domenica 19 febbraio 2012

Riscaldamento globale: il grande complotto



Che cosa vi sembra più verosimile?

(a sinistra)

I gruppi ambientalisti a livello regionale e locale

Stanno spendendo le limitate risorse disponibili

In un complotto che coinvolge il 90% della comunità scientifica

Che ha lo scopo di creare un imbroglio per distruggere l'economia

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(A destra)

Le compagnie petrolifere

Spendono i loro osceni profitti

Per corrompere tutti quelli che ci stanno

Per proteggere i loro profitti e limitare la loro futura responsabilità legale sui danni che provocano con l'inquinamento che causano

venerdì 17 febbraio 2012

Idrati di Metano: la prossima bomba mediatica nel dibattito sul cambiamento climatico.

Traduzione da Cassandra's Legacy di Massimiliano Rupalti


Il metano rilasciato dal ghiaccio è un fenomeno spettacolare e pericoloso. Non solo perché il metano si può incendiare, ma perché, su larga scala, questo rilascio può generare un rapido e devastante riscaldamento globale. E' probabile che presto il problema passi dalle riviste scientifiche alla stampa tradizionale. Potrebbe essere, quindi, una vera bomba mediatica nel dibattito (il video mostra Katey Walter dell'Università dell'Alaska alle Fairbanks che sta sperimentando questo metano intrappolato nel ghiaccio).

Come gas serra, il metano è più potente dell'anidride carbonica, ma c'è una differenza molto più importante fra i due gas. Le emissioni di biossido di carbonio sono qualcosa che creiamo e che possiamo controllare, almeno in linea di principio. Se smettiamo di bruciare combustibili fossili smettiamo di generare CO2. Ma con il metano è un'altra cosa. Non abbiamo nessun controllo diretto sulle enormi quantità di metano sepolte nel ghiaccio del permafrost e nel fondo degli oceani sotto forma di “idrati” e “clatrati”.

Gli idrati di metano sono delle vere e proprie bombe climatiche che possono esplodere da sole anche a causa di un innesco relativamente debole da parte di un riscaldamento globale. Un sufficiente riscaldamento causerebbe la decomposizione di alcuni idrati che rilascerebbero il metano in atmosfera. Questo metano creerebbe più riscaldamento e questo genererebbe ulteriore decomposizione degli idrati. Il processo si sosterrebbe da sé a tassi crescenti finché non si esaurisca il metano nei giacimenti. Questo significherebbe pompare in atmosfera davvero tanto metano. Ci sono stime diverse della quantità di idrati esistenti, ma è certamente grande – molto probabilmente più grande della quantità totale di carbonio presente in atmosfera oggi sotto forma di CO2. Gli effetti di questo rapido rilascio di così tanto metano sarebbero devastanti: un cambiamento climatico improvviso che potrebbe portare ad un vera catastrofe planetaria. E' uno scenario chiamato giustamente la “pistola a clatrati”. E il bersaglio siamo noi.

La gente è spaventata dalle cose che non capisce bene e che sa di non poter controllare. Questo è certamente il caso degli idrati di metano. Noi non sappiamo quanto siano verosimili gli scenari peggiori, né l'esatta scala temporale del cambiamento che definiamo “improvviso”. Sappiamo solo che il metano sta venendo rilasciato dagli idrati oggi e che la concentrazione di metano in atmosfera sta salendo. Non possiamo dire se questo sia lo sparo della pistola a clatrati, ma è abbastanza per essere spaventati. Non so voi, ma io lo sono.

Nel frattempo, un'altra esplosione sembra in fase di detonazione, questa volta nei media. La tendenza ha avuto inizio con gli studi sulle riviste scientifiche. Prima del 1999, non c'era un solo articolo sul tema nel database di "sciencedirect. Nel 2011, sono state pubblicati 49 articoli e la tendenza sembra essere esponenziale. Sul Web, Google Trends non da ancora un aumento significativo del numero di ricerche col termine “idrati” o “clatrati”. Ma troviamo circa 40.000 pagine che hanno a che fare con la combinazione “cambiamento climatico”, “rilascio di metano” e idrati. Anche la stampa tradizionale comincia a parlare del tema. Finora, il problema degli idrati di metano è stato in gran parte assente dal dibattito sul cambiamento climatico. Ma le cose potrebbero cambiare rapidamente.

Lo scenario del rilascio di metano ha tutte le caratteristiche necessarie per cogliere l'attenzione della gente. E' spettacolare, gigantesco, biblico ed anche rapido. Ha anche un nome che suona sinistro: la “pistola a clatrati”. Non ha niente a che vedere con gli scenari piuttosto banali dell'IPCC, che si trascinano lentamente verso la fine del 21° secolo. Gli scenari dell'IPCC non intendevano far paura. A nessuno interessa una rana che bolle lentamente. Ma ricordate il film del 2004 “The day after tomorrow”? Quello che ci spaventa, prevalentemente, sono gli eventi catastrofici improvvisi. Ora, immaginate un film commerciale hollywoodiano sulla pistola a clatrati. Vedremmo uragani enormi, siccità bibliche, ondate di calore mortali, inondazioni devastanti..... Non importa come venga raccontata la storia, è una vera e propria bomba mediatica.

Prima di continuare, mi preme fare una puntualizzazione. Permettetemi di chiarire che NON sto dicendo che noi (scienziati, attivisti, giornalisti o chi sia) dovremmo esagerare i pericoli in modo da spaventare la gente con la teoria del metano. Assolutamente NO. Al contrario, la mia idea è che un pubblico impaurito NON è una buona cosa per ragioni che spiegherò fra poco. Detto questo, andiamo avanti.

Supponiamo quindi che la storia dei clatrati diventi largamente conosciuta, come reagirà il pubblico? Secondo James Schlesinger, la gente ha solo due modalità di funzionamento: compiacenza e panico”. La bomba mediatica dei clatrati potrebbe portare ad uno spostamento di paradigma sul clima e spingere l'opinione pubblica improvvisamente dalla parte opposta del dilemma: dalla compiacenza al panico.

Alcune persone potrebbero vederlo come una cosa buona: assisteremmo finalmente ad uno sforzo per fare qualcosa per evitare il cambiamento climatico. Ma non è affatto ovvio che sarebbe una cosa positiva. La cose fatte di fretta non sono necessariamente ben fatte. Probabilmente assisteremmo ad uno sforzo frenetico per “fare qualcosa”, non importa cosa, non importa come. Se l'esperienza passata con la crisi energetica ci insegna, le possibilità di adottare le soluzioni migliori sono poche (guardate, per esempio, il clamore sui biocarburanti) E' probabile che cercheremmo una soluzione miracolosa nella geoingegneria su larga scala. Sequestro della CO2, particelle di solfato nell'atmosfera alta, specchi nello spazio, dipingere i tetti di bianco e chi più ne ha più ne metta.

Funzionerebbero queste azioni? Forse sì, ma ci muoveremmo in un territorio completamente sconosciuto. Non sappiamo quali possano essere le soluzioni migliori e non possiamo essere sicuri degli effetti collaterali della maggior parte di esse. E poi, l'energia necessaria per la geoingegneria non potrebbe portare ad un maggior consumo di combustibili fossili e, di conseguenza, alla produzione di più gas serra? E, ancora, supponiamo che la geoingegneria abbia successo nel raffreddare il pianeta, la gente non tornerebbe alla compiacenza e dichiarerebbe che la pistola a clatrati era una truffa sin dall'inizio? Mentre ci addentriamo nel futuro, i problemi che abbiamo creato sembrano diventare sempre più grandi proprio come diventa evidente che noi, come specie, semplicemente non siamo attrezzati con gli strumenti necessari per risolverli.

Le cose sarebbero state molto più semplici se avessimo trovato un accordo per affrontare il problema climatico alla radice. Questo avrebbe fornito un obbiettivo chiaro da raggiungere e poco spazio alle grandi oscillazioni nella percezione da parte della gente. Ma sembra che sia già troppo tardi per una strategia basata sui cambiamenti graduali. Le cose continuano a cambiare e la sola cosa certa è che non possiamo restare inattivi di fronte ai cambiamenti. Quindi preparatevi per il prossimo grande cambiamento: la bomba mediatica dei clatrati sta per detonare!

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Alcuni articoli e post recenti sul rilascio di metano dagli idrati. Questa lista non intende essere completa o rappresentativa, serve solo a dare un'idea di come il dibattito si stia scaldando (una metafora molto appropriata, in questo caso).

Much ado about methane - David Archer on RealClimate

An online model of methane in the atmosphere, by David Archer, RealClimate

Dave Archer wrong to dismiss concern about potential methane runaway in Arctic, by
Gary Houser on "Climate change, the next generation"


How much time is there left to act? By Sam Carana on Geoengineering

Methane: a worse worst-case scenario, by "The Tracker", theidiottracker

Wetting the stratosphere, boiling the oceans, Eli Rabett, RabettRun

mercoledì 15 febbraio 2012

Grazie a Dio non sono paranoico! Diffusi i documenti dei propagandisti anti-scienza dello Heartland Institute




Come si suol dire, chi la fa l'aspetti. Dopo il "climategate," che aveva messo in piazza la posta privata dei climatologi; viene fuori adesso il "denialgate", ovvero sono stati diffusi i documenti interni dello Heartland Institute, organizzazione dedicata a fare propaganda anti-scientifica diretta in particolare contro la scienza del clima. Ne ha parlato per primo "desmog blog" a questo link, ma la faccenda sta rimbalzando in giro per il Web un po' dovunque

Per il momento, questa storia è ancora a uno stadio preliminare e la veridicità dei documenti diffusi su internet è da verificare. Comunque, hanno tutto l'aspetto di essere veri. Fanno vedere come esista un'organizzazione ben finanziata che si dedica a screditare la scienza. E' quello che ho sempre detto (anche nel post precedente a questo). Grazie a Dio, non sono paranoico!!!

domenica 12 febbraio 2012

Grazie a Dio, non sono paranoico! Continua la propaganda contro la scienza del clima


Come si cerca di screditare una ricerca climatica scomoda. Antonello Pasini ce lo racconta in un suo recente articolo.


Più di una volta, mi è capitato di essere tacciato di complottismo, se non di paranoia, per aver sostenuto che i denigratori della scienza del clima usano trucchi di tipo propagandistico e politico. Per esempio, ho sostenuto che alcuni commentatori che sostengono tesi anti-scientifiche sono false identità create apposta per sviare la discussione. Almeno in un caso, sono riuscito a smascherarne uno.

Ma questo delle false identità è solo uno dei metodi usati dai denigratori della scienza. Un altro metodo è un classico della politica e in italiano si chiama schedatura o "dossieraggio". Consiste nel tenere a portata di mano un dossier di informazioni sui tuoi avversari politici da usare per attaccarli al momento opportuno. Il dossieraggio viene spesso usato per diffondere informazioni riservate o private, a volte ottenute illegalmente.  Anche quando non è così, comunque, viene usato scegliendo le informazioni da diffondere con lo scopo di dare un'impressione distorta sulle idee e sul comportamento della persona attaccata.

Ora, ho sempre avuto l'impressione di soffrire di paranoia nel pensare che si usino certi metodi in un dibattito che vorrebbe essere scientifico, come quello sul clima. E invece, grazie a Dio, non sono paranoico! Gli avversari della scienza usano davvero il dossieraggio!

Questo ce lo racconta Antonello Pasini in un suo recente articolo sul Sole 24 ore. Ci riferisce di un commento molto critico a un suo recente studio, dove troviamo, fra le altre cose, che per criticare Pasini sono andati a ripescare, e rinfacciargli, le sue parole a un intervento tenuto a Riccione nel 2008. Il punto è che il testo di quel particolare intervento non si trova con Google (si trova solo l'annuncio del convegno). Sembrerebbe che esista solo in forma cartacea e una rivista pubblicata nel 2008 non è che si trova schioccando le dita. Questo vuol dire che qualcuno aveva raccolto documentazione su Pasini, pronta da usare alla prima occasione per screditarlo.

Quindi, dossieraggio contro Antonello Pasini. E' un dossieraggio, diciamo, "moderato" in quanto non usa informazioni private o delicate. Niente di illegale, ma è comunque utilizzato per distorcere il pensiero di Pasini e presentarlo come un estremista climatico, un catastrofista e un allarmista. Dossieraggio o no, questa gente si qualifica per quello che sono. Non hanno argomenti e quindi gli rimangono solo le offese. Pretendono di fare scienza, ma fanno solo propaganda politica

Lascio la parola a Antonello Pasini. Anche lui forse pensava di essere paranoico; grazie a Dio non lo è. Ma quanti di noi sono "schedati" da questa gente?

Dall' articolo di Antonelo Pasini).

P.S.: vorrei concludere con una sensazione. Ho la sensazione che questi signori abbiano un dossier su di me, che in qualche modo mi abbiano schedato. Avrebbero una copia del 2008 di questo oscuro settimanale diocesano; un mio amico ex-scettico mi ha detto che sanno addirittura qual è stato il mio compenso per la conferenza cui si riferisce questo settimanale - dato che pare sia comparso online sul sito del Comune di Riccione; raccolgono i comunicati stampa dell'ANSA che mi riguardano (ad esempio sulla presentazione del libro del dicembre 2010)... Mi aveva detto Guido Guidi (deus ex machina del suddetto blog) che voleva passare ai servizi segreti: evidentemente lui e i suoi amici si stanno preparando...

Un caro amico mi ha anche detto: chiaramente ti temono e tu per loro sei pericoloso. Grazie comunque a Climate Monitor. Io non ho scheletri nell'armadio, ma tutta questa attenzione nei miei riguardi non fa altro che convincermi di più che agire correttamente e secondo coscienza è sempre la cosa migliore! 


Da leggere su questo argomento anche l'articolo di Sylvie Coyaud, "L'inquisizione degli Yahoo"

venerdì 10 febbraio 2012

L'ondata di freddo e il cambiamento climatico: c'è una relazione?


 L'ondata di freddo nelle Marche - foto di Massimiliano Rupalti

L'articolo che segue è apparso il 7 Febbraio sul blog spagnolo "ustednoselocree". Segnalato da Antonio Turiel, ci è parso il caso di tradurlo e presentarlo ai lettori italiani. Certi riferimenti al ruolo dei meteorologi sono validi per la situazione in Spagna, tuttavia sono sensati anche per l'Italia e altri paesi. Anche da noi, spesso i  meteorologi non sono a loro agio con la scienza del clima. Certo, non tutti e basta pensare a Luca Mercalli e Luca Lombroso, per citare solo un paio di esempi. Ma ci sono, purtroppo, anche contro-esempi, come quello di Guido Guidi, di meteorologi che hanno abbracciato tesi anti-scientifiche in campo climatico. Quindi, questo articolo si può leggere come valido in termini generali nell'esaminare una questione fondamentale: se il grande freddo che ha colpito l'Italia, come tutta l'Europa, negli ultimi giorni sia da considerarsi come correlata al cambiamento climatico. Con tutta la prudenza del caso, la risposta sembra essere positiva - l'ondata di freddo artico che ci è arrivata addosso è parte della generale estremizzazione dei fenomeni climatici; a sua volta il risultato dal cambiamento climatico generalizzato (U.B.)

Traduzione di Massimiliano Rupalti

Di Ferran P. Vilar

Il meteorologo di riferimento del Gruppo Prisa, Florenci Rey, ha scritto il 2 di febbraio su El Pais, un articolo dal titolo “Quando la Siberia lascia la porta aperta”. Qui, segnalava che questo inverno, molto tiepido in tutto l'emisfero nord fino all'arrivo dell'ondata di freddo che ci invade adesso, iniziava ad essere conosciuto come “l'anno senza inverno”. Questi professionisti probabilmente hanno parafrasato il riferimento al 1816, conosciuto come “l'anno senza estate” ed il più freddo in 500 anni. Il motivo non fu altro che la presenza di eruzioni vulcaniche esplosive, in particolare del Tambora in Indonesia, i cui aerosol raggiunsero la stratosfera schermando così per mesi la radiazione solare (1). Rey nell'articolo si chiedeva: “Queste situazioni avverse sono una conseguenza del cambiamento climatico”? E si rispondeva: “Assolutamente no”. Alla fine del testo segnalava che:

Questi cambiamenti repentini in brevi lassi di tempo, un'alta variabilità meteorologica, possono essere l'inizio della traslazione del cambiamento climatico nell'area europea”(2).

Credo che sia la prima volta che vedo un meteorologo con una reputazione ben riconosciuta, far riferimento al cambiamento climatico nel caso di un fenomeno estremo. Per i meteorologi, non risulta facile fare associazioni di questo genere. Sono diversi i motivi, che vediamo qui e qui, ai quali vanno aggiunte gli obblighi ai quali i comunicatori sono tenuti dai media. Queste consistono, come minimo, in un'estrema prudenza, con la scusa di non ferire la sensibilità della gente, quando in realtà sono preoccupati per quella degli inserzionisti e dei vari sponsor che li frenano. Questi ultimi sono presenti sotto forma di grandi imprese oligopolistiche che non hanno bisogno di farsi pubblicità, ma stanno lì per qualcosa. Quindi, lo sforzo di Rey è meritorio. Tuttavia, questi punti potrebbero portare a confondersi poiché, apparentemente, le due affermazioni sono contraddittorie. Per questo motivo ho pensato di fare un po' di luce su questo argomento. Vedremo più avanti che affermare, come fa Rey, che questa situazione avversa non è la conseguenza del cambiamento climatico è azzardato. Dovrebbe, perlomeno, evitare tanta veemenza e assolutismo.

L'impossibilità di un'attribuzione concreta

Credo che la confusione provenga dal fatto che i nostri meteorologi mediatici sono "programmati," persino al loro interno, per ricordare, ad ogni occasione, che non è possibile attribuire una causalità diretta fra un fenomeno estremo concreto, ad esempio quello di cui stiamo parlando, ed il processo che si trova alla base del cambiamento climatico in corso. E' sicuramente così, poiché qualsiasi fenomeno può, all'inizio, esistere anche indipendentemente dal cambiamento climatico che ne sta alla base. Lo prova il fatto che ci si debba riferire al 1956 per trovare un'ondata di freddo di intensità simile a quella attuale (vedremo quanto dura). L'influenza del cambiamento climatico nei fenomeni estremi risiede non solo nella loro intensità ma, principalmente, nella loro frequenza. In quello che viene chiamato periodo di ritorno. Per esempio, l'Amazzonia ha già subito due episodi di siccità quasi consecutivi (2005 e 2010) di quelle da “una ogni cento anni” (3).

Nel 1956 il riscaldamento globale non solo non aveva l'intensità che ha oggi, ma in quel periodo  il processo di aumento della temperatura si era parzialmente arrestato a causa dell'immissione dell'atmosfera di particolato di zolfo e di carbonio. Effettivamente, l'imponente crescita economica di quegli anni portò alla costruzione di una grande quantità di centrali elettriche a carbone. Queste centrali non erano (ancora) obbligate a filtrare gli aerosol di zolfo risultato della combustione che   esercitano un effetto di schermatura solare, oltre ad essere la causa delle piogge acide. Ciò accade in modo simile, per gli effetti di cui ci occupiamo, a come accade per le eruzioni vulcaniche.

Cosicché il poggio (gli aerosol) faceva pari con la buca (l'aumento delle emissioni di CO2) e, fra il 1950 e il 1980, la temperatura è aumentata in modo trascurabile (4). Ricordiamo che l'aumento di temperatura veramente importante è avvenuto negli ultimi tre decenni, da quando la maggior parte delle centrali (occidentali) a carbone, dispongono di filtri per evitare che pietre, alberi e tutti noialtri finissimo per essere pasto dell'acido solforico. Non è quindi possibile attribuire una causalità diretta fra la concentrazione di CO2 ed i fenomeni estremi, perché le relazioni causa-effetto degli impatti del cambiamento climatico hanno una natura statistica. Così, con dati facilmente alla portata del pubblico, uno studente che stia per prendere la maturità avvertirebbe in tutta chiarezza che, a livello globale, questi estremi si producono con molta più frequenza oggi che nel passato e con magnitudini che sono statisticamente significative in relazione al progressivo aumento della temperatura. L'IPCC ha emesso di recente un rapporto a questo proposito (5).


La risposta è nell'Artico

Dico che affermare con assoluta certezza che questa ondata di freddo non ha nulla a che fare con il cambiamento climatico è azzardato perché questo è in contraddizione con la letteratura scientifica , che Rey dovrebbe conoscere. Questa non ha raggiunto conclusioni in merito, ma è da un po' di tempo che si chiede fino a che punto la riduzione del ghiaccio artico in un anno sia collegata con temperature invernali particolarmente fredde durante l'inverno successivo nell'emisfero nord. Alcuni, come il responsabile della sezione “atmosfera” del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti, James Overland, lo hanno molto chiaro. Durante la conferenza scientifica dell'Anno Polare Internazionale di Oslo nel 2010 ha dichiarato:

“Gli inverni freddi e con la neve saranno la norma, non l'eccezione”. 

E lo attribuisce al cambiamento climatico (6).

La comunità scientifica si riferisce a questi episodi come al “Artico caldo/continenti freddi” (7), in quello che è stato battezzato giornalisticamente come il paradosso dell'Artico (8). Bisogna ricordare, qui, che la zona artica si riscalda ad una velocità dalle 2 alle 4 volte maggiore della media del pianeta, a causa del fenomeno conosciuto come amplificazione polare, elemento chiave di tutto il problema climatico. Ma si riscalda a partire da una temperatura molto più bassa di quella delle latitudini inferiori, di modo che, se questa tremenda velocità di riscaldamento alterasse, in alcuni modi e circostanze, gli schemi delle correnti atmosferiche ( vale a dire, anteriori al suo riscaldamento), l'Artico potrebbe cominciare a mandare aria molto fredda verso sud, quando si presentino queste circostanze.

Nel 2009, nella pubblicazione accademica Global Planetary Change, Dagmar Budikova, dell'Università dell'Illinois, ha rivisto il ruolo che la riduzione della superficie di ghiaccio nell'oceano Artico, risultato del cambiamento climatico, gioca negli schemi generali della circolazione atmosferica (9) e due studi su Geophysical Research Letters, condotti da ricercatori dell'Università di Rutgers e di un istituto di ricerca giapponese, titolavano rispettivamente: “Gli schemi meteorologici invernali dell'emisfero nord si accordano all'estensione del ghiaccio nell'Artico” (10) e “L'influenza dei minimi di ghiaccio marino nell'Artico sugli inverni anormalmente freddi in Europa” (11). Nel 2010, il già menzionato Overland assicurava, su  Tellus A, che:

“I cambiamenti nella circolazione atmosferica su grande scala sono associati alla recente perdita di ghiaccio nell'Artico” (12).

Cosa che è stata riaffermata nel rapporto annuale “Arctic Report Card” del NOAA del 2011 (13). Il ghiaccio esercita una funzione di isolamento fra l'oceano e l'atmosfera che si trova al di sopra, per cui questa può raggiungere temperature estremamente basse. Ma quando il ghiaccio scompare, la temperatura in superficie deve essere superiore alla temperatura di congelamento dell'acqua di mare, -1,8°C. In questo modo si trasferisce energia dall'oceano all'atmosfera, alterando così la pressione e la circolazione atmosferica e favorendo le fasi negative della cosiddetta oscillazione Artica (14).

Nella fase positiva di questa oscillazione, la pressione atmosferica sulla superficie della zona artica è alta e questo mantiene l'aria fredda confinata in questa regione. Al contrario, nella fase negativa, le basse pressioni nel polo nord provocano un flusso d'aria fredda a latitudini molto inferiori a quelle dalla fase positiva (15), potendo così giungere fino all'Europa del sud. E' come lasciare la porta del frigo aperta: l'interno si riscalda, ma il freddo si espande in casa. Forse Rey stava pensando a questa metafora  quando si riferiva all'apertura della porta della Siberia. Il freddo entra (in questo caso) dalla Siberia, ora più fredda del normale, ma il frigo sta al polo.




Relazione fra la neve in Siberia ed il Jet Stream stabilita da Judah Cohen (Foto: National Science Foundation)

Da parte sua, Judah Cohen, direttore del'Atmospheric and Environmental Research Inc., un'organizzazione privata di previsione climatica per grossi clienti, cerca da anni degli indicatori in grado di anticipare la severità degli inverni. Cohen assicura di aver individuato nella quantità di neve in Siberia l'elemento che permette di anticipare la severità degli inverni nell'emisfero nord, attraverso una catena di  eventi dalla superficie alla stratosfera.

Temperature più alte significano maggior evaporazione, maggior quantità di vapore acqueo nell'atmosfera e, in generale, maggiori precipitazioni (16), quindi qui abbiamo una prima connessione. Cohen ha anche sviluppato un metodo di previsione dell'indice dell'oscillazione dell'Artico, finora ritenuta imprevedibile (17) e, nel gennaio scorso, ha formalmente pubblicato le sue conclusioni su Geophysical Research Letters (18).


Nel frattempo, alla fine del 2010, ricercatori del  Potsdam Institute for Climate Impact Research, uno dei migliori centri di ricerca europei su questo argomento, hanno segnalato i mari di Barents e di Kara, nel nord est della Russia, come l'origine del processo. Hanno mostrato il meccanismo per il quale quando, alla fine dell'estate questi mari e a differenza di quanto avviene normalmente, avessero perso la calotta di ghiaccio e si fossero riscaldati in modo significativo, negli inverni a seguire avrebbero prodotto ondate di freddo particolarmente forti (19). Secondo Vladimir Petoukhov, uno degli autori del lavoro:

“Chiunque pensi che l'assottigliamento di un ghiaccio lontano non abbia effetti si sbaglia di grosso. Nel sistema climatico esistono interconnessioni complesse e nei mari di Barents-Kara potremmo aver scoperto un potente meccanismo di retroazione positiva” (20).

Le condizioni dell'attuale episodio suggeriscono causalità

Bene. La superficie di ghiaccio dell'Artico nel 2011 si è ridotta in modo tale da raggiungere il minimo storico, dopo quello record del 2007 (21). Ma non solo questo. Quando, a partire dalla seconda metà dello scorso settembre, il ghiaccio marino Dell'Artico ha ripreso a formarsi, nei mari di Barents e Kara ciò non è avvenuto. Perlomeno fino alla fine di dicembre, come indicano esplicitamente gli ultimi dati  del National Snow and Ice Data Center (NSIDC) degli Stati Uniti (22). Di sicuro il ghiaccio nell'Artico non è mai stato così ridotto a Gennaio, come Gennaio scorso. Per catalogare un anno, nella graduatoria della superficie di ghiaccio dell'Artico, si è soliti aspettare il minimo annuale, sempre a settembre.  Ma se lo troviamo a gennaio, come si vede nel grafico, siamo di fronte al record assoluto. E se misuriamo il volume di ghiaccio, invece della superficie, osserviamo che la velocità di diminuzione è molto più alta. Al punto che si ritiene che il suo “ tipping point ” (punto di non ritorno) sia già stato superato (23). Quindi 1) si sta discutendo sulla relazione fra il cambiamento climatico e le ondate di freddo nell'emisfero nord in generale e si segnalano i mari di Barents e Kara come mediatori del processo; 2) i mari di Barents e Kara sono rimasti senza ghiaccio anche fino a dicembre; 3) l'oscillazione dell'Artico, da alcune settimane, è passata ad una fase molto negativa, da record (24; vedere grafico allegato con dati fino al 06.02.2012) e 4) si è prodotta un'ondata di freddo di particolare intensità che arriva fino all'Europa del sud.


Come può uno, a queste condizioni, chiedersi se c'è relazione fra una cosa e l'altra e rispondere “assolutamente no”? In termini medici, la diagnosi potrebbe forse non essere definitiva, ma senza dubbio la si riterrebbe compatibile col cambiamento climatico. Come sempre accade in un sano processo di avanzamento scientifico, prima di giungere a conclusioni definitive ci sono voci che manifestano prudenza o anche disapprovazione. Queste voci dicono che dobbiamo aspettare ancora per confermare il fenomeno in modo definitivo (28). Se in questa circostanza non è stato ancora attribuito il valore di verità scientifica definitiva è per due motivi. Uno è che non è certo quale sia l'uovo e quale la gallina (25). Ma c'è una correlazione significativa (non completa) e un meccanismo che è riprodotto nei modelli, cosa che induce a creder di più alla causalità che non alla casualità, anche se non è detta l'ultima parola (26). L'altra, conseguenza della prima, è che, per ora, non è possibile scartare la presenza di altri fattori (27) poco conosciuti, che siano o meno collegati all'alterazione dei meccanismi atmosferici risultanti dal cambiamento climatico che si trova alla base, sebbene questo sia già tanto come supposizione a questo punto. Alla fine, be', siamo in inverno. E di tanto in tanto queste cose accadono, anche col riscaldamento globale.

Il possibile significato della repentinità e dell'anticipo del cambiamento di stato

Alla fine, Florenci Rey fa riferimento alle improvvise discontinuità in un breve lasso di tempo come, lì sì, ad una manifestazione europea del cambiamento climatico di base. Anche questo richiede un chiarimento. Il cambiamento climatico in sé non è qualcosa che va necessariamente a causare improvvise discontinuità, salvo che con ciò non intendiamo l'aumento della frequenza dei fenomeni estremi, in particolare siccità e piogge torrenziali di intensità crescente rispetto a quanto registrato statisticamente e che non devono avvenire necessariamente in uno stesso luogo o momento. La stessa cosa si applica alle ondate di calore e a quelle di freddo. L'aumento progressivo delle temperature medie produce delle conseguenze nei raccolti e nel regno vegetale e animale molto più grandi di quanto i nostri sensi ci facciano supporre e provoca l'aumento del livello del mare, per adesso ancora incipiente ed appena percettibile.

Il problema delle improvvise discontinuità e di maggior variabilità risiede in qualcosa di qualcosa di ancora più preoccupante. Nella sua ricerca di indicatori che anticipano il cambiamento di stato del sistema climatico, o di qualsiasi suo sottosistema (i cosiddetti tipping points ), la comunità scientifica ha determinato che i sistemi in generale presentano particolari caratteristiche poco prima di passare ad un nuovo stato (29, 30, 31, 32, 33). Fra queste caratteristiche ci sono oscillazioni di maggior ampiezza. Bisogna segnalare, tuttavia, che questa ipotesi ha anche detrattori qualificati che segnalano che non è possibile fidarsi del comportamento di queste variabili a questo scopo e, alcuni, arrivando a ritenere questo tentativo un “wishful thinking” (Una pia illusione) (34) o segnalando che le transizioni potrebbero anche prodursi senza alcun preavviso (35, 36). Dato che non è concepibile che Rey, nell'esprimersi sulla repentinità, stesse dicendo il contrario di ciò che nella frase precedente negava con assolutezza, si può ritenere che si riferisse a ciò che ho appena descritto.

Meteorologi avanti e indietro

E' come se i meteorologi, le cui previsioni assicurano oggi un precisione considerevole, fossero avanti col tempo meteorologico ma fossero sempre indietro rispetto al clima. Dopo che da più di 30 anni si conosce il problema climatico, cominciano, timidamente, a parlarne pubblicamente, ma lo fanno quando i fenomeni potrebbero indicarci che il sistema si sia già destabilizzato e ci stiamo avvicinando ad un nuovo stato climatico, che non è una cosa qualsiasi. Ovviamente, è qualcosa di molto peggio e dalle conseguenze di un ordine di grandezza molto superiore a quelle di una ondata di freddo come quella attuale, che sia essa causata o meno dalla deglaciazione dell'Artico. Questi professionisti avranno sulle loro spalle, fra qualche anno, la responsabilità di aver avuto un posizione pubblica privilegiata dalla quale potevano avvertirci in tempo di quanto stava accadendo – favorendo così l'azione popolare e politica – e di non averlo fatto. Bene, diranno che non era un loro compito, che il tempo meteorologico è altro rispetto al clima. Per questo motivo occorre riconoscere il valore della relazione di Florenci Rey, anche con le sue debolezze.

Concludendo, potremmo avere la tentazione di credere che questi episodi particolarmente freddi compensino quelli più caldi di altri periodo dell'anno. Questo non è vero in nessun modo, poiché non solo le medie in spazio e tempo della temperatura continuano ad aumentare anno dopo anno (37), ma anche gli inverni, nonostante la loro maggior variabilità, sono per lo più caldi: sette degli inverni del primo decennio di questo secolo sono stati più caldi di un inverno medio fra il 1950e il 1980. E in estate la relazione è, qui sì, assoluta: 10/10 (38, 39).

A Complemento

Il meteorologo statunitense Jeff Masters racconta l'oscillazione dell'Artico alla National Public Radio e prevede molto freddo per quel che resta dell'inverno (audio in inglese ).

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I riferimenti bibliografici numerati si trovano a questo link.

giovedì 9 febbraio 2012

Non ci sono più le mezze stagioni

Vignetta di "Quiff"

Siamo tutti soggetti al cosiddetto "confirmation bias", ovvero "deformazione da conferma". In pratica, tendiamo a classificare le cose secondo le idee preconcette che abbiamo. Per esempio, il freddo polare degli ultimi giorni viene preso come un motivo per rinforzare varie convinzioni precedenti; tipo che il riscaldamento globale non esiste, che dovremmo costruire delle centrali nucleari, e facciamo i rigassificatori, eccetera.

E' umano, ma è anche una strada che ci porta poco lontano se non siamo esperti di quello di cui parliamo. Su cose come l'influsso di aria siberiana, dovremmo fidarci di chi studia queste cose è ne sa qualcosa di più dei dilettanti. Così, il meteorologo Stu Ostro rilascia delle dichiarazioni molto interessanti e - curiosamente - forse è vero che non esistono più le mezze stagioni!


Da "Climate Change: the next generation"

Il meteorologo Stu Ostro, un tempo scettico sulla scienza del cambiamento climatico globale, scrive che gli eventi meteorologici di questo inverno, che hanno battuto tutti i record, distruttivi ed estremi, sono un'ulteriore evidenza che gli scienziati del clima avevano ragione a lanciare l'avvertimento che l'inquinamento da gas serra avrebbe alterato radicalmente il nostro sistema climatico. Scrive Ostru:
Eventi meteorologici estremi sono esistiti fin da quando c'è stato un sistema atmosferico terrestre. Questa è la ragione fondamentale per la quale, come meteorologo che tutti i giorni osserva i fenomeni, sono rimasto scettico per lungo tempo sul fatto che ci fosse qualcosa fuori dell'ordinario. 
Tuttavia, sempre più nel passato decennio, circa, i fenomeni estremi sono diventati così straordinari e frequenti, e a volte anche in contemporanea e in locazioni molto vicine fra loro, che mi sono convinto che c'è qualcosa che non va. Che, se è vero che i fenomeni estremi sono sempre esistiti, la loro natura sta cambiando.
Questo inverno mi convince ancora di più.


A proposito di opinioni di esperti, sulla situazione degli ultimi giorni potete anche dare un'occhiata a questi due post di steph


http://climafluttuante.blogspot.com/2012/02/euro-switch.html

http://climafluttuante.blogspot.com/2012/02/nastri.html

mercoledì 8 febbraio 2012

Il grande freddo

Una minor copertura estiva di ghiaccio del mar artico significa inverni più freddi e nevosi nell'Europa centrale

ScienceDaily (1 febbraio 2012)Anche se la situazione meteo attuale sembra suggerire il contrario, la probabilità di inverni freddi con più neve nell'Europa centrale aumenta quando l'Artico è coperto da meno ghiaccio marino in estate. Gli scienziati della Research Unit Potsdam dell'Alfred Wegener Institute per le ricerche polari e marine dell'Associazione Helmholtz, hanno identificato un meccanismo per cui una contrazione della copertura di ghiaccio marino estivo cambia le zone di pressione dell'aria nell'atmosfera artica ed ha un effetto sul tempo invernale europeo.





Questi risultati di un'analisi del clima globale, sono stati pubblicati recentemente in uno studio sulla rivista scientifica Tellus A. Se avviene una particolare fusione su larga scala del ghiaccio del mare Artico in estate, come osservato in anni recenti, due effetti importanti vengono intensificati. In primo luogo, il ritirarsi della leggera superficie ghiacciata rivela l'oceano più scuro, causando il suo maggior riscaldamento in estate per via della radiazione solare (il meccanismo di feedback dell'albedo del ghiaccio). In secondo luogo, la diminuita copertura di ghiaccio non può più evitare che il calore immagazzinato nell'oceano venga rilasciato in atmosfera (effetto coperchio). Il risultato della diminuita copertura di ghiaccio marino è che l'aria viene riscaldata molto di più di quanto lo fosse in precedenza, in particolare in autunno e inverno, perché durante questi periodi l'oceano è più caldo dell'atmosfera. “Queste temperature più alte possono essere comprovate dalle attuali misurazioni provenienti dalle regioni artiche”, riferisce Ralf Jaiser, autore principale della pubblicazione della Research Unit Potsdam dell'Alfred Wegener Intitute

Il riscaldamento dell'aria vicino al suolo porta all'aumento dei movimenti e l'atmosfera diventa meno stabile. “Abbiamo analizzato i processi complessi e non lineari che stanno dietro a questa destabilizzazione, che hanno mostrato come queste condizioni alterate nell'Artico influenzino la circolazione tipica e gli schemi di pressione dell'aria”, spiega Jaiser. Uno di questi schemi è la differenza di pressione dell'aria fra l'Artico e le medie latitudini: la cosiddetta oscillazione artica con gli alti delle Azzorre e i bassi dell'Islanda rese famose dalle previsioni meteo. Se questa differenza è alta, ne risulta un forte vento da ovest che in inverno porta masse d'aria calda ed umida atlantica proprio verso l'Europa. Se il vento non arriva, l'aria fredda artica può penetrare attraverso l'Europa, come nel caso degli ultimi due inverni. I calcoli dei modelli mostrano che la differenza di pressione dell'aria con una diminuita copertura di ghiaccio marino durante l'estate artica, viene indebolita nell'inverno seguente, permettendo al freddo artico di spingersi fino alle medie latitudini. Nonostante la bassa copertura di ghiaccio marino nell'estate 2011, non c'è ancora stato un inverno freddo qui in Germania. Jaiser spiega questo come segue: “Naturalmente, molti altri meccanismi giocano un ruolo nel complesso sistema climatico della nostra Terra, che in parte si sovrappongono. I nostri risultati spiegano i meccanismi di come i cambiamenti regionali nella copertura di ghiaccio del mar Artico abbiano un impatto globale ed i loro effetti in un periodo che va dalla tarda estate all'inverno. Altri meccanismi sono collegati, per esempio, con la copertura di neve in Siberia o con le influenze tropicali. Le interazione fra questi fattori di influenza saranno oggetto di un futuro lavoro di ricerca e quindi rappresentano un fattore di incertezza nelle previsioni”. E' intenzione dei ricercatori di Potsdam di trovare ed analizzare ulteriori meccanismi e di mostrare correttamente il sistema climatico della Terra con l'aiuto di questi meccanismi sotto forma di modelli. “Il nostro lavoro contribuisce a ridurre le attuali incertezze sui modelli del clima globale e a sviluppare scenari regionali più credibili – un importante fondamento per permettere alla gente di adattarsi alle nuove condizioni”, spiega il Prof. Dott. Klaus Dethloff, Capo della Sezione della Circolazione Atmosferica al Research Unit Potsdam dell' Alfred Wegener Institute.

Traduzione dell'articolo di Science Daily del 1 febbraio 2012 a cura di Massimiliano Rupalti
Grazie a Luca Mercalli per la segnalazione dell'articolo.