barili. (Bardi, 2011)

A livello mondiale le rese energetiche stanno scendendo verso valori sempre più vicini a dieci e, di questo passo, non potranno che continuare a scendere. Se poi consideriamo il petrolio di scisto l’EROI medio è inferiore a tre; in pratica l’energia netta ricavabile dallo scisto è a malapena di 1,8 barili contro i settantaquattro dell’ iniziale avventura petrolifera americana! (Zencey, 2013)
Con l’energia facile è stato possibile estrarre i più disparati minerali in maggiori quantità e più rapidamente. Rimangono i giacimenti minerari meno ricchi: l’estrazione mineraria sarà sempre più costosa anche per oggettive scarsità, come argomenta in questa nota Bardi: http://ugobardi.blogspot.it/2014/02/la-questione-minerale-come-energia-e.html.

Il Capitalismo è l’organizzazione economico-produttiva che si è andata perfezionando nel tempo, ricevendo un forte impulso dall’energia facile: il petrolio. Il capitalismo è molto apprezzato nel mondo intero perché capace di riprodurre velocemente uno stesso oggetto in milioni di esemplari identici. Nonostante ciò questo sistema produttivo è intrinsecamente debole: la caduta del saggio medio di profitto, individuata da Marx e da Engels, è sotto i nostri occhi. Gli effetti per la società sono disastrosi anche sotto il profilo sociale.

Questa organizzazione produttiva immagina ancora il mondo come illimitato: ai tempi di Adam Smith la Terra, in rapporto alla potenza fisica disponibile ed alla popolazione vivente, era vista come sconfinata. Oggi con oltre sette miliardi di persone e circa un miliardo di veicoli circolanti le ineludibili leggi della Natura e la finitezza della Terra, volenti o nolenti, frenano sempre più questo meccanismo di produzione.

La tecnologia è quella splendida cosa che ci consente di aprire il cancello del cortile con il telecomando rimanendo in auto; di volare intorno al mondo (petrolio permettendo) a velocità elevatissima; di parlare e vedersi con persone che si trovano all’altro capo del globo; di disporre delle tante e tanto sofisticate armi di distruzione di massa.Sono guai seri quando la strumentazione tecnica, per qualche motivo, smette di funzionare: se succede all’improvviso le reazioni possono essere le più disparate: panico, rabbia, disperazione, ecc. .

Il consumismo. E’ necessario comprare tanti oggetti: dalle bottiglie di plastica ai veicoli che, dopo un uso più o meno prolungato, devono essere tutti buttati via per essere sostituiti da altri pubblicizzati come migliori. Con la televisione il condizionamento pubblicitario inizia fin dalla più tenera età. Il consumismo ha profonde radici culturali che vengono alimentate da un martellante bombardamento pubblicitario: in tal modo si accrescono i bisogni superflui in modo massiccio e capillare tanto da arrivare alla soddisfazione spirituale e individuale nel consumo. (Assadourian, 2010. Se ai potenti condizionamenti culturali aggiungiamo anche l’evoluzione del nostro cervello, legata alla manualità, si capisce che siamo rimasti intrappolati nella gabbia di ferro del consumismo. (Jakson, 2008). Sicchè, appagati da tanti oggetti e narcotizzati dal consenso normativo (*), divoriamo il mondo come un barattolo di marmellata.


Ovviamente tutta questa goduria ha il rovescio della medaglia: stiamo distruggendo milioni di ettari di foreste vergini, ricopriamo gli oceani di plastica, i suoli di catrame e cemento, scarichiamo milioni di tonnellate di CO2 in atmosfera accelerando il cambiamento climatico e completiamo l’opera appestando acqua, aria e terreno con tante altre sostanze tossiche: in pratica la biosfera di tutto il pianeta Terra!

E’ necessario prendere atto dei limiti del nostro pianeta e della grave situazione ambientale e climatica in particolare. Solo se le persone prenderanno coscienza di tutto ciò, a cominciare dai paesi sovrasviluppati, sarà possibile cambiare il sistema economico e ridurre drasticamente i consumi superflui.

(*) Il consenso normativo.

“Il contadino sa che l'inquinamento uccide il proprio sostentamento. Il consumatore non sa cosa succede inquinando perché è inconsapevole, getta via cose che non conosce. Allora compare la necessità di un consenso normativo. Una certa cosa inquina non perché lo si sa, ma perché la normativa accettata lo dice. E come si accetta la normativa? Si interpella lo scienziato.
Lo scienziato A dice che il fumo, i mangimi, le radiazioni elettromagnetiche ecc. fanno male. Immediatamente compare lo scienziato B, il quale dice che la correlazione non è rigorosamente dimostrata. Il duetto avviene sempre, dovunque, ogni volta che si discute una norma. Cioè la conoscenza è sottratta all'uomo e ridotta a normativa accettabile.” (Sertorio, 2002)
Bibliografia


Assadourian E., 2010 – Ascesa e declino delle culture del consumo. State of the World 2010. Edizioni Ambiente, 47-74
Bardi U., 2011 – La Terra svuotata. Editori Riuniti, 195
Jackson T., 2008 – La sfida del vivere sostenibile. State of the World 2008. Edizioni Ambiente , 127-156
Sertorio L. , 2002 – Storia dell’abbondanza. Bollati Boringhieri, 154-155
Zencey E., 2013 – L’energia, la risorsa sovrana. State of the World 2013. Edizioni Ambiente 109-119

Valori energetici del grafico:
Per la legna ho considerato il valore dei tondelli interi aventi il 35% di acqua:  Correale Santacroce F. , 1998 – La produzione della legna da ardere per uso famigliare in certi casi conviene - Vita in Campagna,  2, 60-62. 
Manuale dell’agronomo, REDA, V edizione, 1980, pag. 2338  (per il carbone ho utilizzato il dato relativo all’ antracite)

lunedì 30 giugno 2014

Acqua fotovoltaica

DaResource crisis”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi


Acqua prodotta condensando l'umidità dell'aria usando energia solare (nella foto: Francesco El Asmar) Foto di Ugo Bardi

Quando ho cominciato a lavorare alla produzione di acqua dall'umidità atmosferica, io stesso e il mio collega ed amico Toufic El Asmar pensavamo fosse un'idea folle. L'energia è costosa e la condensazione dell'acqua ne richiede molta. Tuttavia, continuando a lavorare al concetto, abbiamo capito che aveva senso. Certo, ci vuole energia ma, col progresso delle tecnologia, l'energia rinnovabile sta diventando sempre più a buon mercato. E in certi momenti, l'energia rinnovabile costa realmente zero. In quei momenti, si dovrebbe immagazzinare, ma l'immagazzinamento è la parte costosa dell'energia rinnovabile. Quindi, perché non trasformare l'energia solare in qualcosa che possiamo immagazzinare con un costo basso o senza costo, per esempio in acqua potabile pulita? Dopo tutto, l'acqua sta rapidamente diventando un bene costoso in molte regioni del mondo.

Così è nata l'idea di una “macchina solare per l'acqua” che usa energia elettrica da pannelli fotovoltaici per alimentare un condensatore d'acqua che raccoglie l'umidità dell'aria. L'acqua viene quindi filtrata e resa potabile aggiungendo una piccola quantità di sali naturali. La macchina è più complessa di così, raccoglie anche acqua piovana e può pulire e purificare acqua da quasi ogni sorgente, producendo fino a 200 litri di acqua pura al giorno. I suoi pannelli solari la rendono del tutto autosufficiente: può essere messa ovunque, non deve essere collegata alla rete (anche se potrebbe). E' quindi buona per luoghi remoti, per situazioni di emergenza e per diverse necessità. Ecco il sistema “Acqua dal Sole” il giorno della sua presentazione ufficiale a Capannori. Le persone coinvolte nel progetto sono allineate di fronte alla macchina (compreso il sottoscritto).


Ora che vi ho raccontato l'essenziale, lasciate che vi racconti qualche dettaglio in più su questa idea. E' cominciato tutto qualche anno fa, quando io e Toufic El Asmar abbiamo preparato un progetto sull'uso dei collettori solari per produrre aria condizionata nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. L'idea è stata che quei paesi godono di un grande irraggiamento solare che potrebbe essere raccolta usando specchi parabolici per scaldare un sistema di aria condizionata ad assorbimento. Il progetto è stato approvato dalla Commissione Europea con nome di “REACT” ed ha portato alla fabbricazione di due prototipi, uno in Marocco e l'altro in Giordania.

Col passare del tempo, tuttavia, la rapida discesa del prezzo dei pannelli fotovoltaici ha reso obsoleti i collettori solari parabolici. Ma mentre lavoravamo al progetto REACT, abbiamo notato che la refrigerazione poteva produrre moltissima acqua per condensazione dall'aria. Questo ci ha portato a studiare il tema più in dettaglio e la Commissione Europea ha sponsorizzato un progetto denominato “Aqua Solis”. La nostra idea è stata di studiare un approccio completamente diverso rispetto agli impianti di desalinizzazione su larga scala che vengono comunemente usati oggigiorno per produrre acqua per i paese che non ne hanno. L'idea era quella di sviluppare sistemi “su scala di villaggio”, versioni migliorate della vecchia idea del “distillatore solare”. Economico, semplice e senza necessità di costosi sistemi di tubazioni necessari per gli impianti di desalinizzazione convenzionali. L'idea di fondo era quella di creare sistemi versatili che potessero usare energia fotovoltaica per produrre acqua , ma anche per qualsiasi uso in ogni particolare momento.

Col tempo, si studio si è evoluto in un brevetto depositato da me (Ugo Bardi) e da Toufic El Asmar e poi in un dispositivo funzionante: il sistema “Acqua dal Sole”, costruito dalle aziende italiane  al momento Sinapsi e Sinerlab, su un progetto di Archistudio. Il sistema “Acqua dal Sole” al momento si trova in un'area vicina all'aeroporto di Capannori (vicino a Lucca) dove una compagnia aeronautica ad alta tecnologia, la Zefiro, ha gentilmente offerto uno spazio di prova. L'acqua prodotta è gratuita per chiunque passi di lì, anche se per ragioni burocratiche leggerete sul rubinetto la scritta “non potabile”. Ma è del tutto potabile e molto buona, posso garantirvelo!

Stiamo cercando applicazioni pratiche e mercati per questo apparecchio. Naturalmente, ciò dipende dal costo ma, visto che i prezzi del fotovoltaico continuano a scendere, è probabile che l'acqua dall'aria possa essere una rivoluzione nel modo in cui si produce l'acqua nel mondo, specialmente in aree in cui è fortemente richiesta. Ed anche nel modo in cui viene immagazzinata l'energia rinnovabile. Una volta che avete visto il “cammello fotovoltaico” capirete quanto stia crescendo rapidamente la gamma di applicazioni dei pannelli fotovoltaici. Quella fotovoltaica è una tecnologia emergente che ha la possibilità di rimodellare il mondo in modi che, al momento, non possiamo nemmeno immaginare.




Le persone che hanno lavorato al progetto “Acqua dal Sole”

Ugo Bardi (Università di Firenze)
Eugenio Baronti (Zefiro s.r.l.)
Lorenzo Cardarella (Sinapsi s.r.l.)
Toufic El Asmar (Food and Agriculture Organization, FAO)
Filippo Niccolai (Sinerlab s.r.l.)
Francesco Niccolai (Sinerlab s.r.l.)
Michele Tosti (Sinapsi s.r.l.)


domenica 29 giugno 2014

Il cambiamento climatico come arma di distruzione di massa

DaCommon Dreams”. Traduzione di MR

Il cambiamento climatico è un crimine contro l'umanità? Diciamo... sì. 

Di Tom Engelhardt



L'industria dei combustibili fossili sta conducendo una guerra contro l'ecosistema planetario e la sua gente. Non è solo inutile ed osceno, ma dovrebbe essere considerato un crimine. (Immagine: public domain)

Chi potrebbe dimenticare? Allora, nell'autunno del 2002, c'era un enorme rullo di tamburi di “informazione” dalle principali figure dell'amministrazione Bush sul programma segreto degli iracheni di sviluppare armi di distruzione di massa (ADM) e quindi mettere in pericolo gli Stati Uniti. E chi – a parte pochi babbei – avrebbe potuto dubitare che Saddam Hussein alla fine avrebbe avuto un'arma nucleare? La sola domanda, come ha suggerito il nostro vice presidente a “Meet the Press”, è stata: impiegherà un anno o ce ne vorranno cinque? E non era il solo ad avere quelle paure, visto che c'erano un sacco di prove di quello che stava accadendo. Per cominciare, c'erano quei “tubi di alluminio appositamente progettati” che l'autocrate iracheno aveva ordinato come componenti per le centrifughe per arricchire l'uranio all'interno del proprio fiorente programma di armi nucleari. I giornalisti Judith Miller e Michael Gordon hanno coperto la prima pagina del New York Times con quella storia l'8 settembre del 2002.

Poi c'erano quelle “nuvole a forma di fungo” di cui Condoleezza Rice, il nostro consigliere per la sicurezza, era così pubblicamente preoccupata – quelle destinate ad innalzarsi al di sopra delle città americane se non avessimo fatto qualcosa per fermare Saddam. Come si affliggeva in un'intervista con Wolf Blitzer quello stesso 8 settembre, “Non vogliamo che la pistola fumante sia una nuvola a forma di fungo” No, infatti, ed è risultato che neanche il congresso lo voleva! E nel caso non foste sufficientemente ansiosi riguardo alla incombente minaccia irachena, c'erano quei veicoli aerei senza pilota – i droni di Saddam! - che potevano essere armati con ADM chimiche o biologiche dal suo arsenale e fatti volare sulle città della costa orientale americana con risultati inimmaginabili. Il presidente George W. Bush è andato in televisione a parlare di questo e i voti del congresso sono stati cambiati in favore della guerra grazie a informative dei servizi segreti su queste armi da far rizzare i capelli in testa, portate a Capitol Hill.

Alla fine, viene fuori che Saddam non aveva alcun programma di armi, nessuna bomba nucleare imminente, nessuna centrifuga per quei tubi di alluminio, nessun nascondiglio con armi biologiche o chimiche e nessun aereo drone per portare le sue inesistenti armi di distruzione di massa (né alcuna nave capace di portare quegli aerei robotici inesistenti nelle vicinanza della costa statunitense). Ma se le avesse avute? Chi voleva prendere quella possibilità? Non il vice presidente Cheney, di sicuro. All'interno dell'amministrazione Bush, Cheney ha propugnato una cosa che il giornalista Ron Suskind ha in seguito soprannominato la “dottrina del 1%”. La sua essenza è stata questa: se c'era anche solo un 1% di possibilità di un attacco agli Stati Uniti, in special modo se coinvolgeva armi di distruzione di massa, doveva essere affrontato come se fosse certo al 95-100%.

E' questa la cosa curiosa: se si guarda indietro alle paure apocalittiche di distruzione dell'America durante i primi 14 anni di questo secolo, hanno in gran parte contemplato tre armi per far scoppiare le città che erano fantasie della fertile immaginazione imperiale di Washington. C'era quella “bomba” di Saddam, che ha fornito parte del pretesto per una molto desiderata invasione dell'Iraq. C'era la “bomba” dei mullah, il regime fondamentalista iraniano che abbiamo amato così tanto da quando ci ha ripagato, nel 1979, per il rovesciamento da parte della CIA di un governo eletto nel 1953 e l'instaurazione dello Shah, prendendo lo staff dell'ambasciata americana a Teheran in ostaggio. Se avete creduto alle notizie di Washington e Tel Aviv, gli iraniani, anche, erano pericolosamente vicini a produrre un'arma nucleare o almeno erano ripetutamente sul punto del punto di farlo. La produzione di quella “bomba iraniana” è stata, per anni, un punto focale della politca americana in Medio Oriente, il “margine” oltre il quale la guerra ha sempre aleggiato. Eppure non c'era e non c'è nessuna bomba iraniana, né prove che gli iraniani fossero o sono sul punto di produrne una.

Infine, naturalmente, c'è stata la bomba di Al-Qaeda, la “bomba sporca” che quell'organizzazione poteva in qualche modo assemblare, trasportare negli Stati Uniti ed innescare in una città americana o il “nucleare sciolto”, forse proveniente dall'arsenale pakistano, col quale potevano fare la stessa cosa. Questa è la terza bomba di fantasia che ha inchiodato l'attenzione americana in questi ultimi anni, anche se ci sono ancora meno prove della probabilità della sua esistenza imminente di quanto non ce ne fossero di quelle irachena ed iraniana. Per riassumere, la cosa strana riguardo agli scenari da “fine del mondo per come lo conosciamo” della Washington post 9/11 è questa: con una sola eccezione, questi riguardavano solo armi di distruzione di massa inesistenti. Una quarta arma – una che esisteva ma che ha giocato un ruolo più modesto nelle fantasie di Washington – è stata la bomba del tutto reale della Corea del Nord, che in questi anni i nordcoreani sono stati incapaci di portare verso le spiagge americane.

La “buona notizia” sul cambiamento climatico

In un mondo in cui le armi nucleari rimangono una moneta cruciale del regno quando si tratta di potere globale, nessuno di questi esempi può essere classificato come pricoloso allo 0%. Saddam aveva avuto una volta un programma nucleare, solo non nel 2002-2003, e anche armi chimiche, che ha usato contro le truppe iraniane nella sua guerra contro il loro paese nel 1980 (con l'aiuto di informazioni mirate da parte dell'esercito degli Stati Uniti) e contro la sua stessa popolazione curda. Gli iraniani potrebbero (o no) aver preparato il loro programma nucleare per una possibile capacità di armamenti e Al-Qaeda di sicuro non avrebbe rifiutato un “nucleare sciolto”, se ce ne fosse stato uno disponibile (anche se la capacità di quella organizzazione di usarlo sarebbe stata comunque discutibile). Nel frattempo, i giganteschi arsenali di ADM esistenti, quelli americani, russi, cinesi, israeliani, pakistani e indiani che avrebbero potuto realmente lasciarsi dietro un pianeta storpiato o devastato, sono rimasti ampiamente al di fuori dello schermo radar americano. Nel caso dell'arsenale indiano, l'amministrazione Bush ha in realtà dato una mano indiretta alla sua espansione. Così è stato tipico del 21° secolo quando il presidente Obama, nel tentativo di mettere le recenti azioni russe in Ucraina in prospettiva, ha detto: “la Russia è una potenza regionale che sta minacciando alcuni di suoi vicini più prossimi. Continuo ad essere molto più preoccupato quando si tratta della nostra sicurezza dalla prospettiva di un'arma nucleare che arrivi a Manhattan”. Ancora una volta, un presidente americano si è focalizzato su una bomba che farebbe salire una nuvola a forma di fungo sopra Manhattan. E quale bomba sarebbe questa, esattamente, signor presidente?

Naturalmente, c'era un'arma di distruzione di massa che potrebbe di fatto fare un danno impressionante a New York City, Washington D.C., Miami, ed altre città della costa orientale, o forse un giorno semplicemente sommergerle. Questa aveva un suo personale ed efficiente sistema di consegna – non erano necessari droni inesistenti o fanatici islamici. E a differenza delle bombe di iracheni, iraniani e di Al-Qaeda, era garantito che sarebbe stato consegnato sulle nostre coste, a meno che un'azione preventiva non fossa stata intrapresa in fretta. Era un sistema di armi i cui impianti di produzione erano in bella vista proprio qui negli Stati Uniti, così come in Europa, Cina e India, così come in Russia, Arabia Saudita, Iran, Venezuela ed altri stati energetici.

Quindi ecco una domanda che mi piacerebbe che chiunque di voi viva o venga in vacanza in Wyoming faccia all'ex vice presidente, nel caso vi ci doveste imbattere in uno stato in cui è noto che ci sia una popolazione ridotta: come si sentirebbe riguardo all'agire preventivamente se invece di un 1% di possibilità che qualche paese con armi di distruzione di massa possa usarle contro di noi, ci fosse almeno un 95% - e probabilmente non un 100% - di possibilità che venga innescato suo nostro suolo? Siamo conservatori, visto che la domanda è stata posta a un ben noto conservatore. Chiediamogli se sarebbe a favore di perseguire la dottrina del 95% nel modo in cui lo era per quella del 1%.

Dopo tutto, grazie ad un cupo rapporto nel 2013 da parte del IPCC, sappiamo che che ora c'è una probabilità del 95-100% che “l'influenza umana sia stata la causa dominante del riscaldamento osservato [del pianeta] dalla metà del 20° secolo”. Sappiamo anche che il riscaldamento del pianeta – grazie al sistema dei combustibili fossili di cui viviamo e i gas serra che deposita nell'atmosfera – sta già facendo un danno reale al nostro mondo e in particolar modo agli Stati Uniti, come un recente rapporto scientifico pubblicato dalla Casa Bianca ha reso chiaro. Sappiamo anche, con cupa e ragionevole certezza, in che tipo di danno quel 95-100% di possibilità è probabile che si traducano nei decenni, e anche nei secoli, a venire se le cose non cambiano radicalmente: un aumento di temperatura per la fine del secolo che potrebbe superare i +10°F, provocando estinzioni a cascata, siccità incredibilmente severe su più ampie parti del pianeta (come nell'attuale siccità di lungo termine nel ovest e nel sud-ovest americano), precipitazioni molto più gravi su altre aree, tempeste più intense che causerebbero un danno molto maggiore, ondate di calore devastanti su una scala che nessuno nella storia umana ha mai sperimentato, masse di rifugiati, aumento dei prezzi globali del cibo e fra le altre catastrofi nell'agenda umana, l'aumento dei livelli del mare che annegheranno le aree costiere del pianeta.

Per esempio, da due studi scientifici appena pubblicati proviene la notizia che la calotta glaciale dell'Antartide Occidentale, uno dei grandi accumuli di ghiaccio del pianeta, ora ha intrapreso un processo di fusione e collasso che potrebbe, fra qualche secolo, aumentare i livelli del mare mondiali in modo raccapricciante da 3 a 4 metri. Quella massa di ghiaccio, secondo gli autori principali di uno dei due studi, si trova già in “ritiro irreversibile”, che significa – a prescindere dalle azioni intraprese da ora in poi – una futura sentenza di morte per alcune delle grandi città del mondo (E questo senza nemmeno la fusione della calotta glaciale della Groenlandia, per non parlare del resto del ghiaccio in Antartide). Tutto ciò, naturalmente, accadrà principalmente perché noi esseri umani continuiamo a bruciare combustibili fossili ad un tasso senza precedenti a quindi annualmente depositiamo carbonio nell'atmosfera a livelli record. In altre parole, parliamo di armi di distruzione di massa di un nuovo tipo. Mentre alcuni dei loro effetti sono già in atto, la distruzione planetaria che le armi nucleari potrebbero causare quasi istantaneamente, o perlomeno (dati gli scenari di "inverno nucleare") in pochi mesi, col cambiamento climatico impiegheranno decenni, se non secoli, per portare il proprio impatto planetario completo.

Quando parliamo di ADM, di solito pensiamo ad armi – nucleari, biologiche o chimiche – che vengono portate in un momento nel tempo misurabile. Considerate il cambiamento climatico, quindi, come un ADM su un lasso temporale particolarmente lungo, già attivato e visibile per tutti noi. A differenza della spaventevole bomba iraniana o dell'arsenale pakistano, non servono la CIA o l'NSA per stanare tali “armamenti”. Dai pozzi petroliferi agli impianti di fracking, dalle trivellazioni in alto mare alle piattaforme nel Golfo del Messico, il macchinario che produce questo tipo di ADM ed assicura che sia continuamente consegnata ai suoi obbiettivi planetari è del tutto visibile. Potente come potrebbe essere, distruttiva come sarà, coloro che lo controllano hanno fede che, essendo da così lungo tempo in sviluppo, possa rimanere in vista senza far prendere il panico alle popolazioni o provocare la richiesta di una sua distruzione. Le aziende e gli stati energetici che producono tali ADM rimangono considerevolmente aperti riguardo a ciò che fanno. Parlando in generale, non esitano a rendere pubblico, o persino ad amplificare, i loro piani per la distruzione all'ingrosso del pianeta, anche se naturalmente non vengono mai descritte in questo modo. Ciononostante, se un autocrate iracheno o un mullah iraniano parlavano in modo analogo della produzione di armi nucleari e di come dovevano essere usate, sarebbero stati abbrustoliti. Prendete ExxonMobil, una delle multinazionali più redditizie della storia. All'inizio di aprile, ha pubblicato due rapporti focalizzati su come la compagnia, come ha scritto Bill McKibben, “ha pianificato di affrontare il fatto che lei ed altri giganti petroliferi hanno molte volte più carbonio nelle proprie riserve collettive di quante gli scienziati sostengono che possiamo bruciare in sicurezza”. E continuava:

La compagnia ha detto che le restrizioni governative che la costringerebbero a mantenere le proprie riserve [di combustibili fossili] nel sottosuolo sono 'altamente improbabili' e che non solo le estrarranno tutte e le bruceranno, ma continueranno a cercare più petrolio e gas – una ricerca che attualmente brucia circa 100 milioni di dollari dei soldi dei propri investitori ogni singolo giorno. 'Sulla base di questa analisi, confidiamo che nessuna delle nostre riserve di idrocarburi sono o diventeranno “arenate”'.

In altre parole, Exxon pensa di sfruttare qualsiasi riserva di combustibili fossili di cui è in possesso e completamente. I leader di governo coinvolti nel sostegno della produzione di tali armi di distruzione di massa e del loro uso spesso sono similmente aperti su questo, anche mentre si discutono i passi per mitigare i loro effetti distruttivi. Prendete la Casa Bianca, per esempio. Ecco una dichiarazione che il presidente Obama ha orgogliosamente fatto in Oklahoma nel marzo 2012 sulla sua politica energetica:

Ora, sotto la mia amministrazione, l'America sta producendo più petrolio che mai negli ultimi 8 anni. E' importante che lo sappiate. Negli ultimi 3 anni, ho diretto la mia amministrazione per aprire milioni di acri per l'esplorazione di gas e petrolio in 23 diversi stati. Stiamo aprendo più del 75% delle nostre risorse petrolifere in mare. Abbiamo quadruplicato il numero di impianti operativi a un numero record. Abbiamo aggiunto nuovi oleodotti e gasdotti sufficienti a fare il giro della Terra e anche di più.

Analogamente, il 5 maggio, poco prima che la Casa Bianca rivelasse quel torvo rapporto sul cambiamento climatico in America e con un Congresso incapace di far passare anche la più rudimentale legge climatica mirata a rendere il paese modestamente più energeticamente efficiente, il consigliere di Obama John Podesta è apparso nella sala dei comunicati della Casa Bianca per vantarsi della politica energetica “verde” dell'amministrazione. “Gli Stati Uniti”, ha detto, “ora sono i più grandi produttori di gas naturale del mondo e i più grandi produttori di gas e petrolio del mondo. Si prevede che gli Stati Uniti continueranno ad essere i più grandi produttori di gas naturale fino al 2030. Per sei mesi di fila, abbiamo prodotto più petrolio qui a casa di quello che abbiamo importato da oltremare. Quindi si tratta solo di una storia di belle notizie”.

Buone notizie infatti, e dalla Russia di Vladimir Putin, che si ha appena ampliato i suoi vasti possedimenti di petrolio e gas di un pezzo di Mar Nero della dimensione del Maine al largo della Crimea, alle “bombe di carbonio” cinesi, alle garanzie di produzione, dell'Arabia Saudita, simili “buone notizie” vengono analogamente promosse. In essenza, la creazione di sempre più gas serra – cioè del motore della nostra futura distruzione – rimane una “buona notizia” per le élite dominanti sul pianeta Terra.

Armi di distruzione planetaria

Sappiamo esattamente ciò che dick Cheney – pronto ad andare in guerra per una possibilità del 1% che qualche paese avrebbe potuto danneggiarci – risponderebbe, se gli si chiedesse del fatto di agire sulla dottrina del 95%. Chi può dubitare che la sua risposta sarebbe simile a quelle delle grandi compagnie energetiche, che hanno finanziato così tanto il negazionismo climatico e la falsa scienza negli anni? Dichiarerebbe che la scienza non è “certa” a sufficienza (anche se “incertezza” di fatto può essere interpretata in due modi), che prima di impegnare grandi somme per affrontare il fenomeno, dobbiamo sapere di gran lunga di più e che, in ogni caso, la scienza del cambiamento climatico è guidata da un programma politico. Per Cheney e Co., è sembrato ovvio che agire sul 1% di possibilità era un modo sensibile di andare in “difesa” dell'America e non è meno evangelico per loro di quanto non lo sia agire su almeno il 95% della possibilità. Per il partito Repubblicano nel suo complesso, il negazionismo del cambiamento climatico è al momento nient'altro che una cartina di tornasole di lealtà e quindi persino una dottrina del 101% non basterebbe quando si tratta di combustibili fossili e del pianeta.

Non è il caso, naturalmente, di dare la colpa di questo ai combustibili fossili o anche al biossido di carbonio che rilasciano quando vengono bruciati. Queste non son armi di distruzione di massa più dell'uranio-235 e del plutonio-239. In questo caso, l'armamento è il sistema di produzione che è stato messo in piedi per trovare, estrarre, vendere con incredibili profitti e bruciare quei combustibili fossili e creare così un pianeta-serra. Col cambiamento climatico non c'è nessun “ragazzino" o "Uomo grasso" equivalente, nessuna semplice arma su cui concentrarsi. In questo senso, il fracking è il sistema di armi, come lo sono le trivellazioni in alto mare, come lo sono quegli oleodotti, le stazioni di servizio, gli impianti alimentati a carbone, le milioni di automobili che riempiono le strade globali e i contabili delle più redditizie multinazionali della storia. Tutto questo – tutto ciò che porta infiniti combustibili fossili sul mercato, rende quei combustibili bruciabili per eccellenza ed aiutano a sopprimere lo sviluppo di alternative non fossili – è l'ADM. Gli AD delle grandi compagnie energetiche del pianeta sono i pericolosi mullah, i veri fondamentalisti, del pianeta Terra, visto che promuovono una fede nei combustibili fossili che è garantito che ci porti a una qualche versione della Fine dei Tempi.

Forse ci serve una nuova categoria di armi con un nuovo acronimo per focalizzarci sulla natura delle nostre attuali circostanze del 95-100%. Chiamatele armi di distruzione planetaria (ADP) o armi di danno planetario (ADP2). Solo due sistemi di armamenti sarebbero chiaramente adatti a tali categorie. Il primo sarebbe quello delle armi nucleari che, anche in una guerra localizzata fra Pakistan e India, potrebbe creare una qualche versione del “inverno nucleare” nel quale il pianeta sarebbe tagliato fuori anche solo dal tanto fumo e fuliggine che diventerebbe rapidamente freddo, vivrebbe una perdita enorme di colture, di stagioni agricole e di vita. Nel caso di un grande scambio di tali armi, parleremmo della “sesta estinzione” della storia del pianeta. Anche se su una scala temporale diversa e più difficile da afferrare, bruciare combustibili fossili potrebbe finire in modo analogo – con una serie di disastri “irreversibili” che potrebbero essenzialmente bruciare noi e gran parte della vita sulla Terra. Questo sistema di distruzione su scala planetaria, facilitato da gran parte delle élite governanti e affaristiche del pianeta, sta diventando (per tirare in ballo un'altra categoria non usata di frequente in collegamento al cambiamento climatico) il “crimine contro l'umanità” ultimo e, di fatto, contro gran parte delle cose viventi. Sta diventando un “terracidio.”


© 2014 TomDispatch.com

Il mondo post-picco: Le strade di Sana'a intasate da macchine alla ricerca di benzina

Lo Yemen ha passato qualche anno fa il proprio picco di produzione petrolifera e, di recente, la produzione nazionale è scesa al di sotto delle importazioni. La situazione dello Yemen ci offre un piccolo flash di quello che potrebbe essere il nostro futuro post-picco, soprattutto per il fatto che nessuno nello Yemen sembra rendersi conto delle vere ragioni di quello che sta succedendo. La lettura dello "Yemen Times" è un po' come leggere una serie di romanzi dell'orrore. Qui, Max Rupalti traduce una di queste storie terrificanti (U.B.)


DaYemen Times”. Traduzione di MR

Di Ali Ibrahim Al-Moshki

Il presidente Hadi domenica ha dato ordini urgenti
al ministro del petrolio e al ministro delle finanze
 di sorvegliare le importazioni entro una settimana
per coprire la domanda di quattro mesi. 
SANA'A, 9 maggio – Il presidente Abdu Rabu Mansour Hadi domenica ha dato ordini urgenti al ministro del petrolio e a quello delle finanze di sorvegliare l'importazione di derivati del petrolio dall'estero entro una settimana per coprire la domanda per quattro mesi. Ciò avviene nel bel mezzo di una incessante crisi di combustibile nel paese.

Code infinite di auto in fila per la benzina hanno portato ad una grave congestione nella capitale. La scarsità è durata mesi ed ha portato alla chiusura di diverse stazioni di servizio.

“Ho passato circa 20 ore qui e non ho ancora fatto benzina. Ho paura che la stazione di servizio finirà la benzina prima che venga il mio turno”, ha detto Abdurabu Al-Qefri, un tassista di Sana'a. Al-Qefri ha detto allo Yemen Times che molte grandi strade sono chiuse a causa delle lunghe code di fronte alle stazioni di servizio.

“Non mi piace più uscire a causa degli ingorghi del traffico. Arrivo tardi al lavoro e torno anche a casa tardi”, ha detto l'automobilista Mohammed Ahmed Al-Mahali.

La Yemen Petroleum Company ha assicurato venerdì i consumatori che il carburante sarebbe stato fornito al ritmo normale, secondo l'agenzia di stampa di stato Saba.

Ad un incontro del Consiglio Supremo della Riunione Congiunta dei Partiti (RCP) domenica, l'organo ha fatto appello al governo perché prenda immediatamente le misure necessarie per affrontare questa crisi di carburante.

L'RCP ha detto che il governo dovrebbe lavorare per prevenire il contrabbando di combustibile ed arrestare i contrabbandieri di combustibile responsabili. Parte della ragione della carenza è il fatto che gli oleodotti hanno subito ripetuti attacchi da tribù armate. L'agenzia di stampa Saba ha detto lo scorso mese che gli attacchi agli oleodotti sono costati allo Yemen 4,75 miliardi di dollari negli ultimi tre anni.

Anche se lo Yemen è un produttore minore di petrolio nello scenario mondiale, il petrolio è una delle merci di esportazione più importanti del paese. I proventi del petrolio greggio costituiscono circa il 70% del bilancio pubblico del governo, secondo un rapporto della Banca Mondiale di inizio anno. Il rapporto ha detto che lo Yemen produce da 280.000 a 300.000 barili al giorno, dopo un picco di 400.000 barili al giorno.