Visualizzazione post con etichetta capitale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta capitale. Mostra tutti i post

venerdì 23 settembre 2016

LA CASCOLA DEL CAPITALE



La cascola è un fenomeno ben conosciuto dai contadini: si dice così quando gli alberi lasciano cadere i frutti ancora acerbi o addirittura i fiori.   Questo avviene quando all'inizio della fioritura le condizioni sono ideali: clima mite, acqua abbondante, terreno fertile, pochi parassiti, ecc.   Poi, in un momento qualunque prima della maturazione, tutta o buona parte della produzione cade a terra, precipitando il proprietario in depressione.    A maggior ragione perché, di solito, questo avviene proprio negli anni in cui tutto lasciava sperare un eccellente raccolto.

Di volta in volta la causa diretta è diversa.   Può trattarsi di un improvviso colpo di freddo o di caldo, dell’arrivo di un parassita, di una siccità (come questo anno) e molto altro ancora.   Ma dietro tutto ciò vi è sempre lo stesso identico fenomeno termodinamico: un flusso di energia insufficiente a mantenere tutti i tessuti prodotti dalla pianta.

Quando le condizioni sono favorevoli, le piante sfruttano infatti l’occasione per crescere il più possibile e, se è stagione di fioriture, per mettere in cantiere una gran massa di frutti.   Ma se le condizioni peggiorano prima della maturazione, la pianta si trova a non poter portare avanti una tale massa di tessuti in crescita.

Seccare i piccioli per lasciare cadere le frutta è quindi l’unica strategia che le consente di sopravvivere.   E se le condizioni continuano a peggiorare, lo stesso avviene con le foglie.   In altre parole, la pianta riduce il proprio capitale per riportarlo in equilibrio con il flusso di energia disponibile.

Più in generale, un qualunque sistema complesso posto in difficoltà comincia a sacrificare la propria periferia per salvaguardare il cuore del sistema.   Nel caso degli alberi, la ceppaia dal colletto in giù.   Quando muore anche quella è davvero finita.   Ma fenomeni riconducibili alla medesima dinamica si ritrovano anche negli animali, che ingrassano e dimagriscono.   Durante le carestie possono abortire e, in certi casi, addirittura mangiare i propri cuccioli. Lo stesso accade a livello di popolazioni, che solitamente crescono ai limiti del possibile nei momenti favorevoli, per poi diminuire in modo più o meno drammatico quando le condizioni si fanno avverse.

Tutti questi non sono che casi particolari di un unico fenomeno che possiamo definire “eccesso di capitale” sotto forma di individui, tessuti, semi, eccetera.   In termini sistemici, si tratta di uno sbilanciamento tra flussi e riserve.   Non può durare e si bilancia aumentando i flussi, riducendo le riserve o una combinazione dei due.   Ma una simile condizione di disequilibrio non può durare, inevitabilmente accadrà qualcosa che riporta il sistema in pari.

Qualcosa di strettamente analogo accade alle società umane nel loro complesso. Quando le condizioni sono favorevoli, le società accumulano capitale.   Non necessariamente sotto forma di denaro.   Anzi, questo accumulo prende soprattutto la forma di persone, costruzioni, opere d’arte e dell’ingegno, ricerche scientifiche, e qualunque altra cosa possa essere accumulata sotto forma di materia e/o informazione.

Ma man mano che il capitale cresce, crescono le quantità di energia che devono essere devolute al suo mantenimento perché qualunque cosa ha bisogno di manutenzione e la manutenzione si fa comunque dissipando energia.   Così, quando le condizioni si fanno meno favorevoli, la società si trova a non potersi più permettere di mantenere tutto quello che con grande soddisfazione aveva accumulato.

A livello individuale, quanta gente acquista la casa più bella e più grande che può, per poi doverla rivendere o lasciare andare in malora se le sue entrate diminuiscono e le spese aumentano?  

Qualcosa di strettamente analogo succede a livello collettivo con l’accumulo di infrastrutture ed oggetti, ma anche con l’accumulo di informazione sotto tutte le forma possibili.   E non dimentichiamo che il “capitale umano” è anch'esso parte integrante del capitale di una società.   In fondo, il denaro è di gran lunga la meno importante fra tutte le forme di capitale.

Oggi si parla molto e molto a proposito della riduzione della disponibilità di energia netta.   Una riduzione che secondo alcuni è già in corso e secondo altri avverrà più o meno a breve.   Solo i più sfrenati ottimisti si immaginano un futuro con flussi di energia netta costanti o addirittura in aumento. Possibile?   Penso di no, ma se anche fosse non cambierebbe molto perché, in questo caso, aumenteremmo il nostro capitale fino a raggiungere comunque un punto di crisi.
In ogni caso, l’altra faccia della diminuzione del flusso di energia netta è l’eccesso di capitale in tutte le sue forme.   Troppa gente, troppi oggetti, troppe infrastrutture, forse perfino troppe conoscenze.   Troppo di tutto.
La pasciona petrolifera ci ha consentito di accumulare in un secolo più di quanto avessimo fatto nell'intera nostra storia, da quando Homo sapiens esiste.   Che il picco dell’energia sia ora o fra 10 anni, che lo sviluppo del fotovoltaico galoppi o meno, qualunque cosa faremo, non potremo permetterci di mantenere tutto questo.   E questo significa fare delle scelte difficili.   Spesso dolorose, ma necessarie.

Le piante scelgono e lasciano cadere i frutti, ma conservano almeno parte delle foglie, i rami e le radici principali.    Gli animali digeriscono prima il loro grassi e solo dopo il tessuto muscolare.   Se necessario, uccidono i cuccioli (che morirebbero comunque), non gli adulti (che potranno fare altri cuccioli).
Anche noi, a livello collettivo, stiamo facendo esattamente questo.   Senza dirlo, ma stiamo scegliendo cosa abbandonare e cosa mantenere.   Guardatevi intorno e guardate i bilanci.   Ci sono tagli un po’ dappertutto, ma non nella medesima percentuale.

Ci sono settori che sono in via di rapido e totale smantellamento; altri sottoposti a cure dimagranti più o meno dure, mentre su alcuni settori convergono i fondi così liberati.   La scelta non ha niente di casuale, riflette semplicemente la scala delle priorità dei decisori.   Una scala che, al di là delle lamentele, la maggior parte delle persone sostanzialmente condividono.  

A esempio, fra sovvenzionare le aree protette oppure la sanità, fra sostenere i musei o le attività economiche praticamente nessuno ha dei dubbi.   Altri casi sono più controversi, ma comunque il fenomeno riguarda anche gli averi e la vita delle persone.

In questa fase, il cuore finanziario del sistema globale sta lasciando cadere le classi lavoratrici e medie per mantenersi in vita e, si spera,  generare nuova frutta quando le condizioni torneranno a migliorare.   Una promessa cui, bene o male, la maggior parte di noi continua sotto sotto a voler credere.   Ed è proprio questo che tiene la nostra società inchiodata sul binario morto dove si trova.

Nella scelta obbligata fra cosa conservare e cosa sacrificare continuiamo a scegliere ciò che pensiamo ci possa servire per restare ancora un poco sul ramo, anziché cosa potrà servire ai semi caduti per germinare e dare in futuro nuovi alberi.



martedì 1 luglio 2014

Un petro-capital-tecno-consumista impenitente



Di Silvano Molfese


In un incontro pubblico ho affermato di ritrovarmi con quattro macchine fotografiche, di cui due sono a pellicola. Non dissi però che desidererei una digitale compatta con tele-zoom ottico più potente: aspetto nuovi sviluppi tecnologici ed economici (prezzo più basso). Sono consapevole che l’utilità ricavata da un’altra fotocamera non sarebbe poi granché, eppure la fissazione per questo nuovo acquisto rimane.

Come spiegare il comportamento degli individui nell’odierna società? Serge Latouche usa il termine di megamacchina tecno-economica; Luigi Sertorio parla di era tecnologica per definire l’interazione tra tecnologia ed economia .
Semplicità e sintesi sono i pregi di queste definizioni; tuttavia, secondo me, i predetti termini non mettono bene in evidenza gli elementi basilari che, fino a qualche anno fa, hanno reso vincente la complessa organizzazione della società petro-capital-tecno-consumista globale.

Nella definizione di società ho inserito il petrolio (l’ energia), il capitalismo (l’organizzazione produttiva), la tecnologia ed il consumismo. Uso la definizione petro-capital-tecno-consumista mettendo al primo posto il petrolio, dato che l’energia è la risorsa base per eccellenza. Gli altri termini della definizione si possono spostare a piacimento. Questo parolone è anche cacofonico: a mio avviso riflette le disarmonie della nostra società. 

Il petrolio è un concentrato di energia che si trasporta in modo abbastanza sicuro ed agevole rispetto al metano, per esempio; anche più semplice da usare nei motori, rispetto ai combustibili solidi. Un kg di petrolio ha un contenuto energetico corrispondente a ben più di quattro kg di legna da ardere, stagionata per un anno! E’ grazie al petrolio che possiamo sfrecciare per ore sulle autostrade, abbattere grossi alberi in pochi minuti con poca fatica ecc. .




Il petrolio, in questa definizione, và inteso anche come energia facile; negli USA, agli inizi del secolo scorso, la resa energetica (EROI acronimo di: Energy Return on Energy Invested) variava da cinquanta a cento: considerando un valore intermedio, significa che con un barile di petrolio se ne estraevano settantacinque e quindi, al netto, rimaneva l’energia di ben settantaquattro barili. (Bardi, 2011)

A livello mondiale le rese energetiche stanno scendendo verso valori sempre più vicini a dieci e, di questo passo, non potranno che continuare a scendere. Se poi consideriamo il petrolio di scisto l’EROI medio è inferiore a tre; in pratica l’energia netta ricavabile dallo scisto è a malapena di 1,8 barili contro i settantaquattro dell’ iniziale avventura petrolifera americana! (Zencey, 2013)
Con l’energia facile è stato possibile estrarre i più disparati minerali in maggiori quantità e più rapidamente. Rimangono i giacimenti minerari meno ricchi: l’estrazione mineraria sarà sempre più costosa anche per oggettive scarsità, come argomenta in questa nota Bardi: http://ugobardi.blogspot.it/2014/02/la-questione-minerale-come-energia-e.html.

Il Capitalismo è l’organizzazione economico-produttiva che si è andata perfezionando nel tempo, ricevendo un forte impulso dall’energia facile: il petrolio. Il capitalismo è molto apprezzato nel mondo intero perché capace di riprodurre velocemente uno stesso oggetto in milioni di esemplari identici. Nonostante ciò questo sistema produttivo è intrinsecamente debole: la caduta del saggio medio di profitto, individuata da Marx e da Engels, è sotto i nostri occhi. Gli effetti per la società sono disastrosi anche sotto il profilo sociale.

Questa organizzazione produttiva immagina ancora il mondo come illimitato: ai tempi di Adam Smith la Terra, in rapporto alla potenza fisica disponibile ed alla popolazione vivente, era vista come sconfinata. Oggi con oltre sette miliardi di persone e circa un miliardo di veicoli circolanti le ineludibili leggi della Natura e la finitezza della Terra, volenti o nolenti, frenano sempre più questo meccanismo di produzione.

La tecnologia è quella splendida cosa che ci consente di aprire il cancello del cortile con il telecomando rimanendo in auto; di volare intorno al mondo (petrolio permettendo) a velocità elevatissima; di parlare e vedersi con persone che si trovano all’altro capo del globo; di disporre delle tante e tanto sofisticate armi di distruzione di massa.Sono guai seri quando la strumentazione tecnica, per qualche motivo, smette di funzionare: se succede all’improvviso le reazioni possono essere le più disparate: panico, rabbia, disperazione, ecc. .

Il consumismo. E’ necessario comprare tanti oggetti: dalle bottiglie di plastica ai veicoli che, dopo un uso più o meno prolungato, devono essere tutti buttati via per essere sostituiti da altri pubblicizzati come migliori. Con la televisione il condizionamento pubblicitario inizia fin dalla più tenera età. Il consumismo ha profonde radici culturali che vengono alimentate da un martellante bombardamento pubblicitario: in tal modo si accrescono i bisogni superflui in modo massiccio e capillare tanto da arrivare alla soddisfazione spirituale e individuale nel consumo. (Assadourian, 2010. Se ai potenti condizionamenti culturali aggiungiamo anche l’evoluzione del nostro cervello, legata alla manualità, si capisce che siamo rimasti intrappolati nella gabbia di ferro del consumismo. (Jakson, 2008). Sicchè, appagati da tanti oggetti e narcotizzati dal consenso normativo (*), divoriamo il mondo come un barattolo di marmellata.


Ovviamente tutta questa goduria ha il rovescio della medaglia: stiamo distruggendo milioni di ettari di foreste vergini, ricopriamo gli oceani di plastica, i suoli di catrame e cemento, scarichiamo milioni di tonnellate di CO2 in atmosfera accelerando il cambiamento climatico e completiamo l’opera appestando acqua, aria e terreno con tante altre sostanze tossiche: in pratica la biosfera di tutto il pianeta Terra!

E’ necessario prendere atto dei limiti del nostro pianeta e della grave situazione ambientale e climatica in particolare. Solo se le persone prenderanno coscienza di tutto ciò, a cominciare dai paesi sovrasviluppati, sarà possibile cambiare il sistema economico e ridurre drasticamente i consumi superflui.

(*) Il consenso normativo.

“Il contadino sa che l'inquinamento uccide il proprio sostentamento. Il consumatore non sa cosa succede inquinando perché è inconsapevole, getta via cose che non conosce. Allora compare la necessità di un consenso normativo. Una certa cosa inquina non perché lo si sa, ma perché la normativa accettata lo dice. E come si accetta la normativa? Si interpella lo scienziato.
Lo scienziato A dice che il fumo, i mangimi, le radiazioni elettromagnetiche ecc. fanno male. Immediatamente compare lo scienziato B, il quale dice che la correlazione non è rigorosamente dimostrata. Il duetto avviene sempre, dovunque, ogni volta che si discute una norma. Cioè la conoscenza è sottratta all'uomo e ridotta a normativa accettabile.” (Sertorio, 2002)
Bibliografia


Assadourian E., 2010 – Ascesa e declino delle culture del consumo. State of the World 2010. Edizioni Ambiente, 47-74
Bardi U., 2011 – La Terra svuotata. Editori Riuniti, 195
Jackson T., 2008 – La sfida del vivere sostenibile. State of the World 2008. Edizioni Ambiente , 127-156
Sertorio L. , 2002 – Storia dell’abbondanza. Bollati Boringhieri, 154-155
Zencey E., 2013 – L’energia, la risorsa sovrana. State of the World 2013. Edizioni Ambiente 109-119

Valori energetici del grafico:
Per la legna ho considerato il valore dei tondelli interi aventi il 35% di acqua:  Correale Santacroce F. , 1998 – La produzione della legna da ardere per uso famigliare in certi casi conviene - Vita in Campagna,  2, 60-62. 
Manuale dell’agronomo, REDA, V edizione, 1980, pag. 2338  (per il carbone ho utilizzato il dato relativo all’ antracite)