martedì 11 marzo 2014

Il marmo sulle Alpi Apuane: ritorni economici decrescenti e costi per la comunità sempre più elevati.


L'estrazione del marmo sulle Alpi Apuane sta diventando un'operazione talmente costosa e distruttiva che la si può paragonare al fracking per il petrolio e il gas naturale - la potremmo chiamare "marming" secondo questa analisi di Jacopo Simonetta. E' un'illustrazione molto chiara del problema che stiamo avendo con tutte le risorse minerali. Non stiamo esaurendo niente, ma ci troviamo di fronte a ritorni economici decrescenti e costi ambientali crescenti. In questo caso, Simonetta fa vedere come il tentativo di mantenere in vita a tutti i costi il processo estrattivo finisca per diventare un costo per l'intera comunità

Di Jacopo Simonetta


"In ultima analisi, la nostra economia è un sistema di incentivi alla distruzione delle risorse" H. Daly, J. Farley.


Qualunque processo industriale si alimenta di risorse e produce contemporaneamente beni/servizi da un lato, costi ambientali e sociali dall'altro.  In queste pagine, ci riferiremo quindi a “costi interni” per indicare le spese che figurano come uscite nei bilanci aziendali.   Chiameremo invece “costi esterni” tutti quei costi che non figurano nei bilanci aziendali e che vengono spalmati sulla popolazione a livello locale (ad es. il traffico, l’esaurimento delle risorse, ecc.) o globale (ad es. emissioni di CO2).
Tenuto conto che le voci in uscita dal punto di vista aziendale (stipendi, tasse, acquisti, ecc.) sono le voci in entrata dal punto di vista collettivo, mentre le voci in uscita per il bilancio collettivo sono in parte le entrate di quello aziendale (consumo risorse), in parte altre (inquinamento, traffico, alterazione/distruzione habitat, paesaggio, ecc.), possiamo avere quattro combinazioni possibili:

Osservando questo schema, si comprende che il fattore discriminante fra le diverse situazioni è dato dal diverso rapporto fra costi di produzione interni ed esterni.   In sintesi:
   ·         Se i costi interni ed esterni sono in equilibrio, l’attività avrà effetti economicamente positivi sia dal punto di vista aziendale che da quello collettivo.  Se, invece, i costi esterni sono lievi e quelli interni forti, l’azienda si troverà in cattive acque.     Se entrambi i costi sono pesanti l’attività sarà passiva sia per l’azienda che per la comunità.    Se, infine, i costi esterni sono più importanti di quelli interni, l’azienda potrà essere florida, ma contribuirà ad impoverire anziché arricchire il territorio e la popolazione.  In pratica, in situazioni come questa, la collettività si fa carico di una serie di spese e di danni per permettere all'attività industriale di proseguire.

Questi temi stanno diventando critici in un numero crescente di casi ed, assieme ad un gruppo di operatori del settore lapideo, abbiamo cercato di capire come si declinassero nel caso del marmo apuano.   Senza alcuna pretesa di completezza, i nostri risultati sono stati reiteratamente presentati a tutti i livelli decisionali per anni, nella speranza, perlomeno, di suscitare un più completo ed approfondito studio, ma invano: nessuno pare aver voglia di veder chiaro sulla questione. Probabilmente il rischio di scoprire che abbiamo ragione è troppo alto.

L’industria lapidea in Versilia.

Per secoli l’estrazione e la lavorazione del marmo hanno costituito una delle basi economiche della Versilia, contribuendo in modo sostanziale a delinearne l’ambiente, il paesaggio, la storia e la società. Nel corso degli ultimi 30 anni circa,  il settore è però andato incontro a progressivi cambiamenti nella sua struttura tecnica, operativa, economica e finanziaria, modificando in modo sostanziale i tradizionali rapporti fra il settore lapideo stesso, il territorio e la società. In particolare, la sempre più spinta meccanizzazione ha comportato un fortissimo aumento dei volumi estratti e dei consumi di energia, riducendo di pari passo la manodopera impiegata.  

Nel contempo, la quota di mercato rappresentato dall'esportazione dei blocchi grezzi è salita del 54% a discapito della vendita di materiali lavorati in loco, diminuiti del 65%.   Questi ultimi, anzi, trovano sempre di più a fronteggiare il “dumping” dei prodotti lavorati all'estero a partire dai blocchi apuani esportati. Anche in questo caso, dunque, si verifica una forte contrazione nel numero di aziende e di addetti, ma un aspetto ancora più preoccupante è quello della lievitazione costante dei costi esterni.

Come qualsiasi altra attività produttiva, infatti, l’estrazione e lavorazione del marmo comporta una serie di vantaggi e di svantaggi, anche limitandosi ai soli aspetti economici. Ma mentre i vantaggi sono direttamente correlati al fatturato ed al numero di addetti, gli svantaggi sono proporzionali ai volumi di materiale mosso.   E’ quindi evidente che la politica di aumentare i quantitativi, abbassando i costi unitari  e la manodopera impiegata crea una situazione perversa in cui i vantaggi gradualmente diminuiscono, mentre gli svantaggi aumentano. Certamente questi problemi sono determinanti nel fare dell’area apuana una delle 10 zone di maggiore criticità ambientale ed economica a livello toscano. Ed anche la più difficile da approcciare, a giudicare dal fatto che è questa l’unica fra le aree di crisi della Toscana per la quale non è stato neppure possibile attivare il tavolo istituzionale di concertazione previsto dal Piano Regionale di Azione Ambientale fin dal 2007.

Trattandosi di un lavoro preliminare, ci siamo concentrati su tre fasi critiche della filiera: escavazione, trasporto a valle, segagione e prima lucidatura delle lastre. Per ognuno di questi passaggi sono state valutate le principali spese inerenti i costi interni (stipendi tasse, acquisto di beni/servizi, ecc.) ed esterni (consumo risorse, inquinamento, impatto sulle infrastrutture pubbliche, consumo di suolo, ecc.). Abbiamo poi considerato il valore commerciale del materiale in entrata ed in uscita da ogni fase della filiera e, quindi, abbiamo avanzato un’ipotesi di saldo aziendale e di saldo collettivo Le cifre si riferiscono ad una “tonnellata tipo”,  vale a dire sui valori medi di una tonnellata costituita per il 15% da blocchi squadrati, 15% da blocchi informi e 70% da pietrame.  Sono valori comuni sulle Apuane, ma singole cave presentano valori anche molto diversi a seconda dei filoni, delle tecniche, ecc.  Inoltre, le cifre sono ai valori del 2008, ma ai nostri fini quello che conta sono le proporzioni fra i diversi costi e ricavi, non la cifra assoluta.

La prima osservazione che balza evidente è che tutti i passaggi della filiera presentano un saldo collettivo negativo, così da piazzare l’attività lapidea nell'area economica in cui il bilancio risulta attivo per le aziende e gli addetti, ma negativo per la collettività. Tuttavia, tale saldo passivo risulta di importanza assai diversa a seconda delle fasi.  

Nel trasporto e nella lavorazione, infatti,  il passivo collettivo appare inferiore al vantaggio aziendale.   Ciò significa che, almeno teoricamente, sarebbe possibile imporre una serie di compensazioni e mitigazioni tali riportare sostanzialmente in equilibrio la situazione. Viceversa, nell’estrazione le esternalità sono superiori di un fattore dieci al valore commerciale del prodotto. Questo dato da solo, per quanto preliminare, rende evidente che, nelle condizioni attuali di mercato,  l’attività di cava di per sé comporta una perdita di ricchezza collettiva considerevole e non realisticamente compensabile. E ciò malgrado le aziende interessate realizzino guadagni consistenti e gli addetti percepiscano stipendi di tutto rispetto.

Un’altra considerazione che risulta evidente, è che l’esportazione di materiale grezzo può essere interessante per le ditte, mentre rappresenta una grave perdita per la comunità.  Un fatto questo empiricamente già ben noto, ma che siamo ora in grado di quantificare nell'ordine di oltre 150 € per tonnellata di roccia scavata. Ciò porterebbe a considerare l’industria lapidea come del tutto negativa nell'economia della Versilia, ma il problema non è così semplice in quanto nel bilancio sociale le perdite sono rappresentate da costi indiretti ed in parte dilazionati nel tempo, mentre le entrate sono dirette ed immediate.  Fra queste, ovviamente, la principale è l’occupazione. 

Abbiamo quindi stimato, come ordine di grandezza, quanta parte della montagna sia necessario rimuovere per generare un posto di lavoro nelle tre fasi della filiera.   Ne è emerso che, mentre per far lavorare un operaio in fabbrica è necessario distruggere annualmente circa 1.000 ton. di roccia (circa 300 mc), per far lavorare un cavatore ne sono necessarie dieci volte tanto (10.000 ton.), mentre per far lavorare un camionista si arriva alla cifra di circa 200.000 ton./anno!

Infine, abbiamo considerato quando rende/costa all'azienda ed alla società un addetto a queste tre, diverse fasi della filiera.

Emerge immediatamente evidente che la collettività si fa carico di costi considerevoli per permettere ad un certo numero di persone di lavorare, ma in misura molto diversa a seconda del lavoro che fanno.    Anche da questo punto di vista infatti, il costo sociale di un camionista o di un operaio in fabbrica potrebbero essere riportati sotto controllo con opportuni provvedimenti, mentre ogni singolo cavatore rappresenta un buco da  oltre 1.000.000 di euro all'anno che vanno spalmati in parte sulla collettività locale, in parte su quella globale.    Ma sempre, si badi bene, in termini non direttamente monetari e dunque difficili da definire ed ancor più difficili da spiegare, specialmente quando sull'altro piatto della bilancia ci sono “soldi subito”.    E molti soldi, i titolari dei permessi di escavazione mettono a bilancio attivi compresi fra i 5 ed i 10 milioni di € l'anno, al netto di tutte le tasse e le spese, comprese quelle di "rappresentanza".  In pratica, quello del marmo apuano è un affare in cui alcune decine di persone si arricchiscono in modo difficile a credere, alcune centinaia ne ricavano un buono stipendio; tutti gli altri pagano per loro.

Una situazione molto ben conosciuta da tutti coloro che si occupano di risorse naturali e su cui sono state scritte intere biblioteche, senza spostare di una virgola l’ago della bilancia decisionale degli enti preposti, siano questi il governo federale degli USA per il “fracking” del gas e del petrolio, od il comune di Stazzema per questa operazione che potremmo chiamare, per analogia, “marming”.





Il cambiamento climatico spiegato ai miei studenti

Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR



Di Ugo Bardi



 Questa è una versione scritta di qualcosa che ho detto qualche giorno fa ai miei studenti in una lezione per la scuola di “Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale” (SECI) dell'Università di Firenze

La domanda: Professore, ma ho sentito bene quello che ha detto? Lei dice che il cambiamento climatico ci porterà dei problemi nel giro di decenni? Ora, io sapevo che gli scienziati stavano parlando di secoli o tempi anche più lunghi. Com'è possibile?

La mia risposta: Lei ha sentito bene: ho detto “decenni”, non secoli, ed avrei potuto dire anche “anni” - anche se forse decenni è una scala temporale più corretta per i problemi che ci aspettano – e voi in particolare, visto che siete così giovani. Ora, capisco anche il perché avete l'impressione che il cambiamento climatico sia una questione di secoli, qualcosa con cui avranno a che fare le future generazioni. Questo è il risultato del modo in cui sono presentati certi dati, in particolare dal IPCC. Sono molto cauti, cercano di evitare di dare l'impressione di essere “catastrofisti” e il risultato è che il cambiamento climatico, secondo il modo in cui lo presentano, sembra che sia molto dolce e graduale e che vada avanti per secoli. Non è necessariamente così.

La scala temporale del cambiamento climatico dipende da cosa consideriamo. Alcuni effetti sono molto lenti: se pensiamo, per esempio, alla calotta glaciale dell'Antartide che fonde e scompare, be', ci vorranno secoli o anche millenni. Ma se si considera la calotta glaciale dell'Artico, si vede che sta fondendo rapidamente e sta fondendo ora! E la conseguenza è un grande cambiamento negli schemi meteorologici dell'emisfero settentrionale – è una cosa che stiamo vedendo tutti in termini di siccità, uragani, tempeste di neve e cose del genere.

Ma è anche vero che non moriremo per il cattivo tempo e la probabilità che voi anneghiate a causa di un mega-uragano è piuttosto bassa, specialmente se vivete in Italia. La domanda è più specifica e la capisco molto bene: quale sarà l'importanza del cambiamento climatico per persone come voi, che avete poco più di vent'anni?

Vediamo di riformulare la domanda per renderla più chiara. Potrei dire che, dal mio punto di vista personale – ora ho 61 anni – potrei organizzare la mia vita sulla scommessa che il cambiamento climatico non mi condizionerà troppo per il tempo che devo ancora passare su questo pianeta. Probabilmente è una scommessa ragionevole per me (ma è una scommessa). La domanda è, quindi, è ragionevole che voi scommettiate allo stesso modo? Io penso proprio di no e lasciate che vi spieghi il perché.

Vediamo... l'aspettativa di vita alla nascita in Italia è di circa 80 anni, quindi avete più di mezzo secolo davanti a voi, in linea di principio. Ma diciamo che non vi interessa il fatto di arrivare a essere decrepiti e colpiti dal morbo di Alzheimer. Volete solo arrivare, diciamo, a 70 anni in buona salute. Quindi avete ancora circa 40 anni; questo è il lasso di tempo di cui vi dovete preoccupare, supponendo, naturalmente, che non vi importi nulla dei vostri figli e dei vostri nipoti il che sembra essere il modo di pensare standard intorno a noi: dopo tutto, cosa hanno fatto i miei discendenti per me? Dati questi presupposti, in che modo il cambiamento climatico è rilevante per voi?

Se si guardano gli scenari belli e addomesticati del IPCC, vedrete che in 40 anni da adesso, parliamo di 1-2°C di aumento di temperatura. Detto così, sembra un effetto davvero piccolo. Che differenza fa un grado e mezzo? Solo un piccolo fastidio. D'estate  accenderemo in nostri condizionatori e in inverno risparmieremo un sacco di soldi nel riscaldamento. La stessa cosa vale per l'aumento del livello del mare: l'IPCC  parla di circa 20 cm per la metà del 21° secolo; cosa sono 20 centimetri? Possiamo costruire un muro di 20 centimetri per tenere lontane le acque in men che non si dica. Quindi non c'è niente di cui preoccuparsi troppo? Ho paura che le cose non siano così semplici.

Il vero problema ha a che fare con la resilienza della nostra società. Forse avrete sentito il termine “resilienza” in vari contesti – fondamentalmente è la capacità di un sistema di resistere ai cambiamenti, in particolare a cambiamenti rapidi o persino violenti. L'opposto di resiliente è “fragile”. Per esempio, un bicchiere di vetro è duro, ma non molto resiliente, naturalmente; è fragile. Il trucco quando si parla di resilienza è che spesso è il risultato di un compromesso con le prestazioni. Se si vogliono avere alte prestazioni – diciamo – per una macchina sportiva, allora questa macchina sarà più propensa alle rotture: pensate di usare una Ferrari F1 per andare al supermercato a fare la spesa.

Questo tipo di problema esiste anche per cose molto più grandi: il modo in cui funziona il nostro mondo, diciamo, industria, commercio, trasporti e agricoltura. Ora che ho detto questo, pensate a quanto sia fragile l'agricoltura moderna. Avrete probabilmente sentito parlare della “Rivoluzione Verde”, il nuovo modo di produrre cibo che sta sfamando più di sette miliardi di persone su questo pianeta. E' vero, c'è stata una rivoluzione del genere nella seconda metà del ventesimo secolo. Si è basata sull'ibridazione delle piante in un modo tale da ottenere prestazioni sempre migliori. Il grano che viene coltivato oggi ha un rendimento di almeno 10 volte di quello che veniva coltivato uno o due secoli fa. E' veramente la Ferrari dei cereali.

Sfortunatamente, il fatto che la nuova generazione di grano è un tale miracolo, non significa che sia anche resiliente. Infatti non lo è. Come tutte le varietà di cereali ingegnerizzate, questa è fatta per essere coltivata in condizioni specifiche. Ha bisogno d'acqua, di fertilizzanti e di meccanizzazione. Il che va bene; finora siamo stati in grado di provvedere l'agricoltura con tutto questo e in questo modo siamo in grado di sfamare 7 miliardi di persone. Be', non proprio 7 miliardi. Nonostante i cereali miracolosi che abbiamo, molta gente ha fame tutti i giorni, ho letto che sono intorno agli 850 milioni, il che significa che più di una persona su dieci, oggi, non ha abbastanza da mangiare. In un certo senso è un successo, perché anni fa la situazione era peggiore, ma durante gli ultimi anni questo numero non è sceso – il successo della Rivoluzione Verde sembra essersi gradualmente esaurito. Ciononostante, il problema oggi è più una questione di distribuzione che di produzione. In linea di principio, la nostra agricoltura sarebbe perfettamente in grado di sfamare 7 miliardi di persone – probabilmente anche di più, anche se sembra che ci stiamo avvicinando ai limiti fisici di quello che può essere prodotto in una certa area di terreno.

Allora, qual'è il problema? E' che le alte prestazioni normalmente sono ottenute con una bassa resilienza e questo è vero anche per l'agricoltura. I cereali miracolosi della nostra epoca hanno grandi prestazioni ma bassa resilienza. Sono stati sviluppati per una situazione in cui il clima era relativamente stabile, ora è diventato instabile, è un'altra storia. Siccità periodiche e alluvioni sono ovviamente molto dannose per l'agricoltura e persino un cereale miracoloso è inutile senz'acqua; è come una Ferrari senza dei buoni pneumatici. E pensate a come le alluvioni dilavano il suolo fertile necessario per le piante, per non dire nulla dei danni provocati dagli incendi.

Non prendetemi per un agronomo, non lo sono. La produzione di cibo è una materia complessa e potrebbero succedere molte cose che migliorano (o peggiorano) la situazione. Sto semplicemente osservando che il cambiamento climatico potrebbe impattare fortemente – quasi letteralmente – sul ventre molle dell'umanità: l'agricoltura. Ma non si tratta solo di questo. Pensate alle malattie infettive, spesso trasmesse da insetti come le zanzare, la cui distribuzione dipende da piccoli cambiamenti di temperatura. Pensate alle migrazioni di massa generate dalla desertificazione di grandi porzioni di terreno. Poi, accoppiate il cambiamento con l'altro grande problema che abbiamo, l'esaurimento delle risorse, e vedrete che i due problemi si rinforzano a vicenda. Abbiamo detto che un paio di gradi centigradi non sono nulla se abbiamo il condizionatore; bene, ma per avere il condizionatore serve energia, e quell'energia – oggi – proviene dai combustibili fossili. Ma i combustibili fossili si stanno rapidamente esaurendo: avrete energia a sufficienza per il condizionatore fra 30-40 anni? Forse, ma non ci scommetterei.

Torniamo quindi alla domanda iniziale. Vi stavo dicendo che avete molto di che preoccuparvi a causa del cambiamento climatico durante la vostra aspettativa di vita di circa 40-50 anni. Non significa necessariamente che non arriverete alla mia età, ma che non è ovvio che ci arriverete. Prima ho detto che ci sono circa 850 milioni di persone malnutrite su questo pianeta e non sarei sorpreso se diventassero una percentuale più grande del totale nel prossimo futuro. Il vostro problema principale, in questo caso, è se sarete o meno parte di quella percentuale.

Come ho detto, agire in vista del futuro è come scommettere su qualcosa. Se io fossi in voi, non scommetterei sul fatto che il futuro sarà come il passato (non lo è mai, in realtà). Così, penso che sarebbe una cattiva idea per voi quella di passare i problemi che verranno a causa del cambiamento climatico alla prossima generazione, proprio come ha fatto la mia generazione con voi. Ad un certo punto, qualcuno deve essere lasciato fuori al freddo (più correttamente, al caldo) ed ho paura che ci siano buone possibilità che sarà la vostra generazione.

Questo porta alla domanda di cosa fare per evitare di diventare un dato delle statistiche sulla malnutrizione (se possibile, evitando che chiunque diventi parte di quella statistica) ma questa è una lunga storia di cui parleremo in un'altra occasione. Per il momento, lasciate solo che vi dica che questa discussione mi ha ricordato una cosa che ha detto Marco Aurelio. Citando a memoria, era qualcosa tipo “Tutti vivono solo nel momento fugace, si potrebbe vivere per molte migliaia di anni e questo non farebbe alcuna differenza (*)”. Quindi non preoccupatevi troppo di quanti anni avete ancora da vivere. Non potete saperlo. Ma sapete che avete molto lavoro da fare se volete fare qualcosa di utile per voi e per tutti gli altri. Quindi è meglio che cominciate a farlo adesso.




(*) Ricorda che anche se dovessi vivere per tremila anni, o trentamila, non potresti perdere nessuna altra vita di quella che hai e non ci sarà altra vita dopo di quella. Quindi le vite più lunghe e le vite più corte sono la stessa cosa. Il momento presente è condiviso da tutte le creature viventi, ma il tempo passato è andato per sempre. Nessuno può perdere il passato o il futuro, perché se non ti appartengono, come ti possono essere rubati?  Marco Aurelio (121-180)



lunedì 10 marzo 2014

Meno numerosi, più felici

Da “Economie durable”. Traduzione di MR

di Didier Barthes
 

I movimenti in favore di una demografia più ragionevole sono finalmente in probabile crescita. Dopo il libro di Alan Weisman, Conto alla rovescia, adesso è Michel Sourrouille che coordina, per i tipi "di Sang de la Terre", un'opera collettiva intitolata: "Meno numerosi, più felici. L'urgenza ecologica di ripensare la demografia".

Questo vangelo della denatalità ha i suoi dodici apostoli, poiché dopo una prefazione in cui Yves Cochet mette chiaramente il dibattito all'interno della problematica ecologica e descrive tutte le difficoltà di una tale sfida, ci sono dodici autori che ci propongono ciascuno una particolare illuminazione ma  condividendo la stessa convinzione: la soluzione ai problemi ambientali e sociali passerà ineluttabilmente per una diminuzione dei nostri effettivi. E' il momento che cada il tabù su questo tema e che gli ecologisti si facciano carico del dibattito. Prima lo facciamo, meglio andranno le cose, più dolce e democratica sarà la transizione verso un'umanità più sobria in fatto di risorse e soprattutto più rispettosa del pianeta e degli altri suoi abitanti, in tre parole, più duratura, secondo me più morale e certamente più felice.

Per cominciare un approccio ecologico con Michel Tarrier, a cui si devono già diversi libri sull'argomento, mostra che l'espansione continua del nostro numero conduce all'occupazione dell'insieme dei territori a scapito di tutte le specie non umane. Stesso approccio tiene l'analisi scientifica di Alain Gras, autore fra le altre cose di La scelta del Fuoco, che fa un parallelo fra ciò che minaccia noi e il modello di Lotka e Volterra che descrive l'evoluzione delle popolazioni in funzione di quella delle risorse. Théophile de Giraud, autore del pamphlet L’arte di ghigliottinare i procreatori, descrive da parte sua l'impossibilità delle nostre società di far vivere decentemente gli esseri umani e produrre tutto ciò che essi pretendono in un piccolo rettangolo di 100x150 metri dei quali ormai si deve accontentare ogni essere umano sulla Terra. Ricordiamo che gli stessi esseri umani disponevano di uno spazio mille volte più grande 10.000 anni fa quando oltretutto consumavano pochissimi beni e tutto era riciclabile e veniva riciclato.

Philippe Annaba, autore di "Beati gli Sterili", pone l'accento sul pensiero di Malthus e sull'incapacità dei movimenti della decrescita di tenerne conto. Corinne Maier, autrice di No Kid, allo stesso tempo evoca la scala delle politiche nataliste francesi e denuncia l'ostracismo di cui sono vittime coloro fra noi che fanno la scelta di non avere figli. Alain Hervé, fondatore del ramo francese di Amici della Terra e redattore capo di Sauvage, una delle prime riviste ecologiste francesi, descrive l'aberrazione costituita dal volere, da parte degli esseri umani, di volersi riprodurre sempre di più nel mondo di oggi.

Approccio internazionale per un tema sensibile con Michel Sourrouille, che analizza il cambiamento della natura delle migrazioni nel momento in cui hanno luogo in un pianeta saturo. L'emigrazione, che è stata una soluzione, diventa un problema. Dal momento che le religioni sono spesso implicate nel natalismo dell'ambiente, Jean-Claude Noyé propone un riassunto della posizione delle diverse chiese in materia di contraccezione. L'accettazione di una politica di controllo delle nascite è più o meno grande, anche se nei fatti i paesi non seguono tutte le scelte raccomandate dalla religione dominante. Il fenomeno è particolarmente marcato in Europa, dove molte nazioni di fede cattolica hanno tassi di fecondità molto bassi. Riprendendo alcuni elementi dalla sua opera, Il naufragio contadino, Jacques Maret evoca l'interrogativo che per primo viene in mente quando si evoca la sovrappopolazione: riusciremo a nutrire i 9,6 miliardi di abitanti che l'ONU prevede per la metà del secolo? Non è scontato, conclude con queste parole: “Malthus aveva messo il dito dove fa male”.

Pablo Servigne dal canto suo, evocando giustamente queste previsioni demografiche, s'inquieta alla possibilità stessa di raggiungere tali numeri, visto che le risorse del pianeta sono vicine all'esaurimento. In questo si unisce ad una scuola di pensiero che vediamo crescere (si pensi a Franck Fenner o a Jared Diamond, che ha descritto alcuni esempi), secondo la quale un crollo tanto economico quanto demografico è sempre più probabile in questo stesso secolo. Approccio sociale infine, con i due autori di questo sito. Didier Barthès, portavoce di Demografia Responsabile evoca l'impossibile conciliazione fra diritto ad essere numerosi e tutti gli altri diritti umani. Come non vedere che il pensiero ecologista dominante, a forza di negare la componente demografica, ci conduce inevitabilmente all'abbandono di tutti i nostri diritti e più in generale del piacere di vivere su un pianeta la cui bellezza dovrebbe essere la cosa che dovremmo salvaguardare come preoccupazione principale? Jean-Christophe Vignal s'interroga sulla difficoltà di pensare una società in decrescita demografica, visione contraria all'espansionismo soggiacente a quasi tutte le rappresentazione che l'umanità ama farsi del proprio destino.

C'è materiale per una rivoluzione mentale che non costituisce la minima delle difficoltà. Non esitando a prendere contro corrente il “moralismo natalista”, possa quest'opera apportare un contributo e gli uomini cominciare a tenere conto di questa osservazione di Alain Gras, uno degli autori: “l'avvenire dell'umanità passa per la creazione di un rapporto più umile col pianeta”. La questione del nostro numero costituisce uno degli elementi primari di questa necessaria umiltà.



domenica 9 marzo 2014

Effetto Risorse: il vero problema

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Tavola per gentile concessione di Steven Rocco. E' impressionante come il costo del combustibile sia quasi raddoppiato in pochi anni a fronte di una diminuzione della produzione.


di Ugo Bardi

L'immagine sopra è una delle migliori illustrazioni del vero problema che abbiamo con l'estrazione mineraria. Come è già stato detto nello studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo”, NON finiremo nessun minerale. La cosa che finiremo sono le risorse necessarie per l'estrazione mineraria, a fronte di costi dei combustibili in aumento e della diminuzione della densità dei minerali. "

Nella tavola di Steven Rocco si vede che il costo del combustibile diesel usato per l'estrazione dell'oro è quasi raddoppiato negli ultimi quattro anni, arrivando a rappresentare, al momento, circa il 10% del prezzo di mercato dell'oro. Possiamo ancora permetterci di estrarre l'oro, ma il suo destino è segnato. E non solo il suo. Il costo dell'estrazione sta aumentando per tutti i beni minerali, compresi i combustibili fossili, risultato inevitabile dell'esaurimento progressivo. Ovviamente, questa non è una buona notizia per l'economia e le sempre maggiori psese necessarie per l'estrazione sono una delle ragioni degli attuali problemi economici.

La questione dell'esaurimento è il tema principale del mio nuovo libro “Extracted”, pubblicato (solo in inglese) da Chelsea Green e che dovrebbe essere disponibile da Aprile di quest'anno.





La Grande Dissonanza

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel


- Come va? Sei a casa coi bambini, giusto? Ti vedo sempre coi tuoi figli qui in giro, molto bene, tu...

Ci eravamo incontrati uscendo dalla stazione ferroviaria ed entrambi andavamo di fretta, pensando di arrivare a casa e fare le faccende del tardo pomeriggio, probabilmente.

- Quando non lavoro sto sempre coi miei figli – gli ho risposto io.

- Questo è molto bello – mi ha risposto – Sono ancora molto piccoli, no? Ma poi crescono e prima che te ne rendi conto vanno già all'università... 

Ho abbozzato un sorriso fra il triste e lo stanco e gli ho detto:

- Non so se i miei figli andranno all'università.

Deve aver pensato che scherzassi ed ha insistito un po', al che gli ho detto, con un po' più di fermezza:

- Non credo che i miei figli andranno all'università.

Un tale atteggiamento da parte mia è, ovviamente, difforme, dissonante rispetto al sentire sociale, si potrebbe dire. Il fatto che io, che ho una formazione universitaria superiore, non dia per scontato che anche i miei figli avranno una formazione universitaria, è anche peggio di un'eccentricità: è un sovvertimento dell'ordine naturale delle cose ed una barbarie. Tuttavia, il mio modo di vedere le cose è perfettamente coerente con ciò che vedo intorno a me: alti tassi di disoccupazione (26%) che sono alle stelle quando si parla di disoccupazione giovanile (più del 50% dei minori di 25 anni che vogliono un lavoro non riescono a trovarne uno), una situazione economica melmosa, un alto indebitamento pubblico e privato che fanno presagire un recupero economico lento, una diminuzione progressiva dei salari pubblici e privati... e tutto questo senza tenere conto del fatto che la mancanza di risorse garantisce che questa crisi non finirà mai. Non fraintendete le mie parole, non è che io desideri che i miei figli non vadano all'università, è che non so se quando dovranno prendere quella decisione lo considereranno conveniente. Inoltre non so se per allora il mio potere d'acquisto mi permetterà di pagargliela. Più che altro, il fatto è che credo che sarà difficile che accada un cosa del genere. Naturalmente,, se loro vogliono ed io posso ci proveremo, ma nutro molti dubbi su questo possibile futuro. Dubbi fondati nei più di sei anni di crisi che abbiamo alle spalle nella mia conoscenza del nostro inesorabile declino energetico. Declino che non implica necessariamente la distruzione della classe media, ma la nostra mancanza di reazione di fronte ad esso sì che la implica.

Perciò, la mia mancanza di fede in un brillante futuro (mancanza di fede in realtà che motiva lo scrivere questo blog, nella speranza che alla fine mi sbagli riguardo alle mie magre prospettive rispetto alla razza umana e che possiamo invertire la situazione)è una posizione perfettamente logica e razionale. Peggio ancora, è la posizione più logica e razionale che si possa assumere vedendo i dati e la scarsa azione della politica per combattere la crisi che abbiamo visto finora. Pertanto, questo ottimismo implicito che la maggioranza proietta sul futuro (accettando che c'è una crisi, ma nonostante questo fa piani per un futuro in continuità col passato, coi figli che vanno all'università o che si comprano un mini-appartamento), in realtà è una dissonanza cognitiva sociale, collettiva anche se tale dissonanza è curiosamente il comportamento sociale accettabile e il mio quello disadattato.

Questa Dissonanza Cognitiva Collettiva non è, naturalmente, niente di nuovo, ma sta alla base stessa del nostro sistema economico, a cominciare dalla psicopatia della teoria economica convenzionale nelle sue diverse versioni. Che il nostro sistema abbia bisogno di una crescita infinita del proprio consumo di risorse, che non solo sono scarse ma sono per di più esauribili, fino a giungere allo spreco delle stesse come vera essenza del valore economico dei giorni nostri e che la distruzione dell'ecosistema, del nostro habitat e il degrado dell'ambiente in generale sia la cosa socialmente accettabile, mostra non solo il suo carattere lunatico e suicida, ma quanto sia profondamente squilibrato ed ingiusto (visto che molte volte si estenalizzavano ad altri paesi gli squilibri di questo malcostume, fino ad arrivare all'epoca in cui non resta altro rimedio che 'internalizzarle' qui). E nonostante le prove schiaccianti dei fatti, denunciare le barbarie che si commettono in nome del nostro sistema economico è considerato come infantile e persino da disadattati.

La psicopatia che ci inculca il nostro sistema è così profonda che la gente è già giunta ad accettare senza battere ciglio le peggiori aberrazioni possibili, come strappare il futuro ai figli. La predicazione generale è che ci dobbiamo preoccupare soltanto del presente, anche se questo implica essere in competizione coi figli o addirittura distruggere il loro futuro. In alcune occasioni mi trovo che, parlando della gravità del cambiamento climatico o della crisi delle risorse (e particolarmente del picco del petrolio) a volte qualcuno dica, per tranquillizzarsi di fronte a notizie tanto inquietanti: “per fortuna di questo se ne dovranno preoccupare i nostri figli e i nostri nipoti”. Mi corre sempre un brivido lungo la schiena nell'ascoltare cose del genere, perché per me la mia vita sono i miei figli (a volte quando qualcuno mi chiede perché mi complico la vita facendo quello che faccio, dico che ho due buoni motivi). E', di nuovo, un altro aspetto della Grande Dissonanza in cui vive tronfia la nostra società, forse la peggiore: la noncuranza per la discendenza. Nella cultura che ha preceduto questa desolazione morale, limitata ed ignorante com'era, e nella maggior parte delle occasioni atavicamente ingiusta, c'era come valore sociale la conservazione di almeno una parte della discendenza (anche era solo per il proprio interesse). Col progresso materiale e sociale i figli sono passati dall'essere un investimento per il futuro all'essere un vero e proprio motivo di gioia e di continuità della propria esistenza oltre l'inesorabile morte di ognuno. Ma qualcosa è andato storto in questo percorso ed ora siamo giunti alla demenza attuale, per cui per non privarci di un piccolo piacere in più siamo capaci di immolare i nostri propri figli. Prima i genitori davano una spintarella ai propri figli. Anche adesso, ma all'indietro.

Il grado di conformismo alle contraddizioni multiple del nostro sistema economico è talmente elevato che, nonostante l'inutilità di cercare di mantenere un sistema che cresce esponenzialmente nel proprio consumo materiale e di energia in particolare, si pone l'enfasi nel trovare più materia prima e più energia per alimentare la bestia, essendo la crescita per la crescita il fine ultimo, invece di renderci conto che ciò che serve è ripensare il problema.


E così quando parliamo di crisi energetica di solito gli interlocutori informati si concentrano sulla mera ricerca di nuove fonti di energia, ciò non è altro che un'ulteriore forma di Grande Dissonanza: anche se riuscissimo a raddoppiare la nostra disponibilità di energia, se mantenessimo il tasso di crescita del consumo energetico adeguato (il 2,9% all'anno come da media storica) ci ritroveremmo che in soltanto due decenni si ripresenterebbe la scarsità l'energia: praticamente è un sospiro in termini storici, nonostante l'impresa che implicherebbe il duplicare l'energia consumata rispetto ai livelli attuali. E come spiegava Tom Murphy, per poter continuare a crescere a questo ritmo in meno di 400 anni dovremmo assorbire tutta la radiazione che giunge alla Terra dal Sole, in 1300 anni dovremmo assorbire tutta l'energia emessa dal Sole e in 2500 anni (poco meno del tempo trascorso dalla fondazione di Roma) dovremmo assorbire tutta la radiazione di tutte le stelle della nostra galassia. In realtà ci sono limiti invalicabili prima: in “soli” 450 anni il calore dissipato dalle nostre macchine farebbe bollire gli oceani. E' chiaro pertanto che la nostra folle corsa per l'energia illimitata è condannata a finire entro alcune generazioni, costretta da limiti che neanche il più illuso può pensare che siano superabili, tuttavia anche persone molto intelligenti si lasciano prendere dalla Grande Dissonanza Collettiva e sono facile preda della notizia del giorno, di una nuova promessa di energia illimitata ben pubblicizzata da media, esagerazioni che non si traducono mai in pratica (l'ultima delle quali potrebbe essere la notizia di un grande successo nella National Ignition Facility, secondo la quale si sarebbe ottenuto per la prima volta che una reazione di fusione nucleare a confinamento inerziale producesse più energia di quella consumata – niente di più lontano dalla realtà, come si è già spiegato quando l'esperimento era venuto alla luce lo scorso ottobre: in realtà l'energia prodotta è circa l'1% dell'energia consumata dai laser, cosa che pochi media hanno riportato correttamente).

L'Astuzia dell'Idea di Hegel si è trasformata, per nostra disgrazia, nella Stupidità dell'Idea; l'inconscio collettivo è più inconscio che mai. La grande Dissonanza porta a chiudere gli occhi, a volte serrandoli come fanno i bambini, di fronte le realtà scomode e alle decisioni improrogabili. E' molto difficile combattere questa Grande Dissonanza che pervade tutto, che pervade tutti, alla quale siamo stati tutti indottrinati. In questi giorni mi sono sorpreso vedendo come un paio di autori della blogosfera il cui lavoro e sforzo divulgativo nell'ambito della Scienza e dell'Economia, rispettivamente, apprezzo ed ammiro, mi criticano personalmente per la divulgazione che faccio, in qualche occasione con denigrazioni piuttosto gravi ma non per questo meno generiche. Non esiste una cosa come la crisi energetica, mi dicono, esagero, mi lascio trasportare da teorie della cospirazione, non ho nessuna idea di cosa sia la Fisica o la Geologia, i miei dati provengono da fonti dubbie (ma non so quali siano le fonti migliori che hanno loro), che in realtà il fracking sta cambiando il mondo, che gli Stati Uniti producono più petrolio che mai (dipende da cosa chiami petrolio, chiaro) o che i reattori autofertilizzanti ci forniranno energia nucleare infinita (chi se ne frega se in 60 anni di sperimentazione sono stati costruiti solo una decina di prototipi con un'infinità di problemi; questa tecnologia ce l'abbiamo dietro l'angolo, come quella della fusione, come l'auto elettrica...). Ancora e ancora la stessa cecità, la stessa mancanza di prospettiva, la conoscenza sommaria di quello che succede che non resiste alla minima analisi critica che so che queste persone potrebbero fare se solo gli dedicassero un pomeriggio. Ma non solo non si vede, c'è un desiderio inconscio di non vedere, un terrore implicito di quello che si potrebbe vedere, che barcollino le basi delle nostre convinzioni. E' meglio pensare che la scarsità di energia non ha niente a che vedere con l'attuale crisi economica, nonostante che secondo EuroStat nell'Europa dei 28 paesi il consumo di energia primaria è scesa di più del'8% fra il 2006 e il 2012:


E' meglio non guardare troppo nei dettagli e sperare che si troverà una soluzione a tutto. Allo stesso modo, è meglio pensare che del tema del cambiamento climatico se ne stia esagerando l'importanza e credere che le gravi alterazioni climatiche che stiamo vivendo quest'inverno (soprattutto nel Nord Atlantico, negli Stati uniti e in Giappone) non abbiano nulla a che vedere con la destabilizzazione della Corrente a Getto (Jet Stream) polare frutto dell'indebolimento della stessa in conseguenza del riscaldamento dell'Artico (questione che ho sicuramente spiegato nel post un anno senza estate e che mi valse parecchie critiche da parte di molti che mi hanno accusato di dire che nel 2013 non ci sarebbe stata l'estate – e che ovviamente hanno letto solo il titolo).

1. Con un Artico freddo e sano la corrente a getto polare è forte e veloce, ma con l'Artico riscaldato la corrente a getto perde forza.
2. E' quando le ciclogenesi ti mangiano e nevica alle canarie. 
Viñera de Ramón su elpais.com. 17 febbraio 2014

Tornando alla conversazione con la quale ho aperto il post, da qualche tempo ho trovato un modo adeguato di compensare le mie risposte brusche e socialmente inaccettabili.

- L'unica cosa che mi interessa è che i miei figli siano felici.

- – mi ha detto dopo qualche secondo – perché siano felici non c'è nessuna necessità di andare all'università – e dopo una breve pausa – e in realtà è quello che importa.

E' che in un momento di crisi ed incertezza come quello attuale, nel quale in fondo più di uno percepisce dentro di sé che la melodia sociale forse è una cacofonia, una posizione tanto dissonante come la mia si può far accettare solo facendo appello ai valori semplici, primari, fondamentali. La felicità, il benessere non materiale. Una melodia semplice per scappare da tanto frastuono.

Forse ciò di cui abbiamo bisogno non è di complicare i discorsi, ma di semplificarli.

Antonio Turiel, Febbbraio 2014.


sabato 8 marzo 2014

IPCC: Gli impatti climatici "sono molto evidenti, sono diffusi" e "noi non siamo preparati"

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

La scelta dell'umanità (via IPCC, 2013): l'azione climatica aggressiva (immagine a sinistra) minimizza il riscaldamento futuro. La continua inazione (immagine a destra) porta a livelli di riscaldamento catastrofici, con +7°C su gran parte degli Stati Uniti.

Il prossimo grande rapporto dei maggiori scienziati del clima sarà sugli impatti, atteso per la fine di marzo e non sarà gradevole. Quando AP ha riassunto la bozza del rapporto su “Impatti, adattamento e vulnerabilità” del IPCC, “fame, povertà, alluvioni, ondate di calore, siccità, guerra e malattie è probabile che peggiorino mentre il mondo si scalda a causa del cambiamento climatico antropogenico”. Chris Field di Stanford, che co-presiede il lavoro che sta redigendo il rapporto, ha detto lunedì ai giornalisti che “gli impatti del cambiamento climatico già avvenuti sono molto evidenti, sono diffusi, hanno conseguenze”. Un punto chiave posto da Field è che non siamo preparati per il tipo di meteo estremo peggiorato dal riscaldamento – come alluvioni e siccità – che stiamo già sperimentando: “Penso che se si guarda nel mondo ai danni subiti a causa di una vasta gamma di eventi, è molto chiaro che non siamo preparati per il tipo di eventi cui stiamo già assistendo”. A novembre, Climate Progress ha riferito, su una prima bozza trapelata del rapporto, che in un passaggio dice: “Durante il 21° secolo, gli impatti del cambiamento climatico rallenteranno la crescita economica e la riduzione della povertà, eroderanno ulteriormente la sicurezza alimentare innescando nuove trappole di povertà, la seconda in particolare nelle aree urbane e nelle punti caldi emergenti della fame”. Il rapporto avverte che il cambiamento climatico pone una estrema minaccia alla sicurezza alimentare e a quella dell'acqua per miliardi di persone da metà secolo. Ho chiesto all'eminente climatologo dottor Michael Mann un suo commento. Il direttore del Centro per la Scienza del Sistema Terrestre dell'Università di Stato della Pennsylvania ha detto:

I più recenti rapporti sugli impatti del cambiamento climatico del IPCC rafforzano ciò che già sapevamo: Che il cambiamento climatico sta già avendo un impatto dannoso su di noi e sul nostro ambiente, sia che parliamo di cibo, acqua, terra, sicurezza nazionale o salute dell'ecosistema dal quale dipendiamo in modo cruciale. Il rapporto chiarisce anche che quello che abbiamo visto è solo la punta di un vero e proprio iceberg. Se continuiamo con le emissioni da combustibili fossili come se nulla fosse nei prossimi decenni, come mostra il rapporto, il riscaldamento risultante e il cambiamento del clima infliggerà impatti di gran lunga più pericolosi e potenzialmente irreversibili su di noi e sul pianeta.

La buona notizia è che un mondo in cui gli esseri umani tagliano drasticamente l'inquinamento da carbonio il prima possibile ha impatti sostanzialmente inferiori di uno in cui le emissioni rimangono alte. Field ha notato che, “C'è una differenza davvero molto grande fra quei due mondi”. Potete vederlo nella figura in alto, che proviene dal rapporto di settembre del IPCC “La Scienza Fisica di Base”. La finestra per raggiungere lo scenario  RCP2.6 — cioè una concentrazione atmosferica di biossido di carbonio di 421 ppm – si sta chiudendo rapidamente ma non è ancora chiusa del tutto. Ha una riscaldamento generale modesto rispetto al devastante scenario RCP 8.5, di circa 936 ppm di CO2, che è dove siamo diretti nel nostro attuale percorso del fare poco. Mann aggiunge che il meteo estremo peggiorato dal riscaldamento è qui adesso e è molto costoso:

Non c'è dubbio, quando guardiamo all'aumento del pedaggio che il cambiamento climatico si sta prendendo sotto forma di super tempeste più devastanti, siccità più prolungate e più gravi, eventi alluvionali più estremi, agricoltura e allevamento decimati e massicci incendi, che stiamo già percependo gli impatti avversi del cambiamento climatico. Gli economisti hanno stimato che i danni collegati al clima ci stanno già costando più di un trilione di dollari in tutto il mondo in PIL globale. Quei costi aumenteranno soltanto se non facciamo nulla per questo problema.

Per approfondire sulla stima del trilione di dollari, vedi qui. La IEA ha informato non più tardi del 2009 che “Il mondo dovrà spendere 500 miliardi di dollari per tagliare le emissioni di carbonio per ogni anno di ritardo nell'attuare un grande assalto al riscaldamento globale”.

Il momento di agire è ora.

venerdì 7 marzo 2014

Il riscaldamento globale spiegato a mia nonna





Di Paolo de Luca

Nota introduttiva: questo breve testo divulgativo parla dell’effetto serra, delle sue cause e dei possibili rimedi. Può essere letto, come state appena facendo, o rappresentato magari a margine o introduzione di un dibattito sul tema.


PREMESSA

Mia nonna Maria Allegretti era nata a Mazzano Romano nel 1903, aveva vissuto l'esperienza di due guerre mondiali, della febbre “spagnola”, e nonostante fosse diventata vedova nel '36, aveva “tirato su” cinque figli. Io, il più piccolo dei suoi nipoti, sono nato nel 1972 figlio di suo figlio Benedetto. Conserviamo una foto in cui nonna Maria tiene in braccio con una tenerezza infinita la figlia, della figlia del figlio di sua figlia, cinque generazioni! In che condizioni sarà il pianeta quando la nostra quinta generazione nascerà ?

Come se fosse qui con noi, con un dialogo immaginario voglio sentire cosa ne pensa la mia nonna Maria del riscaldamento della Terra. quello che quando se ne parla in televisione chiamano effetto serra. Trascorrevo a Mazzano con lei le mie vacanze, sapevo che ascoltarla le faceva piacere; e a me piaceva ascoltare le sue storie di vita vissuta, si sedeva di fronte al caminetto e cominciava a parlare, Pavolè …



INIZIO della parte teatrale

Nonna Maria: Pavolè, vie’ un pò qua, che tò da racconta un pezzetto.. 

Il nipote: Onò (nonna) stavolta un pezzetto de storia te lo racconto io! Te ricordi quanno a fine Ottobre “cojessivo le liva” (raccoglievate) te ricordi che freddo che faceva ? E come è che dicevi? lo focherello è bono d'estate e d'inverno! Adesso non è più così passiamo da lunghe e calde estati di colpo a inverni a volte lunghi e freddi, magari con la neve a volte a inverni inesistenti (come questo attuale).

Nonna Maria: Eh, stamo sotto a questo celo, ce tocca prenne quello che arriva. Però te vojo ascortà perché prima fijo mio nun capissimo gnente, mo siete tutti scienziati, sapete dì se domani piove o c’è il sole noi invece guardassimo verso Nepi e se vedessimo le nuvole subito a corre a casa. Ma nisciuno sapeva dì lo tempo de domani.

Il nipote: è vero però la scienza piace alle persone solo quando gli parla di cose belle (telefonare gratis ad una persona dall'altra parte del mondo, curare malattie, mandare l'uomo sulla Luna) però quando gli parla di cose meno belle e più faticose nessuno crede alla scienza.

Nonna Maria: Tutto er monno è cambiato mo a Mazzano ho visto che stanno addirittura a fa la raccolta differenziata. ‘na vorte c’essimo casa co’ lo butto tutto giù ar fiume, ma ‘na vorta mica c’era la prastica che c’è oggi,a quelli tempi pure trova ‘n foglio de giornale era ‘na bellezza. Oggi tutti c’hanno la carta genica e mannano via co lo sciaqquò, ‘na vorta c’era un secchietto e tutte le mattine evi d’annallo a buttallo fora. (dovevi andare a buttarlo via, al fiume)

Il nipote: Essì la raccolta differenziata è arrivata anche a Mazzano è facile da fare, sarà un po’ faticoso abituarsi ma la facciamo per vivere in un mondo migliore.Gli scienziati sono anni che ci parlano del riscaldamento globale ma nessuno li vuole ascoltare, io sono nato 42 anni fa e già allora gli scienziati ne parlavano ora dopo tanti anni  gli effetti sono visibili a tutti. Il mondo sta cambiando così tanto che ho paura per i figli dei miei figli. Voglio che anche la mia quinta generazione abbia per se un mondo bello ed accogliente come ce l’ho avuto io.

Nonna Maria: Certo bello de nonna, certo che sì. Io e padrito ve guardamo e ve proteggemo dall’alto.

Il nipote: lo so ! Ma purtroppo non basta. Onò, tu le conosci le serre?

Nonna Maria: Certo che le conoscio! Quelle pe fa li pummidori pure d'inverno, steveno dalle  suore a Vicarello a Bracciano

Il nipote: Il mondo sta diventando una serra! Il caldo che c'è in una serra è lo stesso effetto di un’automobile lasciata al sole: i raggi entrano e il calore è intrappolato la dentro, basta poi aprire il finestrino, partire e il calore esce fuori, ma con la Terra questo non si può fare, non c'è un finestrino da aprire. La Scienza ci dice che sono le attività dell'uomo che stanno provocando  il riscaldamento globale. E’ l’anidride carbonica provoca l’effetto serra. La CO2 o anidride carbonica, la sentiamo nominare tante volte, che si produce quando si brucia l’ossigeno, con il fuoco di legna, con il riscaldamento delle case, con le auto.

Sai nonna, quando fa caldo si sta “meglio”, ma quando fa troppo caldo la terra diventa un deserto! I californiani stanno sperimentando una siccità prolungata, come non vedevano da centinaia di anni. L’anno prossimo in estate al Polo Nord  è prevista una gara ciclistica noi qui staremo dentro casa con il condizionatore acceso per il gran caldo e vicino al Polo Nord faranno una gara ciclistica. Uno degli effetti del riscaldamento è quello di aumentare l’intensità dei fenomeni: grandi siccità, alluvioni, ondate di calore, ondate di freddo. L’Italia circondata da mari e non da oceani è afflitta da piogge torrenziali.
        Il polo nord si scioglie e le nazioni cieche pensano solo a fare a gara per accaparrarsi quelle terre ora coltivabili, si comportano come Re Mida che morì di fame per aver trasformato il pane in oro.Ma noi abbiamo una grande responsabilità, oltre a garantire il pane in tavola ai nostri figli dobbiamo agire in modo che i figli di domani possano mettere in tavola ancora il pane.

Nonna Maria:  Pavolè a li tempi nostri dicessimo “cemo lo pà, lo vino e li zocchi, dinne che fiocchi, dinne che fiocchi!!” ma mica era vero, c’era la fame, il freddo e la malattia ma voi che siete tanto istruiti nun riuscite a salvà sto mondo?

Il Nipote: Cara nonna, è la scienza che ci può salvare. Oggi la Scienza ci dice alcune cose, e in TV parlano, poco, solo di una di queste: (con enfasi) primo: l’effetto serra può distruggere la vita del pianeta – e questo (a bassa voce), lo dicono anche “in TV”, o sui giornali secondo: l’effetto serra è sicuramente dovuto, e sottolineo sicuramente, alle attività umane, al consumo di petrolio da parte di sette miliardi di persone. Sette miliardi! – e, di nuovo, questo a bassa voce, lo dicono “anche in TV” Terzo, e di questo ne parlano pochissime persone: a forza di consumare petrolio, lo stiamo esaurendo!
      Però cara nonna io non voglio tornare al 1910 quando eri bambina, non voglio spegnere tutte le luci in casa e illuminare con qualche candela, non voglio riscaldarmi solo col camino, non sono capace di coltivare da solo tutto il cibo che mangerò e non posso spostarmi col carretto. Voglio vivere bene e far vivere bene i figli dei figli dei miei figli

Nonna Maria: Pavolè allora ascoltame bene: quello che m'hai raccontato raccontelo a tutti, perché tutti lo devono sapé che 'er munno nun è più quello de prima e pò diventà un deserto. Se voi che site scienziati pensate che qualcosa se pò fa', dinnelo a tutti, perché 'sto munno è troppo bello pe fanne del male.