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mercoledì 27 gennaio 2016

Speranza ed ottimismo.



Giorni fa un mio carissimo amico, esasperato dal mio pertinace pessimismo, mi ha rimproverato citando la battuta di un film.   “C’è sempre speranza”, dichiara l’eroe per rincuorare i suoi alla vigilia di un’impari battaglia.   

Questo mi ha riproposto per l’ennesima volta la domanda su cosa sia la Speranza e se questa sia diversa dall'ottimismo.  .  Una questione che credo possa interessare anche altri, visti i tempi che corrono.   Ho quindi condotto in proposito una breve indagine, che propongo a voi, senza pretese di rigore teologico e psicologico.

Nella ben nota versione di Esiodo, Pandora è una bambola di insuperabile bellezza e pari stupidità che, disobbedendo a Zeus, apre il famoso vaso in cui il Re degli Dei aveva racchiuso tutti i mali che affliggono l’umanità.  Appena la donna, per mera curiosità, socchiude il coperchio la Fatica, la Malattia, la Guerra assieme a tutte le altre calamità fuggono e, da allora, infestano il mondo.   Solo rimase, un fondo al vaso, la Speranza. 

Messo in questi termini, il mito non è altro che una divertente favola maschilista, riciclata poi da innumerevoli autori.    Ma c’è un dettaglio molto intrigante:   La speranza rimane, ma era anch'essa nel vaso.   Dunque si tratta di un balsamo per lenire gli inevitabili mali, oppure del peggiore fra essi?    In effetti, si potrebbe argomentare che, di solito, è per migliorare il proprio stato che gli uomini creano le tragedie destinate e travolgerli.

Ma esistono altre varianti di questa storia.   Comparando altre versioni del mito (diffuse in diverse aree della tradizione indo-europea) ed al materiale iconografico, in particolare le figure sui vasi, si può arguire una versione molto più arcaica ed interessante.    Secondo questa ricostruzione, Pandora sarebbe un’Epifania di Gaja, nel suo aspetto di generosa donatrice di frutti.   Ed il famigerato vaso sarebbe quello ove gli Dei conservano il Nettare: la bevanda divina che conferisce loro l’immortalità.   Uno dei Titani, nel caso Epimeteo, sarebbe riuscito a rubare il vaso a beneficio della sua stirpe.  

Per evitare la catastrofe, Pandora scende sulla Terra, seduce Epimeteo e, mentre questi è distratto, recupera il vaso riportandolo sull’Olimpo.   Ma Pandora ebbe pietà della condizione umana, resa misera dalla fame, la fatica, la malattia e la morte.    Così lasciò loro la Speranza.  
   
Non sono in grado di giudicare la validità di tale ricostruzione di cui non ritrovo neppure la citazione bibliografica, ma la ritengo comunque interessante per noi.    Secondo questa versione, infatti, la Speranza sarebbe una divinità secondaria che la pietà della Grande Madre ha concesso agli umani affinché potessero meglio sopportare la loro sorte.   Ma come generalmente avviene con la mitologia arcaica, anche in questa versione il significato rimane ambiguo.  

La Speranza consente infatti agli uomini di tollerare le loro inevitabili sofferenze.   Ma non è chiaro se ciò avviene perché li aiuta a comprendere il significato profondo del loro soffrire, o semplicemente perché li inganna, lasciando loro immaginare che le loro miserie un giorno termineranno?   Non è chiaro, insomma, se la Speranza sia una chiave di saggezza o un “oppio dei popoli” ante litteram.

Un dubbio dissipato, credo, dalla tradizione cristiana secondo cui la Speranza è una delle tre virtù teologali, cioè le tre virtù che “sono il pegno della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano”. Vale a dire le virtù supreme, capaci di fare di un uomo un santo.    Ma attenzione, la Speranza cristiana si accompagna inscindibilmente con la Fede e la Carità.   Queste tre virtù costituiscono, insomma, una trinità che ha senso solo nella sua completezza.  E questo comincia a darci qualche indicazione sulla differenza profonda fra Speranza ed ottimismo.   

Secondo il catechismo, la Speranza è infatti il desiderio di accedere al regno dei Cieli mediante la Grazia Divina; cosa che ha senso solo se tutt'uno con la Fede.  Cioè la ferma convinzione circa la verità assoluta della Rivelazione.    La Carità, infine è l’incondizionato amore per Dio e per il prossimo in quanto manifestazione di Lui.

Volendo laicizzare il concetto, oserei proporre che la Speranza sia l’essere disponibili a soffrire in funzione di uno scopo più alto.   Insomma essere pronti al peggio, in nome e per conto del meglio.   La Fede, al di fuori della dottrina, direi che sia l’incrollabile fiducia nel fatto che il mondo abbia senso e sia retto da leggi inviolabili.   Il famoso “Il Vecchio non gioca a dadi col mondo” di Einstein.   La Carità infine, per i non cristiani potrebbe corrispondere all'empatia, cioè alla capacità di percepire come proprie la sofferenza e la gioja altrui.  

In entrambe le versioni, cristiana e laica, comunque la Speranza non consiste nel “pensare positivo”, bensì nella capacità di presagire il peggio e sopportarlo, nella certezza che non sia inutile.  Il soldato che resta indietro per coprire la ritirata dei suoi compagni non si aspetta di cavarsela, ma spera che la sua morte valga a salvare loro.  L’attivista che si fa arrestare dalla polizia di uno stato dispotico, non pensa di cavarsela a buon mercato.   Al contrario sa molto bene a cosa va incontro e lo fa a ragion veduta perché spera che questo, un giorno, valga la libertà di altri.   Più quotidianamente, i genitori che rinunciano alle vacanze per pagare gli studi del figlio hanno un atteggiamento analogo. Certo la Speranza può benissimo contemplare anche la vittoria e la salvezza, ma comunque non sottovaluta le difficoltà ed è cosciente della scarsa probabilità di successo.

Non a caso, Il contrario della Speranza  è la Disperazione.  Cioè il sentimento di fallimento ed inutilità totale e definitiva che può condurre le persone all'autodistruzione.   Cioè esattamente il sentimento che facilmente pervade gli ottimisti posti alla prova dei loro errori di valutazione.
 
Ma procediamo.   Secondo la tradizione gnostica, le Virtù teologali non sarebbero tre, bensì quattro, aggiungendosi la Conoscenza (o Saggezza a seconda delle traduzioni).    Vale a dire la comprensione, migliore possibile, delle leggi del Fato che plasmano il destino di tutti gli esseri viventi.   In questa variante, la Speranza, per essere veramente tale, presuppone quindi anche la conoscenza e la comprensione delle leggi di Natura.   Esattamente quelle che solitamente ci dicono cosa non è possibile che accada. 

Facciamo un esempio d’attualità:  pensare che dalla COP21 sarebbero uscite decisioni realmente impattanti sul futuro del clima era certamente una manifestazione di ottimismo.   Chiunque si fosse preso la briga di informarsi circa le retroazioni in atto nel clima e le cause del fallimento delle precedenti 20 conferenze non poteva avere dubbi.   Ciò nondimeno è possibile sperare che da tanto fumo esca un piccolo arrosto.  Qualche iniziativa che, certo, non cambierà il destino del pianeta, ma potrebbe essere utile nel difficile futuro che ci aspetta.

Oppure dimostra Speranza chi , ad esempio, pianta alberi su di un terreno brullo, sapendo che hanno il 90% di probabilità di morire molto giovani.   Perché è vero che il sistema Terra ha un disperato bisogno di alberi e che qualcuno di questi potrebbe crescere abbastanza da dare un contributo infinitesimo, ma reale.   

Comunque, il mondo è  infinitamente più complesso di quanto non lo conosciamo e potrebbero quindi accadere molte cose in grado di ridurre drasticamente le emissioni nel giro di anni o pochi decenni.   Ad esempio una serie di guerre o, più probabilmente, una crisi economica globale di portata mai vista.   Si possono immaginare anche altri scenari, ma poco importa perché, sicuramente, ciò che effettivamente accadrà non sarà niente che abbiamo ipotizzato prima.   Ma se è possibile che il cambiamento climatico rimanga entro limiti che rendono possibile la civiltà, non è invece possibile che ciò accada senza che l’umanità paghi un tributo immenso di sofferenza ai propri errori.
  
Per tornare alla tradizione classica, direi che quando Ulisse lascia l’isola di Calipso, lo fa sorretto dalla Speranza.   Per tentare di raggiungere la sua famiglia e la sua Patria affronta consapevolmente dei pericoli mortali, rinunciando all'amore di una ninfa, ad ogni agio e perfino all'immortalità.   
Viceversa, i proci che continuano a bagordeggiare, sordi e ciechi a tutti gli avvertimenti, erano ottimisti.   In fondo, Ulisse non si era più visto da 10 anni, come potevano pensare che quel vecchio che con due cazzotti  aveva spacciato il più grosso bullo dell’isola fosse il celebre guerriero?    E si sapeva anche allora che àuguri ed indovini passavano il tempo a “gufare”.   Si vede che, anche allora, pensare positivo era di moda, perlomeno in certi ambienti.

Insomma, penso che Speranza ed ottimismo facilmente convivono e, in parte, si confondono fra loro, ma rimane a mio avviso una differenza profonda fra di essi.  La Speranza direi che contenga in sé qualcosa di intrinsecamente eroico, tant'è che matura e si forgia nelle difficoltà.   Al contrario, l’ottimismo mi pare sia il frutto di un passato particolarmente fortunato che si suppone continui indefinitamente nel futuro. 

L’ottimismo è stupido, la speranza è una virtù  (Michel Schneider)