martedì 10 febbraio 2015

Il ruolo dei collassi sociali nei cicli storici (II)

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR




Cari lettori,

nel post di oggi vi presento la seconda parte dell'estratto della sezione 9.1 del libro “Nella spirale dell'energia”, di Ramón Fernández Durán e Luis González Reyes. Nel post di oggi si analizza l'inevitabilità del collasso della società industriale e le sue fasi.

Saluti.
AMT

Inevitabilità del collasso della civiltà industriale

La vulnerabilità del capitalismo fossile (capitalismo basato sui combustibili fossili, ndt) globale

Il sistema socioeconomico attuale ha elementi di resilienza importanti. Uno è che l'alta connettività aumenta la capacità di rispondere rapidamente alle sfide. Per esempio, se manca il raccolto in una regione, la fornitura alimentare si può dislocare in un altro luogo del pianeta (se interessa, la stessa cosa si potrebbe dire di una parte sostanziale del sistema industriale. Un'altra espressione della resilienza è il dislocamento del rischio in altri luoghi esterni agli spazi centrali e del presente attraverso l'ingegneria finanziaria. Tuttavia, la connettività aumenta anche la vulnerabilità del sistema, visto che, a partire da una certa soglia, non si possono più compensare gli squilibri e il collasso dei singoli sottosistemi colpisce il resto. Il sistema funziona come un tutto interdipendente e non come parti che si possano analizzare isolate (Stati Uniti, UE, Cina) e molto meno che possano sopravvivere da sole. Inoltre, si è raggiunta la connettività massima: non esiste più un “fuori” del sistema-mondo, il mondo è “pieno”. Non c'è più la possibilità di migrare ne di ricevere aiuto da altri luoghi. La figura 9.3 visualizza le implicazioni di questa connettività. Si può partire da un nodo qualunque, come la mancanza di accessibilità a gas e petrolio (in alto a sinistra) e seguire come questa carenza si trasmetta a tutto il sistema.



Figura 9.3: Complessità ed interdipendenza del sistema attuale.

lunedì 9 febbraio 2015

Strada obbligata.

The one way forward
Di John M. Greer
Traduzione di Jacopo Simonetta.

Ho voluto tradurre questo lungo (un po’ troppo lungo) articolo dell’ineffabile Aci-druido perché mi pare che sia particolarmente interessante.   Fra l’altro, esprime posizioni molto simili a quanto sostenuto da Serge Latouche in una conferenza tenuta a Pisa nella primavera scorsa.
Io rimango scettico per varie ragioni che esporrò in un prossimo post, ma mi pare comunque un’idea interessante.

Nota sulla traduzione:   La prosa di Greer è molto lineare nei suoi libri, ma spesso contorta nei suoi post.   In queste pagine, mi sono preso la libertà di modificare leggermente la punteggiatura e qualche giro di frase che, tradotto pedissequamente in italiano, diventava illeggibile.


Tutto considerato, il 2015 non promette di essere una buona annata per chi crede nel “business as usual”.   Dopo il post della settimana scorsa sull’Archidruid report, il partito anti-austerity Syriza ha spazzolato le elezioni in Grecia, fra l’entusiasmo di partiti simili in tutta Europa e lo sconforto della gerarchia di Bruxelles.   Questa non può rimproverare altri che se stessa per questo evento.   Oramai per più di un decennio, le politiche EU hanno effettivamente protetto le banche ed i possessori di buoni del tesoro dalla salubre disciplina del mercato, prima di ogni altra considerazione.   Ivi compresa la sopravvivenza economica di intere nazioni.    Non dovrebbe sorprendere nessuno se questo non era un approccio vitale a lungo.

Nel frattempo, la bolla del fracking continua a sgonfiarsi.   Il numero di trivelle al lavoro nei campi petroliferi americani continua a cadere verticalmente di setimana in settimana.   I licenziamenti nel settore petrolifero stanno accelerando ed il prezzo del petrolio rimane a livelli che rendono ogni espansione del fracking un benvenuto esercizio matematico per il tribunale locale.   Quei pundit mediatici che stanno ancora parlando dell’industria del  fracking stanno insistendo che il calo del prezzo del petrolio prova che loro avevano ragione e che quei maledetti eretici che parlano di picco del petrolio devono avere torto. Ma evitano di spiegare come mai i minerali di ferro, rame e molti altri dei materiali principali stanno perdendo valore ancora più in fretta del greggio.   E neppure perché la domanda di petrolio negli USA sta declinando anche lei.

Il fatto è semplicemente che un’economia industriale costruita per correre con petrolio convenzionale a buon mercato non può funzionare a lungo con petrolio costoso senza schiacciarsi il naso per terra.   Dal 2008, le nazioni industriali del mondo hanno cercato di compensare la differenza inondando le loro economie con credito a buon mercato, nella speranza che questo avrebbe potuto compensare la rapidamente crescente quantità di ricchezza reale che deve essere dirottata dagli altri scopi, nello sforzo di mantenere il flusso di combustibili liquidi al loro livello di picco.   Ora però le leggi economiche hanno chiamato il loro bluff.    Le ruote si stanno fermando in una nazione dopo l’altra ed il prezzo del petrolio (come quello di altre risorse) è sceso ad un livello che non copre i costi dell’olio di scisto, delle sabbie bituminose e cose simili.   Ciò perché tutti questi frenetici tentativi di esternalizzare i costi della produzione di energia comportano che sia l’economia globale che riceve il colpo.

Naturalmente non è così che i governi ed i media spiegano la crisi che sta emergendo.   Del resto, non c’è carenza di pundit e di gente fuori dai corridoi del potere  che ignorano il collasso generale del prezzo delle materie prime.   Fissandosi sul petrolio al di fuori del più vasto contesto dell’ esaurimento delle risorse in generale, insistono che il cambio del prezzo del petrolio sia un atto di guerra, o quel che vi pare.

Questa è una logica che i lettori di questo blog hanno visto dispiegarsi molte volte nel passato.   Qualunque cosa accada deve essere stato deciso ed attuato da esseri umani.   Uno stupefacente numero di persone in questi tempi, sembra incapace di immaginare la possibilità che fattori totalmente impersonali come le leggi dell’economia, della geologia e della termodinamica possano da sole far accadere delle cose (grassetto mio ndt.).

Il problema che fronteggiamo ora è precisamente che l’inimmaginabile è la nostra realtà.   Per un po’ troppo tempo, troppa gente ha insistito che non bisogna preoccuparsi dell’assurdità di perseguire una crescita illimitata su di un delimitato e fragile pianeta,  perché “troveranno qualcosa”.   Oppure hanno pensato che chattare sui forum internet a proposito di questo o quel pezzo di fumo tecnologico sia fare qualcosa di concreto a proposito dell’imminente collisione della nostra specie con i limiti della crescita.   Viceversa, per appena un po’ troppo tempo, non abbastanza persone hanno voluto fare qualcosa in proposito ed ora i fattori impersonali hanno occupato la sedia del conducente, dopo aver malmenato tutti noi sette miliardi ed  averci ficcati nel bagagliaio.

Come ho segnalato nel post della settimana scorsa, questo pone dei severi limiti a quello che possiamo fare nel breve termine.   Con ogni probabilità, a questo stadio del gioco, ognuno di noi incontrerà l’onda della crisi con la preparazione che si è dato; sostanziale o trascurabile che questa sia.   Sono cosciente che un certo numero dei miei lettori non sono felici di questo, ma non possono essere aiutati.   Il futuro non è tenuto ad aspettare pazientemente finché siamo pronti.
Alcuni anni fa, quando postai un testo che riassumeva la strategia che proponevo, probabilmente avrei dovuto mettere più enfasi sulla parola principale dello slogan: adesso.   Oramai quel che è fatto è fatto.

Questo non significa che siamo alla fine del mondo.    Significa che con tutta probabilità, cominciando in un qualche momento di questo anno e per parecchi anni a venire, molti dei miei lettori saranno indaffarati con gli impatti multipli di una martellante crisi economica sulla loro vita e su quella dei loro familiari, amici, comunità e datori di lavoro.   In un periodo in cui il sistema politico di gran parte del mondo industriale sarà grippato, le guerre latenti nel Medio Oriente ed in gran parte del terzo Mondo saranno in ebollizione più del solito ed il tramonto della Pax Americana spingerà  sia il governo USA che i suoi nemici ad un livello ancora maggiore di rischio.

Come esattamente questo accadrà nessuno lo sa, ma accadrà sicuramente.   E difficilmente sarà piacevole.

Intanto che ci prepariamo per il primo colpo, comunque, è utile parlare un poco a proposito di cosa accadrà dopo.    Per quanto sia lungo l’effetto domino sugli istituti finanziari coinvolti nella bolla del fracking, prima o poi cadrà l’ultimo e, dopo qualche anno, le cose torneranno ad una “nuova normalità”; anche se molto più in basso lungo la pendice della decrescita.   Non importa quante guerre per procura, colpi di stato, azioni segrete ed insurrezioni manipolate saranno lanciate dagli Stati Uniti e dai suoi rivali nella loro lotta per la supremazia; molti dei posti toccati da questi conflitti vedranno alcuni anni di guerra effettiva, con periodi di relativa pace prima e dopo. Le altre forze che guidano il collasso agiscono sostanzialmente allo stesso modo.  Il collasso è un processo frattale, non uno lineare.

Però sull’altro lato della crisi c’è qualcos’altro che “di più dello stesso”.   La discussione che vorrei cominciare a questo punto è centrata su quello che potrebbe valere la pena di fare una volta che le masse di macerie economiche, politiche e militari smetteranno di rimbalzare.   Non è troppo presto per pianificare questo. Se non altro, darà ai lettori di questo blog qualcosa cui pensare mentre staranno in coda per il pane o nascosti in cantina, mentre polizia e ribelli si scontrano in strada.   A parte questo beneficio, prima si comincia a pensare a quali opzioni saranno disponibili una volta tornata una certa stabilità, migliori saranno le probabilità di essere pronti ad agire, nella nostra vita o ad una più ampia scala.

Del resto, una delle interessanti conseguenze di ogni crisi davvero sostanziale è che ciò che era impensabile prima può non essere impensabile dopo. Leggete il brillante “The proud Tower” di Barbara Tuchman e vedrete quante delle indiscutibili certezze del 1914 erano finite nella compostiera della storia alla fine del 1945.   E quante delle idee che erano state appannaggio di frange ultraperiferiche  prima della prima guerra mondiale erano diventate buon senso comune dopo la seconda.   E’ un fenomeno comune ed io propongo qui di andare avanti lungo questa curva proponendo, come materiale grezzo di riflessione e nient’altro, qualcosa che è certamente impensabile oggi, ma che potrebbe diventare una necessità dieci o venti, o quaranta anni da ora.

Che cosa ho in mente?   Una intenzionale regressione tecnologica come politica pubblica.
Immaginate, per un momento, una nazione industriale che riduca la sua infrastruttura tecnologica approssimativamente a quel che era nel 1950.   Questo comporterebbe un drastico decremento dei consumi energetici pro-capite, sia direttamente  (la gente usava molto meno energia di tutti i tipi nel 1950), sia indirettamente ( anche la produzione di beni e servizi richiedeva molto meno energia allora).   Ciò comporterebbe parimenti una brusca riduzione dei consumi pro capite di molte risorse.    Comporterebbe anche un brusco incremento dei posti di lavoro per le classi lavoratrici.   A quei tempi, un sacco di cose oggi fatte dai robot erano fatte da esseri umani, cosicché c’erano molte più buste paga che andavano in giro il venerdì per pagare i beni e servizi che i consumatori normali comprano.   Dal momento che un flusso costante di stipendi ai lavoratori è una delle cose principali per mantenere un’economia stabile e vigorosa, questo sarebbe sicuramente un ovvio vantaggio, ma per adesso possiamo lasciare questo da parte.

Certamente il cambiamento proposto comporterebbe certi cambiamenti rispetto a come vanno adesso le cose.   Nel 1950 i viaggi in aereo erano estremamente costosi, i ricchi erano chiamati “il jet-set” perché erano gli unici che potevano comprare i biglietti.   Così tutti gli altri era costretti ad usare dei veloci, affidabili ed energicamente efficienti treni quando dovevano andare da un posto all’altro.   I Computers erano rari e costosi, il che significava, ancora una volta, che più gente aveva un lavoro.   E Significava anche quando chiamavate una ditta od un ufficio la vostra probabilità di trovare un essere umano per aiutarvi in qualunque vostro problema era considerevolmente più alta di oggi.
Mancando internet, la gente si doveva accontentare di un’ampia gamma di frequenze radio, migliaia di periodici generici o specializzati ed un sacco di librerie e biblioteche locali, zeppe di libri.  

Almeno in America, gli anni ’50 furono l’età d’oro delle biblioteche pubbliche e molte cittadine avevano delle collezioni che in questi giorni non trovate nemmeno nelle grandi città. Oh, e quelli a cui piace guardare foto di gente spogliata (che oggi hanno un grande e di solito non menzionato ruolo nel pagare internet) si dovevano accontentare di riviste indecenti che gli consegnavano in anonime buste marroni. Oppure andavano in negozietti di periferia.  Tutte cose che, comunque, non sembravano metterli in imbarazzo.

Come osservato prima, sono del tutto cosciente che un simile progetto è assolutamente impensabile oggi; che provocherebbe un’immediata reazione di superstizioso orrore.  Quindi, per prima cosa, parliamo delle obbiezioni più ovvie.  Sarebbe possibile? Sicuro.

Molto di quello che deve essere fatto sono dei semplici cambiamenti nelle leggi fiscali.   Proprio ora, negli stati uniti, una galassia di perversi regolamenti penalizzano i datori di lavoro se assumono persone ed incentivano quelli che rimpiazzano gli impiegati con delle macchine. Cambiate questo in modo che spendere di più in stipendi abbia maggior senso finanziario che spendere per automatizzare, e sarete già a metà strada.

Una revisione della politica commerciale farebbe buona parte del resto che sarebbe necessario.   Malgrado le fideistiche pretese degli economisti, quello che viene scherzosamente chiamato “mercato libero” benefica i ricchi a spese di tutti gli altri e potrebbe essere rimpiazzato da ragionevoli tariffe per sostenere la produzione domestica, contro il mercantilismo predatorio che domina l’economia globale in questi giorni.   Aggiungete a questo alte tariffe sulle importazioni di tecnologia e togliete a qualsiasi tecnologia successiva al 1950 i sontuosi sussidi che ingrassano le aziende del “Fortune 500” e di base ci siete.

Quello che rende il concetto di regressione tecnologica così intrigante, e così utile, è che non richiede di sviluppare niente di nuovo. Sappiamo già come funzionava la tecnologia del 1950. Quali sono le sue necessità di energia e risorse; quali sarebbero vantaggi e svantaggi nell’adottarle.

Un’abbondante documentazione ed una certa frazione della popolazione che ancora ricorda come funzionava renderebbero la cosa facile.   Quindi sarebbe una cosa semplice fare una lista di quel che serve, quali sarebbero costi e benefici, e come minimizzare i primi massimizzando i secondi.   Non dovremmo fare quei tentativi alla cieca e quelle ipotesi arbitrarie che sono necessarie quando si sviluppa una nuova tecnologia.  Tanto per la prima obbiezione.

Seconda domanda: ci sarebbero controindicazioni ad una deliberata regressione tecnologica?  

Certamente! Ogni tecnologia e qualsiasi gruppo di opzioni politiche ha le sue controindicazioni.   In effetti, una comune fantasia odierna pretende che sia ingiusto prendere in considerazione le controindicazioni delle nuove tecnologie ed i vantaggi delle vecchie, quando si decide se rimpiazzare una tecnologia vecchia con una più nuova. Una illusione ancora più comune pretende che non devi nemmeno decidere. Quando una nuova tecnologia emerge, si presume che tu la segua belando come tutti gli altri, senza porre alcuna domanda.

La tecnologia corrente ha immense controindicazioni.  Le tecnologie future ne avranno anche loro.   E’ solo nelle pubblicità e nelle storie di fantascienza che le tecnologie non hanno difetti. Quindi, il mero fatto che anche le tecnologie del 1950 ponevano dei problemi non è una ragione valida per scartare la regressione tecnologica. Per quanto impensabile, la domanda da porre  è se, tutto considerato, sarebbe saggio accettare le controindicazioni della tecnologia del 1950 al fine di disporre di un complesso operativo di tecnologie in grado di funzionare con molto minori consumi procapite di energia e risorse. E dunque migliori speranze di attraversare l’età dei limiti che abbiamo davanti, piuttosto che con la molto più stravagante e fragile infrastruttura tecnologica odierna.

Probabilmente è necessario parlare anche di un particolare pezzo di paralogica che emerge ogniqualvolta qualcuno suggerisce la regressione tecnologica: la nozione che se torni ad un più vecchia tecnologia, devi assumere anche le pratiche sociali e le abitudini culturali di quei tempi. Ho ricevuto molti commenti di questo tipo l’anno scorso quando ho suggerito che una tecnologia a vapore di tipo vittoriano alimentata da energia solare potrebbe essere una forma di ecotecnica del futurro. Uno stupefacente numero di persone sembravano incapace di immaginare che questo fosse possibile senza reintrodurre anche usanza vittoriane quali il lavoro infantile ed il pudore sessuale.   Per quanto sciocche, idee simili hanno radici profonde nell’immaginario moderno.

Senza dubbio, come risultato di queste profonde radici, ci sarà un sacco di gente che risponderà alla proposta che ho appena fatto che le pratiche sociali e le abitudini culturali del 1950 erano orribili, e pretendendo che queste abitudini non possono essere separate delle tecnologie in questione. Posso rispondere osservando che il 1950 non aveva un solo set di pratiche sociali e culturali. Solo negli Stati Uniti, un viaggio da Greenwich Village alla Pennsylvania rurale nel 1950 vi avrebbe fatto incontrare con notevoli diversità culturali fra persone che usavano la medesima tecnologia.

Il punto si può ribadire notando che, in quell’anno,  la stessa tecnologia era in uso a Parigi, Djakarta, Buenos Aires, Tokyo, Tangeri, Novosibirsk, Guadalajara e Lagos. E non tutti questi avevano le stesse usanze degli americani, sapete. Ma sarebbe fiato sprecato. Per i veri credenti nella religione del progresso, il passato è un ribollente calderone di eterna dannazione da cui perpetuamente ci salva il surrogato messia del progresso. Ed il futuro è il radioso paradiso, le cui porte i fedeli sperano di varcare a tempo debito. Molte persone in questi giorni non vogliono discutere questa dubbia classificazione più di quanto un contadino medioevale non fosse disposto a dubitare del miracoloso potere che si supponeva emanasse dalle ossa di S. Ethelfrith (il fondatore del regno di Northumbria, attuale Inghilterra ndt).

Niente, ma niente suscita un più superstizioso orrore nella cultura dominante del dire, cielo aiutaci, “torniamo indietro”. Anche se la tecnologia di giorni precedenti è più adatta ad un futuro di scarsità di risorse e di energia, piuttosto che l’infrastruttura che abbiamo adesso.   Anche se la tecnologia di giorni andati effettivamente fa meglio il lavoro di molte cose che abbiamo oggi,  “Non possiamo tornare indietro!” è l’angosciato grido delle masse.   Sono stati così bene imbambolati dai propagandisti del progresso che non smettono mai di pensare questo.

C’è una ricca ironia nel fatto che i circoli alternativi e d’avanguardia tendono ad essere ancora più ossessivamente fissati col dogma del progresso lineare delle masse che si presumono conformiste.  

Questa è una delle più subdole caratteristiche del mito del progresso; quando le persone diventano insoddisfatte dello status quo, il mito le convince che la sola opzione che hanno è fare esattamente quello che tutti gli altri fanno. Così, quello che era cominciato come un moto di ribellione viene cooptato in un perfetto conformismo e la società continua a marciare stupidamente lungo la traiettoria corrente.   Come i lemming di un documentario Disney, senza nemmeno chiedere cosa ci dovrebbe essere in fondo.

Questo per quanto riguarda il progresso. La parola stessa significa “movimento continuo nella medesima direzione”.  Se la direzione era una cattiva idea all’inizio, o se ha superato il punto fino a cui aveva senso, continuare ad arrancare ciecamente in avanti in un’oscurità che si addensa potrebbe non essere la migliore idea del mondo.  Rompi questa camicia di forza mentale ed una gamma di futuri possibili si schiude immediatamente.

Ad esempio, potrebbe essere che una regressione tecnologica al livello del 1950 risulti impossibile da mantenere sui tempi lunghi. Se le tecnologie del 1920 possono essere supportate con un più modesto apporto di energia che possiamo recuperare dalle fonti rinnovabili, per esempio, qualcosa di simile alla tecnologia del 1920 potrebbe essere  mantenuta sul lungo termine, senza ulteriori regressioni.

Potrebbe invece emergere che qualcosa di simile alle macchine a vapore solari che ho menzionato prima sia il livello massimo che può essere sostenuto indefinitamente.   Un’ecotecnica equivalente alla tecnologia del 1820, con mulini a vento e ad acqua come motori dell’industria, canali navigabili come principale infrastruttura di trasporto e la maggior parte della popolazione che lavora in piccole fattorie di famiglia che supportano villaggi e cittadine.

Quest’ultima opinione sembra eccessivamente deprimente?   Comparatela con un altro scenario molto probabile e potrete trovare che questa ha i suoi vantaggi.   Ad esempio, immaginiamo che cosa accadrebbe se le società industriali del mondo scommettessero per la loro sopravvivenza su di un grande balzo avanti di una non provata fonte di energia che non ripaga i suoi costi, lasciando miliardi di persone a contorcersi nel vento, senza infrastruttura tecnologica di sorta.  

Se state guidando in un vicolo cieco e vedete un muro di mattoni davanti, potete ricordarvi che strillare “non possiamo tornare indietro!” non è esattamente una buona trovata.   In una simile situazione  (e voglio suggerire che questa è un’affidabile metafora della situazione in cui siamo proprio adesso ) tornare indietro, ricercando la strada percorsa  findove necessario, è un modo per andare avanti.





domenica 8 febbraio 2015

Overshoot

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


I tanti commenti apparsi sul Web sulla morte di William Catton, autore di “Overshoot”, mostrano quanto sia stato profondo l'impatto di questo libro in molti di noi. 

Overshoot” è stato parte di un'ondata di libri e studi degli anni 60 e 70 che ha cercato di fare i conti con le conseguenze dell'inevitabile limitazione delle risorse naturali disponibili per la specie umana. L'iniziatore della tendenza è stato, forse, Garrett Hardin col suo “La tragedia dei beni comuni” del 1968. Ancor prima, nel 1956, Marion King Hubbert aveva proposto il concetto di “picco” della produzione di petrolio, una novità notevole in un campo in cui il termine “esaurimento” era del tutto proibito. Ma Hubbert è rimasto all'interno del paradigma convenzionale, che vedeva la tecnologia come capace di risolvere tutti i problemi e credeva che l'energia nucleare sarebbe venuta in soccorso. Hardin, e più tardi Catton ed altri, invece, hanno visto la radice del problema del comportamento della specie umana: la tendenza a sfruttare eccessivamente le risorse naturali, di usare oggi ciò che dovrebbe essere lasciato per domani. Il messaggio di fondo di Overshoot è che lo sfruttamento eccessivo è una conseguenza fondamentale del modo in cui gli esseri umani si comportano nell'ecosistema. Non è una cosa che possa essere risolta dalla stregoneria tecnologica.

Potremmo paragonare Overshoot ad un altro libro che portava un messaggio simile: “I Limiti dello Sviluppo “ (crescita) del 1972. Concepiti più o meno nello stesso periodo (anche se Overshoot è stato pubblicato solo nel 1980), questi due libri possono essere visti come opposti in termini di strategie comunicative. Overshoot non è mai stato un best seller, né è stato tradotto in qualche altra lingua (eccetto, di recente, in russo e spagnolo). Invece “I Limiti dello Sviluppo” è stato venduto in milioni di copie e tradotto in quasi ogni lingua stampata esistente. Ma, di conseguenza, “I Limiti dello Sviluppo” è stato oggetto di una forte campagna di demonizzazione che ha trasformato in zimbello obbligato chiunque osasse menzionarlo in pubblico. Overshoot, invece, è sfuggito all'attenzione dei poteri forti e non ha mai ricevuto lo stesso trattamento. Così, ha silenziosamente influenzato un'intera generazione di persone che hanno capito le cause fondamentali dei nostri problemi (vedete per esempio questo commento di John Michael Greer).

Riesaminato oltre 40 anni dopo la sua concezione, Overshoot appare datato in molti dettagli ma non nel suo messaggio di fondo. La sua forza rimane quella di aver posto così apertamente e chiaramente l'essenza del problema: gli esseri umani sono parte dell'ecosistema e tendono a comportarsi di conseguenza. Cercano di espandere il più possibile e ad appropriarsi di quante più risorse possono. E' normale: stiamo gradualmente scoprendo come le leggi della fisica e della biologia si applicano all'economia (Hardin, dopo tutto, era un biologo). Sfortunatamente, se gli esseri umani si comportano semplicemente come una delle specie dell'ecosistema, tendono ad appropriarsi di quante più risorse possono e il più rapidamente possibile. Quindi, il risultato è che il fenomeno chiamato overshoot (superamento), con la sofferenza distruzione e disastri assortiti associati, perlomeno per quel sottosistema dell'ecosistema che chiamiamo “specie umana”. Lo possiamo evitare? Finora, non sembra sia così: ci rifiutiamo persino di riconoscere che esista il problema.

D'altronde, se l'overshoot è parte del modo in cui funzionano gli ecosistemi, lo dobbiamo accettare, a prescindere da quanto possano essere negative le conseguenze, almeno dal nostro punto di vista di esseri umani. Una delle regole dell'ecosistema è che perché nasca qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio deve morire. E' così che l'ecosistema ha funzionato per miliardi di anni. Continuerà a funzionare allo stesso modo in futuro, con o senza gli esseri umani.



sabato 7 febbraio 2015

Spiegazione dei miti energetici

Da “Our finite world”. Traduzione di MR

Di Gail Tverberg

Repubblicani, Democratici e ambientalisti, tutti hanno i loro miti energetici preferiti. Persino chi crede nel picco del petrolio ha i suoi miti preferiti. Quelle che seguono sono alcune credenze sbagliate provenienti da diverse prospettive energetiche. Comincerò con un mito recente e poi parlerò di quelli che esistono da più tempo.

Mito 1. Il fatto che i produttori di petrolio stiano parlando di volere esportare petrolio greggio significa che gli Stati Uniti hanno più che sufficiente petrolio greggio per il proprio fabbisogno.

La storia vera è che i produttori vogliono vendere il loro petrolio greggio al prezzo più alto possibile. Se hanno una scelta fra raffinerie A, B e C in questo paese a cui vendere il petrolio, la quantità massima che possono ricevere per il loro petrolio è limitata dal prezzo che pagato da queste raffinerie, meno il costo di spedizione del petrolio a queste raffinerie. Se diventa improvvisamente possibile vendere petrolio greggio a raffinerie altrove, emerge la possibilità che sia disponibile un prezzo più alto in un altro paese. Le raffinerie sono ottimizzate per un particolare tipo di greggio. Se, per esempio, le raffinerie in Europa sono a corto di greggio leggero e dolce per tale petrolio dalla Libia è in gran parte ancora indisponibile, una raffineria europea potrebbe essere disposta a pagare un prezzo più alto per il petrolio greggio di Bakken (che a sua volta produce greggio leggero e dolce) che una raffineria in questo paese. Anche coi costi di spedizione, un produttore di petrolio potrebbe essere in grado di fare un profitto maggiore sul suo petrolio venduto fuori dagli Stati Uniti che non su quello venduto all'interno degli Stati uniti.

Gli Stati Uniti hanno consumato 18,9 milioni di barili al giorno di prodotti petroliferi durante il 2013. Per soddisfare il loro fabbisogno di petrolio, gli Stati Uniti hanno importato 6,2 milioni di barili al giorno nel 2013 (compensando i prodotti petroliferi esportati con il petrolio greggio importato). Così, gli Stati Uniti sono, e continueranno probabilmente ad essere, dei grandi importatori di petrolio greggio.

Se la produzione e il consumo rimangono ad un livello costante, aggiungere esportazioni di petrolio greggio richiederebbe a sua volta un'aggiunta di importazioni. Queste importazioni di petrolio greggio potrebbero essere un diverso tipo di petrolio rispetto a quello esportato – molto probabilmente greggio acido e pesante anziché dolce e leggero. O forse le raffinerie statunitensi specializzate in petrolio greggio leggero e dolce saranno costrette ad aumentare il loro prezzo di acquisto perché sia compatibile coi prezzi del petrolio greggio mondiali di quel tipo di prodotto.

La ragione per cui le esportazioni di petrolio greggio hanno senso dal punto di vista di un produttore di petrolio è che questo si muove per fare più soldi esportando il suo greggio verso raffinerie oltreoceano che pagheranno di più. Come questo funzionerà alla fine non è chiaro. Se le raffinerie statunitensi di greggio leggero e dolce vengono costrette ad aumentare i prezzi del petrolio che comprano e il prezzo di vendita dei prodotti petroliferi americani non aumenta per compensare, allora altre raffinerie di greggio leggero e dolce andranno fuori mercato, sistemando un eccesso di offerta di tali raffinatori. O forse i prezzi  dei prodotti finiti statunitensi cresceranno, a riprova del fatto che gli Stati Uniti in passato hanno in qualche misura ricevuto un contratto (collegato al divario fra i prezzi del petrolio Brent europeo e WTI statunitense), relativo ai prezzi mondiali. In questo caso i consumatori statunitensi finiranno per pagare di più.

La sola cosa che è molto chiara il desiderio di spedire petrolio greggio all'estero non riflette troppo il totale di petrolio greggio prodotto negli Stati Uniti. Al massimo, quello che significa è una sovrabbondanza di raffinerie, nel mondo, adatte al greggio leggero e dolce. Questo succede perché negli anni il mix mondiale di petrolio è generalmente passato a tipi di petrolio più pesante ed acido. Forse se c'è più petrolio dalle formazioni di scisto, il mix comincerà a tornare come in origine. Questo è un “se” molto grande, tuttavia. I media tendono a esagerare anche le possibilità di tale estrazione.

Mito 2. L'economia non ha realmente bisogno di tanta energia.

Noi esseri umani abbiamo bisogno di cibo del tipo giusto che ci fornisca l'energia di cui abbiamo bisogno per svolgere le nostre attività. L'economia è molto simile: ha bisogno di energia dei tipi giusti per svolgere le proprie attività.

Un'attività essenziale dell'economia è quella di coltivare e lavorare il cibo. Nei paesi in via di sviluppo, nelle zone calde del mondo, la produzione, immagazzinamento, trasporto e preparazione del cibo conta per la maggior parte dell'attività economica (Pimentel e Pimentel, 2007). Nelle società tradizionali, gran parte dell'energia proviene dal lavoro umano ed animale e dalla combustione di biomasse. Se un paese in via di sviluppo sostituisce i combustibili moderni alle fonti energetiche tradizionali per la produzione e la preparazione del cibo, l'intera natura dell'economia cambia. Possiamo vedere che questa cosa è iniziata ad accadere su base mondiale dai primi anni dell'800, quando energie diverse dall'uso della biomassa si sono diffuse.


Figura 1. Consumo mondiale di energia per fonte, sulla base delle stime di Vaclav Smil da “Transizione energetica: storia, requisiti e prospettive” insieme ai dati statistici della BP sul 1965 e successivi

La Rivoluzione Industriale è cominciata nel tardo 700 in Gran Bretagna. E' stata resa possibile dall'uso del carbone, che ha reso possibile fare metalli, vetro e cemento in quantità molto più grandi che in passato. Senza carbone, la deforestazione sarebbe diventata un problema, soprattutto in prossimità di aree urbane fredde come Londra. Col carbone, è diventato possibile usare i processi industriali che richiedevano calore senza il problema della deforestazione. I processi che usano alti livelli di calore sono anche diventati più economici, perché non era più necessario tagliare alberi, fare carbonella da legna e trasportarla per lunghe distanze (perché i boschi vicini erano già stati esauriti).

La disponibilità di carbone ha permesso che si diffondesse l'uso di nuove tecnologie: Per esempio, secondo Wikipedia, il primo motore a vapore è stato brevettato nel 1608 e il primo motore a vapore commerciale è stato brevettato nel 1712. Nel 1781, James Watt ha inventato una versione migliorata del motore a vapore. Ma per attuare davvero il motore a vapore usando treni di metallo che corrono su binari, serviva il carbone, per rendere relativamente a buon mercato grandi quantità di metallo. Cemento e metallo potevano essere usati per fare moderni impianti idroelettrici, permettendo la produzione in quantità di elettricità. Dispositivi come le lampadine (che usano vetro e metallo) potevano essere costruite in quantità, così come i cavi per trasmettere l'elettricità, permettendo un giorno lavorativo più lungo.

L'uso del carbone ha anche portato a cambiamenti in agricoltura, tagliando le necessità di agricoltori e allevatori. Sono stati costruiti dispositivi come gli aratri d'acciaio, mietitrebbie e ranghinatori, che potevano essere trainati da cavalli, trasferendo il lavoro dagli esseri umani agli animali. La recinzione di filo spinato ha permesso alla parte occidentale degli Stati Uniti di diventare terreno agricolo, piuttosto che un grande spazio non recintato. Con meno persone necessarie in agricoltura, ne sono diventate disponibili di più per il lavoro in città e fabbriche. La nostra economia ora è molto diversa da quella che era introno al 1820, a causa dell'aumento dell'uso di energia. Abbiamo grandi città con cibo e materie prime trasportate da lontano ai centri popolati. I trattamento di acqua e fogne riducono grandemente il rischio di trasmissione di malattie di gente che vive in tale promiscuità. I veicoli alimentati a petrolio o a elettricità eliminano la confusione del trasporto animale. Molte più strade possono essere pavimentate. Se dovessimo provare a lasciare il sistema ad alta energia di oggi e tornare a un sistema che usi biocombustibili (o solo biocombustibili con l'aggiunta di dispositivi che possono essere fatti coi biocombustibili), ciò richiederebbe cambiamenti enormi.

Mito 3. Possiamo facilmente transitare alle rinnovabili.

Nella Figura 1, le sole rinnovabili sono l'idroelettrico e i biocombustibili. Mentre la fornitura energetica è aumentata rapidamente, la popolazione è aumentata altrettanto rapidamente.

Figura 2. Popolazione mondiale, basata sulle  stime di Angus Maddison, interpolate dove necessario.

Quando guardiamo l'uso di energia su base pro capite, il risultato è quello mostrato nella Figura 3, sotto.


Figura 3. Consumo energetico mondiale pro capite, calcolato dividendo il consumo energetico mondiale (sulla base delle stime di Vaclav Smil da Transizioni energetiche: Storia, Requisiti e Prospettive insieme ai dati statistici della BP del 1965 e successivi) per le stime della popolazione, sulla base dei dati di Angus Maddison.

Il livello di consumo energetico del 1820 sarebbe al livello base – Sufficiente solo a coltivare e ad elaborare cibo, calore per le case, produrre vestiti e rifornire industrie molto fondamentali. Sulla base della Figura 3, anche questo ha richiesto un po' più di 20 gigajoules di energia pro capite. Se sommiamo i biocombustibili pro capite e l'idroelettrico sulla Figura 3, daranno come risultato solo 11 gigajoules di energia pro capite. Per tornare al livello del 1820 di consumo pro capite di energia, avremmo bisogno di aggiungere qualcos'altro, come il carbone, o aspettare molto, molto tempo finché (forse) le rinnovabili che comprendono l'idroelettrico possano diffondersi abbastanza.

Se vogliamo parlare di rinnovabili che possano essere fatte senza combustibili fossili, la quantità sarebbe ancora più piccola. Come osservato precedentemente, l'energia idroelettrica moderna è permessa dal carbone, quindi questo lo dovremmo escludere. Dovremmo anche escludere i biocombustibili moderni, come l'etanolo fatto col mais e il biodiesel fatto coi semi di colza, perché sono in gran parte permessi dall'agricoltura e dai mezzi di trasporto di oggi e indirettamente dalla nostra capacità di fare metalli in quantità. Ho incluso eolico e solare nella categoria dei “Biocombustibili” per convenienza. Sono anche così pochi in quantità che non sarebbero visibili come una categoria separata, essendo l'eolico solo l'1,0% della fornitura energetica mondiale nel 2012 e il solare lo 0,2%, secondo i dati BP. Dovremmo escludere anche loro, perché richiedono a loro volta combustibili fossili per essere prodotti e trasportati.

In totale, la categoria dei biocombustibili senza tutte queste aggiunte moderne potrebbe essere vicino alla quantità disponibile nel 1820. La popolazione ora è circa sette volte più grande, il che suggerisce che solo un settimo di energia pro capite. Naturalmente, nel 1820 la quantità di legna usata ha portato ad una deforestazione significativa, quindi anche questo livello di uso del biocombustibile non era l'ideale. E ci sarebbe il dettaglio aggiuntivo del trasporto della legna ai mercati. Nel 1820, avevamo i cavalli per il trasporto, ma non avremmo abbastanza cavalli per questo scopo oggi.

Mito 4. La popolazione non è collegata alla disponibilità di energia.

Se confrontiamo le Figure 2 e 3, vediamo che l'ondata della popolazione che ha avuto luogo immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale ha coinciso col periodo in cui l'uso di energia pro capite si stava espandendo rapidamente. L'aumento dell'abbondanza degli anni 50 (alimentata dai bassi prezzi del petrolio e dall'aumento della capacità di acquistare beni usando petrolio) ha permesso ai genitori di avere più figli. Migliori condizioni igieniche e innovazioni come gli antibiotici (resi possibili dai combustibili fossili) hanno a loro volta permesso a un numero maggiore di questi bambini di raggiungere la maturità.

Inoltre, alla Rivoluzione Verde, che ha avuto luogo durante questo periodo, viene riconosciuto di aver salvato miliardi di persone dalla fame. Ha diffuso l'uso dell'irrigazione, dei fertilizzanti sintetici e dei pesticidi, dei semi ibridi e lo sviluppo di sementi ad alto rendimento. Tutte queste tecniche sono state permesse dalla disponibilità di petrolio. Un uso maggiore di attrezzature agricole, che permettono che i semi vengano seminati più vicini fra loro, ha a sua volta aiutato ad aumentare la produzione. In quel periodo, l'elettricità ha raggiunto le comunità agricole, permettendo l'uso di attrezzature come le mungitrici automatiche. Se diamo uno sguardo più lungo alla situazione, scopriamo che è avvenuta una “curva” nella popolazione mondiale più o meno ai tempi della Rivoluzione Industriale e della diffusione dell'uso del carbone (Figura 4).


Figura 4. Popolazione mondiale sulla base dei dati dal “Atlante della storia del mondo”, McEvedy e Jones, Penguin Reference Books, 1978 e di Wikipedia-Popolazione mondiale.

Inoltre, se guardiamo i paesi che hanno avuto grandi diminuzioni nel consumo di energia, tendiamo a vedere il declino della popolazione. Per esempio, a seguito del collasso dell'Unione Sovietica, ci sono state diminuzioni nel consumo di energia in diversi paesi la cui energia è stata colpita (Figura 5).


Figura 6. Popolazione come percentuale come percentuale della popolazione del 1985, per paesi selezionati, sulla base dei dati EIA.  

Mito 5. E' facile sostituire un tipo di energia con un'altra.

Ogni passaggio da un tipo di energia ad un altro è probabile che sia lento e costoso, sembre che possa riuscire. Un grande problema è il fatto che diversi tipi di energia hanno usi molto diversi. Quando la produzione di petrolio si è diffusa, durante e a seguito della Seconda Guerra Mondiale, ha aggiunto nuove capacità, in confronto al carbone. Col solo carbone (e l'idroelettrico, permesso dal carbone), potevamo avere auto alimentate a batteria, con una portata limitata. Oppure auto alimentate ad etanolo, ma l'etanolo richiedeva una quantità enorme di terreno per coltivare le colture necessarie. Potevamo avere treni, ma questi non andavano da una porta all'altra. Con la disponibilità di petrolio, siamo stati capaci di avere un veicolo per il trasporto personale che andava di porta in porta e camion che consegnavano beni da dove venivano prodotti al consumatore, o in qualsiasi altro luogo desiderato.

Siamo stati anche in grado di costruire aerei. Con gli aerei, siamo stati in grado di vincere la seconda Guerra Mondiale. Gli aerei hanno anche reso possibili gli affari internazionali su scala molto maggiore, perché è diventato possibile, per i dirigenti, visitare le operazioni all'estero in un lasso di tempo relativamente breve e perché è stato possibile portare lavoratori da un paese all'altro per la formazione, se necessario. Senza il trasporto aereo, è dubitabile che l'attuale numero di attuali affari integrati a livello internazionale possano essere mantenuti.

Il passare del tempo non cambia le differenze intrinseche fra diversi tipi di combustibili. Il petrolio è ancora il combustibile preferito per il viaggio a lunga distanza, perché (a) è energia densa, quindi sta in un serbatoio relativamente piccolo, (b) è un liquido, quindi è facile da distribuire alle stazioni di servizio e (c) ora siamo impostati per l'uso di combustibile liquido, con un numero enorme di auto e camion sulla strada che usano petrolio e stazioni di servizio che servono i loro veicoli. Inoltre, il petrolio funziona molto meglio dell'elettricità per il trasporto aereo.

Passare all'elettricità per il trasporto è probabile che sia un processo lento e costoso. Un punto importante è che il costo dei veicoli elettrici deve essere abbassato fino a che i compratori se li possano permettere, se non vogliamo che il passaggio abbia un effetto fortemente avverso sull'economia. E' osì perché i salari non cresceranno per permettere di pagare auto care e il governo non può permettersi grandi sussidi per tutti. Un altro problema è che la gamma di veicoli elettrici dev'essere aumentata, se i proprietari di veicoli devono essere in grado di continuare ad usare i loro veicoli per la guida a lunga distanza. A prescindere dal tipo di passaggio che viene fatto, questo passaggio necessita di essere attuato lentamente, in un periodo di 25 anni o più, cosicché i compratori non perdano il valore di scambio dei loro veicoli alimentati a petrolio. Se il passaggio viene fatto troppo rapidamente, i cittadini perderebbero il loro valore di scambio delle loro auto alimentate a petrolio e a causa di questo non sarebbero in grado di permettersi i nuovi veicoli.

Se un passaggio a veicoli da trasporto elettrici deve essere fatto, anche molti veicoli, oltre alle auto, dovranno essere fatti elettrici. Ciò includerebbe i camion a lunga percorrenza, gli autobus, gli aerei, i macchinari da costruzione e quelli agricoli, tutti dovrebbero essere fatti elettrici. Il costo dovrebbe essere abbassato e le apparecchiature di ricarica necessarie dovrebbero essere installate, aggiungendosi ulteriormente alla lentezza del processo di trasformazione. Un altro problema è che anche a prescindere dagli usi energetici, il petrolio viene usato in molte applicazioni come materia prima. Per esempio, viene usato per fare erbicidi e pesticidi, strade asfaltate e scandole per i tetti, medicine, cosmetici, materiali da costruzione, tinte e aromatizzanti. Non c'è alcuna possibilità che l'elettricità possa essere adattata a questi usi. Forse il carbone potrebbe essere adattato a questi usi, perché è a sua volta un combustibile fossile.

Mito 6. Il petrolio “finirà” perché è limitato in quantità e non rinnovabile.

Questo mito in realtà è più vicino degli altri alla realtà. La situazione è un po' diversa dal “finire”, tuttavia. La situazione reale è che i limiti del petrolio è probabile che distruggano l'economia in diversi modi Questa distruzione economica è probabile che sia la cosa che porta ad un improvviso crollo della fornitura di petrolio. Una possibilità probabile è che una mancanza di disponibilità di debito e i salari bassi impediranno ai prezzi del petrolio di salire al livello di cui hanno bisogno i produttori per la sua estrazione. In questo scenario, i produttori di petrolio avranno poco interesse ad investire in nuova produzione. Ci sono prove del fatto che questo scenario stia già cominciando a verificarsi. C'è un'altra versione di questo mito che è ancora più sbagliata. Secondo questo mito, la situazione della disponibilità di petrolio (e della disponibilità di altri tipi di combustibili fossili) è come segue:

Mito 7. La disponibilità di petrolio (e la disponibilità di altri combustibili fossili) comincerà ad esaurirsi quando la disponibilità è esaurita per il 50%. Possiamo pertanto aspettarci un declino lungo e lento dell'uso dei combustibili fossili. 

Questo è il mito preferito di chi crede al picco del petrolio. Indirettamente, convinzioni simili sono alla base dei modelli del cambiamento climatico. Ciò si basa su ciò che io credo sia una, lettura sbagliata degli scritti di Marion King Hubbert. Hubbert era un geologo e un fisico che ha previsto un declino della produzione del petrolio statunitense e, alla fine, di quella mondiale, in vari documenti, compresi energia nucleare e combustibili fossili, nel 1956. Hubbert ha osservato che in certe circostanze, la produzione di vari combustibili fossili tende a seguire una curva piuttosto simmetrica.


Figura 7. Immagine del 1956 di Marion King Hubbert della previsione della produzione di petrolio greggio mondiale, assumendo una quantità di petrolio recuperabile finale di 1.250 miliardi di barili. 

Una ragione importante per cui questo tipo di previsione è sbagliata è perché è basata su uno scenario in cui qualche altro tipo di fornitura energetica è in grado di diffondersi prima che la disponibilità di petrolio cominci a declinare.

Figura 8. Figura dal saggio di Hubbert del 1956 Energia nucleare e combustibili fossili.

Con questa diffusione di fornitura energetica, l'economia può continuare come in passato senza grandi problemi finanziari che emergono in relazione alla ridotta disponibilità di petrolio. Senza una diffusione di una disponibilità energetica di qualche altro tipo, ci sarebbe un problema troppo elevato di popolazione in relazione al declino della disponibilità di energia. La disponibilità di energia pro capite diminuirebbe rapidamente, rendendo sempre più difficile produrre beni e servizi a sufficienza. In particolare, mantenere i servizi di governo è probabile che diventi un problema. Le tasse necessarie è probabile che aumentino troppo in relazione a ciò che i cittadini si possono permettere, portando grandi problemi, persino il collasso, sulla base delle ricerche di Turchin e Nefedov (2009).

Mito 8. L'energia rinnovabile è disponibile in quantità essenzialmente illimitate.

Il problema con tutti i tipi di fornitura energetica, dai combustibili fossili al nucleare (basato sull'uranio), al geotermico, all'idroelettrico all'eolico e al solare, sono i ritorni decrescenti. A un certo punto, il costo della produzione di energia diventa meno efficiente e a causa di ciò il costo di produzione comincia ad aumentare. E' il fatto che i salari non aumentano che per compensare questi costi più alti, e che i sostituti più economici non diventano disponibili, che causa problemi finanziari per il sistema economico. Nel caso del petrolio, l'aumento dei costi di estrazione arriva perché il petrolio economico da estrarre viene estratto prima, lasciando solo il petrolio costoso da estrarre. E' questo il problema che stiamo sperimentando di recente. Problemi simili sorgono col gas naturale e col carbone, ma il rialzo netto dei costi potrebbe arrivare più tardi perché sono disponibili in qualche modo in quantità maggiori rispetto alla domanda.

L'uranio ed altri metalli hanno lo stesso problema coi ritorni decrescenti, in quanto le porzioni più economiche da estrarre vengono estratte prima e alla fine dobbiamo passare ai minerali di densità inferiore. Parte del problema con le cosiddette rinnovabili è che sono fatte di minerali e questi minerali sono soggetti agli stessi problemi di esaurimento degli altri. Ciò potrebbe non essere un problema se i minerali sono molto abbondanti, come ferro ed alluminio. Ma se i minerali hanno una disponibilità inferiore, come le terre rare e il litio, l'esaurimento potrebbe portare all'aumento dei costi di estrazione e infine a costi più alti dei dispositivi che usano quei minerali.

Un altro problema è la scelta dei siti. Quando gli impianti idroelettrici vengono costruiti, i luoghi migliori tendono ad essere scelti per primi. Gradualmente, vengono aggiunti i luoghi meno adatti. Lo stesso vale per le pale eoliche. Le pale eoliche offshore tendono ad essere più costose di quelle a terra. Se i luoghi sulla terraferma, vicini ai centri popolati, fossero stati disponibili in abbondanza per la recente costruzione europea, sembra probabile che questi sarebbero stati usati al posto delle pale offshore.

Quando si tratta di legna, l'uso eccessivo e la deforestazione è stato un problema costante nei secoli. Quando la popolazione cresce e altre risorse energetiche diventano meno disponibili, è probabile che la situazione diventi anche peggiore. Infine, le rinnovabili, anche se usano meno petrolio, tendono tuttavia ad essere dipendenti dal petrolio. Il petrolio è importante per far funzionare le attrezzature di estrazione e per trasportare i dispositivi dal luogo in cui vengono costruiti al luogo dove devono essere messi in servizio. Vengono usati elicotteri (che richiedono petrolio) per la manutenzione delle pale eoliche, specialmente offshore, e per la manutenzione delle linee di trasmissione dell'elettricità. Anche se le riparazione possono essere fatte coi camion, per far funzionare quei camion serve in genere petrolio. La manutenzione delle strade richiede a sua volta petrolio. Persini trasportare legna sul mercato richiede petrolio.

Se ci fosse una vera carenza di petrolio, ci sarebbe un enorme crollo della produzione di rinnovabili e la manutenzione delle rinnovabili esistenti diventerebbe più difficile. I pannelli solari che vengono usati fuori dalla rete elettrica potrebbero durare più a lungo, ma le batterie, gli inverter, le linee di trasmissione dell'elettricità a lunga distanza e molte altre cose che ora diamo per scontate è probabile che scompaiano. Quindi, le rinnovabili non sono disponibili in quantità illimitata. Se la disponibilità di petrolio viene gravemente limitata, potremmo persino scoprire che molte rinnovabili esistenti non durano nemmeno troppo a lungo.



venerdì 6 febbraio 2015

Le piramidi di Seneca: quanto rapidamente è caduta la civiltà Maya?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Il ciclo di costruzione dei monumenti della civiltà Maya. Da “Sylvanus G. Morley e George W. Brainerd, Gli Antichi Maya, Terza edizione  (Stanford University Press, 1956), pagina 66”. Per gentile concessione di Diego Mantilla.

Una volta dato un nome ad un fenomeno, si può concentrare l'attenzione ed imparare sempre di più su di esso. Così, l'idea del “dirupo di Seneca” risulta essere un'idea feconda. Ci racconta che, in diversi casi, il ciclo di sfruttamento delle risorse naturali segue una curva inclinata in avanti, in cui il declino è molto più rapido della crescita. Questo è coerente con ciò che ha scritto il filosofo Romano Lucio Anneo Seneca: “la crescita procede lentamente, ma la strada per la rovina è rapida”. Con qualche trucco matematico, il risultato è la curva seguente:


Questa curva descrive il comportamento di diversi sistemi complessi, comprese intere civiltà che hanno vissuto un collasso improvviso dopo un lungo periodo di crescita relativamente lenta. Nel mio primo post sul dirupo di Seneca, ho già parlato del collasso della civiltà Maya.  (*)


Qui potete osservare il comportamento Seneca, anche se i dati della densità di popolazione Maya sembrano essere piuttosto qualitativi ed incerti. Tuttavia, i dati che ho ricevuto recentemente da Diego Mantilla (vedete all'inizio del post) sono chiari: se si prende la costruzione di monumenti come riferimento della ricchezza della civiltà Maya, allora il collasso è stato improvviso, certamente più rapido della crescita.

Qualcosa di simile si può dire degli antichi Egizi, anche se i dati della costruzione di piramidi sono più rarefatti ed incerti di quelli sui Maya. Alla fine anche l'Impero Romano sembra essere collassato più rapidamente di quanto sia cresciuto.

I Maya quindi non hanno fatto meglio di altre civiltà della storia umana. Come hanno fatto anche le altre civiltà, si sono mossi verso la propria morte trascinando i piedi, cercando di evitare l'inevitabile. Non ci sono riusciti e non si sono resi conto che opporsi al collasso in questo modo è un classico esempio di come “spingere le leve dalla parte sbagliata”. Ciò può soltanto posticipare il collasso, ma alla fine lo rende più rapido.

Noi faremo meglio dei Maya? Si spera di sì, ma...

(*) Dunning, N., D. Rue, T. Beach, A. Covich, A. Traverse, 1998, "Interazioni Umano-Ambiente in un Bacino Idrografico: la Paleoecologia della Laguna Tamarindito, Guatemala”, Rivista di Archologia Applicata 25 (1998):139-151.




giovedì 5 febbraio 2015

Presentazione di "Extracted" oggi a Firenze


Oggi pomeriggio, alle 16:30; presentazione di "Extracted", il libro di Ugo Bardi, a Firenze. Aula Magna di Piazza San Marco. Parlerà per primo il segretario generale del Club di Roma, Graeme Maxton, poi altri, incluso l'autore.

 In attesa dell'evento, vi passo qualche immagine della "Cena dei Catastrofisti" (o, se preferite, la "Cena delle Cassandre) con il segretario Maxton e alcuni seguaci del blog "Effetto Risorse", ieri sera al Mercato Centrale. (Graeme è quello con la sciarpa, nelle prime due foto)








mercoledì 4 febbraio 2015

Il collasso dell'industria del petrolio di scisto statunitense

Da “RENew Economy”. Traduzione di MR (h/t Antonio Turiel)

Di Giles Parkinson

Da quando il collasso dei prezzi del petrolio è iniziato a metà dello scorso anno, tutti gli occhi sono stati puntati a come avrebbe risposto l'industria petrolifera. Di già, circa 200 miliardi in progetti sono stati o tagliati drasticamente o differiti, in gran parte perché non possono competere coi costi.

L'industria statunitense del petrolio di scisto è a sua volta sofferente. Questo grafico sotto dell'analista dell'industria Baker Hughes mostra il crollo drammatico del numero di piattaforme in funzione nell'industria dello scisto.



In soli tre mesi, il numero di piattaforme è crollato del 24%, o 389 dal massimo storico di 1609 registrato la settimana del 10 ottobre dello scorso anno. Come osserva Mark Lewis, della società di indagine con sede a Parigi Kepler Chevreux: “In tutti i dati storici di Baker Hughes che risalgono fino al luglio del 1987, non ci sono precedenti in quanto a un crollo di questa velocità e gravità”.
Dunque, cosa significa questo?

Lewis osserva che il numero di piattaforma statunitensi è un indicatore importante dell'offerta statunitense (più piattaforme ci sono, più offerta ci sarà). Per questa ragione, probabilmente al momento è il singolo indicatore più considerato nei mercati mondiali del petrolio, in quanto offre la migliore guida a quello che succederà all'offerta di petrolio di scisto statunitense nei prossimi mesi.

Ciò è importante perché è l'industria statunitense dello scisto che è stata il motore fondamentale dell'offerta globale di greggio negli ultimi 5 anni e senza l'enorme aumento del petrolio di scisto dal 2009, la produzione globale di petrolio greggio sarebbe del 2014 in realtà stata inferiore rispetto a quella del 2005. Questa è la stessa offerta che i sauditi e gli altri membri dell'OPEC hanno preso di mira.

Ciò che suggerisce il crollo improvviso del numero di piattaforme, dice Lewis, è che il mercato sta cominciando a rivalutare il modello del petrolio di scisto, deriso da alcuni come una specie di schema Ponzi a causa della sua dipendenza dal riciclaggio di capitale e da nuove trivellazioni per sostituire i pozzi che si esauriscono entro un anno o due.

Il significato di questo è che le previsioni della bolla dello scisto ora potrebbero avverarsi. Come ha scritto nella sua analisi “Drill, Baby, Drill” David Hughes del Post Carbon Institute, ci sono sempre stati dubbi su quanto sarebbe stata sostenibile la rivoluzione dello scisto.

“Primo, i pozzi di gas e petrolio di scisto hanno dimostrato di esaurirsi rapidamente, i giacimenti migliori sono già stati sfruttati e non si ipotizza nessuna scoperta di grandi giacimenti”, ha scritto nel 2013.

“Così, con una produttività media per pozzo in declino e sempre più pozzi (e giacimenti) necessari semplicemente a mantenere la produzione, un “tapis roulant di esplorazioni” limita il potenziale a lungo termine delle risorse di scisto”.

Hughes ha osservato questo dalla fine del 2011, i giacimenti migliori erano già in declino. Dal 2012, il tasso di declino molto alto dei pozzi di gas di scisto richiede 42 miliardi di dollari statunitense all'anno per trivellare più di 7.000 pozzi – solo per mantenere la produzione.

Il collasso del prezzo del petrolio sembra aver portato una fine prematura ma del tutto logica al boom.
Come ha osservato Hughes allora: “Bene che vada, il gas di scisto, il tight oil ed altre risorse non convenzionali forniscono una tregua temporanea dal dover affrontare i problemi reali: i combustibili fossili sono finiti (limitati, ndr) e la produzione di nuove risorse fossili tende ad essere sempre più costosa e ambientalmente dannosa.

“I combustibili fossili sono il fondamento della economia moderna globale, ma la continua dipendenza da essi crea rischi maggiori per la società che trascendono le nostre sfide economiche, ambientali e geopolitiche. Le migliori risposte a questo a questo enigma comporteranno un ripensamento della nostra attuale traiettoria energetica”.