mercoledì 27 gennaio 2016

Speranza ed ottimismo.



Giorni fa un mio carissimo amico, esasperato dal mio pertinace pessimismo, mi ha rimproverato citando la battuta di un film.   “C’è sempre speranza”, dichiara l’eroe per rincuorare i suoi alla vigilia di un’impari battaglia.   

Questo mi ha riproposto per l’ennesima volta la domanda su cosa sia la Speranza e se questa sia diversa dall'ottimismo.  .  Una questione che credo possa interessare anche altri, visti i tempi che corrono.   Ho quindi condotto in proposito una breve indagine, che propongo a voi, senza pretese di rigore teologico e psicologico.

Nella ben nota versione di Esiodo, Pandora è una bambola di insuperabile bellezza e pari stupidità che, disobbedendo a Zeus, apre il famoso vaso in cui il Re degli Dei aveva racchiuso tutti i mali che affliggono l’umanità.  Appena la donna, per mera curiosità, socchiude il coperchio la Fatica, la Malattia, la Guerra assieme a tutte le altre calamità fuggono e, da allora, infestano il mondo.   Solo rimase, un fondo al vaso, la Speranza. 

Messo in questi termini, il mito non è altro che una divertente favola maschilista, riciclata poi da innumerevoli autori.    Ma c’è un dettaglio molto intrigante:   La speranza rimane, ma era anch'essa nel vaso.   Dunque si tratta di un balsamo per lenire gli inevitabili mali, oppure del peggiore fra essi?    In effetti, si potrebbe argomentare che, di solito, è per migliorare il proprio stato che gli uomini creano le tragedie destinate e travolgerli.

Ma esistono altre varianti di questa storia.   Comparando altre versioni del mito (diffuse in diverse aree della tradizione indo-europea) ed al materiale iconografico, in particolare le figure sui vasi, si può arguire una versione molto più arcaica ed interessante.    Secondo questa ricostruzione, Pandora sarebbe un’Epifania di Gaja, nel suo aspetto di generosa donatrice di frutti.   Ed il famigerato vaso sarebbe quello ove gli Dei conservano il Nettare: la bevanda divina che conferisce loro l’immortalità.   Uno dei Titani, nel caso Epimeteo, sarebbe riuscito a rubare il vaso a beneficio della sua stirpe.  

Per evitare la catastrofe, Pandora scende sulla Terra, seduce Epimeteo e, mentre questi è distratto, recupera il vaso riportandolo sull’Olimpo.   Ma Pandora ebbe pietà della condizione umana, resa misera dalla fame, la fatica, la malattia e la morte.    Così lasciò loro la Speranza.  
   
Non sono in grado di giudicare la validità di tale ricostruzione di cui non ritrovo neppure la citazione bibliografica, ma la ritengo comunque interessante per noi.    Secondo questa versione, infatti, la Speranza sarebbe una divinità secondaria che la pietà della Grande Madre ha concesso agli umani affinché potessero meglio sopportare la loro sorte.   Ma come generalmente avviene con la mitologia arcaica, anche in questa versione il significato rimane ambiguo.  

La Speranza consente infatti agli uomini di tollerare le loro inevitabili sofferenze.   Ma non è chiaro se ciò avviene perché li aiuta a comprendere il significato profondo del loro soffrire, o semplicemente perché li inganna, lasciando loro immaginare che le loro miserie un giorno termineranno?   Non è chiaro, insomma, se la Speranza sia una chiave di saggezza o un “oppio dei popoli” ante litteram.

Un dubbio dissipato, credo, dalla tradizione cristiana secondo cui la Speranza è una delle tre virtù teologali, cioè le tre virtù che “sono il pegno della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano”. Vale a dire le virtù supreme, capaci di fare di un uomo un santo.    Ma attenzione, la Speranza cristiana si accompagna inscindibilmente con la Fede e la Carità.   Queste tre virtù costituiscono, insomma, una trinità che ha senso solo nella sua completezza.  E questo comincia a darci qualche indicazione sulla differenza profonda fra Speranza ed ottimismo.   

Secondo il catechismo, la Speranza è infatti il desiderio di accedere al regno dei Cieli mediante la Grazia Divina; cosa che ha senso solo se tutt'uno con la Fede.  Cioè la ferma convinzione circa la verità assoluta della Rivelazione.    La Carità, infine è l’incondizionato amore per Dio e per il prossimo in quanto manifestazione di Lui.

Volendo laicizzare il concetto, oserei proporre che la Speranza sia l’essere disponibili a soffrire in funzione di uno scopo più alto.   Insomma essere pronti al peggio, in nome e per conto del meglio.   La Fede, al di fuori della dottrina, direi che sia l’incrollabile fiducia nel fatto che il mondo abbia senso e sia retto da leggi inviolabili.   Il famoso “Il Vecchio non gioca a dadi col mondo” di Einstein.   La Carità infine, per i non cristiani potrebbe corrispondere all'empatia, cioè alla capacità di percepire come proprie la sofferenza e la gioja altrui.  

In entrambe le versioni, cristiana e laica, comunque la Speranza non consiste nel “pensare positivo”, bensì nella capacità di presagire il peggio e sopportarlo, nella certezza che non sia inutile.  Il soldato che resta indietro per coprire la ritirata dei suoi compagni non si aspetta di cavarsela, ma spera che la sua morte valga a salvare loro.  L’attivista che si fa arrestare dalla polizia di uno stato dispotico, non pensa di cavarsela a buon mercato.   Al contrario sa molto bene a cosa va incontro e lo fa a ragion veduta perché spera che questo, un giorno, valga la libertà di altri.   Più quotidianamente, i genitori che rinunciano alle vacanze per pagare gli studi del figlio hanno un atteggiamento analogo. Certo la Speranza può benissimo contemplare anche la vittoria e la salvezza, ma comunque non sottovaluta le difficoltà ed è cosciente della scarsa probabilità di successo.

Non a caso, Il contrario della Speranza  è la Disperazione.  Cioè il sentimento di fallimento ed inutilità totale e definitiva che può condurre le persone all'autodistruzione.   Cioè esattamente il sentimento che facilmente pervade gli ottimisti posti alla prova dei loro errori di valutazione.
 
Ma procediamo.   Secondo la tradizione gnostica, le Virtù teologali non sarebbero tre, bensì quattro, aggiungendosi la Conoscenza (o Saggezza a seconda delle traduzioni).    Vale a dire la comprensione, migliore possibile, delle leggi del Fato che plasmano il destino di tutti gli esseri viventi.   In questa variante, la Speranza, per essere veramente tale, presuppone quindi anche la conoscenza e la comprensione delle leggi di Natura.   Esattamente quelle che solitamente ci dicono cosa non è possibile che accada. 

Facciamo un esempio d’attualità:  pensare che dalla COP21 sarebbero uscite decisioni realmente impattanti sul futuro del clima era certamente una manifestazione di ottimismo.   Chiunque si fosse preso la briga di informarsi circa le retroazioni in atto nel clima e le cause del fallimento delle precedenti 20 conferenze non poteva avere dubbi.   Ciò nondimeno è possibile sperare che da tanto fumo esca un piccolo arrosto.  Qualche iniziativa che, certo, non cambierà il destino del pianeta, ma potrebbe essere utile nel difficile futuro che ci aspetta.

Oppure dimostra Speranza chi , ad esempio, pianta alberi su di un terreno brullo, sapendo che hanno il 90% di probabilità di morire molto giovani.   Perché è vero che il sistema Terra ha un disperato bisogno di alberi e che qualcuno di questi potrebbe crescere abbastanza da dare un contributo infinitesimo, ma reale.   

Comunque, il mondo è  infinitamente più complesso di quanto non lo conosciamo e potrebbero quindi accadere molte cose in grado di ridurre drasticamente le emissioni nel giro di anni o pochi decenni.   Ad esempio una serie di guerre o, più probabilmente, una crisi economica globale di portata mai vista.   Si possono immaginare anche altri scenari, ma poco importa perché, sicuramente, ciò che effettivamente accadrà non sarà niente che abbiamo ipotizzato prima.   Ma se è possibile che il cambiamento climatico rimanga entro limiti che rendono possibile la civiltà, non è invece possibile che ciò accada senza che l’umanità paghi un tributo immenso di sofferenza ai propri errori.
  
Per tornare alla tradizione classica, direi che quando Ulisse lascia l’isola di Calipso, lo fa sorretto dalla Speranza.   Per tentare di raggiungere la sua famiglia e la sua Patria affronta consapevolmente dei pericoli mortali, rinunciando all'amore di una ninfa, ad ogni agio e perfino all'immortalità.   
Viceversa, i proci che continuano a bagordeggiare, sordi e ciechi a tutti gli avvertimenti, erano ottimisti.   In fondo, Ulisse non si era più visto da 10 anni, come potevano pensare che quel vecchio che con due cazzotti  aveva spacciato il più grosso bullo dell’isola fosse il celebre guerriero?    E si sapeva anche allora che àuguri ed indovini passavano il tempo a “gufare”.   Si vede che, anche allora, pensare positivo era di moda, perlomeno in certi ambienti.

Insomma, penso che Speranza ed ottimismo facilmente convivono e, in parte, si confondono fra loro, ma rimane a mio avviso una differenza profonda fra di essi.  La Speranza direi che contenga in sé qualcosa di intrinsecamente eroico, tant'è che matura e si forgia nelle difficoltà.   Al contrario, l’ottimismo mi pare sia il frutto di un passato particolarmente fortunato che si suppone continui indefinitamente nel futuro. 

L’ottimismo è stupido, la speranza è una virtù  (Michel Schneider)



martedì 26 gennaio 2016

Il cambiamento climatico e la catastrofe della cacca di cavallo

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Ripensando a questo post, scritto due settimane fa per il mio blog in inglese, mi viene in mente che se gli "scettici" si sono ridotti a criticare la scienza del clima sulla base della cacca di cavallo di un secolo fa, veramente non hanno più argomenti


Una delle ragioni del successo delle automobili nel sostituire i cavalli è stata che le automobili non si lasciavano dietro rifiuti solidi. Ci è voluto quasi un secolo per capire che i gas di scarico dei veicoli a motore sono di gran lunga più tossici ed inquinanti di qualsiasi cosa che il di dietro di un cavallo possa produrre (Sopra, una pubblicità di una automobile del 1898).


Il successo della conferenza sul clima di Parigi potrebbe essere stata solo parziale, ma ha sicuramente gettato in un certo scompiglio il partito anti-scienza. Per esempio, alla National Review, non sono stati in grado di criticare l'accordo di Parigi con qualcosa di meglio della vecchia storiella della “catastrofe del letame di cavallo”, (vedete qui per l'origine della storia). Il loro recente articolo su questo tema si intitola “Perché il cambiamento climatico non conterà niente fra 20 anni” ed è scritto da Josh Gelernter. Non contiene nulla di nuovo, ma è un pezzo astuto e ben scritto che merita un po' di attenzione.

L'argomentazione centrale del testo deriva dal problema dell'inquinamento da letame di cavallo nel XIX secolo. Gelernter cita Michael Crichton e dice:
Che problemi ambientali avrebbero previsto gli uomini nel 1900 per il 2000? Dove prendere abbastanza cavalli e cosa fare con tutto quel letame. “L'inquinamento da cavalli era così forte nel 1900”, ha detto Crichton."e quanto ci si aspettava che diventasse un secolo dopo nel 1900 con così tante persone in più che andavano a cavallo?” 
Da qui, il testo prosegue elencando i molti cambiamenti che abbiamo visto da allora sostenendo che oggi è impossibile prevedere come sarà la tecnologia fra 100 anni da adesso e che fra 20 anni il cambiamento climatico non sarà più un problema.

Nel modo in cui è scritto il testo, la tesi di Gelernter sembra reggere, ma se si esamina in dettaglio, diventa un castello di sabbia di fronte all'alta marea. Fondamentalmente, l'esempio del letame di cavallo è portato ben oltre la sua importanza. Chricton probabilmente aveva ragione quando ha detto che “l'inquinamento da cavalli era forte nel 1900”, ma non ci sono prove del fatto che qualcuno lo considerasse una catastrofe in divenire o che l'abbia estrapolato in un futuro remoto: non esisteva niente di analogo al nostro IPCC, diciamo un IPMC (International Panel on the Manure Catastrophe).

Poi, il letame di cavallo potrebbe essere stato sgradevole per i nasi delicati degli abitanti di città, ma non è mai stato tossico, non ha mai distrutto l'ecosistema e poteva essere sempre tolto di mezzo da un numero sufficiente di persone armate di scopa. L'importanza esagerata data a questa storia potrebbe derivare da un fattoide che si può facilmente trovare nel web che sostiene (in varie versioni) che “Scrivendo sul Times di Londra nel 1894, uno scrittore ha stimato che fra 50 anni ogni strada di Londra sarà sepolta sotto 2 metri e mezzo di letame”. Ho cercato di trovare la fonte di questa affermazione, ma non sembra che esista. Si tratta, molto probabilmente, solo di una leggenda, come indicato dalla genericità dell'attribuzione ad “uno scrittore” come autore.

A parte l'esagerazione dell'importanza dell'inquinamento da letame, tutta la tesi dell'articolo della National Review si regge su una logica molto traballante. Il primo problema è che, anche se le automobili sembravano molto più pulite dei cavalli, più tardi si sarebbe scoperto che le emissioni dei tubi di scarico di un'automobile sono di gran lunga più pericolosi di qualsiasi cosa possa fuorisuscire dal di dietro di un cavallo. E persone armate di scope non possono fare niente contro l'inquinamento gassoso. Visto in questi termini, le automobili sono un classico caso di una soluzione che peggiora il problema: si può soltanto rabbrividire al pensiero di cosa ci potrebbe portare la prossima “soluzione” tecnologica all'inquinamento delle automobili (e ci sono già delle preoccupazioni riguardo al fatto che in convertitori catalitici delle automobili potrebbero fare un danno inaspettato alla salute umana).

L'altro problema della tesi di Gelernter è una fallacia logica fondamentale. Questa logica sostiene, “c'erano problemi di inquinamento in passato. Questi problemi non ci sono più oggi. Pertanto, il problema del cambiamento climatico di oggi non esisterà più in futuro”. Questa è una fallacia di eccesso di estrapolazione a volte conosciuto come “la fallacia del tacchino (turkey fallacy)”. “Immaginate di essere un tacchino, poi osservate gli esseri umani che vi hanno dato da mangiare tutti i giorni dal giorno in cui siete nati. Quindi estrapolate nel futuro e concludete che gli esseri umani continueranno a darvi da mangiare per sempre. Poi arriva il giorno del Ringraziamento..." Così, il fatto che siamo stati in grado di risolvere alcuni problemi di inquinamento in passato (o, perlomeno, che crediamo di essere stati in grado di risolvere) non significa che saremo sempre in grado di risolverli tutti.

A parte la logica ballerina, la caratteristica interessante del pezzo di Gelernter è quanto sia estremo. E' basato sulla fede dall'inizio alla fine: tutta la tesi è un inno alla tecnologia che risolverà tutti i problemi come ha sempre fatto in passato. Nello spettro delle attuali visioni del futuro, questa si trova all'estremo opposto di quella della “estinzione umana a breve termine” di Guy McPherson. Entrambe implicano di non dover far nulla per prepararsi al futuro. Entrambe non permettono alcun “piano B” in caso il futuro dovesse rivelarsi diverso da quanto ipotizzato.

Tutto questo è veramente sconsiderato, a dir poco. Ci sono sicuramente modi che possono rendere il cambiamento climatico generato dall'uomo un problema obsoleto (comprese grandi innovazioni tecnologiche, ma anche, per esempio, una guerra nucleare). Ma ci sono anche un sacco di possibilità che il cambiamento climatico possa rivelarsi essere un grande disastro non mitigato, come è già. Così, se non si vuole affrontare il destino dei tacchini nel giorno del ringraziamento, è meglio abbracciare una posizione flessibile ed evitare di cadere nella trappola generata da estremi opposti. Il futuro spesso ci sorprende, ma è meglio se ci prepariamo ad accoglierlo.

(h/t Alex Sorokin)

lunedì 25 gennaio 2016

Cataclismi dal Polo Nord al Sud America

Da “The Washington Post”. Traduzione di MR (via Michael Mann)


L'innalzamento delle acque costringe a chiudere le strade e ad abbandonare le case. 

Di Darryl Fears e Angela Fritz

Dal tetto del mondo fino a quasi il fondo, un meteo anomalo e senza precedenti ha fatto lievitare le temperature nell'Artico, sferzato il Regno Unito con venti da uragano e generato grandi alluvioni in Sud America.

domenica 24 gennaio 2016

La fusione dei ghiacci minaccia miliardi di persone

Da “Voice of America”. Traduzione di MR 


Pastori che pascolano i loro Yak nelle praterie dell'altipiano tibetano nella contea di Nagu, in Tibet, il 6 luglio del 2006.

Di Yeshi Dorje 

Con le temperature che aumentano 4 volte più velocemente che in qualsiasi altro posto in Asia, l'altipiano tibetano potrebbe presto perdere gran parte dei sui ghiacciai e permafrost, alterando le forniture di acqua in tutta l'Asia, dicono alcuni scienziati cinesi. Da tempo famoso come “il tetto del mondo”, l'altipiano tibetano ha più o meno la dimensione dell'Europa occidentale e fornisce acqua a quasi 2 miliardi di persone in Asia come fonte di diversi grandi fiumi, compresi Yangze, Mekong, Saluen (Gyalmo Ngulchu), Indo, Brahmaputra e Fiume Giallo. Ma a causa dell'impatto del cambiamento climatico, i ghiacciai si stanno ritirando rapidamente, le praterie si stanno a loro volta ritirando man mano che la desertificazione si espande, le precipitazioni della regione sono diventate irregolari, nei grandi fiumi i livelli delle acque stanno crollando e il permafrost sta fondendo. La fusione dei ghiacciai tibetani, la più grande massa di acqua dolce congelata al di fuori delle regioni polari, è collegata a molte conseguenze ambientali localmente e globalmente, comprese le ondate di calore in Europa, secondo alcuni studi. 

sabato 23 gennaio 2016

Le ultime grandi aree di natura incontaminata dall'Asia all'Amazzonia sono minacciate

Da “Independent”. Traduzione di MR

C'è la finanza internazionale dietro ai piani per spianare aree incontaminate da Sumatra al Serengeti

Di Steve Connor




Autisti su una statale che passano attraverso terra deforestata lungo una autostrada federale. Getty Images 

Le ultime aree di natura incontaminata – dall'Asia all'Amazzonia – sono minacciate da un programma di costruzione di strade senza precedenti da parte di banche di sviluppo aggressive che hanno poco interesse nel proteggere il mondo naturale, ha avvertito un importante scienziato ambientale. La costruzione di enormi infrastrutture e strade sono al centro di enormi progetti di sviluppo in tutto il mondo, giustificati come tentativi vitali di aiutare i più poveri a raggiungere uno standard di vita più alto. Gli scienziati affermano che stiamo vivendo nell'era più esplosiva dell'espansione di strade ed infrastrutture della storia umana – dalle pianure del Serengeti alle foreste pluviali di Sumatra. Entro il 2050, stimano che ci saranno ulteriori 25 milioni di km di nuove strade asfaltate a livello globale, sufficienti a fare il giro della Terra 600 volte. Circa il 90% di queste nuove strade verranno costruite nel mondo in via di sviluppo e molte di queste porteranno ai primi tagli in profondità in aree di foresta pluviale tropicale incontaminata per strade di servizio per nuove miniere e dighe idroelettriche in alcuni dei luoghi più remoti della Terra.

Discussione sul collegamento fra emissioni e popolazione

Da “The Bulletin”. Traduzione di MR (via Population Matters)

Le Nazioni Unite prevedono che la popolazione globale, oggi di circa 7,4 miliardi, raggiungerà gli 11,2 miliardi nel 2100 (con l'Africa che fa la parte del leone nella quota di crescita). Per tutti coloro che sono preoccupati dal cambiamento climatico, questa è una prospettiva che fa pensare. Il mondo lotta già per limitare le emissioni di biossido di carbonio, quali sono quindi le prospettive della mitigazione climatica in un mondo col 50% di persone in più? Ma le proposte di rallentare la crescita della popolazione possono incontrare una dura resistenza. Il vero problema, dicono alcuni, è che il consumo di energia crescerà molto più rapidamente della popolazione (link a cura del traduttore) man mano che il mondo diventa più ricco – ed in ogni caso, le iniziative del passato di limitare la crescita della popolazione a volte hanno assunto forme sinistre. Sotto, esperti da Nigeria, Stati Uniti e Cina discutono queste questioni: i tentativi di limitare la crescita della popolazione sono un elemento legittimo della mitigazione climatica – e possono essere perseguiti senza esigere costi etici inaccettabili? 

Clima: un'altra ragione perché l'Africa rallenti la crescita della propria popolazione

Di Alex Ezeh

Ci sono quelli che percepiscono qualsiasi tentativo di limitare la crescita della popolazione come “controllo della popolazione”. Si tratta di un termine che evoca in modo raggelante l'intervento di stato coercitivo per controllare il comportamento riproduttivo individuale. I programmi di controllo della popolazione sono stati implementati di rado senza esigere costi etici inaccettabili. Ma c'è una grande differenza fra i programmi di controllo della popolazione coercitivi condotti dallo stato e i tentativi di rallentare la rapida crescita della popolazione. L'obbiettivo dei programmi di controllo della popolazione sono le azioni individuali. I tentativi di rallentare il tasso di crescita della popolazione, invece, lavorano all'interno dei contesti sociali e cercano di produrre un cambiamento volontario.

La dimensione e il consumo della popolazione sono fra i motori chiave del cambiamento climatico. Se ci sono 7 miliardi o 14 miliardi di persone sulla Terra conta a livello fondamentale per il clima. Ma la relazione fra popolazione e salute del pianeta non è lineare. Un bambino nato, diciamo, in Nord America avrà un'impronta di carbonio più pesante di quella che avrà la sua compagna d'età nata nell'Africa sub-sahariana. Le regioni con le impronte di carbonio più pesanti stanno sperimentando una crescita della popolazione più lenta delle altre regioni. Molti paesi – compresi Giappone e Russia e gran parte delle nazioni dell'Europa orientale – stanno sperimentando una crescita della popolazione negativa. Ma non è così per l'Africa sub-sahariana. Fra il 1950 ed il 2000, la popolazione della regione è cresciuta da meno di 180 milioni a più di 642 milioni. Solo a partire dal 2000, la popolazione della regione è aumentata della metà, fino a quasi 1 miliardo. Per il 2050 la popolazione dell'Africa sub-sahariana è prevista a più di 2,1 miliardi – e 50 anni dopo questo, la regione sarà la casa di una stima di 4 miliardi di persone. In questo scenario, due esseri umani su cinque nel 2100 saranno Africani sub-sahariani.

L'impronta di carbonio dell'Africa sub-sahariana è leggera. Ma la popolazione in rapida crescita della regione ha un impatto ambientale che è già molto evidente. Gli ecosistemi come la foresta pluviale tropicale si degradano rapidamente. Pratiche agricole inefficienti stanno creando cambiamenti dell'uso della terra indesiderabili. La biodiversità sta diminuendo. Tutti questi effetti sono attesi in intensificazione se la popolazione dell'Africa cresce come previsto. I politici africani si interessano al rapido tasso di crescita della popolazione dell'area – ma il cambiamento climatico non è in nessun modo la ragione principale di questo interesse. In Africa, l'aumento della domanda di servizi fondamentali – senza l'aumento di risorse per pagarli – può forzare le infrastrutture oltre la loro capacità. Ciò fa sembrare ogni successivo governo della regione meno efficace del regime che lo ha preceduto. L'educazione è un buon esempio dell'aumento della domanda di servizi pubblici. L'UNESCO stima che l'Africa sub-sahariana, per ottenere la copertura della scuola primaria e dell'inizio della secondaria entro il 2030, avrà bisogno di 2,1 milioni di insegnanti della scuola primaria in più e 2,5 milioni di insegnanti della scuola secondaria iniziale. Chiaramente, i leader politici dell'Africa sub-sahariana affrontano sfide enormi a causa della rapida crescita della popolazione.

I leader politici sono anche preoccupati dalla crescita della popolazione perché temono l'insicurezza e l'instabilità. Gli estremisti possono trovare adepti più facilmente in bacini più ampi – specialmente  in grandi bacini di giovani la cui educazione ridotta, le cui prospettive di impiego ridotte e la mancanza di opzioni, possono renderli disillusi. I leader hanno anche interesse per la popolazione a causa del potenziale di un cosiddetto “dividendo demografico” - cioè, un miglioramento nelle prospettive economiche di una nazione quando il suo rapporto fra età lavorativa e non lavorativa delle persone aumenta. Quindi non sorprende che quando i decisori politici africani considerano la crescita della popolazione, il cambiamento climatico non è centrale nel loro pensiero. Ma quale dovrebbe essere la preoccupazione a proposito dei 4 miliardi di africani che potrebbero esserci nel 2100? Il problema non è se l'Africa, un continente di più di 3 miliardi di ettari, ha abbastanza spazio per così tanta gente. Anche un'Africa con 4 miliardi di abitanti avrebbe di gran lunga meno persone per unità di terra abitabile di quanto l'India non ne abbia oggi. In realtà, la domanda chiave è questa: che tipo di persone sarebbero questi 4 miliardi di africani? Sarebbero africani poveri, malati, ignoranti che si calpestano l'un l'altro per scappare? O saranno africani sani, colti e produttivi e felici di vivere sul loro continente di nascita e che contribuiscono al progresso ed allo sviluppo regionale (e globale)? E soprattutto, come può l'Africa sub-sahariana trasformare il suo futuro demografico in qualcosa di gestibile, orientato allo sviluppo ed economicamente fattibile – rispettando pienamente le scelte riproduttive individuali?

Le nazioni africane possono cambiare le loro traiettorie demografiche e di sviluppo per il meglio se perseguono vigorosamente tre azioni politiche chiave. La prima è fornire accesso universale ai servizi di pianificazione famigliare, che hanno dimostrato di ridurre significativamente il numero di bambini nati anche in popolazioni povere, ignoranti e rurali. Un aumento di soli 15 punti percentuali nella diffusione dei contraccettivi è associata alla riduzione di un figlio nel numero di bambini nati per la donna media. Nell'Africa sub-sahariana, la crescente diffusione dei contraccettivi di 45 punti percentuali potrebbe ridurre il tasso totale di fertilità da 4,7 a 1,7, che porterebbe il tasso di crescita della popolazione della regione al di sotto dei livelli di ricambio. La seconda iniziativa politica chiave coinvolge tentativi di ritardare matrimonio e gravidanza. Restando tutto il resto uguale, una popolazione in cui le donne cominciano ad avere figli a 15 anni ha il 25% in più di persone dopo 60 anni di una popolazione in cui le donne hanno il loro primo figlio a 20 anni. Più viene ritardato il matrimonio di una ragazza, più opportunità ha per lo sviluppo personale – e meglio è per l'intero paese. Un terzo passo importante è espandere l'accesso delle ragazze all'educazione oltre il livello della scuola primaria. Le donne, se ricevono un'educazione ulteriore da ragazze, hanno meno figli. Ciò è stato dimostrato in modo consistente. Una migliore educazione fornisce anche migliori opportunità alle donne di guadagnarsi uno stipendio – esattamente ciò di cui hanno bisogno i paesi in via di sviluppo per ottenere lo sviluppo economico. Implementare queste tre iniziative politiche porterebbe a riduzioni più sostenibili, più durature e (cosa più importante) più veloci dei tassi di crescita della popolazione di quella che otterrebbe qualsiasi azione coercitiva di governo.

La prospettiva di 4 miliardi di africani nel 2100 può essere motivo di preoccupazione – o potrebbe ispirare impegno ad investire in opportunità educative per le ragazze, maggior accesso alla pianificazione famigliare e matrimoni ritardati. Questi passi sarebbero una trasformazione per il continente. Genererebbero sviluppo e promuoverebbero la crescita economica oltre alla riduzione del fardello demografico che contribuisce al cambiamento climatico. Ma mentre i tentativi africani di rallentare la crescita della popolazione contribuiranno alla salute del pianeta, non si deve dimenticare che i più grandi colpevoli nella corsa alla distruzione del pianeta sono i paesi che hanno le impronte di carbonio più pesanti. Servono iniziative globali e gli investimenti per sostenere i paesi africani mentre lavorano per ottenere un dividendo demografico – ma questo dev'essere abbinato a tentativi appropriati e complementari per mitigare il danno ambientale arrecato dai paesi che si aspettano una crescita della popolazione zero o persino negativa.

venerdì 22 gennaio 2016

Qualcosa di molto brutto all'orizzonte


(Sorgente: giss)

Lo so che tutti dicono che non bisogna spaventare la gente. Lo so che tutti dicono che bisogna essere cauti. Lo so che tutti dicono che tutto andrà bene dopo Parigi. Lo so, lo so, che essere catastrofisti è controproducente. Le so tutte queste cose.

Eppure, eppure..........