giovedì 10 gennaio 2019

Il Lato Positivo del Declino Energetico




Antonio Turiel, fisico, ricercatore presso il Centro Studi di Scienze Marine (CSIC) di Barcellona. Da anni tiene il blog "The Oil Crash," dedicato all'esaurimento delle risorse. uno dei più popolari fra quelli in lingua spagnola.


Le buone notizie
Da The Oil Crash, Lunedì 17 settembre 2018

Traduzione di Marco Sclarandis

 

Di Antonio Turiel

Cari lettori:

In tutto questo blog , i problemi che la società industriale sta causando a causa della riduzione dell'energia disponibile sono stati discussi in numerose occasioni. Spesso ci siamo intrattenuti per analizzare fino a che punto la discesa energetica può compromettere la stessa continuità della nostra società, e se alla fine collasseremo o meno. Tutto il discorso che abbiamo fatto finora è che la graduale perdita di energia disponibile è un problema molto serio e che saremo solo rattristati e delusi, permettendoci di chiarire se questi saranno più o meno profondi, più difficili o più sopportabili. Il fatto è che, dopo più di otto anni da quando ho aperto questo blog, non abbiamo ancora analizzato la parte positiva del declino energetico.

Eppure c'è davvero un lato positivo associato al declino dell'energia. Il fatto che nei prossimi decenni dobbiamo vivere con meno energia implica che, per certi aspetti, si verificheranno una serie di miglioramenti piuttosto sostanziali rispetto alla situazione attuale. Questi miglioramenti, ovviamente, non annullano o eliminano il deterioramento che subiremo in altre aree; ma avere la prova di questi effetti benefici può aiutarci ad avere una prospettiva più corretta di quale sia lo scenario che dovremo affrontare. Ed è che molte volte crediamo che in futuro tutto sarà molto più difficile perché supponiamo che dovremo continuare ad allocare le stesse risorse per fare le stesse cose che facciamo ora, quando invece è probabile che alcune cose miglioreranno da sole e in tal modo ci alleggeriranno, in parte, il pesante fardello futuro.

Non ne abbiamo mai parlato prima ed è probabilmente un buon momento per affrontare questo problema. È tempo di parlare delle buone notizie. In quanto segue, ne farò un elenco non esaustivo, spiegandoli e contestualizzandoli.


Limiteremo il cambiamento climatico: attualmente l'aumento della concentrazione di CO2 atmosferica continua oltre 2 parti per milione (ppm) all'anno. In recenti dichiarazioni , il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha affermato che "i cambiamenti climatici si stanno muovendo più velocemente di noi" e che le società umane devono essere convocate per evitare il peggio di questa minaccia, e in ogni caso prima del 2020. Naturalmente Non c'è nemmeno la minima indicazione che una decarbonizzazione così drastica e rapida avrà luogo nei prossimi due anni. Tuttavia, l'inevitabile e probabilmente precipitoso declino della produzione petrolifera , proprio con la crisi economica che si scatenerà, avrà un effetto devastante sulla domanda e il consumo di petrolio (sapete, la spirale) e avrà un effetto simile a quello che abbiamo visto nel 2009 e negli anni seguenti: una significativa diminuzione delle emissioni di CO2.

Ma in questo caso, poiché la crisi diventa sistemica e installata, il declino non sarà temporaneo, ma permanente. È vero che, nella disperazione dell'attuale capitalismo per sopravvivere un po 'più a lungo, a breve termine ricorreremo senza dubbio a fonti energetiche più inquinanti con emissioni di CO2 più elevate per Joule di energia prodotta , ma ancora la nostra curva delle emissioni alla fine sarà significativamente inferiore a quella prevista dai modelli climatici.

Ci sono due importanti puntualizzazioni riguardo quest'ultima affermazione.La prima, che tutti i modelli IPCCsulla previsione dell'evoluzione del clima del pianeta contemplano una grande percentuale di assorbimento delle emissioni di CO2 attraverso tecnologie di cattura e sequestro del carbonio, tecnologie che non sono sviluppate e molto meno implementate su scala significativa. Pertanto, il calo delle emissioni associato al declino energetico del petrolio e di altre materie prime non rinnovabili non migliorerà di molto le attuali previsioni climatiche, perché prevedono che la cattura del carbonio non verrà prodotta. Il secondo requisito è che, data l'inerzia del clima, anche se le emissioni cessassero proprio ora, il pianeta continuerebbe a scaldarsi per molti decenni e gli effetti dell'attuale cambiamento climatico non verrebbero compensati fino a che non fosse passato almeno un millennio, che è il tempo di cui la Terra ha bisogno di sbarazzarsi dell'attuale eccesso di CO2 atmosferica.

Nonostante tutto, la discesa energetica implicherà, senza dubbio, che non stiamo destabilizzando il clima tanto quanto faremmo se avessimo a disposizione più combustibili fossili; e questo sicuramente implica che il problema avrà una grandezza più gestibile (pur con la difficoltà di gestirlo in ogni caso).


Stiamo per ridurre (in parte) l'inquinamento: In relazione a quanto sopra, la discesa energetica implicherà una diminuzione del commercio globale, del trasporto di merci, della produzione dello stesso e della generazione di rifiuti. L'attività industriale sarà notevolmente ridotta e dovrà diventare molto più efficiente nell'uso delle materie prime. Pertanto, la quantità di rifiuti generati sarà molto inferiore a quella corrente, probabilmente diversi ordini di grandezza più bassi. Il che sarà molto conveniente, perché l' enorme pressione umana sul pianeta sta creando problemi molto seri , e anche se dovremo affrontare molti dei problemi generati dai nostri rifiuti per molti decenni, forse anche millenni, il fatto di non generarne di più sarà senza dubbio molto utile. Inoltre, smettendo di generare più rifiuti, stiamo dando un'opportunità alla capacità di riciclaggio / rigenerazione del pianeta che non abbiamo ancora danneggiato eliminandoli.

Ridurremo la nostra pressione sugli ecosistemi: Il potenziale distruttivo dell'umanità è notevolmente amplificato dall'abbondanza di energia a prezzi accessibili. L'esaurimento delle attività di pesca, le molestie delle ultime riserve di animali selvatici, la profonda trasformazione della biosfera planetaria per ospitare le massicce attività agro-zootecniche ... tutto questo diminuirà di intensità nei prossimi decenni perché semplicemente non avremo abbastanza energia per continuare con l'attuale ubriachezza estrattiva e distruttiva. Gli ecosistemi più danneggiati, destabilizzati o direttamente distrutti verranno progressivamente sostituiti da nuovi, che potrebbero essere molto diversi da quelli precedenti e non necessariamente molto vantaggiosi per gli esseri umani. L'avvertimento principale è che a breve termine, nell'agonia del capitalismo finanziario globale,Lo scenario più probabile è che alcuni ecosistemi fondamentali saranno sfruttati in modo molto insostenibile (ad esempio, attraverso l'abbattimento incontrollato delle foreste per produrre legna da ardere c sia per il riscaldamento che per la produzione di calore industriale) gas combustibili per veicoli ). Ma a medio e lungo termine, la necessità di adattarsi ai limiti biofisici, che saranno anche più territorializzati, porterà a nuovi equilibri (che in alcuni casi comporteranno l'eradicazione locale della specie umana).

La Singolarità non ci sarà: una delle ricorrenti ossessioni degli specialisti tecnologici ed economici del nostro tempo è che, con il progressivo miglioramento nello sviluppo dell'Intelligenza Artificiale (IA) e con l'estensione di Internet, improvvisamente si verificherà la Singolarità: un momento nel quale l'intelligenza artificiale sarà in grado di migliorarsi in modo esponenziale e questo farà sì che l'intelligenza artificiale superi tutta la capacità intellettuale umana, che naturalmente porterà l'IA a prendere il controllo del pianeta. L'ipotesi della Singolarità tecnologica ha due gravi problemi, oggi. La prima è che i progressi nell'IA, per quanto importanti, sono stati enormemente esagerati dalla stampa generale, e la verità è che siamo ancora lontani dall'essere in grado di fare cose che un umano trova fondamentali (al margine è l'obiezione irrisolta sollevata da Roger Penrose secondo cui l'intelligenza umana non è di natura algoritmica e quindi non è imitabile dalle IA classiche). Il secondo problema, poco studiato in generale, sta nel fatto che i grandi esperti presumono che l'IA sarebbe un'entità con poca carica materiale o virtualmente immateriale, quando è esattamente l'opposto: al momento, le operazioni ordinarie di Internet rappresentano circa il 5% del consumo globale di elettricità e continuando ad aumentare al ritmo attuale diventerebbero già il 20% del consumo di elettricità nel 2025. Ma se si tiene conto del costo energetico della produzione di tutte quelle apparecchiature (dai grandi data center ai miliardi di computer e telefoni cellulari, passando per centinaia di migliaia di chilometri di vari cablaggi), la quantità di energia consumati annualmente sono molte volte maggiori, tanto che oggi le Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione (ICT) implicano il consumo di oltre il 4% di tutta l'energia (non solo l'elettricità) nel mondo, e se questo dovesse continuare, arriverebbe rapidamente oltre il 25% prima di un decennio. In nessun modo le TIC sono immateriali; persino peggio, le tecnologie più avanzate utilizzano elementi chimici di produzione difficile e costosa, le cosiddette terre rare, che non solo portano a importanti guerre commerciali tra paesi, ma che consumano un grande consumo di energia nella sua estrazione e lavorazione. Il fatto è che la Singolarità non si verificherà perché il pianeta non può sostenere la sua immensa energia e l'impronta materiale.

Il lavoro umano non scomparirà a causa della robotizzazione:  Come derivato, su una scala più piccola di quanto sopra, un'altra delle minacce con cui gli esperti ci spaventano non accadrà: quella della massiccia sostituzione di posti di lavoro a causa del progresso tecnologico e della robotizzazione. Intendiamoci: robotizzazione - anzi, l'automazione in molti processi di fabbricazione, non è qualcosa che sta per accadere, ma si è verificato decenni fa , soprattutto in quei compiti che possono essere facilmente automatizzate; questo è il caso, per esempio, di molte linee di assemblaggio di produzione. Eppure, in molti processi la supervisione umana resta cruciale, perché gli attuali sistemi di intelligenza artificiale sono ancora troppo imperfetti, troppo limitati per affrontare l'enorme diversità e la casistica dei problemi che si incontrano nel mondo fisico e reale. Ciò spiega, ad esempio, i problemi che ha trovato il produttore di auto elettriche Tesla, nella promessa di realizzare grandi produzioni di automobili grazie a: L'estrema automazione delle loro fabbriche ha scoperto che l'automazione estrema è meno efficiente dell'uso degli esseri umani a tale scopo - e , naturalmente, gli umani devono essere pagati con un salario. E se la cosa non si limita ad un allarme su una catena di montaggio, puoi farti un'idea di quanto siamo lontani dal sostituire altri lavori più sofisticati in ambienti meno controllabili. Il tema della robotizzazione è molto costoso per gli alti sacerdoti di quella setta religiosa distruttiva conosciuta come liberalismo perché permetterebbe loro di raggiungere una produttività per lavoratore infinito (senza lavoratori), ma è un errore logico completo. E che robottizzare tutte le aree comporta un investimento di ingenti risorse, input per creare l'intelligenza artificiale, ma anche di sviluppare tutti questi programmi che si adattano ad ambienti complessi (e gli ambienti meramente linguistici non sono meno complessi di quelli completamente fisici) e creare quei sistemi fisici che, alla fine, hanno anche una base materiale.


Stiamo per virtualizzare il lavoro: Uno dei grandi problemi del nostro tempo è l'ipermobilità: ci muoviamo continuamente, rapidamente, ovunque. Andiamo in vacanza letteralmente dall'altra parte del mondo (beh, quelli che possono permetterselo), ma anche per andare al lavoro e per il resto delle attività quotidiane ci spostiamo a dozzine, a volte anche a centinaia di chilometri. I lavoratori sono espulsi dal centro delle città a causa degli alti prezzi degli alloggi, specialmente in quelli che soffrono di questo processo chiamato "gentrification".E sono costretti a vivere ai margini e aumentare il loro tempo di pendolarismo (si sa, il ricco paga con i soldi e il povero con il tempo).I lavoratori poco qualificati sono, sopra, perso il lavoro, come le fabbriche si sono trasferiti in manodopera a basso costo in altri paesi del lavoro e dei prodotti pronti vengono portati da lì in grandi navi da carico. È un flusso veloce e costante di persone e materiali.

Tutta questa dissolutezza è stata possibile grazie ai combustibili fossili, all'enorme quantità di energia a basso costo che avevamo. Ma questo è esattamente ciò che sta finendo. Negli anni a venire, nei prossimi decenni, la produzione di qualsiasi bene che si vuole vendere qui dovrà essere localizzata da qualche parte nelle vicinanze, perché il trasporto di merci e persone non sarà così economico - a volte non sarà nemmeno possibile . Ciò implica che i posti di lavoro verranno ricreati a livello locale, lavori che saranno molto meno automatizzati, perché alcuni processi automatici comportano un notevole dispendio energetico. Forse non sono grandi lavori, forse i salari non saranno così grandi, ma quando il rombo del crollo del nostro castello di carte è cessato ci saranno molte opportunità di lavoro per coloro che sanno adattarsi.


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I rischi della discesa energetica rimangono gli stessi di prima: Possiamo cedere all'autoritarismo e guerre, possiamo comprimere ad una misura maggiore o minore , ci può essere carenza di cibo o acqua, che possono distruggere anche molti ecosistemi aggrapparsi a un modello insostenibile, e dovremo affrontare un cambiamento climatico che durerà a lungo. Eppure, sapendo che, nonostante tutti, gli effetti saranno benefici, può aiutare a focalizzare la nostra attenzione su quegli altri aspetti il cui futuro è più incerto o peggio di assicurazione.

Ci concentriamo molto su ciò che perdiamo (o ciò che pensiamo di perdere) che non vediamo ciò che guadagniamo. Tra l'altro perché il guadagno in molti casi avviene attraverso l'eliminazione di qualcosa; qualcosa che è male in realtà, ma qualcosa che è perso, allo stesso modo e per la stessa ragione per cui perderemo le cose buone. La cosa più curiosa è che ci saranno molte persone che interpreteranno questa eliminazione di qualcosa di negativo come una perdita quando in realtà è un guadagno (come se, ad esempio, non ci piacesse l'eliminazione di un tumore perché, dopo tutto, il tumore era "parte del nostro corpo"). Abbiamo valori così sovvertiti che non sappiamo nemmeno cosa abbia senso difendere, cosa dovremmo davvero preservare e cosa dovremmo effettivamente eliminare. Quindi forse la prima cosa da recuperare è il buonsenso.



Saluti.

AMT





Tag: buone notizie , cambiamenti climatici , discendenza energetica , pressione antropica , delocalizzazione.

lunedì 7 gennaio 2019

Presentazione del libro 'Il Secolo Decisivo: storia futura di un'utopia possibile'



Federico Tabellini è l'autore di questa presentazione del suo libro "Il Secolo Decisivo". 
 

In questa età dominata dal qui e ora, è raro si discuta di futuro, e quando lo si fa, il più delle volte è per ricordare quanto male le cose potrebbero andare di qui a qualche decennio. 

Quello di cui vi voglio parlare oggi, invece, è proprio un libro sul futuro. Su un futuro prospero, per la precisione, e sul cammino in divenire che lo collega al nostro presente. Ecco alcune ragioni per cui credo valga la pena leggerlo.

Prima ragione. Si tratta di un contributo alla soluzione di problematiche note e stranote: crisi ambientale (in senso ampio), limiti della crescita, disoccupazione tecnologica, sovra-consumo e via dicendo. Nel libro, tanto l’analisi di tali problematiche quanto la descrizione delle loro soluzioni si basa su approcci accademici consolidati ma per così dire di nicchia. Talvolta persino ritenuti inconciliabili nell’immaginario collettivo. Il risultato più significativo del libro è proprio il tentativo (che credo riuscito, anche se lascio giudicare ai lettori) di integrare questi diversi approcci in un quadro coerente e organico.

Se la prima parte (capitoli 1 e 2) propone un ‘quadro della situazione’, descrivendo la natura profonda di molte delle questioni trattate in questo blog, nella seconda parte (capitoli 3-7) il libro ipotizza scenari plausibili di implementazione di queste soluzioni, descrivendone le interazioni reciproche e le probabili conseguenze sulla società. 


Lo sguardo è fisso sul lungo periodo e il referente è globale – come del resto lo sono le problematiche trattate ­–, benché con un’attenzione privilegiata al caso europeo. Potrei tracciare un paragone con il recente libro di Tim Jackson ‘Prosperità senza crescita’, anche se il mio approccio è probabilmente di più ampio respiro. Come Jackson, descrivo nei dettagli soluzioni macro-economiche e riforme istituzionali, ma approfondisco anche tematiche quali il ruolo dell’educazione e le dinamiche sociali che legano i vari attori del cambiamento.

Seconda ragione. Il Secolo Decisivo va dritto al punto. Adotta un approccio sistematico nei ragionamenti esposti e nelle conclusioni cui quei ragionamenti portano. La premessa è semplice, quasi banale: 
Lo scopo ultimo di ogni società è la maggiore felicità possibile per gli esseri umani sul lungo periodo.
Su quella premessa, opportunamente problematizzata (che cosa significa ‘felicità’? Che cosa vuol dire ‘lungo periodo’?) si innestano una serie di passaggi logici che illustrano come le soluzioni a molte delle grandi crisi contemporanee siano più palesi di quanto un approccio frammentario lascerebbe intendere. Di più: sono fra loro interdipendenti, e possono dare i maggiori risultati solo se implementate in forma parallela e sinergica.

Per terminare, una breve nota conclusiva. Il Secolo Decisivo è un saggio, sì, ma costruito attorno a un espediente di tipo narrativo: le riforme e le proposte in esso descritte sono presentate dalla prospettiva di un autore immaginario che scrive alla fine del nostro secolo. È un po’ come leggere un libro di storia. Credo che questa piccola trovata, oltre a rendere la lettura più piacevole, aggiunga realismo alla trattazione, rendendo forse l’utopia descritta nel libro meno utopica e più possibile

Insomma, credo davvero non vi pentirete di leggerlo. Se lo farete, poi fatemi sapere cosa ne pensate. Sarò felice di rispondervi e discuterne con voi.



sabato 5 gennaio 2019

Per la serie "quello che vedo dalla finestra di casa mia è tipico del resto del mondo," ecco perché il riscaldamento globale è una bufala


Per la serie "quello che vedo dalla finestra di casa mia è tipico del resto del mondo," ecco una pagina del "Messaggero" di oggi, 5 Gennaio


Non ci crederete, ma dopo un paio di anni di silenzio è rispuntato il sito di NIA (New Ice Age), quelli che aspettano la nuova era glaciale. Forse ve lo ricordate come un gruppetto particolarmente aggressivo di sbalestrati capaci di mettere on line fesserie veramente pesanti e che, una volta, avevano persino ospitato minacce di morte nei miei riguardi nei loro commenti. Per dare un'idea del loro livello, vi potete leggere questa gustosa storiella a proposito della "bella scienziata Russa." 

Ora, mi direte, a parte notare la spirale di follia che sta prendendo un po' tutti quanti, perché citare gli scombussolati di NIA sul Web e regalargli dei link? Beh, per due ragioni: una è che sono talmente fuori di testa che un bel danno per la loro stessa causa. La seconda, forse più importante, che il grosso problema con il clima è che non se ne parla -- il tutto sta al momento sotto un silenzio quasi superstizioso che ricorda un po' l'idea medievale che se parli del diavolo, quello compare, e quindi se non ne parli forse se ne sta a casa sua.

In effetti, a questo punto, tutta la strategia degli anti-scienza consiste nel cercare di passare sotto silenzio la questione climatica con l'idea di non fare niente in proposito. Quindi, in un certo senso, quelli di NIA ci stanno facendo un favore.

D'altra parte, a proposito di fesserie, ci si è messo anche "Il Messaggero" oggi con il suo titolo, "Il freddo di questi giorni allontana i timori sul riscaldamento globale." D'altra parte, pensateci un momento: è un titolo che rivela molto di come la gente sappia che siamo nei guai, ma che disperatamente cerca di non pensarci e di attaccarsi a quello che può per negare l'evidenza, anche una nevicata invernale.



 

martedì 1 gennaio 2019

2018: un anno "strano." Cosa ci porterà il 2019?


Un altro anno se n'è andato. Mi domando cosa ci porterà il nuovo anno.
Altri 365 giorni, se siamo fortunati.


Da "Il Fatto Quotidiano" del 27/12/2018

2018: molti problemi ma anche qualche spiraglio di miglioramento

di Ugo Bardi


Siamo arrivati in fondo al 2018, un anno dove non abbiamo visto eventi eclatanti, ma la conferma di certe tendenze a lungo termine che già si intuivano e che adesso sono più chiare. Vediamo di riassumerne qualcuna.

- Il 2018 ha marcato il centenario della fine della Grande Guerra, quella che, al suo tempo, si diceva avrebbe dovuto mettere fine a tutte le guerre. Era troppo, certamente, ma perlomeno ci potevamo aspettare di aver riflettuto su certe cose. Invece, l’anniversario è passato in sordina e siamo nel pieno di una corsa agli armamenti che ricorda la situazione di quella che oltre 100 anni fa portò alla prima guerra veramente “mondiale” della storia umana. Purtroppo, da un’analisi statistica dei dati storici degli ultimi 600 anni che abbiamo fatto insieme con i miei collaboratori (Martelloni e di Patti) sembra proprio che non ci sia nessuna tendenza a una riduzione nel tempo della violenza delle guerre. Una nuova guerra è perfettamente possibile e stavolta abbiamo armi nucleari. Speriamo bene.

- Il 2018 conferma le tendenze relative al cambiamento climatico. Da una parte, sembra che sia stato l’anno più caldo mai registrato in assoluto (comunicazione preliminare ricevuta dai colleghi climatologi, sarà ufficiale in Gennaio), con buona pace della famosa “pausa,” ormai consegnata al bidone della spazzatura della scienza (per non parlare di quelli che ancora straparlano di “nuova era glaciale”). D’altra parte, sebbene ormai si sappia bene come stanno le cose con il clima, nessuno vuol fare sacrifici, neanche minimi per evitare il peggio. La COP24 di Katowice è riuscita perlomeno a evitare il fallimento, ma la reazione alle “ecotasse” sui motori inefficienti, sia in Italia come in Francia, lascia poca speranza alla possibilità di fare qualcosa di serio prima che la situazione diventi brutta. Ma brutta veramente.

- Nel 2018 sono venute fuori con una certa chiarezza alcune tendenze del mercato delle materie prime che erano già intuibili qualche anno fa. Mentre l’estrazione del petrolio di scisto negli USA è ancora in crescita, Antonio Turiel è stato il primo a lanciare l’allarme sul declino dell’olio pesante e sul “picco del gasolio” che rischia di portarci a gravi problemi per i trasporti. Pochi si sono accorti, invece, del “picco globale del cemento,” avvenuto nel 2015 e segnalato per primo da Steven Rocco. E’ un cambiamento epocale: la produzione di cemento cresceva in modo continuo da almeno 80 anni. Per inciso, in Italia la produzione di cemento è in crollo dal 2008, (anche se mostra qualche segno di stabilizzazione negli ultimi tempi). Secondo Rocco, siamo anche di fronte a uno stallo epocale nella crescita del PIL mondiale, ma su questo i dati sono ancora incerti.

- Il 2018 è stato anche l’anno in cui la Cina ha smesso di importare rifiuti di plastica dall’Europa e ci siamo accorti di che mangiamo plastica oltre a trovarcela intorno dappertutto in forma di rifiuti. Fino a pochi anni fa, sembrava che il problema non esistesse, anzi, la plastica era vista come un trionfo della tecnologia moderna. Ma ora siamo nella plastica (per non dir di peggio) fino al collo. Riciclare la plastica non fa altro che rimandare il problema, bruciarla negli inceneritori fa i suoi danni, usare la bioplastica è costoso. Bisognerebbe rendere illegali molti usi della plastica e ridurne la produzione. Questo però genera resistenze: molta gente crede ancora che più si produce meglio è, non importa cosa. Impareremo, prima o poi, ma nel frattempo continuiamo a mangiare plastica e non sembra proprio che faccia bene.

Tutto male, dunque? Non necessariamente. E’ vero che siamo in una situazione difficile, ma certe cose che ci sembrano problemi potrebbero poi rivelarsi delle opportunità. Per esempio, il declino della disponibilità di gasolio è un elemento positivo per spingere verso la sostituzione dei vecchi veicoli inquinanti con veicoli elettrici più puliti e più efficienti. Italia siamo ancora molto in ritardo, ma ci dobbiamo arrivare per forza. E i veicoli elettrici sono un elemento fondamentale della transizione da energia fossile a energia rinnovabile, anche quella una cosa che dobbiamo fare per forza. Se poi l’industria petrolifera sarà messa in difficoltà dalla combinazione dell’esaurimento delle risorse e riduzione della domanda, beh, produrranno anche meno plastica e questo ci farà bene alla salute. E, con un po’ di fortuna, ci saranno anche meno risorse da dedicare agli armamenti, cose estremamente energivore. Quanto poi al declino del cemento, volevamo veramente trasformare il nostro pianeta in una palla da biliardo? Forse è ora di darsi una calmata anche su quello. E quindi, avanziamo verso un 2019 che potrebbe essere molto difficile, ma che ci da almeno qualche elemento di speranza.












sabato 29 dicembre 2018

5G o Agricoltura? Quali Sono le Nostre Priorità?


Risultati immagini per debbiatura


"L'agricoltura dovrebbe essere il primo problema dell'industria stessa" (Henri Bergson)

Da sempre l'agricoltura è bistrattata dagli uomini. Da un lato la "rivoluzione neolitica" viene ricordata come ciò che ha permesso l'inizio della civiltà; dall'altro i contadini sono sempre stati gli ultimi della scala sociale. Forse perchè ricordava agli altri quella dipendenza dalla terra che non volevano vedere?

La nascita dell'agricoltura è all'origine di ogni innovazione successiva, dalla ruota fino allo smartphone - oggetto che a fatica si può definire innovativo dato che è quasi disfunzionale in ordine alla evoluzione e sopravvivenza della nostra specie (guardate questo documentario andato in onda su Presa Diretta).  Ma perchè l'agricoltura è così importante?


L'agricoltura ha determinato quel primo "movimento" che è all'origine di tutti gli altri: l'aumento della popolazione. Senza questo primo innesco, saremmo ancora fermi a raccogliere bacche dagli alberi. Tuttavia l'idea che l'agricoltura sia nata dal puro ingegno umano è molto ingenua. La psiche è sempre mossa dagli ostacoli e ogni nuova techne è consistita nel trovare soluzione a tale ostacolo o problema. Così anche l'agricoltura - che insieme al fuoco è stata la prima vera tecnica, poichè la proto-agricoltura è stata la debbiatura (foto sopra): dar fuoco a foreste e seminare sul nuovo terreno fino a che questo non esauriva la fertilità e così via - è nata da un problema: bisogna cercare una soluzione al fabbisogno di cibo di una popolazione in crescita (1).

Risultati immagini per sovrappopolazione primitivi

Gli esseri umani sono prolifici, credo, come tutte le altre specie, nel senso che la dove trovano strada libera (nicchia ecologica?) non esitano ad inserirvisi e sono spinti a riprodursi indefinitamente.

Se potessero, le volpi non mangerebbero tutti i conigli della terra? Si fermano solo perchè non sono così buongustaie come noi: l'istinto risponde rigidamente solo di fronte a certi stimoli e non ad altri.

Noi, che siamo istituiti in base ad una "carenza biologica" (2) - cioè siamo privi di istinti ma provvisti di plasticità pulsionale - possiamo adattarci in maniere diverse all'ambiente. Data la plasticità del nostro apparato cerebrale e degli illimitati meccanismi motori che vi sono montati, siamo in grado di modificare l'ambiente in misura molto maggiore che le altre, man mano che la psiche si estende in tecnologie e azione.

Siamo andati così in là in questo processo da creare un vero monopolio su tutte le altre specie. Da sempre siamo sterminatori (3); oggi a causa nostra si sta materializzando la sesta estinzione di massa. E' appropriato dunque utilizzare il nome di Antropocene per designare questa fase della storia della terra, dato che le precedenti estinzioni furono causate da eventi geologici eccezionali (grandi province ignee - U. Bardi): oggi è l'uomo la causa di un'altro grande mutamento geologico.

Le menti di molti di noi sono sempre più tinteggiate di scuro, ma la innata fiducia nel futuro dell'uomo impedisce che il vivere quotidiano possa venire significativamente trasformato dalla presa di coscienza della catastrofica situazione ambientale (4). In un modo o nell'altro pensiamo che ce la caveremo. Questo può anche essere vero, ma è un modo di pensare incosciente se si tratta di sopravvivenza.

Ad ogni modo, dobbiamo fare il possibile per garantirci un futuro e questo implica occuparsi seriamente della questione del cibo. Ci stiamo cullando da mezzo secolo nella bambagia di una catena agroalimentare che ci serve di tutto. Oggi sappiamo meglio quanta energia sia necessaria per mantenerla in vita e molti hanno capito che questa energia non sarà disponibile per molto ancora.



Al di là del fatto che è assai dubbio se mantenere in piedi questo sistema così com'è abbia dei fondamenti etici, è necessario a mio parere fare un salto cognitivo. La domanda è: che cosa succederà alla produzione del cibo se avverrà l'effetto Seneca?

Dobbiamo situarci nell'ipotesi peggiore se vogliamo parlare davvero di resilienza e renderci conto che se non creiamo resilienza in questa fase, ci aspetta un passaggio di stato catastrofico (tipping point) (5), cioè una semplificazione radicale della complessità sociale ed economica. Detto in altri termini, l'ipotesi peggiore è che non resti in piedi niente di ciò che costituisce l'attuale società. L'età della pietra.


Per capire che questa ipotesi è verosimile bisogna afferrare lo stretto legame che sussite fra tecnologia ed economia. Non ci rendiamo ancora bene conto dell'interconnessione sistemica fra globalizzazione economica e sviluppo della tecnologia (6).

Risultati immagini per globalizzazione interconnessione

Se l'economia globale dovesse crollare - per esempio in base a come la vede Gail Tverberg - non avremo più alcuna "infrastruttura" funzionante a proteggerci, perchè tutti i "pilastri" che tengono in piedi questo macro-sistema economico richiedono immensi input di energia e materie prime. Se il flusso si dovesse interrompere in un qualche punto del sistema la conseguenza non sarebbe un "lieve sobbalzo" come è stato la Grande Recessione - ma il Grande Collasso, meglio noto come Effetto Seneca.

Ci sono vie di mezzo nel collasso di un'economia globale? Ciò che da un lato è la sua forza - assorbire le crisi locali - diventa la sua debolezza nel lungo termine.

Se vogliamo avere un futuro dobbiamo dunque preoccuparci di prevenire le ipotesi peggiori, quelle che ci possono lasciare in braghe di tela. Questo è il significato di Resilienza espresso anche da Ugo Bardi:

"Quello che si deve fare è rendere più leggero il collasso, seguirlo, non cercare di fermarlo. Altrimenti sarà peggio."

E' per questo che Dennis Meadows diceva che non c'è più tempo per lo sviluppo sostenibile e che dobbiamo porre più enfasi sulla resilienza. Non nutriva più speranza di tenere in piedi questa società.
Ora, che ne sarebbe della produzione di cibo se l'Effetto Seneca cominciasse ad esprimersi adesso? Ci siamo assicurati almeno per questo, che è la base della nostra vita? Il che equivale a chiedere: le nostre tecniche sono lungimiranti?

Come continueremo ad arare i campi con i trattori fermi (7)? Potremo tornare agli animali da tiro? e come se gli unici animali che ci rimangono sono vacche da latte rinchiuse in stalle di cemento?

Altro che "internet delle cose", smartphone e 5G: dobbiamo tornare a occuparci del settore primario della nostra vita e ridare un pò di spinta all'evoluzione della biosfera...


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NOTE

(1) Jared Daimond - Armi, acciaio e malattie. Nei primi capitoli di questo importantissimo libro questo autore illumina le dinamiche che hanno portato la nostra specie a diventare stanziale. Non è certo stata  dovuta al colpo di genio di un uomo seduto a progettare la nascita dell'agricoltura a tavolino, ma del tentativo per prova ed errore di gruppi di primitivi che provarono a seminare dei terreni resi fertili tramite il debbio, in quei lassi di tempo che gli rimanevano dopo essere andati a caccia.
(2) Umberto Galimberti nella sua lunga e bella opera Psiche e Techne, parla di Gunther Anders (in particolare dell'opera L'uomo) come di colui che meglio ha spiegato che cosa ci differenzia dall'animale, designandolo come "carenza biologica", dunque come un problema e un'anomalia nel mondo della vita.
(3) Ancora J. Daimond nel libro citato, fa degli esempi della capacità che l'uomo ha mostrato di sterminare le altre specie già nell'antichità. Egli mostra che dopo il primo passaggio dell'uomo in Australia non rimane niente di tutta la cosiddetta "megafauna australiana". Ma siamo sterminatori sia in senso infraspecifico che inTraspecifico perchè non riconsciamo gli altri umani quando sono diversi da noi come appartenenti tutti alla stessa specie.
(4) A differenza di quello che accade DOPO le grandi catastrofi, in cui l'umanità ritrova quel senso di solidarietà e calore che aveva perduto nel periodo di relativa pace che aveva preceduto la crisi. Renè Girard ci avvertirebbe però che questo è il comportamento abituale per l'uomo, che in verità utilizza le crisi e le cerca appositamente allo scopo di godere di quel senso di ritrovata armonia, sempre a scapito di qualcun'altro (uomini, ambiente, ...).
(5) David Korowicz - nei suoi libri scaricabili on-line: Tipping Point.
(6) Sempre Korowicz ci ricorda che per i pezzi di un Boing 747 sono neccessarie centinaia di transazioni commerciali da diverse nazioni e che l'economia, oggi virtuale al 97%, è possibile solo tramite miliardi di transazioni virtuali ogni anno. Nel 2015 426 miliardi.
(7) Si potrebbero proporre interessanti argomentazioni a proposito di quella tecnica agricola fondamentale che è "l'aratura". Considerata come una tecnica evidentemente necessaria, essa nasconde invece delle grosse problematiche. In primo luogo, l'invenzione dell'aratro a versoio è stata decisiva nello "sviluppo" della civiltà perchè ha aumentato grandemente il potere dell'uomo nella competizione con la natura (il controllo delle erbe infestanti). Tuttavia il versoio, rovesciando la zolla di terra, genera una situazione che non esiste in natura, il capovolgimento degli strati, e questo ha conseguenze sulla fertilità. In secondo luogo, come ha scritto Daimond, l'agricoltura è di per sè un'arma a doppio taglio (come tutte le tecnologie?) perchè ha sì generato migliori rese per ettaro, ma ha ampliato e complessificato il problema che intendeva risolvere, poichè ha a sua volta aumentato la popolazione.

mercoledì 26 dicembre 2018

Attraverso la Porta della Meraviglia

Da "Inanna e Ebih" di Enheduanna ( III millennio A.C.)

La Dea appare
Scintillante, radiosa
Sotto la cupola scura del cielo della sera
Passi stellati nella strada
Attraverso la Porta della Meraviglia

Traduzione dal Sumero di Betty De Shong Meador



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Through the Gate of Wonder

And she goes out
white-sparked, radiant
in the dark vault of evening's sky
star-steps in the street
through the Gate of Wonder

From Inanna and Ebih, by Enheduanna (translated by Betty De Shong Meador)



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Originale Sumero

an-usan-na nir mi-ni-ib-e3
ka2 u6-di sila-ba bi2-in-jen
an-ra ne-saj mu-un-na-an-gub siskur mu-na-ab-be2



venerdì 21 dicembre 2018

Il mio appello agli ecologisti e a chi non si rassegna.



Un post di Max Strata


Le considerazioni di base da cui trae origine il mio appello sono rintracciabili nei report scientifici sulla crisi ecologica ma anche nelle analisi sociologiche sulla infelicità personale e sulla follia dilagante che emerge dall'osservazione della cronaca.

Questi elementi non sono affatto disgiunti ma fanno parte di un'unica logica distorta, invadente e pervasiva, alimentata da un sotto pensiero, da una sub-cultura, da una assurda illusione che domina le nostre menti e che ci sta rapidamente trascinando verso un futuro -sempre più presente- in cui i nostri peggiori incubi rischiano seriamente di materializzarsi.

Si può affermare che nella storia dell'umanità ci sono stati tempi non certo migliori e che di crisi se ne sono susseguite molte, vero, ma oggi ci troviamo in presenza di qualcosa di nuovo, un qualcosa di particolarmente subdolo e pericoloso che oltre a mettere in discussione le basi ecologiche della vita sul pianeta ha a che fare con una modificazione antropologica della nostra specie.

Non a caso, uno dei tratti prevalenti di questo tempo storico è dato dalla superficialità nei saperi e nelle conoscenze, nei rapporti umani, nelle esperienze di vita, nella visione della realtà e quindi del futuro. Una constatazione che può apparire paradossale nell'epoca dell'informazione super diffusa ma che paradossale non è, considerato che al "messaggio breve" cui ci siamo abituati corrisponde necessariamente un "pensiero breve".

Ecco, direi che è proprio questo il nostro più grande e attuale problema, il pensiero breve o se si vuole il pensiero liquido di una società liquida che omologa, inscatola, appiattisce e istupidisce e che causa una gravissima perdita di contatto con la realtà, anche con quella che ti dice che sei prossimo a sbattere violentemente la faccia contro un muro di pietra.

Ci troviamo in una sorta di condizione amniotica da "effetto stupefacente" generalizzato, fatta di obnubilante inerzia mentale che nei fatti ci rende insensibili (per niente preoccupati) anche di fronte a scenari da brivido che richiamano l'olocausto nucleare.

Benché il tema del caos climatico e più in generale quello della crisi ecologica, non sia certo posto in primo piano dai media e compaia solo marginalmente tra gli interessi della classe politica, dovremmo più o meno sapere (uso il condizionale) che continuando a fare a pezzi i sistemi biotici siamo fatalmente destinati a passare più o meno rapidamente dallo stato di euforia determinato dalla cieca fede nella crescita economica, ad uno stato di scarsità materiale e di conflittualità sociale tale da riportarci a condizioni che in più di un caso potrebbero corrispondere a quelle del periodo medievale.

Di recente, i ricercatori del tavolo intergovernativo dell'ONU sul cambiamento climatico, hanno indicato in appena dodici anni il tempo residuo in cui modificare il nostro sistema di approvvigionamento energetico per evitare di incorrere nei peggiori effetti provocati dal riscaldamento globale.

Dodici anni... impossibile anche volendo: troppo il ritardo accumulato, troppo grandi le speculazioni a breve termine delle oligarchie che governano il pianeta e forte la resistenza al cambiamento determinata da immobilismo, ignoranza, timore o incapacità da parte dei più.

Che cosa fare allora? Non resta che tentare una via assai impegnativa ma pur sempre possibile: quella di una rapida presa di coscienza individuale e collettiva nella quale è chiaro che un certo tipo di rappresentazione del mondo è finita e che è necessario passare ad un'altra prospettiva, ad un altro sentire, ad un altro modo di agire.

L'appello è pertanto un invito all'azione dal basso da parte di quella che si potrebbe definire una "avanguardia illuminata", composta da chi vuole fare qualcosa di concreto per provare ad invertire la rotta e guadagnare tempo, con l'obiettivo di scatenare una positiva reazione a catena, ovvero di generare una massa critica capace di realizzare modificazioni di ampia portata.

Per fare questo, e qui arriva la mia provocazione, ritengo necessario che gli ecologisti e chi non si rassegna a questo stato di cose, debbano assumere su sé stessi la responsabilità di comunicare personalmente il livello di drammaticità della situazione in cui ci siamo cacciati, facendolo con serietà e continuità a partire dalla famiglia, tra gli amici, sul posto di lavoro e di studio, ecc..
Comunicare dunque e fare seguire alla comunicazione verbale o scritta un'azione coerente che possa essere di stimolo per gli altri promuovendo l'idea che il passaggio (la transizione) ad un nuovo modello sia non solo necessario ma in ogni caso preferibile rispetto a quello dominante perché più sobrio, egualitario, fecondo e piacevole. Per fare questo c'è però bisogno di grandi energie e di numeri importanti e ciò comporta la necessità di ridurre, dico ridurre non abbandonare, il tempo dedicato alle tradizionali iniziative per la difesa dell'ambiente perché adesso abbiamo bisogno di concentrare le forze sulla questione climatica che, da sola, direttamente o indirettamente, assorbe tutte le altre.

Intendo dire che in questo momento storico, affacciati sul baratro che ci attende, ogni singola "battaglia" per difendere il territorio rischia di diventare fine a se stessa se non viene collocata in una prospettiva più ampia. Inoltre, mi pare evidente che serve a poco salvare oggi una porzione di foresta se non si riesce a smontare il meccanismo che domani ne farà fuori cento.

Teniamo presente che unendo i nostri sforzi possiamo mettere in discussione un sistema di pensiero, rendere evidente che cosa c'è all'origine della violenza che viene praticata sui sistemi naturali, sulle persone e sugli altri viventi. Qui si tratta di abbandonare definitivamente un sistema non di riformarlo: un sistema economico e sociale che è generato dal modo con cui guardiamo il mondo e di conseguenza da come ci comportiamo.

Per poter sperare di attivare una risposta positiva da parte di chi non ha ancora cognizione della gravità della crisi è dunque fondamentale poter offrire una visione realisticamente diversa e migliore, ed questo quello che può fare una persona di buon senso.

Dunque, dobbiamo continuare a lottare contro l'inquinamento provocato da una industria chimica o dal traffico urbano? Certo che si, ma nella misura utile a far passare l'idea di un altro mondo possibile.

Ciò che conta è che in questa drammatica situazione si faccia un tentativo per razionalizzare l'impegno, finalizzarlo, renderlo pienamente operativo all'interno di una visione globale ma non globalizzata.

Questo è il tempo (l'ultimo che abbiamo a disposizione) per superare le barriere che ci dividono, le convinzioni che si ergono come ostacoli insormontabili, i protagonismi, le invidie, l'aggressività di cui spesso siamo vittime quanto carnefici.


Provo dunque a sintetizzare tre punti che, nell'ottica di una azione comune, potrebbero essere condivisi o comunque suscitare una riflessione collettiva.


Abbandoniamo l'ego e agiamo consapevolmente


Finché restiamo attaccati a quanto abbiamo adesso (anche se poco) e all'illusione di quello che potremmo/vorremmo avere in termini di occupazione, sicurezza sociale, possesso di beni, ecc. non riusciremo a fare un passo in direzione del cambiamento che auspichiamo. Deve infatti essere chiaro che nel vortice causato dalla crisi ecologica tutte le nostre presunte certezze possono disintegrarsi in un baleno.


Gli scenari sono molto inquietanti e purtroppo si stanno manifestando in fretta.

In primo luogo, ricordiamoci che la crisi ecologica è strettamente connessa alle crisi economiche, a quelle sociali, politiche e militari e che abbiamo a che fare con un crisi sistemica. Per agire consapevolmente e cioè in modo lucido e con la prospettiva di raggiungere un obiettivo apprezzabile, possiamo innanzitutto agire sui noi stessi, comprendere l'origine del nostro comportamento irrazionale e pertanto non farci comprimere dalle pretese di un ego che per definizione non sarà mai soddisfatto. Attenzione, questo è un passaggio essenziale, o si comprende che facciamo di parte di una rete fatta di strette relazioni con tutto ciò che è vivente e che di questa rete siamo solo un nodo, o sarà davvero difficile riorganizzare la nostra esistenza di specie.

Banalizzando, ma non troppo, condividere questa visione significa spostarsi da una posizione antropocentrica ad una visione ecocentrica e le conseguenze pratiche sono enormi. Abbandonare le richieste del nostro ingannevole ego vuol dire proiettarsi verso una esistenza che accetta il concetto di limite e che lascia andare quello che oggi ci rende schiavi di oggetti, azioni, abitudini e pretese che con l'idea di "buona vita" e di felicità non hanno niente a che fare. Agire consapevolmente in modo ecologico è dunque avere cognizione del mutamento di rotta che ci viene chiesto per condensarlo nelle nostre scelte e nelle nostre pratiche quotidiane.

Più comunità e più locale, meno oggetti, meno mercato, meno potere

Sappiamo che all'origine della crisi ecologica ci sono una serie di fattori culturali, idee filosofiche e convinzioni politiche, e, non da ultima, la nostra sostanziale incapacità di gestire le innovazioni scientifiche e tecnologiche in modo sano e saggio.

Sappiamo inoltre che l'idea di produrre sempre di più a partire da uno stock limitato di risorse naturali è pura e semplice follia anche se la quasi totalità degli economisti e dei decisori politici pare ignorare questo fondamentale dato di partenza.

Davanti a questo mare magnum di difficoltà possiamo tuttavia orientare la nostra esistenza individuale e di gruppo in direzione di una semplicità volontaria in cui ad assumere pregnanza e significato non sono più i miti della ricchezza e del possesso ma il piacere (ben vivere) che si può trarre dal contatto con la natura, da relazioni più empatiche, dall'essenziale, dalle cose semplici rese disponibili per tutti.

Attraverso questo rivoluzionario percorso concettuale matura anche un rinnovata sensibilità per ciò che si può fare in proprio, in seno alla propria comunità, saltando a piè pari la pressione imposta da un mercato che invece tende ad annullare la capacità di sentirci protagonisti delle nostre scelte e, fin dove possibile, di essere autosufficienti. Un passo essenziale è pertanto non subire l'organizzazione gerarchica di un potere e di un sistema che vuol vendere/imporre qualsiasi cosa a tutti i costi, mediante una coercizione organizzata mascherata da offerta.

Organizzarsi su piccola scala, valorizzare i diritti fondamentali, costruire economie locali resilienti per produrre innanzitutto servizi, cibo di qualità ed energia rinnovabile in modo cooperativo e condiviso, costituisce l'ABC del cambiamento.

Uniti in una visione d'insieme

La frammentazione, e di conseguenza l'inazione, è tecnicamente il problema più grande con cui ha a che fare un insieme di persone che desidera raggiungere un determinato obiettivo. Dividersi, dividersi e dividersi ancora fino a spaccare il capello in quattro di fronte ad una emergenza che richiede unità di intenti, serve solo a fare il gioco di chi desidera mantenere lo status quo anche se questo si rivela mortifero.

La suicida tendenza alla divisione è spesso provocata da un malinteso ideale di libertà di opinione e di scelta. Questo non significa che per stare assieme sia necessario rinunciare alle proprie convinzioni o alle proprie idealità, ma più semplicemente contenerle nell'ottica di un percorso dove ciascuno lascia qualcosa di personale per accogliere qualcosa che proviene da altri allo scopo di entrare in una corrente dove ci si sente ascoltati e si diventa parte attiva di un processo.

Consideriamola dunque come "un'ultima chiamata" e ciò che conta è la nostra disponibilità a intravedere la possibilità di realizzare qualcosa di molto diverso dall'attuale che tenendo conto dei limiti offerti dalle risorse e dalla disponibilità dei beni naturali prevede l'integrazione dei sistemi umani nelle dinamiche dei sistemi ecologici.

Per farlo, occorre organizzarsi da subito su base locale e quindi in una rete sempre più ampia capace non solo di discutere, di confrontarsi, di fare lobbying, ma di realizzare progetti creativi recuperando al tempo stesso le migliori esperienze disponibili.

In altre parole si tratta di concepire, praticare e diffondere un'etica ecologica solida e desiderabile perché concreta, armonica, riparatrice degli equilibri che abbiamo infranto e rispettosa della vita, delle presenti e delle future generazioni.