di Jacopo Simonetta
Ad oggi, purtroppo, il modello World3, cuore dello studio dei
“Limiti della Crescita”, si è dimostrato di gran lunga il migliore fra i tanti modelli
proposti nel tentativo di capire quello che ci sta accadendo. La sua capacità previsionale si è infatti dimostrata
ampiamente maggiore di quanto i suoi stessi autori non si aspettassero. Eppure
contiene almeno un errore strutturale consistente: la teoria della “Transizione
Demografica”. Un errore trascurabile
nella fasce ascendente delle curve, ma critico nella fase di declino e, forse,di
collasso del sistema socio-politico
globale.
La teoria
L’idea alla base di questa teoria è che, aumentando il
benessere, dapprima diminuiscano prima la mortalità e, successivamente, la natalità;
così da ritrovare un relativo equilibrio ad un livello molto più alto di quello
di partenza. Il corollario, è che non bisogna quindi preoccuparsi di controllare
i parametri demografici (natalità, mortalità e saldo migratorio), bensì aumentare
e diffondere il benessere economico, “condizione
necessaria e sufficiente” per la definitiva soluzione dei problemi umani.
La teoria, nata alla fine del XIX secolo, ha alcuni pregi e
parecchi difetti.
Il merito principale
è di individuare una serie di fattori sociali e culturali che effettivamente
danno un contributo importante alla dinamica di una popolazione umana. Ad esempio, il livello di istruzione
femminile, l’accesso ai contraccettivi moderni, l’accesso al mercato del lavoro
per le donne, l’innalzamento dell’età matrimoniale, eccetera sono certamente
elementi importanti; cruciali in determinati contesti. E sono tutti fattori quasi sempre associati ad un aumento del reddito, almeno in età moderna.
Un primo importante difetto è invece quello di pretendere che una
stessa dinamica debba necessariamente verificarsi dovunque e comunque.
Un secondo ed ancor maggiore difetto non è proprio della teoria in se, ma dei
modelli da essa derivati ed ampiamente utilizzati dalle principali istituzioni
mondiali (ma non da World3). Cioè dare per scontato che gli ecosistemi, di cui
le popolazioni fanno parte, siano comunque in grado di sostenere la maggiore
popolazione post-transizione. Di
conseguenza, sembra che le popolazioni umane possano solo crescere o
stabilizzarsi, senza mai diminuire se non, eventualmente, in conseguenza di
proprie dinamiche interne. Politicamente molto corretto, ma scientificamente del
tutto irrealistico.
Il terzo e principale difetto è che il modello è reversibile
nel tempo. In pratica, la teoria prevede
che, quando una popolazione viene colpita da una crisi economica, aumentino
sia la mortalità, sia la natalità. Considerando il solo livello globale, i
flussi migratori sono considerati indifferenti. Per quanto riguarda la mortalità, la
previsione è corretta, ma gli effetti sulla natalità sono molto più complessi. Vediamo quindi una serie di casi reali
(ovviamente, visti i limiti di spazio, si farà cenno solo a quei dettagli che
sono utili in questa sede).
Casi reali.
Senza pretesa di condurre un’analisi sistematica, ci
limiteremo qui ad una carrellata di casi emblematici, con attenzione agli
indizi utili per delineare scenari demografici sia pur minimamente
realistici. Fermo restando che la realtà
sarà sempre diversa da come la abbiamo immaginata.
Cina
Il doppio picco, negativo delle nascite e positivo delle
morti, seguito da un brusco rimbalzo della natalità è un fenomeno molto
frequente che ritroveremo anche in altri esempi. Si verifica quasi sempre quando una
popolazione viene colpita da una improvvisa calamità, molto violenta, ma di
breve durata come una guerra ad alta intensità o una grave epidemia. Molto più interessante è quello che è
accaduto dopo. Infatti, malgrado le
politiche decisamente nataliste di Mao, le nascite sono calate con estrema
rapidità ben prima del “miracolo cinese”. Da notare anche che la legge sul
figlio unico è stata introdotta quando la natalità era già poco al di sopra
dell’1,5% e, dall'andamento successivo della curba, si direbbe che abbia svolto un ruolo
determinante nel prevenire un picco riproduttivo analogo a quello avvenuto in
Italia negli anni ’60 (v. seguito).
Viceversa, il successivo livellamento, fra l’1 e lo 0,5 %, è probabilmente
dovuto ad altri fattori, tanto è vero che la modifica della legge (adesso sono
consentiti due figli per coppia) non ha per adesso modificato sensibilmente la
curva.
Per quanto riguarda la correlazione con la crescita economica, è da notare che
il “miracolo cinese” è avvenuto dopo che la natalità era già sostanzialmente scesa. Oggi, in una fase di brusco rallentamento, se
non di stagnazione, dell’economia cinese, i provvedimenti per rilanciare la
natalità stanno avendo risultati deludenti.
La natalità è tuttora in calo.
Un fattore che sicuramente sta giocando un ruolo è la prospettiva di un futuro senza crescita economica in un paese in cui è stato fatto un massiccio sforzo per l’istruzione
di base alle bambine, l’industrializzazione e il lavoro femminile. Tutti fattori che hanno
contribuito molto a scardinare la famiglia confuciana tradizionale, a tutto
detrimento della natalità. Cioè esattamente il contrario di quanto all'epoca si
riprometteva il governo maoista che pure avviò questi provvedimenti.
India.
Contrariamente alla Cina, durante gli anni ’70 e primi anni
’80 l’India fu il paese che più di ogni altro si prodigò per contenere il “baby
boom”, giungendo addirittura a praticare sterilizzazioni forzate in maniera
massiccia. Con tutto ciò, la natalità che continuò comunque a crescere
inesorabile fino alla metà degli anni ‘80, per poi cominciare a declinare autonomamente
e lentamente; restando comunque ben addentro al territorio positivo. Un fatto questo non privo di conseguenze.
Qualcuno ricorderà di quando si parlava di “Cindia”: in
parecchi vagheggiavano un’alleanza strutturale fra questi due giganti che,
uniti, avrebbero dominato il mondo.
Partiti praticamente insieme nel 1980, i due paesi più popolosi del
mondo hanno invece seguito strade assai diverse e, ad oggi, la Cina ha vinto la
corsa.
Vari fattori vi hanno giocato,
ma certamente la precoce riduzione della natalità ha consentito ai cinesi un
sensibile aumento del reddito pro capite già prima del 2001 e, quando la Cina
entrò nel WTO, la sua popolazione era già quasi stabilizzata, seppure
complessivamente giovane. Una
condizione ottimale per approfittare della situazione con il più fantastico
tasso di crescita economica mai visto nella storia umana.
Viceversa, la crescita demografica indiana continua tuttora ad assorbire parte
della crescita economica, con un aumento del potere d’acquisto del cittadino
medio che è meno della metà di quello dei cinesi. Di conseguenza, mentre
milioni di famiglie cinesi hanno potuto investire e/o risparmiare, la maggior
parte delle famiglie indiane si devono accontentare della sopravvivenza.
Nigeria.
La Nigeria è il paese che più di
tutti si presta ad illustrare l’esplosione repentina delle “bomba
demografica”. In soli 50 anni la sua
popolazione è triplicata e continua a crescere ad un vertiginoso tasso vicino
al 3% annuo (tempo di raddoppio circa 25 anni).
Le conseguenze sono complesse. Anche se
molti acclamano il vertiginoso aumento del PIL del paese, la devastazione
pressoché totale degli ecosistemi ha provocato la disintegrazione degli
equilibri sociali e delle culture tradizionali, con un tasso di inurbamento
fantastico sia per dimensione che per velocità. Guerre tribali e religiose,
terrorismo, corruzione ad ogni livello, disoccupazione alle stelle e molto
altro completano un quadro che sta già contribuendo a destabilizzare una bella
fetta di mondo. Come se non bastasse, una situazione politico-sociale molto
instabile all’interno di un paese ricco di risorse minerarie non può che essere
un potente attrattore per speculatori privi di scrupoli di tutto il mondo.
Particolarmente interessante è che i oggi due terzi della popolazione vive in
completa miseria, ma ciò non impedisce alla stragrande maggioranza delle
persone di essere molto ottimiste. Oggi, in Nigeria, quasi tutti hanno progetti per un
futuro che immaginano molto migliore del presente. Questa è probabilmente una
delle due principali ragioni per un calo così lento della natalità, malgrado un
ambiente così ostile per la grande maggioranza dei cittadini. L’altro motivo probabile è che la larghissima
maggioranza dei nigeriani sono cattolici o mussulmani: molto convinti e
credenti in entrambi i casi.
Impossibile dire come andrà, ma di
sicuro la proiezione demografica ufficiale (circa 500 milioni di persone al
2050) è la meno probabile di tutte. Anche tenendo conto che l’impronta
ecologica è un parametro parziale, non c’è dubbio che la popolazione attuale
abbia già ampiamente superato la capacità di carico del Paese. Qualunque cosa
fermerà un simile impulso sarà dunque qualcosa di “bilico” che coinvolgerà il
mondo intero.
Russia.
La Russia si trova in una condizione opposta quella della Nigeria. Raggiunse
il massimo di crescita demografica alla fine del XIX secolo, per poi
gradualmente declinare, anche a causa delle due guerre mondiali, parimenti
disastrose sul piano demografico, ancorché di segno opposto su quello
geopolitico. La prima segnò infatti la
fine dell’Impero Russo, la seconda la nascita di quello Sovietico.
Per quanto riguarda il secondo dopoguerra, è da notare che
proprio nel periodo della massima potenza sovietica, il tasso di natalità
calava rapidamente, a fronte di un tasso di mortalità in diminuzione fino alla
metà degli anni ’60, per poi tornare a crescere leggermente. Dal nostro punto
di vista, è però ancora più interessante ciò che è accaduto dopo. Il collasso dello stato sovietico e la
gravissima crisi economica che lo ha caratterizzato iniziò infatti alla metà
degli anni ’80, puntualmente accompagnato non solo da un balzo della mortalità
(come c’era da aspettarsi), ma soprattutto con un ulteriore sdrucciolone della
natalità, che raggiunse il minimo storico durante il decennio 1995-2005. Per poi riprendersi, ma solo in parte, a
fronte di una migliorata situazione economica e di una maggiore stabilità
politica.
Un fatto questo molto
importante perché ulteriormente confermato negli ultimi anni, ma diametralmente
opposto alle previsioni fatte in base alla teoria demografica dominante.
Italia.
A prima vista l’Italia si presenta come un caso
paradigmatico di “transizione demografica”; ma ad uno sguardo più attento forse
non del tutto. Dal 1900, la mortalità è
andata diminuendo, mentre la natalità cresceva.
Poi ci fu il duplice disastro della “grande guerra” e, subito dopo,
della “spagnola”. Da notare che in
questo, come in moltissimi altri casi, durante la fase acuta delle moria anche
la natalità è crollata, per rimbalzare subito dopo ad un livello leggermente
superiore a quello precedente. Interessante
è anche osservare che, analogamente a quanto visto per la Cina di Mao, le
politiche demografiche di Mussolini non impedirono un calo sensibile della
natalità durante il “ventennio”.
Quindi ci fu un picco di natalità a cavallo del nuovo disastro rappresentato
dalla 2a Guerra Mondiale (che fece molte più distruzioni, ma meno morti della
prima, malgrado i bombardamenti, l’olocausto, le rappresaglie, ecc.). Poi, e
questo è molto interessante, una netta depressione durante gli anni ’50 e
quindi un ripido picco in corrispondenza col il periodo più ottimista della
nostra storia: quei mitici anni ’60 che ancora ci ossessionano. Infine, il graduale calo fino a quota di
mantenimento alla metà degli anni ’90 e poi sotto. Infine, la crisi mai finita del 2008 si è
finora accompagnata sia ad un lieve aumento della mortalità, sia una lieve
diminuzione della natalità. Sicuramente è presto per dire se sarà una tendenza
duratura e diversi fattori concorrono a questo risultato, ma è interessante perché
analogo a quanto già visto in Russia ed in molti altri paesi.
Tirando le somme.
La carrellata di cui sopra è molto parziale, ma
significativa. Direi che si possono trarre le
seguenti conclusioni, certamente parziali, ma interessanti:
1 - La bomba demografica ci sta scoppiando sotto il naso
proprio ora ed ha appena cominciato a farci male. Il “meglio” deve arrivare ed
arriverà. Non possiamo sapere quanto tempo ci vorrà per tornare a densità umane compatibili con la sopravvivenza della Biosfera, ma sappiamo che, se non accadesse, l’estinzione della nostra specie diventerebbe
una prospettiva molto realistica.
2 - La “transizione demografica” descrive abbastanza bene
quello che succede durante le fasi di rapida crescita, ma trascura
completamente il ruolo complesso dei Ritorni Decrescenti e dei limiti su tutti i fenomeni fisici di
crescita, comprese la crescita economica e quella demografica. Di conseguenza, risulta del tutto inadeguata per
delineare scenari realistici per i prossimi decenni. Questa tara rende assai poco affidabili gli
scenari delineati da Word3 successivi al 2030-2040.
3 - Gli interventi governativi a favore della natalità hanno di solito un impatto marginale,
mentre quelli volti a ridurre la mortalità possono avere effetti spettacolari,
a condizione di disporre dei mezzi economici necessari. Anche gli interventi governativi di contrasto
della natalità si sono dimostrati poco efficaci, tranne nel caso della Cina;
cioè in un paese dove anche solo parlare di “diritti individuali” costituisce
un reato grave
4 - Catastrofi improvvise come guerre ad elevata intensità o
gravi epidemie hanno effetti molto brevi nel tempo perché, subito dopo, la
società recupera la tendenza precedente.
Sono quindi del tutto inefficaci per controllare popolazioni in fase di
rapida crescita, mentre possono avere effetti enormi su popolazioni che sono
già in calo per altri fattori. Ma simili
shock potrebbero anche avere l’effetto di rilanciare la natalità. Diciamo che le conseguenze a medio e lungo termine
delle gravi calamità sono imprevedibili.
5 – Perlomeno nelle odierne
società reduci da periodi di “boom” economico, il peggioramento delle
condizioni economiche, o anche il solo rallentamento della crescita, provoca
una riduzione della natalità, a fronte di un incremento sia della mortalità che
dell’emigrazione. Quindi riduzioni relativamente rapide della popolazione, anche
in assenza di fatti particolarmente drammatici.
6 – In tutti i paesi del mondo il tasso di natalità sta
diminuendo, ma l’inerzia intrinseca di popolazioni longeve come le nostre fa si
che, in assenza di limiti, effettivamente la popolazione tenderebbe a crescere
ancora per tutto il secolo in corso, secondo le proiezioni dell’ONU (circa 12
miliardi di persone per il 2100). Il
problema è che i limiti invece ci sono.
Il limite dei “Limiti”.
Secondo World3, ben entro il 2050, la popolazione mondiale non
tenderà a stabilizzarsi, bensì a diminuire. La fine della crescita demografica globale
per il 2030 è uno scenario reso molto credibile dalla dimostrata validità del
modello.
Ma se questo si è dimostrato
estremamente affidabile in fase di crescita, non lo sarà per la fase di
decrescita. Per i motivi visti, c’è infatti
da aspettarsi che il decremento demografico sarà molto più rapido di quanto
indicato dal modello, pur senza bisogno alcuno di immaginare scene
raccapriccianti. Per fare solo un’ipotesi, un decremento del 3% annuo
significherebbe dimezzamento della popolazione in circa 25 anni, pur senza
bisogno di fosse comuni e monatti.
Un secondo punto, completamente assente dalle analisi di
World3, sono le dinamiche regionali. La
flessione demografica, come tutti gli altri fattori in gioco, non sarà uniforme. Al contrario, ci saranno realtà molto diverse, ad esempio con aree in calo
relativamente rapido, altre in relativo equilibrio ed altre ancora in rapida
crescita.
Questo accentuerà le pressioni già presenti in materia di grandi
flussi migratori che sono ampiamente in grado di cambiare drasticamente il quadro .
Per citare un solo esempio, abbiamo visto che l'Italia ha un saldo naturale negativo, ma ciò nondimeno vive da oltre 10 anni il periodo di massima crescita demografica della sua storia.
Altri fattori, come il
clima, le guerre, le carestie eccetera contribuiranno a delineare un quadro
imprevedibile nei suoi dettagli.
Questo crea contemporaneamente rischi ed opportunità. Da una parte, infatti, la possibilità di
importare gente dall'estero sarà senz'altro un’opportunità, ma solo
ed esclusivamente se i flussi saranno controllati in modo da rispettare almeno
due parametri: 1- rallentare, ma non fermare il decremento demografico; 2 –
rispettare un livello di integrazione tale da prevenire conflitti gravi con gli
autoctoni.
In caso contrario, una crescente conflittualità sarà inevitabile, con
conseguenze probabilmente devastanti su economie e società già fortemente
fragilizzate da altri fattori.