Il lavoro di Roberto Burlando e Angelo Tartaglia come editori ha generato questo libro nel quale ho contribuito con uno dei capitoli. Devo dire che ne è venuto fuori veramente un libro interessante, aggiornato, e anche comprensibile, sia pure non un libro divulgativo. Il problema è sempre il solito: uno lavora gratis per far fare soldi agli editori specializzati che fanno pagare questi libri uno sfracello: questo qui, se lo volete in forma cartacea lo dovete pagare 130 Euro (ma cos'hanno nella testa? Un allevamento di pipistrelli?). Tanto più che - per risparmiare - non si preoccupano nemmeno di inventarsi una copertina decente. Per fortuna l'e-book è più abbordabile, ma in ogni caso finisce che pochissimi hanno accesso a questi testi, mentre invece tutti sono esposti alle fesserie che girano su internet. Evvabbé, contentiamoci. Perlomeno un bel libro lo abbiamo scritto.
I limiti fisici alla crescita economica
Un post di Roberto Burlando e Angelo Tartaglia.E’ recentemente stato pubblicato il libro Physical limits to economic growth, apparso nella collana Routledge Studies in Ecological Economics. L’opera ha tratto occasione dal convegno Science and the Future che si svolse, presso il Politecnico di Torino, nell’ottobre 2013. Il tema è pienamente espresso dal titolo e l’intento è quello, insieme, di presentare lo stato dell’arte su una serie di problematiche rilevanti e di offrire approfondimenti originali su vari aspetti della sostenibilità o insostenibilità del sistema socio-economico globale contemporaneo.
Un impegno, assunto e perseguito nel convegno del 2013 e continuato in questo testo, era ed è quello di intavolare un dibattito scientifico tra ambiti culturali differenti: scienze della natura da un lato e scienze economico-sociali dall’altro. Come è ovvio e ben noto i linguaggi sono diversi ma la pesante oggettività dei fatti impone o imporrebbe uno sforzo congiunto per analizzare con disincanto e senza barriere artificialmente costruite la fenomenologia evolutiva delle società umane nel contesto ambientale del nostro pianeta, e, possibilmente, suggerire modalità razionali e praticabili per gestire trasformazioni la cui rapidità sta ripercuotendosi negativamente e pesantemente, e ancor più rischia di farlo nel futuro, sull’umanità nel suo insieme.
Come già per Science and the Future anche nel caso del libro si è faticato ad intavolare un confronto di merito, al di là della dimensione mediatica, tra posizioni diverse all’interno delle singole discipline; ci si è però quanto meno sforzati di mettere insieme scienze umane e scienze naturali, anche se all’interno di una impostazione comune. In questo senso l’opera non è “neutra”, come sta scritto nell’Introduzione, o “bipartisan” come a volte si vorrebbe anche su questioni sulle quali si registrano maggioranze assai qualificate, ma il modo dell’esposizione cerca di presentare fatti ed interpretazioni in una forma che consenta a chiunque lo desideri di effettuare una lettura critica al di fuori dei rituali e delle forme spesso usati in questo campo nei canali di comunicazione che vanno per la maggiore.
In concreto il testo si articola in sei capitoli, suddivisi in due gruppi di tre. Il primo gruppo è quello delle scienze naturali o “esatte”; il secondo è quello delle scienze socioeconomiche.
Gli autori sono molteplici, inclusi, in doppia veste, anche i due curatori del volume. L’introduzione, dei curatori, evidenzia il comune piano metodologico dei contributi, presentando fin dall’inizio alcuni criteri ritenuti necessari per potersi muovere nelle discussioni attuali distinguendo tra ciò che merita di essere considerato e discusso tra sostenitori di visioni diverse e ciò che è pura disinformazione, priva di basi scientifiche (quel che è poi stato definito come le “fake news” sul piano scientifico).
L’argomento che si trova per primo, affrontato da Ugo Bardi, è quello del limite rappresentato dalle risorse finite disponibili sulla terra. Una analisi focalizzata prevalentemente sulle risorse inorganiche reperibili nella crosta terrestre mostra la possibilità di una gestione, se non proprio circolare, quanto meno tendente alla chiusura dei cicli produzione-consumo su tempi molto lunghi. L’approccio è quello di trattare lo sviluppo economico complessivo come un processo metabolico di un organismo composto da più sottoinsiemi mutuamente interagenti e inglobati gli uni negli altri a partire dall’ecosfera complessiva, passando per la biosfera e giungendo alla tecnosfera – che è quella costituita dall’insieme delle strutture industriali costruite dall’umanità negli ultimi secoli. Ogni ambito ha le sue specificità ma, analizzato in termini termodinamici, tutti debbono convivere con gli stessi vincoli e sottostanno a dinamiche simili.
Il secondo capitolo, scritto da Stefano Caserini, riguarda il mutamento climatico globale. La situazione presente e gli scenari futuribili vengono accuratamente passati in rassegna, ribadendo le argomentazioni scientifiche che nullificano le residue posizioni negazioniste, anche nelle forme insidiose ed ambigue in cui tendono ora a presentarsi, messa da parte la baldanzosa arroganza di qualche anno fa. Caserini evidenzia anche quelli che sono i vincoli concreti cui il mondo dovrebbe attenersi per poter sperare di conseguire l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura superficiale media del pianeta “ben al di sotto dei 2 °C” come sta scritto nell’accordo di Parigi. In particolare si pone in evidenza come percentuali variabili tra il 30% e l’80% (a seconda della fonte) delle risorse energetiche fossili dovrebbero restare sotto terra. Non si può che rilevare la contraddizione tra questa esigenza e la politica materialmente perseguita in Italia e in altri paesi, di continua ricerca di nuovi giacimenti da sfruttare e la sottoscrizione di contratti di acquisto a futura memoria di gas metano e di petrolio. Le risorse investite in queste ricerche e nello sfruttamento di nuovi giacimenti dovrebbero piuttosto essere indirizzate al settore delle fonti rinnovabili e della riduzione dei consumi di energia, eliminando gli sprechi e accrescendo l’efficienza degli apparati energivori e dei sistemi produttivi.
L’argomento del terzo capitolo (Angelo Tartaglia) è quello dei limiti di un sistema a complessità crescente. Un sistema a complessità crescente è certamente il sistema economico globalizzato. Come sappiamo, il paradigma (e il dogma) dell’economia main stream è quello della crescita. Mentre l’aspetto della impossibilità di una crescita materiale indefinita in un qualunque contesto finito è quello più dibattuto e su cui si pone l’accento nei primi due capitoli, qui si analizza un problema che di solito resta implicito. In sintesi si fa vedere che in un sistema di relazioni in cui i nodi crescono di numero la complessità cresce più in fretta dei nodi. Nel caso dell’economia i “nodi” possono essere operatori economici, attività produttive, servizi e così via; mentre la complessità è misurata dalle interconnessioni tra tutti questi soggetti, lungo le quali viaggiano informazioni, materiali, merci etc. In sintesi si vede che, se al crescere dei nodi cresce la ricchezza lorda prodotta, al crescere della complessità cresce il costo del mantenimento del sistema sotto controllo e in sicurezza. Questa seconda crescita è però più veloce della prima: in pratica “l’utile” ricavato da questo modo di funzionare della macchina mondo si assottiglia progressivamente e il tutto finisce per diventare insicuro e ingovernabile.
I primi tre capitoli esauriscono i temi legati alla dimensione naturale e oggettiva. Si viene quindi alla seconda parte: quella delle scienze umane. Il capitolo quattro (Joseph Tainter e un gruppo di suoi collaboratori) espone una accurata e approfondita critica dell’”ottimismo tecnologico” che è stato la bandiera dell’evoluzione dell’economia mondiale, a partire dai paesi più avanzati, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Si mostra con chiara evidenza che non vi sono vie d’uscita tecnologiche che possano globalmente neutralizzare l’impoverimento delle risorse materiali. Un meccanismo che ha funzionato fino ad oggi viene progressivamente smontato dall’ineludibile declino della produttività dell’innovazione. In altri termini (e questo richiama in qualche modo il capitolo tre) gli investimenti necessari per perseguire e conseguire un ulteriore progresso tecnologico, a parità di rilevanza del risultato, crescono sempre più. E’ una versione più specifica della legge del “diminishing return” che l’economia classica già conosce.
Nel quinto capitolo Ian e Julia Schindler analizzano in termini formali le strategie possibili per un percorso verso la sostenibilità del sistema mondo in presenza di vincoli energetici. La discussione è impostata a partire da un esame dei cicli economici storicamente dati e da una riconsiderazione di quanto accaduto formulata usando parametri energetici. Numerosi concetti tipici della scienza economica vengono messi in campo esprimendoli però in termini di fabbisogni di energia. Dalle valutazioni esposte emerge un giudizio positivo sul movimento delle transition towns e sulla proposta della permaculture.
Il capitolo finale della seconda parte (Roberto Burlando) prende in esame la questione del negazionismo, in particolare nei confronti del cambiamento climatico, e muovendo dalle analisi generali (Oreskes & Conway, Washington & Cook) sul tema, considera lo specifico della teoria economica e degli economisti. Da un lato evidenzia l’evoluzione dell’ economia mondiale negli ultimi decenni (quelli del neo-liberismo o fondamentalismo di mercato) con la crescita delle rendite e della concentrazione di reddito e ricchezza nelle mani di una percentuale sempre più ristretta della popolazione (popolarizzata come la “dittatura dell’1%”), che usa qualunque mezzo (dalla legislazione che favorisce la concentrazione di potere di mercato ai paradisi fiscali) a tutela dei propri interessi e per contrastare qualunque cosa (tutela dell’ambiente o delle popolazioni) possa contenerne l’espansione. Dall’altro presenta un’accurata analisi critica del pensiero economico main stream (in articolare delle teorizzazioni dell’equilibrio economico generale) e dei suoi assunti, sottolineandone sia la distanza dalla realtà economica in cui viviamo sia il carattere spesso dogmatico e l’inadeguatezza degli assiomi su cui si fonda, quali l’individualismo metodologico ed etico, e il carattere sostanzialmente riduttivista. Questi tratti risultano sostanzialmente inadeguati ad interpretare l’evoluzione dell’economia mondiale contemporanea e ancor più a proporre soluzioni ai problemi emergenti.
La conclusione generale del libro, ricapitolando l’insieme dei contributi, mette insieme il necessario realismo riguardo ai fatti e sostiene l’esigenza di un vero e proprio cambio di paradigma, che solo può essere la premessa di un cammino che riporti il nostro stile di vita nel solco della sostenibilità. Da un lato i mutamenti globali che una impostazione, in parte inconsapevole, delle relazioni del dare ed avere ha messo in moto continueranno per inerzia per un tempo lungo anche decenni. Dall’altro le vie di uscita nel dettaglio dovranno e potranno essere costruite sul campo senza aspettarsi ricette miracolose fin da subito. Il presupposto indispensabile è, comunque, quello di passare da un approccio competitivo, basato su un radicale pessimismo riguardo alla natura umana, ineludibilmente egoista, ad uno collaborativo a partire da consapevolezza e razionalità. Il problema non è solo quello di convincere intellettuali ed esperti a liberarsi da dogmi ed assiomi irrazionali, ma quello di promuovere e costruire una capillare e razionale consapevolezza generalizzata riguardo a ciò che sta accadendo e alla necessità di unire le risorse umane per riprendere le redini di uno sviluppo a vantaggio di tutti e che non coincide con una impossibile crescita della produzione materiale.