sabato 5 febbraio 2011

Egitto: rivoluzione o collasso?

Immagine dal NY times - indice dei prezzi dei generi alimentari.

Come si dice alle volte; un immagine vale più di mille parole. L'indice dei prezzi degli alimentari la dice tutta sulla situazione in Egitto e in Nord-Africa. Paesi economicamente deboli, sovrappopolati rispetto alla loro capacità agricola, colpiti dalla siccità e dall'aumento dei prezzi del petrolio, che si riflette su quello dei fertilizzanti, pesticidi, meccanizzazione agricola, eccetera.

Insomma, sembra un caso da manuale di quelli che "I limiti dello sviluppo" aveva già identificato nel 1972: l'esaurimento graduale delle risorse si unisce all'inquinamento in forma di cambiamento climatico per far collassare la società. Oggi il Nord Africa. Nel futuro, staremo a vedere......

mercoledì 2 febbraio 2011

Quanto vivono veramente gli Italiani?

Questo grafico è fatto usando  dati recenti di EUROSTAT. E' vero che gli italiani sono longevi; tuttavia negli ultimi anni abbiamo visto un crollo impressionante dell "aspettativa di vita sana," un parametro che ci dice quanto a lungo viviamo in assenza di malattie.


Pochi giorni fa, sono apparsi diversi articoli sulla stampa inneggianti al recente record di longevità degli italiani, che alcuni attribuivano alle virtù della dieta mediterranea (vedi per esempio qui).

Come da prassi negli ultimi tempi, assumo che tutto quello che si legge sui giornali vada verificato. Il risultato è che l'annuncio - se non completamente falso - è comunque sospetto e sicuramente esagerato (Vedi nota in fondo). 

Per prima cosa, date un'occhiata ai dati che vedete nella figura all'inizio di questo post; sono i dati di EUROSTAT. Certamente, è vero che gli italiani sono longevi, anche se l'idea che l'aspettativa di vita continui ad aumentare è discutibile. Ma c'è un dato in più che ho trovato e che non era affatto menzionato nei comunicati degli ultimi giorni: di questi anni, quelli che passiamo in salute sono crollati brutalmente.

L' "aspettativa di vita sana" (Healthy Life Expectancy) è un computo che fa Eurostat sul numero di anni che ci possiamo aspettare di vivere senza soffrire malattie croniche o disabilità fisiche. I risultati li vedete nel grafico all'inizio. Viviamo a lungo, si, ma viviamo peggio. Non ci serve a molto arrivare a tarda età se non viviamo una vita sana; se gli ultimi anni li dobbiamo passare intubati in un ospedale o imboccati dalla badante.

Cosa diavolo è successo nel 2003 per dare inizio a un tale crollo dell'aspettativa di vita sana? 

Che ci fosse stato qualcosa di strano nel 2003, me ne ero accorto anche in un post precedente: una lieve diminuzione dell'aspettativa di vita. L'avevo attribuito all'ondata di calore dell'estate di quell'anno, ma è un evento che non si è ripetuto fino ad ora; perlomeno non esattamente in quel modo.

Una possibile spiegazione è che i dati non riflettano un effettivo peggioramento della salute degli italiani ma, piuttosto, una maggiore capacità di rilevare le malattie in anticipo. Per esempio, come riportato su "science based medicine", "quando il limite sistolico di 160 fu abbassato a 140, la nuova definizione ha instantaneamente trasformato 13 milioni di persone (negli USA) con pressione sanguigna "normale" in pazienti affetti da ipertensione". Le stesse considerazioni valgono per la diagnosi dei tumori, l'uso di pacemaker e molte altre cose.

Ma questo non basta a spiegare il crollo dell'indice di vita sana. Ce ne possiamo rendere conto esaminando i dati EUROSTAT per altre nazioni europee. In molti casi, per esempio per il Portogallo, vediamo lo stesso effetto che si vede in Italia, anche se molto meno intenso. Ma in altri casi, specialmente nei paesi del nord, vediamo l'effetto opposto; ovvero un significativo aumento dell'aspettativa di vita sana. Allora, di certo in Finlandia o in Svezia sono altrettanto bravi di noi nell'applicare le più moderne tecnologie diagnostiche e gli ultimi ritrovati della medicina. Però, da loro l'aspettativa di vita sana aumenta.

Allora, evidentemente l'effetto è dovuto almeno in parte a un effettivo peggioramento delle condizioni di salute degli Italiani, nel senso che sono più comunemente affetti da malattie. Non so quale sia la vostra esperienza, ma le persone che conosco, che sono sopra i 50 anni, sono afflitte da tutta una serie di acciacchi molto reali: diabete, ipertensione, depressione, gastrite, ulcera, allergie e chi più ne ha ne metta.

Cosa stiamo facendo di sbagliato? Sono fattori sociali, economici o ambientali? Può darsi che stiamo esponendo gli esseri umani a qualche fattore esterno che fa male? Nanopolveri, metalli, diossine, pesticidi, fertilizzanti, conservanti, brillantanti, coloranti o chissà che altro. E poi, stress, obesità, radiazioni elettromagnetiche e tante altre cose. E il cambiamento climatico? Non possiamo escludere nemmeno quello come fattore, soprattutto considerando che il fenomeno della riduzione della vita sana lo vediamo soprattutto nei paesi del Sud Europa, più esposti alle periodiche ondate di calore.

Insomma, ci sono troppi fattori, troppo complesse le loro interazioni. E non siamo per niente bravi a gestire sistemi "complessi" come il corpo umano o il clima terrestre. Se per il sistema climatico abbiamo dei modelli che ci dicono dove siamo diretti (più o meno), per il corpo umano, molto spesso annaspiamo nel buio senza sapere bene (o anche per niente) di quali possano essere gli effetti cumulativi dell'esposizione a sostanze e condizioni ambientali che i nostri antenati non avevano mai incontrato nel passato. 

Sembra proprio che - come sempre - ci stiamo lanciando verso il futuro a testa bassa e a occhi bendati. Ho il dubbio che non basti la dieta mediterranea a farci evitare di sbattere da qualche parte.

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*Nota: ma è poi vero che l'aspettativa di vita alla nascita in Italia continua ad aumentare? Secondo le tabelle ISTAT sembrerebbe così, con l'aspettativa di vita per il 2010 che è salita a 79.1 anni per i maschi e 84.3 anni per le femmine. Tuttavia, la CIA (nel suo "world factbook") ci dà un dato diverso: rispettivamente 77.4 per i maschi e 83.5 per le femmine. Se ha ragione la CIA, l'aspettativa di vita in Italia non è affatto aumentata, anzi è significativamente diminuita negli ultimi 3 anni.

Ora, non so a chi dare credito fra CIA e ISTAT, però noto una cosa preoccupante nella tabella ISTAT: i dati sono definiti come stimati, senza ulteriori spiegazioni. Dal che, deduco che sono estrapolazioni ma non dati sperimentali. In effetti, EUROSTAT lascia caselle bianche per i dati sull'aspettativa di vita in Italia dal 2008 al 2010.

Cosa è successo che ha fatto sparire i dati in Italia? Un complottista direbbe che qualcuno si sia spaventato all'idea di allarmare gli italiani con dati che mostrano che l'aspettativa di vita è in diminuzione. Oppure, forse il ministro Brunetta ha tagliato i fondi per i francobolli all'ufficio che si occupa di queste cose e così i dati sono rimasti nel cassetto. 

In ogni caso, se i dati disponibili sono estrapolazioni dalle tendenze del passato, è probabile che ISTAT stia facendo lo stesso errore che fa sempre l'IEA quando estrapola le tendenze produttive del petrolio. Estrapolando linearmente una curva in crescita, si trova sempre che la curva continua a crescere ma, sfortunatamente, esiste anche una realtà che non da retta alle estrapolazioni.

domenica 30 gennaio 2011

Gli errori di Al Gore: messaggio e messaggero nella comunicazione sul riscaldamento globale

Al Gore è grasso, Al Gore va in aereo, Al Gore consuma energia. Argomenti ripetuti fino alla nausea dai contraristi ma che sono un'indicazione che Al Gore ha sbagliato qualcosa di importante nel presentare la sua immagine nel dibattito in corso. (fonte)


Anni fa, mi ricordo che mio zio mi disse, "Io voto per Berlusconi; se è diventato ricco lui, vedrai che ci farà diventare ricchi anche noi".

Potete essere daccordo o no con mio zio, ma non si può negare che lui aveva percepito correttamente il messaggio che Berlusconi stava dando - e tuttora sta dando - al pubblico.

Berlusconi ha capito benissimo che il messaggero è parte integrante del messaggio. Il suo presentarsi come avvolto nel lusso e la sua pretesa prestanza sessuale sono parte integrante del suo messaggio. Ed è proprio il messaggio che aveva capito mio zio: "se io sono ricco, potente e ho tante donne" ci comunica Berlusconi, "lo potete essere anche voi".

La coerenza fra messaggio e messaggero è una delle ragioni del successo di Berlusconi. Certo, con le donne, sembra che ultimamente abbia esagerato, e non di poco. Ma il fatto che non ci siano reazioni contrarie particolarmente forti nell'opinione pubblica indica che, nel complesso, la sua strategia continua a funzionare.

Berlusconi non è l'unico che ha capito come gestire la propria immagine. In effetti, una delle strategie più efficaci nella comunicazione per il comunicatore è di immedesimarsi nel messaggio. Ci ricordiamo di George Bush Jr. che è apparso vestito da pilota da caccia su una portaerei per dare il suo messaggio di "missione compiuta" in Iraq. Bush guerriero è forse anche più improbabile di Berlusconi stallone (perlomeno, non puoi comprare in farmacia delle pillole che ti fanno diventare pilota da caccia). Ma anche Bush tendeva a dare un'immagine coerente con la sua politica di potenza militare. In politica, è l'immagine che conta, non la sostanza. Qui, il successo per Bush è stato di breve durata, ma indubbiamente c'è stato.

Ci sono molti altri esempi di leader la cui immagine è coerente con la loro politica - anzi, questa è un requisito cruciale per poter essere un leader. Non è necessario dare un'immagine di grande potenza sessuale o militare. Gandhi, per esempio, con la sua magrezza e il suo lenzuolo di lino addosso dava esattamente l'immagine che voleva dare quando chiedeva sacrifici al popolo indiano. A ognuno la sua immagine. Sarebbe stato sbagliatissimo per Gandhi presentarsi circondato da ragazzine in minigonna, così come per Berlusconi lo sarebbe presentarsi vestito soltanto di un lenzuolo di lino.

Ora, il punto che vorrei discutere qui è la comunicazione di un messaggio che è vitale per la nostra stessa sopravvivenza. Questo messaggio è quello della realtà del cambiamento climatico causato dall'uomo e dalla necessità impellente di prendere provvedimenti per ridurne gli effetti negativi.

Abbiamo detto che messaggio e il messaggero sono strettamente correlati. Qui, ci rendiamo conto che quello che è forse il messaggero principale sulla questione del riscaldamento globale, Al Gore, ha fatto dei gravi errori. Non è riuscito a dare un'immagine di se coerente con il messaggio che cercava di dare.

Quello sul riscaldamento globale è un messaggio che parla di sacrifici. Per quanto si possa indorare la pillola, questa cosa non la puoi ignorare. E, allora, ci voleva un'immagine appropriata. Non che Al Gore si sarebbe dovuto presentare vestito solo di un lenzuolo di lino come Gandhi, ma certamente ha trascurato il problema. Il fatto di essere grasso, di avere estese proprietà, di non negarsi niente di quello che i ricchi possono avere (incluso divorziare dalla moglie per una donna più giovane) - sono tutte cose poco coerenti con il messaggio della necessità di sacrifici. Su questo punto, le forze dell'anti-scienza hanno potuto montare facilmente una campagna aggressiva di denigrazione che è risultata piuttosto efficace.

Il problema si pone anche per quelli che sono i tipici messaggeri del cambiamento climatico: gli scienziati. Se ci pensate sopra, vedrete subito che il tipo di immagine che danno di se gli scienziati non è adatto a parlare di sacrifici. Lo scienziato, nella comune visione, è una figura benevola e anziana, tipo Einstein o il suo alter-ego filmico, Doc Emmett Brown di "Ritorno al Futuro". In questa immagine, lo scienziato viene fuori come il "nonno buono" che ti porta al negozio di giocattoli e ti compra quello che vuoi. Così, lo scienziato nel suo laboratorio inventa tutti quei bei giocattoli che ci piacciono tanto: telefonini, tv a grande schermo, videogames, e tutto il resto. E' la figura di Babbo Natale - che poi in pratica è più un nonno che un padre (e, infatti, in Russia, Babbo Natale viene chiamato "Nonno Gelo").

Se a tutto questo si aggiunge che lo scienziato in media trascura completamente il problema della comunicazione, convinto che basti "far parlare i fatti," allora vediamo che non ci siamo proprio. Non c'è troppo da stupirsi della reazione rabbiosa, addirittura violenta, che si è scatenata quando gli scienziati hanno cercato di dire alla gente che erano necessari dei sacrifici per fronteggiare il riscaldamento globale. E' un'incoerenza di presentazione; uno scollamento fra messaggio e messaggero. E' come per dei bambini prendersi uno scappellotto dal nonno: non si fa, non è nel personaggio. E' come se Babbo Natale portasse veramente il carbone: in pratica non succede mai.

Quindi, dobbiamo ragionare su queste cose; è vitale. Dobbiamo capire che con il messaggio che stiamo cercando di dare non possiamo più presentarci come dei piccoli Babbo Natale o - peggio - come dei nerd che bisogna lasciare in pace, tanto sanno loro cosa fare.

Curiosamente, quale immagine dobbiamo prendere ce lo fa vedere proprio Al Gore. Nel suo film "una scomoda verità" aveva fatto tutto bene; incluso scegliere il modo di presentarsi. Se ci pensate sopra, il momento più bello e più toccante del film è quando Al Gore ci racconta della sua famiglia; di quando si era preoccupato che suo figlio potesse morire. Ne viene fuori un'immagine sincera di una persona preoccupata. E' la figura del padre. 

Siamo arrivati al nocciolo della faccenda: chi è che ti può chiedere dei sacrifici nella tua vita? Tipicamente è tuo padre. E' una persona che non può agire altrimenti che per il tuo bene e che, proprio per questo, ti può chiedere - e anche ordinare - di non fare delle cose che tu invece vorresti fare; dal rubare la marmellata al mangiarti la torta alla crema tutta intera.

Il buon genitore è una figura nella quale hai fiducia e proprio per questo accetti da questa figura anche dei rimbrotti o delle richieste di sacrifici. Pensate a una cosa: nella vita, chi è che vi può parlare di cose brutte come la morte, la sventura e il dolore? Tipicamente, è un religioso. E come lo chiamate un religioso, un prete o un frate? Lo chiamate Padre. Anche se non siete religiosi, sarete daccordo sul fatto che la Chiesa Cattolica in 2000 anni certe cose le ha imparate.

Ne consegue che chi vuole comunicare sull'argomento del cambiamento climatico, deve cercare di assumere un ruolo adatto. Non deve necessariamente assumere il ruolo del padre, ma comunque quello di una persona di fiducia che ti può dare un consiglio disinteressato - per il tuo bene.

Ovviamente, bisogna evitare di scivolare nel paternalismo: se uno vuol prendere un ruolo del genere, non lo può pretendere; deve meritarselo. Ovvero, deve meritarsi la fiducia dei suoi interlocutori. Non è soltanto una questione di immagine ma anche - e soprattutto -  di sostanza. Non siamo politici che controllano i media e anche se lo potessimo fare non sarebbe giusto farlo. Il modo migliore per avere fiducia da chi ti circonda è di essere una persona alla quale si  può dare fiducia.

Su questo punto, io credo che gli scienziati abbiano fatto l'errore di non apparire per quello che veramente sono - ovvero quasi sempre persone oneste, dedicate al loro lavoro, entusiaste di quello che fanno e che fanno per compensi finanziari modestissimi. Pensate a Rajendra Pachauri, presidente dell'IPCC. E' stato oggetto di un'infame campagna di denigrazione ma, a una verifica, ne è venuta fuori una persona ammirevole e di specchiata onestà. L'errore di Pachauri, tuttavia, è stato di essere soltanto una persona onesta e di non preoccuparsi a sufficienza anche di apparire come tale. Lui e moltissimi scienziati sono persone perfettamente adeguate al ruolo di figura di riferimento alla quale si può dare fiducia.

Si tratta allora di cominciare a pensare in questi termini. Tutti quelli di noi (anche se non sono scienziati) che si sentono addosso la responsabilità di salvare gli umani da loro stessi, devono pensare a presentarsi in modo adeguato. Vuol dire prima di tutto essere persone serie nel senso di sapere di cosa si parla, vuol dire lavorare seriamente e con impegno. Vuol dire agire in modo coerente con il messaggio. Non vuol dire andare in giro vestiti con un lenzuolo come Ghandi, ma dobbiamo mettere in pratica le cose che diciamo agli altri. Per esempio, se diciamo che bisogna emettere meno carbonio, non dobbiamo e non possiamo presentarci in giro con la SUV.

Io credo che queste cose tutti noi più o meno le stiamo facendo, ma dobbiamo fare di più per farlo sapere e dobbiamo comportarci in modo consistente. Anche nei dibattiti, è questione di acquisire un certo "stile". Alle volte, ti trovi di fronte a persone che si comportano come dei bambini che fanno le bizze. Con questi, non è necessario essere aggressivi, ma devi riconoscerli per quello che sono. Un bambino che ha una bizza può fare un gran rumore, ma un padre o una madre che gli vogliono veramente bene non gli daranno ragione per questo.

sabato 29 gennaio 2011

mercoledì 26 gennaio 2011

Il "Rapporto Montford:" sono veramente alla frutta


Arriva in questi giorni la traduzione in italiano del cosiddetto "Rapporto Montford." Roba vecchia e stantia già quando era apparsa in inglese, cinque mesi fa, ancora più stantia oggi. E' un'ulteriore disamina del cosiddetto "scandalo Climategate;" come se non ce ne fossero state abbastanza. Mentre la scienza avanza e scopre sempre cose nuove, questi non trovano di meglio che frugare in messaggi vecchi di dieci anni cercando di trovarci la "prova" di un complotto o di chi sa quali imbrogli.

Non hanno trovato nulla e il rapporto Montford non contiene niente che non si sapesse prima. Questa non è scienza, è propaganda politica generata da una fondazione ("Global Warming Policy Foundation") che è politica in origine e che non comprende fra i suoi membri nessuno degli scienziati impegnati nella ricerca climatologica moderna.

Insomma, i diversamente esperti di clima sono veramente alla frutta per ridursi a a non aver niente di meglio da proporre a supporto delle loro tesi. Con gli ultimi dati che indicano un'accellerazione del problema climatico e il fatto che il 2010 sia risultato l'anno più caldo nella storia delle misure di temperatura globale, sarebbe il caso di dedicarsi a qualcosa di più serio.

Comunque, ecco a voi il comunicato in proposito, con il link al rapporto completo. E' pura fuffa, ma vi può incuriosire darci un'occhiata.


Torino - Cosa significa realmente il climategate? Le principali indagini hanno scagionato gli scienziati dell'Università della East Anglia, ma un nuovo rapporto legge tra le righe dei relativi risultati e trova le conferme di alcuni sospetti sulla non imparzialità delle indagini stesse. Il rapporto, condotto da Andrew Montford e pubblicato dalla Global Warming Policy Foundation, è ora disponibile in italiano grazie all'Istituto Bruno Leoni. Il rapporto, preceduto da una prefazione di Maurizio Morabito significativamente intitolata "l'autodistruzione della climatologia", rintraccia i limiti delle maggiori indagini condotte sulle mail dei climatologi. Esse, scrive nell'introduzione Lord Turnbull, "non sono riuscite a raggiungere i loro obiettivi, che prevedevano una conclusione rapida e definitivail ripristino di un livello di fiducia adeguato da parte del pubblico. Le relazioni ricordano più il rapporto Widgery (che esonerò nel 1972 le truppe britanniche dall'accusa di aver sparato su civili inermi a Belfast nella strage del "Bloody Sunday", offendendo i civili definiti come "terroristi dell'Ira armata") che il rapporto Saville (che ha rovesciato le conclusioni di Widgery alcune settimane fa). Scrivendo in un articolo sul periodico The Atlantic, Clive Crook del Financial Times ha parlato di "un ethos da pensiero di gruppo soffocante", di cui fanno parte sia i membri delle Commissioni sia gli scienziati coinvolti, come Andrew Montford ha scoperto".

Il rapporto di Andrew Montford, "L'inchiesta sul climategate", è liberamente scaricabile qui:

http://brunoleonimedia.servingfreedom.net/Papers/Climategate-GWPF-Report-ITA.pdf

lunedì 24 gennaio 2011

Mai mettersi in una situazione senza uscita


Il capitano Kirk, interpretato da William Shatner nella prima serie di Star Trek. Una delle frasi ben note del personaggio è "non mi metto mai in una situazione senza uscita" ("I never put myself in a no-win situation"). La saggezza, alle volte, viene da fonti inaspettate. 


Nella vita, ti capita a volte di dover rinunciare a qualche idea che ti era parsa buona al principio. A me è capitato, per esempio, nel caso dell'idrogeno come carburante per veicoli: Inizialmente avevo abbracciato con entusiasmo il concetto, ma poi mi sono accorto che era una sciocchezza, perlomeno nel modo in cui viene proposta comunemente. Quando l'ho detto pubblicamente, qualcuno mi ha dato di voltagabbana, qualcun'altro mi ha sparato addosso una raffica di insulti - ma mi sembrava giusto dirlo e l'ho fatto.

Ci vuole un certo coraggio per ammettere i propri errori, ma il consiglio del capitano Kirk è quello giusto: non ti mettere mai in una situazione senza uscita. Questo vuol dire che non c'è infamia nel cambiare idea quando ti accorgi di aver avuto torto. Ma lo devi fare appena te ne accorgi. Se invece insisti, ti troverai in una situazione senza uscita. Allora, se non hai più argomenti non ti restano che gli insulti.

Questa è la situazione di molti pseudo-scettici climatici. Credo di potermi immaginare di come hanno cominciato. Inizialmente, sembrava un gioco; era una cosa divertente prendere in giro quei pomposi scienziati. Era un piacere lanciare battute cattive verso quei nerd che si erano fatti trovare con le mani nella marmellata a dir male dei colleghi e a parlare di "nascondere il declino". Ed era facile prendersela con quegli ambientalisti del piffero, verdi fuori e rossi dentro. Tutto questo ti dava una certa notorietà, ti portava lettori al blog e poi, chissà, avrebbe potuto portare anche più lontano.

E poi, invece, ti accorgi che non è un gioco. Ti accorgi che hai di fronte degli scienziati veri e che tu sei solo un dilettante. Ti accorgi che sei un meccanico di biciclette che ha cercato di insegnare agli ingegneri della Boeing come progettare un 747. Ti accorgi che tutte le tue argomentazioni sono state demolite una per una. Che il pianeta si scalda veramente. Che ci stanno arrivando addosso una serie di disastri climatici, uno dopo l'altro e che è colpa nostra. Che siamo di fronte a un rischio serio, grave, imminente, per tutti noi e per i nostri figli.

E allora? E allora sei in una situazione senza uscita e se non hai il coraggio di cambiare idea, non ti restano che gli insulti.

Qui di seguito, vi passo un esempio di un testo di uno pseudo-scettico climatico ridotto allo stremo: senza più argomenti non gli restano che insulti. Credo non abbia bisogno di commenti. (Ma vedi anche questo post di Sylvie Coyaud)

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http://www.climatemonitor.it/?p=15369


Sciacalli, avvoltoi, allodole ed altro bestiario climatico

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  1. Sciacalli climatici: figure tipiche dell’attivismo cambioclimatista estremo: dicesi di coloro che passano il loro tempo a cercare notizie di disgrazie altrui di carattere meteorologico. Spesso non riescono a contenere la gioia quando migliaia sono vittime di alluvioni o uragani. Avendo suscitato ribrezzo fra chi abbia il dispiacere di ascoltarli, si ritirano in gruppi ristretti di persone che la pensano allo stesso modo.
  2. Avvoltoi climatici: figure tipiche della leadership dell’attivismo cambioclimatista estremo: dicesi di coloro che nutrono le loro fissazioni sociopolitiche con le summentovate disgrazie, escogitano elucubrazioni sempre più’ complicate “dimostrando” come abbiano avuto ragione fin dall’inizio. Spesso non riescono a contenere la gioia quando migliaia sono vittime di alluvioni o uragani. Politicamente si ritengono efficaci dato il largo seguito fra le elite radical-chic, ma non si accorgono che proprio la loro azione estremamente polarizzante impedisce che dalle parole si passi all’azione.
  3. Allodole climatiche: figure tipiche del giornalismo cambioclimaconformista: dicesi di coloro che ripetono ogni informazione passata loro “dagli scienziati”, senza mostrare alcuno spirito critico e bevendosele praticamente tutte (a patto, naturalmente, che si tratti di notizie compatibili con catastrofi prossime venture). Sono invidiati da tutti perché nel loro mondo ci sono “buoni” e “cattivi”, e nient’altro. Hanno successo nei media perché’ raccontare scenari catastrofici paga (un tanto ad articolo), ma per lo stesso motivo non riescono a convincere i titillati lettori a passare alla pratica.
  4. Cani climatici: figure tipiche della scienza cambioclimatista che gioca alla politica: dicesi di coloro che, dopo aver studiato e faticato per anni per specializzarsi nel loro ramo, improvvisamente quando si parla di clima diventano esperti in politica, prescrivendo questa o quella soluzione e/o inserendo considerazioni inopportune e ingiustificate nei loro articoli scientifici, abstract inclusi. Molto popolari fra gli “scettici” perché fonte inesauribile di umorismo involontario, sono politicamente inefficaci: rimangono inascoltati perché e’ difficile insegnare al ciabattino come riparare le scarpe.
  5. Iene climatiche: figure tipiche del cambioclimatismo internettiano: dicesi di coloro che, pur simili agli sciacalli, si coalizzano in branchi determinati a isolare e virtualmente eliminare chi la pensi diversamente. Fanno di ogni erba un fascio, e di ogni domanda una lesa maestà finanziata dai fratelli Koch. Ottimi interlocutori per consolidare la propria conoscenza dei vituperi più diffusi, non riescono a capire che se devono ritornare sempre sugli stessi argomenti sarà pure perché quelli sono puntualmente poco convincenti.
  6. Camaleonti climatici: figure tipiche degli scienziati/opinionisti con conoscenze di climatologia: dicesi di coloro che riescono a spiegare come la siccità’, l’alluvione, il tempo sereno e la pioggia che capitino in una stessa regione siano tutte prove della gravità dei cambiamenti climatici di origine antropogenica. Molto popolari tra le allodole climatiche, reagiscono in maniera particolarmente violenta le poche volte che capiscono che le solite storielline non convincono altri che i già-convertiti.
  7. Bradipi climatici: figure tipiche degli scienziati/opinionisti senza conoscenze di climatologia: dicesi di coloro che non si accorgono che la scienza va avanti, e che ci sono nuove teorie, nuove osservazioni, nuove analisi, e invece scrivono tutti gli anni, non necessariamente a Ferragosto, la solita solfa fritta e rifritta. Ottimi per riempire trasmissioni radiofoniche e pagine di giornali, non riescono mai ad essere citati a più di 18 ore dalla loro comunicazione al mondo.
  8. Vermi climatici: figure tipiche del blogging cambioclimatista semiprofessionale: dicesi di coloro che, avendo proclamato l’urgenza dell’azione contro il riscaldamento climatico, gigioneggiano invece in assurde analisi psicologiche dei visitatori al loro sito, cercando di spargere il fango di cui evidentemente si nutrono. Sono salvati da ulteriori imbarazzi dal fatto che gli anziani genitori non passano di solito il loro tempo a leggere i blog dei figli. Influenza nel discorso climatico, zero su zero, visto che non hanno letteralmente niente da contribuire.
  9. Sanguisughe climatiche: figure tipiche della ricerca cambioclimatista: dicesi di coloro che, avendo capito l’antifona, riescono ad agganciarsi al treno delle cornucopie, specie se comunitarie, ottenendo misteriosamente contributi di diversi milioni di euro per progetti misteriosamente senza alcun dettaglio pubblico, su internet o altrove. Si considerano particolarmente influenti, anche se devono impegnarsi a fondo per nascondere ai loro potenti amici l’assenza di risultati concreti.
  10. Ricci climatici: figure tipiche del blogging cambioclimatista semiamatoriale: dicesi di coloro che si gingillano con l’onanismo mentale piu’ sfrenato, e di fronte all’esistenza di persone che non li adulano e non li adorano, sognano di avere la capacita’ di chiudersi dentro un magico campo di forza all’interno del quale scorrano latte e miele.
  11. Maiali climatici: figure tipiche del cambioclimatismo nongovernativo: dicesi di coloro che pianificano la raccolta fondi in base al tema della successiva megaconferenza internazionale ONU, nel senso di escogitare nuovi schemi per presentare i loro obiettivi come fondamentali riguardo la megaconferenza medesima. Avendo perso di vista l’obiettivo iniziale (aiutare chi ha bisogno, invece che raccogliere soldi) corrono continuamente il rischio di concentrare le varie organizzazioni sulla loro sopravvivenza come organizzazioni sempre più’ grandi e sempre meno efficaci.

domenica 23 gennaio 2011

Cambiamento climatico: paleontologi e picchisti a confronto.


Da sinistra a destra, Michael Benton, Telmo Pievani e Peter Ward al convegno "La Fine del Mondo" al festival delle scienze del 2011 a Roma. 


Sono di ritorno dal festival delle scienze di Roma - è stata una cosa un po' faticosa, ma ne valeva la pena. Ho parlato di picco del petrolio insieme a Kjell Aleklett, presidente di ASPO. Ma credo che la conferenza di Micheal Benton e Peter Ward sia stata più interessante della nostra.

Benton e Ward sono due grandi della paleontologia mondiale. Entrambi sono oratori favolosi. Quando cominci a sentirli, non ti stacchi più. Qualcosa di quello che hanno detto lo trovate in due post precedenti su "Cassandra," basati in buona parte sui lor testi. Il discorso di Benton è stato più che altro sulle estinzioni del passato, e ne trovate una versione molto simile qui. Ward ha parlato dell'evoluzione futura del pianeta, è molto di quello che ha detto lo trovate qui.

Una cosa è leggere quello che una persona pubblica, un'altra è parlargli di persona a cena. E, in effetti, Ward e Benton si rivelano persone affascinanti e di grandissima cultura. E' stato curioso questo confronto fra  paleontologi e picchisti (c'era anche Kjell Aleklett a tavola). Sia picchisti che paleontologi hanno una visione a lungo termine del futuro, ma mentre i picchisti ragionano in termini di decenni, i paleontologi ragionano in termini di milioni di anni. In entrambe i casi, comunque, è sempre più della visione dei politici, che ragionano in termini dei pochi anni che li separano dalle prossime elezioni.

Dal punto di vista dei paleontologi, il cambiamento climatico è una minaccia terribile. Loro, che sono esperti di estinzioni di massa, vedono benissimo le somiglianze e capiscono benissimo come potremmo fare la fine dei dinosauri per gli stessi motivi, ovvero riscaldamento globale causato da un effetto serra incontrollato. Sia Benton che Ward non hanno dubbi sul fatto che stiamo distruggendo il pianeta con le nostre emissioni di CO2. Devo dire, però, che vedono la cosa con una certa filosofia. In fondo, tante specie sono esistite, tante sono scomparse, capiterà anche a noi; è nella natura delle cose.

Curiosamente, forse, sono rimasti piuttosto sorpresi dall'esposizione sul picco del petrolio che abbiamo fatto io e Aleklett. Non si aspettavano che il problema fosse così immediato. Un conto è parlare di estinzione; che prende pur sempre un certo tempo. Un altro è rendersi conto che stiamo vedendo - ora - la fine di un era: quella dei combustibili fossili a buon mercato. Peter Ward mi ha detto che era rimasto molto colpito e che era preoccupato per suo figlio, che ha 14 anni e che era anche lui con noi.

E questo porta alla domanda da qualche trilione di dollari: è possibile che il picco del petrolio ci salvi dal riscaldamento globale? E' qualcosa che più di uno mi ha chiesto al Festival e che ho cercato di esaminare nella mia conferenza.

In effetti, sembra che il picco, e il conseguente rallentamento dell'economia mondiale, stiano perlomeno riducendo la crescita delle emissioni di CO2. Questi sono i dati più recenti disponibili, da nature, una slide che ho fatto vedere al convegno. (Da  Friedlingstein et al.  Nature Geoscience  (2010))


Basta questo a salvarci? Purtroppo, molto probabilmente no. Come ho discusso in un post su "The Oil Drum" anche con ipotesi piuttosto drastiche in termini della riduzione di emissioni causata dal picco, è probabile che arriveremo a una concentrazione intorno o maggiore di 500 parti per milione di CO2, che dovrebbe essere più che sufficiente per farci tutti bolliti, specialmente considerando gli ultimi risultati che indicano che il fattore di sensibilità del clima per la concentrazione di CO2 potrebbe essere maggiore di quanto non si credesse.