mercoledì 2 luglio 2014

ANCORA SULL'IPOTETICA ESTINZIONE DELLA SPECIE UMANA.

di Jacopo Simonetta

          In un precedente post, ho proposto un modello semplificato per descrivere le retroazioni operanti all'interno del sistema socio-economico che possono condurre sia alla crescita esponenziale di economia e popolazione, sia alla loro de-crescita, parimenti esponenziale, a seconda del contesto ed a come evolvono i rapporti fra le diverse riserve ed i diversi flussi all'interno del macro-sistema.

Più recentemente, ho cercato di illustrare brevemente quali sono i meccanismi di estinzione delle specie e mi sono chiesto se fosse possibile, in un futuro nell'ordine dei secoli, che qualcosa del genere accada anche alla nostra specie.

Da alcuni commenti ricevuti sia su questo blog che su facebook, mi sono però reso conto di essere stato poco chiaro su almeno due punti importanti.

Il primo è semplice:  L’uomo si estinguerà sicuramente, come tutte le altre specie del pianeta.   La domanda che si pone non è quindi se accadrà, ma se potrebbe accadere in tempi relativamente brevi (secoli) e se quello che stiamo facendo oggi potrebbe provocare un tale evento.

Questo ci porta al  secondo punto sul quale non credo che si possano invece avere certezze, ma solo discutere un argomento che, indubbiamente, ha un suo torbido fascino.

Si tratta di un terreno molto complesso ed insidioso, dove quasi tutto quello che si può dire può anche essere contestato, ma su alcuni punti possiamo fare affidamento:

1 – L’umanità nel suo complesso ha superato la capacità di carico del pianeta probabilmente durante gli anni ’70 e da allora la situazione è molto peggiorata, anche se le stime quantitative dell'overshoot sono necessariamente imprecise.   A livello locale esistono tuttavia differenze enormi, con comunità che superano i loro limiti per un ordine di grandezza ed altre che, viceversa, sono ancora entro la capacità di carico del loro territorio o quasi.

2 – Quando una popolazione supera i propri limiti di sostenibilità, la capacità di carico si riduce in misura direttamente proporzionale (ma non lineare) all'entità ed alla durate del superamento.

3 – I vortici di estinzione (v. qui) possono essere  attivati da forti decrementi della popolazione ed aggravati dalla frammentazione dell’areale.

Dunque abbiamo una situazione complessa  perché, nel breve termine, quanto più rapidamente diminuisse il numero degli umani sulla Terra, tanto maggiori sarebbero le probabilità di ritrovare condizioni di parziale equilibrio e, dunque, una relativa stabilità demografica.   Un apparente paradosso, in quanto più presto e più rapidamente cominceremo a diminuire, tanto prima e ad un maggiore livello potrebbe ristabilizzarsi la popolazione.    In altre parole, quanto più aumenterà ancora la popolazione, o quanto più posticipato e lento sarà il declino, tanto maggiori saranno le probabilità di scendere a livelli tali da innescare i fatali vortici di cui al mio precedete post.

Contemporaneamente però, lo scatenarsi delle retroazioni illustrate nei precedenti post potrebbero anche accelerare il declino al punto di renderlo fatale.  Molto dipenderà quindi dai fattori che interagiranno con queste retroazioni.   Fra quelli attualmente in essere, penso che i 5 che risulteranno maggiormente cruciali per il destino della nostra specie siano i seguenti:

Demografia.   Come abbiamo visto, tanto più una popolazione supera i limiti di sostenibilità, tanto più aumenta il rischio di una sua estinzione in una fase successiva.   Tuttavia nell'uomo la situazione è resa particolarmente complessa dal fatto che non conta solo il mero dato delle bocche da sfamare, ma anche, ed in modo importante, il livello di consumo pro-capite e complessivo, il livello di dipendenza dalle protesi tecnologiche, la cultura e molti altri fattori ancora.

Clima.   I climatologi discutono quale sia il livello di concentrazione di CO2 in atmosfera capace di scatenare retroazioni dai risultati catastrofici e le stime oscillano perlopiù fra i 350 ed i 450 ppm.   Attualmente siamo a 400 ppm e molte di queste retroazioni sono già partite (scioglimento di ghiacciai artici ed antartici, riduzione dell’albedo alle alte latitudini, liberazione di metano dai fondali marini e dal permafrost, riduzione dell’attività fotosintetica in molte aree del pianeta, ecc.).  Non possiamo sapere quale sarà la situazione fra uno o due secoli, ma sappiamo per certo da essa dipenderà in gran parte il destino della Biosfera e, dunque, dei nostri discendenti.

Biodiversità.   La biosfera del futuro sarà formata dalle forme di vita che si saranno evolute a partire da quelle di oggi.   Se nessuno può sapere quali saranno le condizioni ambientali del futuro, possiamo invece essere certi che quante più forme di vita evitiamo di cancellare oggi, tanto maggiori saranno le probabilità di avere ecosistemi vitali in futuro.   Questo è fondamentale perché l’azione della biodiversità è proprio la forza che tende a stabilizzare la capacità di carico del pianeta, come di un qualsiasi territorio delimitato.   In pratica, è il paracadute in grado di frenare il decremento della popolazione umana.   Anche il clima del futuro dipenderà in modo cruciale dalla biodiversità.   Infatti, nonappena (in un modo o nell'altro)  le emissioni industriali saranno tornate a livelli trascurabili, l’ulteriore evoluzione dell’atmosfera tornerà a dipendere in gran parte dall'evoluzione degli ecosistemi il cui grado di efficienza e di resilienza dipende in gran parte dalla biodiversità.

Suoli ed acqua.   Le riserve di fertilità e la disponibilità di acqua sono altri due fattori chiave nel determinare la capacità di carico di una territorio nei confronti della nostra specie.   E si tratta di due fattori in rapido peggioramento in quasi tutto il globo.  

In sintesi, penso che probabilmente l’inizio della decrescita demografica seguirà di poco il picco globale dell’energia fossile.   Questo perché attualmente la nostra specie vive prevalentemente di questa (in particolare di petrolio greggio) ed è esclusivamente grazie alle fossili che ha potuto raggiungere gli attuali livelli demografici ed organizzativi.   Le energie rinnovabili, perlomeno con le tecnologie attuali, potranno fare molto per mitigare e rallentare questo declino, ma non credo che lo potranno evitare.   

Ma quando l’umanità dovrebbe cominciare a diminuire?   Non lontano dal 2030 pare una data abbastanza ragionevole sia in base al modello Word3, sia in base ad alcune proiezioni circa la disponibilità di energia (Turiel 2012), ma è bene chiarire che l’affidabilità di queste proiezioni è limitata in quanto i dati pubblicati circa le riserve sono intrinsecamente imprecisi e, sovente, volutamente falsati dalle imprese e/o dai governi.

Questo per quanto riguarda l’uomo (specie biologicaHomo sapiens L.), ma che dire dell’uomo moderno (specie culturale - Homo colossus Catton 1981)?    Anche in questo caso sappiamo alcune cose.   Ricordiamole:

1 – Da almeno 50.000 anni l’evoluzione dell’uomo è diventata prevalentemente culturale e solo molto marginalmente genetica.   Se oggi incontrassimo per strada un uomo di Cro-Magnon non ci colpirebbero la sua faccia od il suo portamento, bensì il suo abbigliamento ed il suo comportamento.   Dunque l’umanità attuale appartiene ad una specie (culturale) diversa da tutte quelle precedenti, il che giustifica, a mio avviso, il taxonHomo colossus” introdotto da Catton (vi sono complessi problemi di sinonimia con Homo oeconomicus  Mill 1844, ma qui non ci interessano).   Orbene,  già nel tardo paleolitico Homo sapiens aveva annientato tutte le altre specie biologiche congeneri,  diversificandosi però sul piano culturale con una spettacolare radiazione adattativa.   Nel corso degli ultimi 2 secoli circa, H. colossus ha di fatto annientato od assorbito tutte le altre specie culturali, restando di fatto l’unico taxon umano esistente.   Di solito, quando di una vasta gamma di taxa affini ne rimane solo uno, non è buon segno.

2 - Le società umane, come tutte le forme di vita e molte altre cose ancora, sono strutture dissipative dell’energia ed hanno un’incoercibile tendenza a strutturarsi o destrutturarsi in funzione dell’intensità del flusso di energia che le attraversa.    La società attuale globale è la struttura più complessa nell'universo conosciuto ed infatti è quella che dissipa la maggior quantità di energia in rapporto al proprio peso.   Un uomo medio attuale dissipa diecimila volte l’energia dissipata dal sole per unità di peso (E. Chaisson 2001).   Vale a dire che 1 kg di uomo dissipa quanto 10.000 kg di sole.   Ma se prendessimo alcune categorie (ad es. gli scienziati del CERN, i dirigenti delle grandi holdings, gli astronauti, ecc.) troveremmo che dissipano quantità di energia superiori per almeno un altro ordine di grandezza, semplicemente perché sono la parte maggiormente complessa della società globale.

3 – L’apporto di energia al sistema socio-economico ha già cominciato a degradare per qualità e, forse, anche per quantità (Turiel 2012).   E se non lo ha già fatto, lo farà presto.   E’ chiaro dunque, che, riducendosi l’apporto quali/quantitativo di energia, tali strutture dovranno necessariamente contrarsi e semplificarsi con inevitabili conseguenze sul piano culturale (ad es. chiusura del CERN, collasso della rete Internet, abbandono di musei, ecc.).

4 – Qualora risultasse invece possibile sostituire validamente i combustibili fossili e continuare ad incrementare l’input di energia, come alcuni sostengono, cadremmo invece in quella che Van Vallen ha definito “Effetto Regina Rossa” (da una frase che la Regina dice ad Alice in “Oltre lo specchio", di L. Carroll).  Vale a dire che un organismo evolvendosi modifica il proprio ambiente, cosicché si deve poi ulteriormente evolvere per adattarsi ai cambiamenti che ha indotto e così via, in modo tendenzialmente accelerato.  Finquando la specie riesce a tenere il ritmo, si evolve e permane; quando non riesce più a tenere il passo si estingue.   In riferimento alle specie biologiche questo succede piuttosto raramente in quanto la complessità degli ecosistemi e la limitatezza delle risorse disponibili frenano la retroazione.   Sta però accadendo probabilmente questo alla specie culturale H. colossus che, grazie all’energia fossile, ha potuto accelerare a dismisura la propria velocità evolutiva.   Ma così ha necessariamente provocato una parallela, non lineare, evoluzione dell’ecosistema.   Per un paio di secoli siamo stati più veloci noi e la prova ne è il passaggio da 1 a 140 miliardi di “abitanti 1800 equivalenti".
Se moltiplichiamo il numero di persone per i consumi medi pro-capite
 troviamo che l'umanità odierna ha impatti equivalenti a 140 miliardi dei nostri bisnonni.



















Ma da alcuni decenni la velocità evolutiva dell'ecosistema globale sta superando la nostra come indicato, ad esempio, dal riapparire di infezioni incurabili o dall'inutilità del dibattito politico in materia di clima.   Al momento sono piccoli segni, ma indicano che abbiamo cominciato a perdere terreno, malgrado finora non abbiamo avuto problemi seri di energia.

In sostanza, se avremo carenza di energia, i sistemi economici, culturali e politici di cui facciamo parte si dovranno contrarre e destrutturare di conserva. Se, viceversa, davvero trovassimo il modo di superare la crisi energetica incipiente, non potremmo evitare di accelerare ulteriormente il cambiamento dell’ecosistema globale, rilanciando il meccanismo perverso della “Regina Rossa”.

In conclusione, la mia del tutto personale opinione è che l’estinzione di Homo sapiens L. nel corso dei prossimi 2 - 3 secoli è estremamente improbabile, se non impossibile.   Viceversa, l’estinzione di H. colossus Catton è pressoché certa già entro la metà del secolo corrente.   Ma non sarà questo che fermerà l’evoluzione.   Al contrario, dopo un severo “collo di bottiglia”, c’è da aspettarsi la rapida evoluzione di un vasto numero di specie culturali adattate alle condizioni locali che saranno diversissime da zona a zona.

Una nuova radiazione adattativa è, normalmente, ciò che accade dopo una massiccia estinzione.  Certo, non vedremo mai più i prodigi tecnologici che oggi ci paiono banali semplicemente perché non saranno mai più disponibili le risorse che la nostra civiltà a dissipato.   Ma l’archeologia ci dimostra che società complesse e forme altissime di arte sono possibili anche con risorse relativamente modeste.