domenica 13 aprile 2014

Sempre più acidi gli oceani. E sempre più in fretta

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

Di Emily Atkin




Una barriera corallina norvegese con gorgonie e madrepore in Norvegia. Foto AP Photo/Geomar, Karen Hissmann

E' conoscenza comune nella comunità scientifica che il cambiamento climatico alla fine acidificherà gli oceani rendendoli aspri. Ciò che è una conoscenza meno comune è quando esattamente accadrà. Nell'Oceano Pacifico tropicale, tuttavia, le risposte stanno diventando un po' più chiare – e non sono piacevoli. Secondo uno studio pubblicato da scienziati del NOAA e dell'Università di Washington mercoledì, la quantità di biossido di carbonio ne Pacifico tropicale è aumentata più rapidamente di quanto previsto negli ultimi 14 anni, rendendo quella parte dell'oceano molto più acida di quanto si credesse in precedenza. “Ipotizziamo che gran parte dell'aumento di biossido di carbonio [nel Pacifico tropicale] sia dovuto al CO2 antropogenicoha detto a E&E News Adrienne Sutton, una ricercatrice presso l'Istituto Congiunto per lo Studio dell'Atmosfera e dell'Oceano del NOAA all'Università di Washington. In altre parole, gli scienziati dicono che i loro risultati mostrano che gran parte dell'aumento delle concentrazioni di biossido di carbonio possono essere attribuite al cambiamento climatico antropogenico. Questo perché mentre la quantità di CO2 nell'atmosfera aumenta ad un tasso di circa 2 ppm all'anno, parti del Pacifico tropicale hanno visto un aumento delle concentrazioni di CO2 fino a 3,3 ppm all'anno. Lo studio del NOAA ha monitorato i livelli di CO2 su sette boe nel Pacifico tropicale a partire dal 1998.


E' stata una grossa sorpresa. Non ci aspettavamo di vedere tassi così forti”, ha detto la Sutton. Anche se la frase “riscaldamento globale” in genere evoca immagini di un'atmosfera più calda, il fenomeno probabilmente ha un impatto ugualmente grande sui nostri oceani. Quando grandi concentrazioni di CO2 vengono rilasciate nell'atmosfera, l'oceano finisce per assorbirne circa un quarto, secondo il NOAA. Il CO2, a sua volta, rende l'oceano più acido. Alcuni scienziati sostengono che le nostre emissioni di CO2 cambiano la chimica dell'oceano più rapidamente di quanto sia cambiata in milioni di anni. Questo, secondo un rapporto di mercoledì della BBC News, promette di avere un effetto dannoso sul corallo – una parte vitale dell'ecosistema oceanico. “Siamo molto preoccupati perché i piccoli di corallo trovano molto difficile sopravvivere in alti livelli di CO2, quindi le barriere non saranno in grado di ripristinare sé stesse” ha detto alla BBC Katharina Fabricius dell'Istituto Australiano di Scienze Marine. “E' molto, molto grave”. L'acidificazione danneggia anche i pesci, facendo perdere ad alcuni il senso dell'odorato e facendoli “agire in modo incauto in presenza di predatori”, ha riportato la BBC.

Il rapporto più recente dell'IPCC dell'ONU ha detto che c'era una sicurezza alta che il cambiamento climatico esacerberà l'aumento di CO2 nell'atmosfera, causando quindi un maggiore assorbimento da parte degli oceani che diventano così acidi. Ci sono anche prove emergenti del fatto che il processo di acidificazione dell'oceano possa essere arrivato al limite, contribuendo realmente al cambiamento climatico stesso. Secondo un articolo sulla rivista Nature, l'acqua di mare intrisa di biossido di carbonio causerà il rilascio nell'atmosfera da parte del plancton di alcuni sui composti.


sabato 12 aprile 2014

Il culto dello sportello - II



Il nostro presidente del consiglio, Matteo Renzi, dice che si impegnerà in una lotta "violenta" contro la burocrazia. Non sarà una cosa facile come racconto in questo post (vedi anche il primo "Il culto dello sportello")


Mi arriva una lettera dall'INPS dove mi dicono che, in quanto invalido, mio padre (92 anni) ha diritto a certi benefici economici di legge. Già ottenere questa dichiarazione ha richiesto notevoli peripezie burocratiche e un'attesa di quasi un anno dalla richiesta. Ma, perlomeno, sembra che ci siamo arrivati. Ora si tratta di capire come si ottengono questi benefici in pratica. Nella lettera, c'è scritto che devo entrare nel loro sito internet e riempire certe sezioni di un modulo.

Entrare nel sito internet dell'INPS è una cosa che ricorda un po' Dante che si aggira sperduto nelle bolge infernali. Prima di tutto, devi farti dare un "PIN" che si ottiene con una barocca procedura per la quale mezzo PIN ti viene mandato via mail e l'altro mezzo sul tuo cellulare - devi poi laboriosamente combinare i due numeri per ottenere un numero provvisorio che poi verrà trasformato nel tuo PIN definitivo. Il perché di questa manovra è misterioso: sembra di accedere a un sito del Pentagono. Non è che te lo fanno apposta per scoraggiarti? Boh? Ma, insomma, bene o male ci si arriva. 

Si tratta poi di trovare il modulo da riempire nel sito. E qui ti scontri subito con il problema che sulla lettera che ti è arrivata ti dicono quali sezioni riempire ma non di quale modulo (non te lo fanno apposta.... no....). Nel sito ci sono centinaia di moduli da aprire, dove diavolo trovi il tuo? Non c'è nulla che abbia un titolo comprensibile, tipo "benefici per invalidità civile" - eh, no, ci mancherebbe! Vi posso dire che ci ho lavorato sopra non poco. A un certo punto mi ero dato per vinto, finché non mi è venuto in mente di aprire il numero 17 di una lista di 26 moduli - uno con il titolo "fase erogatoria" - che viene fuori che era quello giusto. Fatto apposta? Bah....

Dopodiché ti metti a riempire questo modulo. Non che sia per niente user-friendly ma, insomma, siccome ci sono dei campi da riempire, in un modo o nell'altro ci riesci. Arrivato a un certo punto, ti esce fuori un riquadro dove ti chiede "vuoi salvare?" Beh, dico, meglio salvare intanto, poi vediamo. Clicco sul bottone "salva" e il sito ci pensa un po' e poi mi dice. "Hai salvato in modo definitivo - non si possono più fare modifiche." (ed è già tanto se non aggiunge "bravo imbecille!").  Ma porca miseria, lo potevi dire prima - no? E non è per scoraggiarti, no, certamente....

Era completo il modulo? Ho fatto errori? Va bene così? Cosa succede ora? Boh? Sembra che non ci sia nessun controllo automatico sul fatto che tu abbia riempito bene il modulo oppure no. Non si degnano di dirti assolutamente niente. Dalle istruzioni, tuttavia, mi sembra di aver salvato troppo presto. Sembrerebbe che avrei dovuto inviare un altro modulo con la firma di mio padre, anche se non si capisce come fare. In ogni caso, ogni tentativo di riaprire il modulo fallisce. Quel salvataggio era veramente definitivo. Ma non è che te lo fanno apposta per scoraggiarti....? Macché.

Provo a telefonare al numero verde dell'INPS. Chiedo, ma cosa succede se ho sbagliato qualcosa nella richiesta?  Me lo faranno sapere. Ma quando? Quando avranno completato la valutazione della mia domanda. Quanto tempo ci vuole? Non si può sapere - dipende. Ma che succede se voglio completare o modificare il modulo che ho mandato? Non posso riaprirlo sul sito? No - non è possibile. Mi dicono che devo mandare la nuova versione per raccomandata con ricevuta di ritorno alla sede centrale dell'INPS a Roma. Sicuro! Con mio padre che ha 92 anni, non c'è problema ad aspettare che si decidano.

A questo punto, non mi resta che andare fisicamente allo sportello dell'INPS - cosa che sembra fosse lo scopo supremo di tutto l'esercizio. Ovviamente è aperto solo la mattina dalle 8:30 alle 12:30, il che ti costringe ad acrobazie non male per rendere la tua visita compatibile con gli altri impegni che hai. La beffa aggiuntiva, poi, è che il sito di INPS mi diceva che dovevo andare in una certa sede, ma dopo che ho fatto la coda, l'impiegata mi dice che non era lì che dovevo andare ma a un'altra sede. Dico "ma sul sito internet c'era scritto di venire qui." - lei mi risponde "si, è vero, c'è scritto così, ma non è qui che facciamo queste pratiche". Bene, nuova fila in un altra sede e finalmente trovo un'impiegata gentilissima che mi riguarda tutta la pratica, mi fa firmare qualcosa e mi dice che tutto va bene.

Fine dell'Odissea. Tutto sommato, me la sono cavata con una mattinata persa in coda e qualche pomeriggio di moccoli e accidenti davanti allo schermo del computer. Poteva andare peggio: per lo meno non mi hanno preso a legnate.

...........

La lezione di questa piccola storia è che il "culto dello sportello" è pesantemente ingranato in tutta l'organizzazione della burocrazia italiana. L'apparizione di internet non ha cambiato la mentalità di chi gestisce i vari enti statali. Non so dire se esista una volontà precisa di boicottare le procedure on-line o se esempi disastrosi come quello che vi ho raccontato siano dovuti più che altro a incompetenza. Resta il fatto che tutto il sistema è focalizzato sul costringerti a far la fila da qualche parte (*). Questo richiede tutta una struttura di uffici, edifici, portieri, uscieri, impiegati, dirigenti eccetera, per non parlare poi della struttura parallela privata dei patronati e sindacati che si occupano di riempire i moduli per te. Quanto tutto questo costi al "sistema italia" non mi so capacitare e preferisco non pensarci nemmeno.

In sostanza, come tutti i sistemi complessi, anche il sistema burocratico esiste principalmente per perpetuare se stesso. E' tutta una conferma di quello che Joseph Tainter chiama "i rendimenti decrescenti della complessità" che alla fine genera il collasso delle società umane. Se è così, è un'ulteriore indicazione di come ci stiamo distruggendo con le nostre stesse mani.

Riuscirà il nostro coraggioso presidente del consiglio a sconfiggere il mostro della burocrazia? Tanti auguri.......


(*) Altro esempio. Il medico prescrive delle analisi per mio padre. Mi scrive tutto su un foglio che io poi devo fisicamente portare alla ASL, fare la coda, per poi presentarmi davanti a un'impiegata che digita nel computer i dati del foglio. Non era possibile che il dottore lo compilasse sul computer e poi lo mandasse direttamente alla ASL per via telematica? O che lo mandassi io via internet, perlomeno come opzione? No.....








Chimica delle radici ed altre storie.




Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.


In un post recente avevo sottolineato l’importanza dei diversi meccanismi di retroazione nel controllo del clima; in particolare mi ero soffermato sul fatto che a diverse scale di tempo il loro ruolo può essere positivo o negativo, tendere cioè a destabilizzare o a stabilizzare la situazione esistente. Uno dei più importanti meccanismi di retroazione negativa sul lungo periodo è il cosiddetto “weathering dei silicati” ossia la dissoluzione, la erosione dei silicati ad opera dei vari meccanismi in azione in atmosfera e in biosfera (per esempio l’azione dell’acido carbonico ma anche degli acidi e delle sostanze con azione lisciviante e corrosiva  prodotti da organismi e microorganismi).
La degradazione dei silicati è un sistema complesso di reazioni che ha molteplici effetti fra i quali i più notevoli sono l’estrazione di alcuni ioni dalle rocce (il cosiddetto “meccanismo del caffè”) con la modifica della composizione delle acque superficiali, la formazione del terreno oppure la determinazione di colori dominanti del paesaggio tramite gli effetti delle reazioni che vi si verificano (vi siete mai chiesti per esempio perché i deserti abbiano una dominante rossa? Una risposta possibile è che abbiamo ad un certo punto subito un processo di lisciviazione della silice che lascia dietro di se maggiori quantità relative di ossidi di ferro, anche se credo che il meccanismo esatto possa essere più complesso).
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uby.colorado.edu/~smyth/G1010/16Weathering.pdf
Dal punto di vista che mi interessa qui sottolineare il risultato complessivo di questi processi, che sono ripeto estremamente complessi ed affascinanti[si veda qui e qui], potrebbe essere descritto come l’assorbimento della CO2 atmosferica, qualcosa come**:
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Una descrizione approfondita e per certi versi poetica di questa reazione e dei suoi effetti la potete trovare sul blog di un nostro collega di UniFi, Ugo Bardi, che penso sia conosciuto da molti di voi per i suoi libri sul petrolio e la ricerca minerale e per averci fatto conoscere il picco del petrolio e averci ricordato l’importanza di Limits to growth, (e non ultimo per aver fondato ASPO Italia); attualmente Ugo ha un blog molto bello che vi segnalo. Colgo anche l’occasione di ringraziarlo per quello che ho imparato da lui.
Ebbene in un lavoro recentissimo pubblicato su Geophysical Research Letters (Doughty, C. E., L. L. Taylor, C. A. J. Girardin, Y. Malhi, and D. J. Beerling (2014), Cenozoic global change possibly stabilized by montane forest root growth and soil organic layer depth, Geophys. Res. Lett., 41, doi:10.1002/ 2013GL058737.) che potete scaricare da http://www.yadvindermalhi.org/uploads/1/8/7/6/18767612/doughty_2014_montane_roots.pdf
Doughty e collaboratori hanno scoperto una cosa affascinante e che getta nuova luce sul ruolo delle foreste; avrete capito dai miei post che io sono affascinato dagli alberi come vi ho raccontato di recente (http://ilblogdellasci.wordpress.com/brevissime/grandi-alberi/), ma se mi seguirete fino alla fine ne sarete affascinati anche voi.

Dice Doughty:
Si crede che le radici degli alberi e I loro partners simbiotici fungini giochino un importante ruolo nella regolazione climatica a lungo termine, ma le retroazioni fra la temperatura globale e la erosione biotica non sono ancora state esplorate in dettaglio. Dati raccolti sul campo in una sezione di foresta che parte da 3000 m in Perù mostrano che la crescita delle radici più sottili diminuisce mentre lo spessore di frazione organica del suolo aumenta con la riduzione delle temperature che prevale a maggiore altezza. Noi facciamo l’ipotesi che questa osservazione possa suggerire una retroazione negativa: quando la temperatura globale aumenta lo strato più organico del suolo si contrae e un maggior numero di radici sottili aggrediscono lo strato minerale, accelerando così la erosione e riducendo la  CO2 atmosferica. Il nostro esame di questo fenomeno attraverso un modello di erosione biologica  mostra che questa retroazione negativa potrebbe aver contribuito a controllare il clima durante tutto il Cenozoico specie in occasione dei maggiori degassamenti vulcanici e degli eventi tettonici maggiori di emersione.

In pratica il meccanismo che viene illustrato dalla seguente immagine tratta dalla fig. 1  del lavoro di Doughty e collaboratori, potrebbe aver funzionato per tutto il Cenozoico, ossia per gli ultimi 65 milioni di anni, dopo la caduta del meteorite che distrusse il dominio dei dinosauri e aprì la strada a noi mammiferi, e ci avrebbe quindi accompagnato fin dalle nostre origini.
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In pratica le radici e le loro reazioni acide, tramite le quali esse aggrediscono la roccia e ne facilitano la trasformazione in suolo “organico” (ovviamente non in modo diretto ma facilitando attraverso la disgregazione della roccia un ambiente adatto alla esistenza di organismi e microorganismi) sarebbero parte di una sorta di gigantesco termostato planetario; pensate allora quale enorme danno abbiamo fatto al pianeta e alla biosfera tramite la indiscriminata distruzione della foresta attraverso secoli di sviluppo agricolo e industriale; abbiamo praticamente ridimensionato enormemente un meccanismo di controllo fondamentale senza sostituirlo con nient’altro.
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Se le cose stanno così la sostituzione del ciclo agricolo a quello della foresta ha certamente messo in crisi il termostato da almeno 8-10.000 anni e la cosa si è aggravata negli ultimi 250 anni; certo oggi ce ne siamo accorti, ma ancora non abbiamo trovato un utile sostituto; pensate voi che l’uso dei concimi sintetici con tutto il ciclo della loro produzione possa sostituire un meccanismo così finemente cesellato?
Il rapporto fra suolo organico ed inorganico disegnato da questo complesso meccanismo, il ruolo di mediazione delle ife fungine, la simbiosi vegetale che si determina, potrebbe mai confrontarsi con la produzione di concimi che ha come solo obiettivo la crescita indiscriminata e il profitto crescente e come conseguenza un enorme consumo di energia con conseguente inquinamento da gas serra e sottoprodotti di scarto? In pratica abbiamo distrutto un termostato planetario e l’abbiamo sostituito (dato il consumo energetico e la conseguente massa di gas serra prodotti) con una stufa planetaria anche un po’ sporca, con lo scopo di dare supporto alla crescita di una sola specie, la nostra? Voi che ne dite?

Nota: dato che il metabolismo basale dell’uomo è di circa 100W, si può stimare che in un anno l’umanità dissipi a questo scopo almeno 2×1019J; il consumo energetico primario totale è dell’ordine di 50×1019J; da qui risulterebbe circa il 4% del totale dedicato al cibo, anzi considerando che una parte notevole viene direttamente dalla fotosintesi, la percentuale dovrebbe essere perfino di meno. Ma si stima che in realtà, in un paese avanzato come l’Italia,  circa il 15-18% dell’energia primaria sia devoluto a questo scopo, a causa dell’impatto dei metodi di produzione e conservazione, quindi molto di più; riflettiamoci. (http://www.fosan.it/articolo/108_lca_alimentazione_stima_del_consumo_energetico_la_produzione_il_trasporto_e_la_preparaz)

Dati analoghi potete trovare in questo grafico che dà alcuni confronti fra energia solare ed energia fossile immagazzinati in prodotti agricoli:
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Per confronto (ed anche un po’ per provocazione lo confesso) si calcola che il 97% della biomassa totale dei vertebrati sia costituita da uomini e dagli animali che essi direttamente usano a qualunque scopo, alimentare o di compagnia. (Anthropology and Contemporary Human Problems, p. 24  John H. Bodley, 6 ed Altamira Press 2012)
Per approfondire:


** è da sottolinare per evitare incomprensioni specie con persone di estrazione geologica o geochimica che la formula CaSiO3 non indica qui necessariamente la wollanstonite ma un generico silicato, mentre la reazione indicata è la conseguenza NETTA di due processi distinti, uno di dissoluzione dei silicati con assorbimento di due molecole di CO2 ed uno di liberazione di UNA sola molecola di CO2 con la conseguenza che il processo corrisponde al riassorbimento netto di una molecola di CO2; la sequenza di reazioni, che fa parte del ciclo del carbonio sul lungo termine è indicata per esempio qui:
fra gli altri (mi scuso per tutti quelli che non conosco) segnalo i magnifici appunti di geochimica applicata del collega Marini di UniGe.
o le slides che potete trovare su: http://fenzi.dssg.unifi.it/dip/materiali/3101/

Il blog di Ugo Bardi mostra una specifica conferenza tenuta dal nostro collega, ma contiene molti altri articoli interessanti: http://ugobardi.blogspot.it/2012/07/la-grande-reazione-chimica-vita-e-morte.html


venerdì 11 aprile 2014

Il picco del petrolio non è morto, puzza così di suo

Questo articolo è dell'anno scorso ed è stato generato dall'annuncio della chiusura di "The Oil Drum", uno dei siti più importanti e conosciuti dedicati al picco del petrolio. Ci sembra il caso di proporlo qui in traduzione dato che è ancora validissimo e spiega molte cose di quello che sta succedendo (U.B.)
 

Da “Smartplanet”. Traduzione di MR

L'analista energetico Chris Nelder risponde agli ultimi commenti infondati sul picco del petrolio



The Oil Drum, un sito Web dedicato alla discussione informata sul picco del petrolio e sull'energia, ha annunciato il 3 luglio 2013 che sta chiudendo. (Per una breve introduzione sul picco del petrolio vedi la mia conversazione con Brad Plumer sul Washington Post). Coloro che odiano la storia del picco del petrolio non si sono preoccupati di nascondere la loro gioia alla notizia. Alcuni hanno persino visto l'occasione per dichiarare la vittoria della loro parte nel 'dibattito' sul futuro dei combustibili fossili. “Potremmo dire 'Ve l'avevamo detto', non come epiteto da campetto scolastico, ma semplicemente come un fatto”, ha trionfato Mark Mills, co-autore di un libricino intitolato Il pozzo senza fondo, che Publishers Weekly ha descritto come “Lungo in retorica Nietzscheana ma breve su alcune specifiche cruciali”.

David Blackmon, un consulente con sede a Houston con una carriera di 33 anni nell'industria del petrolio e del gas che è uno dei 1.300 "collaboratori" redazionali di Forbes’ ha chiamato The Oil Drum “un sito dedicato ad una teoria basata sulla mancanza di immaginazione ed una irrilevanza crescente” nel suo articolo da pallonaro.

L'economista Karl Smith, un altro collaboratore di Forbes, si è fatto beffe della distinzione cruciale fra petrolio greggio e “tutti i liquidi” nella sua confusa insalata di parole, asserendo che “liquidi come il butano, il propano e l'etano sono importanti prodotti del petrolio” senza spiegare perché dovrebbero essere conteggiato come petrolio greggio, quando invece non lo sono.

Imbaldanziti dalla recente esuberanza sul fracking negli Stati Uniti, questi esperti ora dichiarano che la sola cosa che ha raggiunto il picco “è stata la capacità di discutere sul fatto che l'era del petrolio, e degli idrocarburi, fosse finita”.

Non uno di loro ha detto una sola parola sul tasso globale di produzione, che è l'essenza della questione del picco del petrolio. Perché inoltrarsi nei dati quando il mero lancio di fango sugli avversari e proclamare la tua fede funziona?

Un pugno di altri scrittori hanno offerto punti di vista meno ideologici. Matt Yglesias ha confessato di aver “sempre trovato il dibattito sul 'picco del petrolio' un po' confuso” ma ha riconosciuto che c'è stata una profonda rivoluzione dei prezzi: “I bei giorni passati dei combustibili liquidi realmente abbondanti sembrano essere alle nostre spalle”, ha scritto. Noah Smith ha scritto il post più informato del lotto, notando che la transizione al petrolio non convenzionale è una grossa parte del perché i prezzi sono saliti e che “non c'è sostituto all'orizzonte” per il buon vecchio greggio. Ma nemmeno loro hanno menzionato il tasso di produzione di petrolio.

Keith Kloor ha preso in prestito un grafico della EIA della produzione statunitense da un articolo della BBC che ripeteva tutti i punti di discussione preferiti dell'industria su come la nuova tecnologia ha prodotto “una nuova corsa al petrolio”. Apparentemente, né Kloor né l'autore della BBC si sono resi conto che il grafico rappresentava la produzione di “tutti i liquidi” negli Stati Uniti, non solo il petrolio greggio, né si sono disturbati ad esaminare i dati dettagliati della EIA da soli, né hanno cercato di spiegare in che modo questo recente boom della produzione statunitense possa respingere lo spettro di un picco globale. Kloor ha concluso che The Oil Drum stava chiudendo perché “i numeri non sono in vostro favore adesso”. Ma come gli altri, non ha realmente menzionato alcun numero.

In breve, tutti questi autori hanno usato la notizia di The Oil Drum per commentare sul dibattito sul picco del petrolio – le previsioni imprecise, l'atteggiamento demagogico e eccessivamente ottimista e gli insulti, che hanno macchiato entrambe le parti della questione, bisogna dire la verità – ma nessuno di loro ha discusso di picco del petrolio. Non pensavo davvero di dover dire dirlo di nuovo, ma il picco del petrolio è questione di dati, specialmente di dati sul tasso di produzione del petrolio. Se si vuol dichiarare che il picco del petrolio è morto (o vivo), bisogna parlare di dati sui tassi di produzione. Non c'è altro modo per discuterne.

Tanto per la cronaca

Che cosa sta realmente succedendo allora?

Primo, ciò che è successo a The Oil Drum è stata una chiusura volontaria, una diminuzione del traffico di visitatori e un flusso insufficiente di lavoro originale di alta qualità e di collaboratori. E' una sfortuna, perché negli ultimi 8 anni The Oil Drum è stato il sito gratuito migliore sul Web per del buon lavoro rigoroso e per la discussione informata sui dati dell'energia. Ho col sito un grosso debito per l'educazione, i contatti e la visibilità che ho acquisito attraverso di esso.

Ho appreso della sua chiusura lo stesso giorno della morte di Randy Udall. E' stata davvero un giorno triste e buio per i picchisti, uno di quei momenti spartiacque che è sembrato un vero e proprio punto di svolta nella discussione sul picco del petrolio. Usare questa occasione per ballare sulla loro tomba, come hanno fatto alcuni oppositori del picco del petrolio, è stato un colpo basso.

Ma la ragione per cui The Oil Drum era carente di contenuti originali non era che aveva perduto la discussione e non c'era altro da dire. Lungi da questo. Il flusso di contenuti si è semplicemente spostato dove i buoni analisti e scrittori sul tema potessero essere pagati per il proprio lavoro. Questo era inevitabile, perché un modello di pubblicazione che si affida ad un flusso costante di articoli gratuiti la cui redazione richiede giorni, settimane o persino mesi di lavoro duro e altamente qualificato, non era semplicemente sostenibile. Gli scrittori freelance come me sono passati a pubblicazioni che pagano come SmartPlanet dove ci si può guadagnare da vivere. Consulenti e fondi speculativi hanno cominciato a restringere il proprio lavoro ai loro clienti privati ed abbonati, forse con un teaser di materiali gratuito postato nei propri blog e newsletter. Gli investitori e le compagnie di petrolio e gas assumono analisti competenti per fare il loro lavoro in forma privata, dopo aver fatto parte per molti anni  dell'intelligenza collettiva su The Oil Drum (e scambiandola in modo molto redditizio, aggiungerei) gratuitamente. I volontari che hanno dato così tanto tempo al sito in tutti questi anni, hanno scoperto che dovevano spendere le proprie energie altrove. E la gente si è abituata a prezzi più alti, quindi i media hanno smesso di parlare di picco del petrolio, il che ha portato ad un crollo del traffico. Oh, questo è lo show biz.

E' anche vero che molti di noi, avendo fatto la nostra prima esperienza sui dati e la discussione su The Oil Drum, sono passati ad altro. Una volta che si è imparato qualcosa, non c'è bisogno di continuare a reimpararla. Parlando per me, io sono passato a cimentarmi con le soluzione al problema del picco del petrolio: aumenti di efficienza, finanziamento, problemi di policy, paradigmi di trasporto e la transizione alle rinnovabili. Rivisitare semplicemente il problema del picco del petrolio non mi sembrava un buon uso del mio tempo, anche se ho continuato a scriverne come contesto. So che altri ex collaboratori del sito hanno cambiato le loro linee di condotta in modo analogo.

Secondo, la mania del fracking è stata piuttosto ben confinata agli Stati Uniti, perché è lì che si sta manifestando. Uscite dagli Stati Uniti per un po', come ho fatto io quest'anno, e scoprirete rapidamente che la gente è ancora preoccupata dal futuro di petrolio e gas. Probabilmente perché i prezzi del loro petrolio e gas non sono scesi e le loro riserve non sono aumentate. Non ci sono assolutamente prove che il fracking produrrà volumi significanti di petrolio al di fuori degli Stati Uniti in tempi brevi.

Terzo – e so che questo farà male a qualche scrittore là fuori, ma va detto – pochissime persone che hanno scritto del picco del petrolio al di fuori di siti come The Oil Drum, non hanno mai compiuto il duro studio richiesto per comprenderlo realmente. Hanno semplicemente preso una parte, di solito su basi di appartenenza o ideologiche, ed hanno cominciato a difenderla. Molti di loro non hanno un'idea, persino ora, di quale differenza ci sia, diciamo, fra riserve provate e risorse, o cosa sia un rapporto riserve/produzione, o cosa rappresenti realmente una stima P50, o i costi di produzione e il contenuto energetico di liquidi non-greggio. Nemmeno un'idea. Sarei disposto a scommettere che il 95% di loro non ha mai fatto un foglio elettronico dei dati di petrolio e gas e cercato di analizzarlo.

Gran parte di quanto avete letto sul picco del petrolio nella stampa generica è stato scritto da giornalisti generici. E' un tema follemente complicato che richiede davvero migliaia di ore di studio per comprenderlo. Ma gran parte di loro non ha compiuto questo studio e gran parte di quello che scrivono è sbagliato. Di solito si limitano a riscrivere il riassunto di un rapporto tecnico e lungo scritto da qualcuno dell'industria. Non leggono la cosa per intero; non hanno tempo, oppure potrebbero non avere gli strumenti per capirlo. Non fanno analisi originali o controllo dei fatti. E troppo spesso sembrano non capire il contesto dei dati, quindi non ve ne danno. Cosa significano 7, 19 o 91 milioni di barili al giorno per la persona media? Niente. Quindi non ne parlano. Ma possono sicuramente scrivere la centesima variazione di una storia sulla incipiente “indipendenza energetica” degli Stati Uniti e come questo sconvolgerà la geopolitica, bla, bla, bla, mentre giocano coi miti dell'eccezionalità americana, senza capire i dati.

Analogamente, è facile speculare sul fatto che la soluzione du jour, etanolo, biocombustibili dalle alghe, “l'economia dell'idrogeno”, l'energia solare nello spazio, le celle a combustibile, gli idrati di metano e così via – ci salveranno, se non si scava realmente fra i dati. I giornalisti generici amano farlo. Quegli articoli generano un sacco di traffico e nessuno li riterrà mai responsabili per aver scritto di una fantasia popolare.

In realtà, sono generoso qui attribuendo la loro inattenzione al fatto di essere generici in tempi stretti. Dopo un decennio di queste innumerevoli sciocchezze, ho cominciato a sospettare o del disinteresse o della pigrizia, o peggio. Specialmente da parte degli scrittori di scienza ed economia che chiaramente hanno gli strumenti per ricercare e capire i dati. Come Robert Bea, un esperto che ha studiato uno dei più grandi disastri ingegneristici civili della storia recente, ha recentemente osservato, il fallimento di solito è il risultato di tracotanza, miopia e indolenza, non dell'ingegneria. Il nostro fallimento nel preparare per il picco del petrolio non è diverso.

La sola cosa che gran parte degli scrittori sembra aver afferrato è la dura realtà del prezzo. Questo è abbastanza semplice, viene pubblicato tutti i giorni da diverse agenzie. Una rapida ricerca su Google lo troverà. Non richiede alcun studio. Tutti se ne interessano. E' la torta. Quando i prezzi sono alti, come lo sono ora, coloro che capiscono solo il prezzo lo vedono come prova del fatto che la spiegazione del picco del petrolio ha qualche merito. Ma il prezzo è mutevole. Quando i prezzi sono crollati a 30 dollari al barile alla fine del 2008, tutti scrivevano di come questo fosse la prova che la teoria del picco del petrolio fosse sbagliata.

Coloro che capiscono gli aspetti tecnici dei dati sono generalmente all'interno dell'industria del petrolio e del gas. La maggior parte non parla di questo perché i dati raccontano una storia che non vogliono che venga raccontata. Quindi cercano di spostare il focus lontano dai dati verso gli atteggiamenti di chi partecipa al dibattito. O parlano solo dei dati che favoriscono il loro punto di vista, come le risorse tecnicamente recuperabili in aumento e il boom della produzione in Nord Dakota e Texas. Il più delle volte lo stratagemma funziona.

Quindi lo sfiancante “dibattito” sul picco del petrolio va avanti, ripetuto come un teatro Kabuki senza fine di Malthusiani contro Cornucopiani, ignorando i dati a favore di altre mille parole sugli atteggiamenti e le credenze.

E in mezzo, cari lettori, ci siete voi. Presi fra innumerevoli giornalisti imprudenti da un lato e da una propaganda accuratamente costruita da coloro che “promuovono i loro libri” dall'altro. Pagare 4 dollari a gallone per la benzina un giorno, quindi 2 il mese successivo, poi ancora 4 dollari quattro anni dopo. Non sapete il perché, perché la stampa non ve lo spiega mai veramente, l'industria cerca deliberatamente di confondervi e i politici vi dicono qualsiasi cosa pur di prendere il vostro voto.

Tutto ciò che posso dire su questo è: mi dispiace. E' triste. Ho cercato di far emergere i fatti per anni. Non sembra che sia di aiuto.

I dati

Ora parliamo di qualche dato.
Il mondo attualmente produce circa 91 milioni di barili al giorno (mb/d) di 'petrolio', nella definizione della IEA che sta per tutti i liquidi. Negli ultimi due anni, la produzione reale di greggio (che comprende il condensato lease nella definizione della EIA) si è aggira sui 75 mb/g su base annuale, appena poco sopra il plateau di 74 mb/g stabilito nel 2005.

Il momento della verità per il picco del petrolio sarà quando il declino dei vecchi giacimenti alla fine sopravanzerà le aggiunte di nuova produzione e l'offerta globale comincia a scendere verso sud. (Un'alternativa di moda è che raggiungeremo prima il “picco della domanda”, in cui il petrolio sostituito da altri combustibili e la domanda crollano a causa di una maggiore efficienza, ma al momento trovo le prove che questo si avvenuto, o che avverrà, non convincenti).

Quel momento della verità non è ancora arrivato. Il fracking, insieme a tutti gli altri metodi che il mondo sta usando per strizzare un po' più di petrolio dalla Terra, ha a malapena spostato la produzione globale di petrolio. Ecco il grafico:


Grafico: Peak Fish. Dati: EIA

Cosa ci vedete? La fine ignominiosa di una storia senza fantasia perpetrata da cani sciolti con interessi personali che cercano di incrementare i loro profili e vendere qualche libro, o un plateau di produzione che è appena aumentato negli ultimi due anni dopo uno sforzo assolutamente eroico che ha richiesto centinaia di miliardi di dollari di investimento ed una quadruplicazione dei prezzi del petrolio?
Ora guardiamo la produzione non OPEC, senza la produzione americana:


Fonte: Peak Fish

Vedete come la produzione è scesa negli ultimi anni? Ciò accade perché il tasso aggregato di declino di tutti i giacimenti è intorno al 5% all'anno. In altre parole, il mondo perde circa da 3,0 a 3,8 mb/g di produzione ogni anno (a seconda dei numeri che si usano). Gran parte della “ondata di marea di petrolio” di 2 mb/g proveniente dal fracking degli Stati Uniti è stata assorbita dal declino nel resto dei paesi non OPEC, come si può vedere dalla produzione aggregata non OPEC in questo grafico:


Fonte: Peak Fish

La domanda non è “Può il fracking salvare il mondo dal picco del petrolio?” ma “Per quanto tempo l'America può mascherare il declino nel resto del mondo?” La risposta probabilmente è non ancora per molto. Il tasso di crescita della produzione del tight oil si è considerevolmente raffreddato negli ultimi anni e la produzione per pozzo sta crollando. 

Ora, guardiamo la produzione degli Stati Uniti da sola. Ecco il grafico di “tutti i liquidi” che Kloor ha ristampato, presumibilmente senza rendersi conto che non era solo per il petrolio:


Eccezionale, vero? Un enorme inversione di tendenza. Siamo tornati ai livelli del 1985! 
Ora guardiamo il grafico della reale produzione statunitense di greggio e condensato, senza tutti i liquidi del gas naturale, i biocombustibili ed i miglioramenti di raffinazione:


Fonte: EIA

Oh, ma che è successo a quell'enorme picco di produzione che ci aveva riportati ai livelli del 1985?

Ora guardate l'articolo dove ho spiegato la differenza fra quei numeri e perché i numeri di “tutti i liquidi” esagerano l'offerta vera di petrolio degli Stati Uniti di circa un terzo. Credete ancora a Karl Smith, che non ha spiegato di tutto questo e che non ha fornito dati ma ha semplicemente asserito che “ 'liquidi' non è un termine subdolo” e che dovremmo contare ugualmente tutti i liquidi “perché iniziano le Primarie Presidenziali in Iowa”?

Alcuni altri dati sul petrolio statunitense, visto che è stata disseminata così tanta confusione su questo negli ultimi mesi: l'America consuma 19,5 mb/g di petrolio e ne produce 7,4. Su base annuale, per tutto il 2012 è stata la più grande importatrice di petrolio del mondo, ma è stata probabilmente superata da allora dalla Cina su base mensile. Esporta più prodotti raffinati come benzina e diesel di quanti ne importi, ma questo è semplicemente perché ha un complesso di raffinazione molto ampio e una domanda interna in diminuzione, non perché è sulla strada dell'indipendenza energetica. Gli Stati Uniti non saranno mai degli esportatori netti di petrolio, né supereranno l'Arabia Saudita nella produzione di petrolio, a prescindere da quanto potreste aver letto sull'America “Saudita”.

Ora parliamo del prezzo. Dal 2003, chi prevede meglio il riprezzamento globale del petrolio, i picchisti che ipotizzavano un picco record dei prezzi o i Cornucopiani che coerentemente prevedevano che i prezzi del petrolio sarebbero tornati ai livelli storici? La risposta è indiscutibile: i picchisti. 

Per il decennio passato, i Cornucopiani ci hanno raccontato che stava arrivando una nuova abbondanza dal petrolio di alto mare, dalle sabbie bituminose, dal miglioramento del recupero di petrolio, dai biocombustibili e da altre fonti non convenzionali. La produzione globale di petrolio sarebbe aumentata fino a 120 mb/g e i prezzo sarebbero tornati ai 20 o 30 dollari a barile. Quelle storie erano completamente sbagliate. I picchisti lo avevano detto.

Ecco cos'è accaduto: il petrolio è stato riprezzato in risposta alla scarsità. I prezzi a tre cifre sono stati responsabili del nuovo afflusso di produzione non convenzionale. Quella produzione, compreso il fracking per il tight oil negli Stati Uniti, aumenta i prezzi, non li diminuisce. Negli ultimi sei anni, abbiamo raggiunto il prezzo tollerabile dai consumatori e siamo tornati indietro ripetutamente. 

Per un'ultima parte di dati, guardate questa previsione dall'ultimo post che l'ingegnere petrolifero Jean Lahèrrere ha scritto per The Oil Drum:


(Ho usato un altro grafico di Laherrère nel mio post di marzo)*

Laherrère conclude: “Coi pochi dati disponibili oggi, sembra che la produzione di petrolio mondiale (tutti i liquidi) raggiungerà il picco prima del 2020, nei paesi non-OPEC molto presto a in quelli OPEC intorno al 2020. l'OPEC smetterà di esportare petrolio greggio prima del 2050”. 

Guardando da vicino i dati di Laherrère, sembra essenzialmente in linea con la mia visione secondo la quale in altri 18 mesi o giù di lì avremo il segnale che il petrolio dev'essere riprezzato ancora di più per mantenere ancora la produzione. Questo sarà molto difficile da digerire per i consumatori di Stati Uniti ed Europa. Se il riprezzamento porterà più petrolio nel mercato, o ucciderà semplicemente la domanda, rimane da vedere. 

Questo è ciò che i dati – non le credenze o la retorica – mi dicono. 

Qual è la vostra scommessa?

Quindi ecco ciò che sappiamo.
Il petrolio greggio di valore alto – la roba buona con 5,8 BTU per barile che possiamo trasformare in diesel, benzina ed un milione di altre cose – è stato generalmente mantenuto in un plateau produttivo dal 2004. La produzione globale diminuirà quando il declino dei giacimenti vecchi subisserà le nuove aggiunte. Quando, precisamente, questo accadrà, nessuno può dirlo per certo. Ma è quasi sicuramente prima del 2020. 

Gran parte dei liquidi non-greggio non equivalgono al greggio. A parte le sabbie bituminose e il petrolio pesante, questi contengono meno energia e sono di gran lunga meno utili. Alcuni non possono essere trasformati in benzina e diesel. Ma con la produzione regolare di greggio intrappolata a 75 mb/g, questi altri liquidi devono soddisfare tutti i futuri aumenti della domanda di petrolio. Mentre occupano una quota in aumento del mercato dei combustibili liquidi, aumentano gradualmente il prezzo del “petrolio”. Niente di visibile all'orizzonte cambierà questo. 

Alla fine, il prezzo diventerà troppo alto e avremo il “picco della domanda”, bene, ma sarà principalmente a causa del prezzo, non dei guadagni in efficienza e porterà ala contrazione economica, non alla crescita. Quel prezzo lo dovremo alle prospettive sempre più marginali e difficili – quindi care. In quel senso, è un problema dal lato dell'offerta, un concetto che è al centro del picco del petrolio. E' chiaro perché l'argomentazione “picco della domanda” contro “picco dell'offerta” non sia poi così interessante?

Se i consumatori statunitensi sono in grado di tollerare, diciamo, 5-7 dollari a gallone per la benzina nel 2020, allora è possibile che il plateau produttivo si possa estendere un po' di più e mia ipotesi che l'offerta globale comincerà a slittare verso il 2015 potrebbe essere sbagliata. Non sarà sbagliata di molto e nel grande schema di cosa significhi questo per l'economia globale, un anno o tre in più o in meno sono di fatto irrilevanti. Ma anche se mi sbagliassi di sei mesi, potete stare sicuri che i miei detrattori usciranno allo scoperto per dire che ho detto una cavolata e che la produzione sta andando alle stelle.  

Ma la mia scommessa è che i consumatori di Stati Uniti ed Europa non possano tollerare prezzi significativamente più alti. La tolleranza di prezzo è qualcosa di cui i Cornucopiani non parlano mai, quindi non sentirete queste argomentazioni da loro. Se ho ragione su questo punto, allora la produzione avrà un declino quando i prezzi diventano intollerabili. In virtù della sua pressione verso l'alto sul prezzo, la produzione di petrolio non convenzionale contribuisce al picco del petrolio, non lo cura. 

Mi aspetto che la produzione mondiale di petrolio aumenti, debolmente, per altri due anni, più o meno, mentre l'America cade in un sonno più profondo credendo che il fracking abbia curato tutto. I media rinforzeranno quella credenza. E quando arriverà, il campanello d'allarme sarà severo. Nel frattempo aspetteremo la battuta finale.

Quindi, per coloro che possono comprendere i dati, ecco il mio pensiero finale: come prepararsi per La Grande Contrazione? Probabilmente rimangono due anni buoni di business as usual e forse altri tre o quattro ancora prima che le cose diventino davvero difficili. Vi esorto ad usarli bene e fate quello che potete per rendervi resilienti ed autosufficienti. Cosa farete fra 10 anni se il prezzo della benzina è di 10 dollari a gallone?

Sì, dobbiamo parlare seriamente dei nostri valori, speranza, credenze, mitologie e ambizioni; del paradigma atavico della crescita, dell'abisso del debito e della teoria economica in un'era di ritorni marginali decrescenti. Quelle sono tutte discussioni importanti. Ma facciamole dopo aver capito lo stato di fatto dell'energia. Non prima.  

Qualsiasi cosa facciate, non pensate che il picco del petrolio sia morto solo perché qualche tipo che non sa di cosa parla lo ha detto in un post senza dati. Sta arrivando. Più tardi di quanto qualcuno aveva pensato, ma prima di quanto pensiate. 

Foto: Mark Rain (AZRainman/Flickr)

*Correzione del 25 luglio 2013: nella versione originale di questo post, ho detto che il grafico di Laherrère “lascia fuori i volumi del petrolio super pesante che potrebbe materializzarsi o meno dal Venezuela e dal Canada”. Laherrère ha risposto che questo grafico di fatto include i volumi di petrolio pesante. Il testo è stato corretto di conseguenza.

giovedì 10 aprile 2014

L'inizio della fine? Le compagnie petrolifere tagliano gli investimenti

Un post importantissimo ed esauriente di Gail Tverberg che spiega esattamente come e perché siamo in guai grossi con il petrolio, ma veramente molto grossi. Prendetevi una mezz'ora per leggervelo, perché sembra proprio che stiamo raggiungendo il punto di non ritorno: l'inizio della fine. (U.B.)


Da “Our finite world”. Traduzione di MR 

Di Gail Tverberg

Steve Kopits ha recentemente fatto una presentazione spiegando il nostro attuale dilemma: il costo dell'estrazione del petrolio è cresciuto rapidamente (10,9% all'anno) ma i prezzi del petrolio sono rimasti stabili. Le grandi compagnie petrolifere si ritrovano i propri profitti strizzati e di recente hanno annunciato piani di vendita di parte dei loro beni per avere fondi per pagare i dividendi. Un tale approccio è probabile che porti ad una eventuale diminuzione della produzione di petrolio. Ho parlato di cose del genere in precedenza (qui e qui), ma Kopits aggiunge alcune prospettive addizionali che mi ha dato il permesso di condividere coi miei lettori. Esorto i lettori a guardare la presentazione originale di un'ora alla Columbia University, se ne hanno il tempo.

La controversia: il petrolio dipende dalla “crescita dell'offerta” o dalla “crescita della domanda”?

La prima sezione della presentazione è dedicata alla connessione fra crescita del PIL e crescita dell'offerta di petrolio rispetto alla crescita della domanda di petrolio. In questo scritto ometto una parte considerevole di questa discussione.
Gli economisti e le compagnie petrolifere, quando fanno le loro proiezioni, quasi sempre le fanno dipendere dalla “crescita della domanda” - la quantità che la gente e le imprese vogliono. Questa crescita della domanda viene vista come in crescita indefinita nel futuro. Non ha niente a che fare con l'accessibilità o se i consumatori potenziali abbiano realmente il lavoro per comprare i prodotti petroliferi. Kopits presenta il seguente elenco di assunti di previsione limitata dalla domanda. (IOC sono le “Compagnie Petrolifere Indipendenti” - Independent Oil Companies” - come Shell ed Exxon Mobil, contrapposte alle compagnie di proprietà governativa che sono prevalenti fra gli esportatori di petrolio).


Così, è il punto di vista di previsione limitato dalla domanda che da adito alla visione secondo cui l'OPEC abbia un'enorme effetto di leva. Viene fatto l'assunto secondo cui l'OPEC possa aggiungere o sottrarre a sua scelta tutta l'offerta che vuole. Kopits fornisce le prove che di fatto il punto di vista della domanda oggi non è più applicabile, quindi tutta questa storia è sbagliata. Un elemento di prova del fatto che il modello della domanda sia sbagliato è il fatto che la produzione del petrolio greggio mondiale (compreso il condensato lease) è stata pressoché piatta dal 2004, in un periodo in cui la Cina ed altre economie orientali in crescita hanno cercato di motorizzarsi. In confronto, c'è stato un aumento del 2,7% all'anno quando l'Occidente, con una popolazione analoga, stava cercando di motorizzarsi.


Kopits evidenzia che la grande fonte di approvvigionamento di petrolio della Cina è stata la via principale per gli Stati Uniti: la Cina ordina la propria fornitura di petrolio portandola via agli Stati Uniti, per soddisfare i propri bisogni. E' questo il modo in cui i mercati hanno reso disponibile il petrolio alla Cina, nel momento in cui l'offerta mondiale non sta crescendo granché. E' parte del motivo per cui i prezzi del petrolio sono aumentati. Un altro elemento di prova che il modello della domanda è sbagliato è collegato all'assunto che i gusti sociali siano semplicemente cambiati, portando ad una diminuzione del consumpo di petrolio negli Stati Uniti. Kopits mostra il seguente grafico, indicando che il motivo principale per cui i giovani non hanno l'automobile è perché non hanno lavori a tempo pieno.



Kopits fa un confronto fra il ruolo del petrolio nella crescita del PIL e il ruolo dell'acqua nella crescita delle piante nel deserto. Senza petrolio c'è meno crescita del PIL, come senz'acqua un deserto è affamato dell'elemento di cui ha bisogno per la crescita delle piante. La mancanza di petrolio può essere considerata un legame vincolante alla crescita del PIL. (La disponibilità di lavoro potrebbe essere un vincolo, ma non sarebbe un legame vincolante, perché ci sono un sacco di persone disoccupate che potrebbero lavorare se la domanda aumentasse). Quando è disponibile più petrolio ad un prezzo leggermente inferiore, viene rapidamente assorbito dai mercati. 

Il fattore limitante negli ultimi anni è la “crescita dell'offerta”, perché la quantità di estrazione sta crescendo solo lentamente a causa di limiti geologici e del fatto che il numero di utenti è aumentato al punto che c'è una carenza. 

L'esperienza delle grandi compagnie produttrici di petrolio

Kopits presenta dati che mostrano quanto siano mal messe le grandi compagnie petrolifere quotate in borsa. Si rivolge a due parti dell'informazione:  
  • “Capex” – “Spese di Capitale” – Quanto stanno spendendo le compagnie in cose come esplorazione, trivellazione e costruzione di nuove piattaforme offshore
  • “Produzione di petrolio greggio” - Normalmente ci si aspetterebbe che la produzione di petrolio greggio aumenti con l'aumentare del Capex, ma Kopits mostra che di fatto dal 2006 il Capex ha continuato ad aumentare, ma la produzione di petrolio greggio è diminuita. 

L'informazione di cui sopra è mondiale, non per i soli Stati Uniti. Ad un certo punto ci si aspetterebbe che le compagnie comincino a sentirsi frustrate – spendono sempre di più, ma non vanno granché avanti nell'estrazione di petrolio. 

Kopits mostra quindi un'altra versione della storia del Capex più una previsione (stavolta le quantità sono etichettate “Upstream”, quindi le spese sono chiaramente per esplorazione e perforazione, piuttosto che legate a raffinerie od oleodotti).


Le quantità questa volta sono per l'industria nel suo complesso, comprendendo le NOC (National Oil Companies, ndt.), che sono di proprietà dei governi (nazionali) così come le IOC, sia grandi che piccole. Kopits osserva che le previsioni mostrate sono state fatte solo sei mesi fa. Quando parla della slide qui sopra Koptis dice: 

Le persone nell'industria hanno pensato “il Capex è andato sempre più su. Continuerà ad andare benissimo. Siamo stati in questa traiettoria da sempre e continueremo semplicemente a guadagnare dei soldi da questo”.
Ora perché è così? La ragione è che in un modello limitato dalla domanda, per coloro fra voi che hanno studiato economia, il prezzo equivale al costo marginale. Giusto? Quindi se i miei costi aumentano, il prezzo aumenterà a sua volta. Giusto? Questo è il modello limitato dalla domanda. Quindi se mi costa di più ottenre il petrolio, non c'è problema, il mercato lo riconoscerà a un certo punto in un modello limitato dalla domanda. 

Non in un modello limitato dall'offerta! In un modello limitato dall'offerta, il prezzo sale ad un livello che è molto simile al prezzo di monopolio, dopo di che non può più essere aumentato, perché quei consumatori marginale preferiranno fare con meno piuttosto che pagare di più. Non riconosceranno [pagheranno] il vostro costo marginale. In quel modello, si arriva a un prezzo e, dopo quel prezzo, c'è una resistenza significativa da parte dei consumatori a passare ad un prezzo maggiore. Questo è il “prezzo limitato dall'offerta”. Se i vostri costi continuano a sforare, i consumatori non lo riconosceranno”. 

La previsione di rapido aumento del Capex è implicitamente una previsione limitata dalla domanda. Dice certo, il Capex più salire a tre trilioni di dollari all'anno. Possiamo spendere tre trilioni di dollari all'anno per cercare petrolio e gas. L'economia globale lo accetterà. 

Cito questo perché non sono sicura di avere spiegato la situazione esattamente in quel modo. Forse ho detto che la domanda deve essere collegata a ciò che i consumatori possono permettersi. Gli stipendi non aumentano magicamente da soli (anche se gli economisti pensano che lo possano fare). 

Secondo Koptis, il costo dell'estrazione di petrolio è cresciuto negli ultimi anni del 10,9% all'anno dal 1999 (CAGR significa “compound annual growth rate” - tasso di crescita composto annuo).


I prezzi del petrolio sono rimasti piatti, allo stesso tempo. Sul grafico sopra, “E&P Capex per barile” è praticamente lo stesso tipo di spese  mostrate nei due grafici precedenti. E&P significa Esplorazione e Produzione.

Kopits spiega che l'industria ha bisogno di prezzi al di sopra dei 100 dollari al barile. 


La versione del grafico che ho messo sopra è troppo piccola perché si possano leggere i nomi delle singole compagnie. Se desiderate un grafico coi nomi scritti più in grande, potete scaricare la presentazione originale.

Storicamente, le compagnie petrolifere hanno usato un approccio di flussi di cassa attualizzati per capire se sul lungo periodo i prezzi di un particolare giacimento sarebbero stati redditizi. Sfortunatamente, questo approccio “standard” non ha funzionato bene di recente. Le spese sono aumentate troppo rapidamente e ci sono stati troppi siti di trivellazione che hanno prodotto al di sotto delle aspettative. Ciò che kopits mostra nelle slide sopra sono i prezzi di cui le compagnie hanno bisogno su una base diversa – una base di “flusso di cassa” - di modo che ogni anno le compagnie abbiano abbastanza denaro per pagare le spese di capitale di oggi, più le spese di oggi, più i dividendi di oggi. La ragione dell'uso dell'approccio del flusso di cassa è che le compagnie si sono ritrovate alle strette: hanno scoperto che dopo aver pagato le spese di capitale ed altre spese come le tasse, non hanno abbastanza denaro rimasto per pagare i dividendi, a meno che non prendano soldi in prestito o svendano beni. Le compagnie petrolifere devono pagare i dividendi perché i piani pensionistici ed altri acquirenti delle loro azioni si aspettano di ricevere dividendi regolari in pagamento dei loro investimenti azionari. I dividendi sono importanti per i piani pensionistici. All'ultimo punto dell'elenco della slide, Kopits ci dice che su questa base, gran parte delle compagnie petrolifere americane hanno bisogno di un prezzo di 130 dollari al barile o di più. Ho notato che la brasiliana Petrobras ha bisogno di un prezzo di oltre 150 dollari al barile (la OSX, la seconda compagnia petrolifera brasiliana, ha recentemente fatto bancarotta). Nella slide sotto, Kopits mostra come il petrolio della Shell risponde alla situazione di basso flusso di cassa delle grandi compagnie petrolifere, sulla base di recenti annunci.  


Fondamentalmente, la Shell sta tagliando. Non dirà più agli investitori quanto pianifichi di produrre in futuro. Piuttosto, si concentrerà sulla generazione di flusso di cassa, almeno in parte svendendo gli attuali programmi. Infatti, Kopits riporta che tutte le grandi  compagnie petrolifere stanno riportando programmi di disinvestimento. Vendere beni risolve davvero i problemi delle compagnie petrolifere? Ciò che piacerebbe fare davvero alle compagnie petrolifere è alzare i propri prezzi, ma non possono farlo, perché non lo stabiliscono loro, lo fa il mercato – e i prezzi non sono sufficientemente alti. E le compagnie petrolifere non possono davvero tagliare i costi. Quindi vendono invece i beni per pagare i dividendi, o forse solo per uscire dall'affare. Ma questo è sostenibile?


La slide sopra mostra che la produzione di petrolio convenzionale ha raggiunto il picco nel 2005La linea in alto rappresenta la produzione totale convenzionale di petrolio (calcolata come produzione mondiale di petrolio, meno i liquidi del gas naturale, meno il petrolio di scisto americano e meno le sabbie bituminose canadesi). Per ottenere la sua stima di “normale declino del petrolio greggio”, Kopits usa l'immagine allo specchio dell'aumento della produzione di petrolio convenzionale prima del 2005. Mostra anche una voce separata per l'aumento della produzione di petrolio in Iraq dal 2005. La parte gialla, chiamata “produzione di greggio a termine” è quindi la linea più alta, meno le altre due voci. Ci sono voluti 2,5 trilioni di dollari per aggiungere questo nuovo blocco giallo. Ora questa strategia ha fatto il suo corso (sulla base dei cattivi risultati che stanno riportando le compagnie dalle recenti trivellazioni), quindi cosa faranno ora le compagnie?


Sopra, Kopits mostra le prove che molte compagnie negli ultimi mesi hanno tagliato i loro bilanci. Si tratta di grandi riduzioni – miliardi e miliardi di dollari.


Sul grafico sopra, Kopits cerca di stimare la forma della curva discendente nelle spese di capitale. Questo grafico non vale per tutte le compagnie. Esclude le compagnie più piccole e le compagnie petrolifere nazionali, quindi riguarda un terzo del mercato. La linea grigia orizzontale in alto è il consenso dell'industria a ottobre. Le altre linee rappresentano le stime più recenti di come il Capex stia declinando. Il declino più netto è la previsione basata sull'annuncio di Hess. Quella più netta a seguire (la linea grigia punteggiata) è la previsione basata sui tagli della Shell. I tagli per la parte del mercato non mostrati nel grafico è probabile che siano diversi. 

Petrolio e crescita economica

Kopits offre il suo punto di vista di quanta efficienza si possa guadagnare in un dato anno, nella slide sotto:


Dal suo punto di vista, l'aumento massimo sostenibile di efficienza è del 2,5% in un periodo non recessivo, ma un aumento più normale è del 1% all'anno. Agli attuali livelli di crescita dell'offerta petrolifera, la crescita del PIL dell'OCSE è ridotta al 1-2%. L'effetto dell'offerta di petrolio limitata è quello di ridurre il PIL dell'OCSE dal 1 al 2%. 

Conclusioni


Mentre i modelli limitati dalla domanda dominano il pensiero, di fatto un modello limitato dall'offerta è più appropriato negli ultimi anni. Sembra che siamo a corto di petrolio. Quantunque ci sia petrolio extra sul mercato, questo viene rapidamente risucchiato. I prezzi del petrolio non sono collassati. Nessuno è inquieto riguardo ad un collasso del prezzo.

Di recente la Cina ha posto una piccola pressione sul prezzo nel mercato – la sua domanda di recente è meno alta. Kopits pensa che la Cina alla fine tornerà nel mercato, facendo pressione sui prezzi del petrolio. Così, le pressioni sul prezzo del petrolio è probabile che ritornino ad un certo punto. 

Osservazioni di Gail

Un punto ovvio, che penso di aver sentito quando ho assistito alla presentazione la prima volta, ma che non ho sentito la seconda, è “Chi comprerà tutti questi beni sul mercato e a quale prezzo?” La Cina sembrerebbe la possibile compratrice, se se ne deve trovare una. Ma quando diverse compagnie vogliono vendere allo stesso tempo, ci si chiede quali prezzi saranno disponibili. La nuova strategia è, in effetti, quella di mantenere i dividendi restituendo parte del capitale. Chiaramente non si tratta di una strategia sostenibile. 

Ci vorrà un po' perché questi tagli nelle spese Capex abbiano i loro effetti sulla produzione di petrolio, ma questo potrebbe cominciare entro un anno o due. Questo è inquietante. Ciò cui stiamo assistendo ora è un taglio a ciò che le compagnie considerano “petrolio economicamente estraibile” - una cosa che non viene riportata esattamente dalle compagnie. Mi aspetto che ciò che viene svenduto principalmente non includa le “riserve provate”. 

In questa presentazione, sembra che la mancanza di sufficiente investimento sia pronta per tirare giù il sistema. Si tratta fondamentalmente del limite previsto dai Limiti dello Sviluppo. In teoria, se un'espansione della domanda di petrolio della Cina riporta ancora su i prezzi del petrolio, questo potrebbe incoraggiare un'attività di perforazione. Ma è dubbio il fatto che le economie possano sostenere i prezzi alti – stanbno già avendo problemi con l'attuale livello dei prezzi , considerata la necessita continua di Alleggerimento Quantitativo per mantenere bassi i tassi di interesse. 

Una notizia recente era intitolata:  I Ministri delle Finanze del G20 concordano di alzare l'obbiettivo della crescita globale. Secondo quell'articolo, 

"Il signor Hockey ha detto che raggiungere l'obbiettivo richiederebbe un aumento dell'investimento, ma che potrebbe creare “decine di milioni di nuovi posti di lavoro”. 

I tagli nell'investimento delle compagnie petrolifere sono esattamente nella direzione sbagliata se si intendono per continuare nell'attuale paradigma. Se questi tagli agiscono come taglio delle futura estrazione di petrolio, faranno scendere ulteriormente la crescita.



mercoledì 9 aprile 2014

Il solito Club di Roma

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR


Il commento di Nafeez Ahmed sul “Saggio finanziato dalla NASA” (un termine diventato virale) sul collasso della società è stato seguito da un dibattito acceso. In un mio precedente post, ho commentato come stavamo vedendo ancora una volta il dibattito che ha avuto luogo dopo la pubblicazione del primo studio de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. Infatti, è lo stesso dibattito, completo degli errori e delle interpretazioni sbagliate di allora.

Allora, vediamo di esaminare la contestazione del post di Ahmed pubblicata da Keith Kloor. Kloor cerca appoggio alle proprie argomentazioni su diverse opinioni esterne. Per esempio, cita Mark Sagoff dichiarando:

“A un certo punto, ieri ho dato un'occhiata l'articolo ed ho visto che si trattava ancora una volta del Club di Roma – il computer che urlava al lupo al lupo. [...] Non c'è niente qui [nel saggio] che non sia stato presentato negli anni 60 e 70 da Paul Ehrlich e da altre “Cassandre” come chiamano sé stessi. I loro punti di vista, ripetuti in questo articolo e studio [del Guardian], sono stati completamente screditati. […] Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo".

Direi che, prima di criticare un saggio, bisognerebbe esaminarlo un po' più a fondo che semplicemente “dargli uno sguardo”. Infatti, qui Sagoff giustifica la sua posizione semplicemente sulla base di vecchie leggende che dicono che i punti di vista del Club di Roma “sono stati completamente screditati”.

E' curioso notare che il termine “Club di Roma” è ancora così spesso associato con l'idea che lo studio de “I Limiti dello Sviluppo” sia stato completamente screditato. Non è così e c'è una ampia letteratura che mostra che i risultati dello studio sono risultati essere validi per descrivere la situazione attuale. Il “computer che gridava al lupo” è solo una delle tante leggende che sono diventate virali ed infettano ancora il cyberspazio. Infatti, la dichiarazione di Sagoff “Nessuno impara niente o si prende la briga di farlo” descrive meglio i critici dello studio che non i suoi sostenitori.

Un altro autore che Kloor cita a sostegno della sua tesi è Vaclav Smil. Kloor non riporta ciò che gli ha detto Smil, ma possiamo trovare l'opinione di Smil su questa materia in un saggio apparso sulla “Rivista della Popolazione e dello Sviluppo” nel 2005, dove ha criticato “I Limiti dello Sviluppo” principalmente sulla base di dichiarazioni di scetticismo e sul fatto che il modello è “troppo semplice” per descrivere il mondo reale. Per darvi un'idea del tono e della sostanza delle argomentazioni di Smil, considerate la seguente frase:

[Nel modello] il declino del terreno arabile continua a diminuire la produzione di cibo, mentre nel mondo reale c'è, globalmente, un surplus osceno di cibo, visto che epidemie di obesità colpiscono sempre più paesi.

Riuscite a vedere il problema qui? Smil scambia un parametro per il modello. “Il terreno arabile” è un parametro del modello. NON è il modello. E, naturalmente, il declino del terreno arabile come parametro ha l'effetto di diminuire la produzione di cibo: come potrebbe essere altrimenti? Ma il modello ha altri parametri relativi alla produzione di cibo: energia, fertilizzanti, tecnologia ed altro. Il risultato è che la produzione di cibo può continuare ad aumentare nonostante il declino del terreno arabile. Quindi, il modello descrive correttamente il comportamento del mondo reale (ahimè, fino ad ora; cosa succederà in futuro è tutto da vedere).

Questo è lo stesso errore che ha fatto William Nordhaus nel 1973 quando ha criticato un modello simile a quello usato per I Limiti dello Sviluppo, prendendo una singola equazione dal modello e mostrando che l'equazione – di per sé – non poteva riprodurre il comportamento del mondo reale. Ovvia: tagliate una zampa ad una rana e osservate che la zampa, da sola, non salta. Quindi concludete che le rane non saltano. Logica impeccabile (vedi “I Limiti dello Sviluppo Rivisitati” per i dettagli di questa storia).

C'è molto di più da dire sullo “studio finanziato dalla NASA” ed è del tutto possibile criticarlo per motivi validi. Sfortunatamente, tuttavia, i “dibattiti” su questo tema sembrano mostrarci più che altro il potere delle leggende di condizionare le menti umane. E vedremo sempre la stessa posizione: visto che non ci piave il risultato del modello, allora il modello non può essere vero. Non riusciamo a capire che i modelli sono soltanto strumenti, mai delle profezie.




(*)
The Limits to Growth Revisited
Looking back on the limits to growth
The World model controversy
Revisiting the limits to growth
...e molti altri

Clima di intimidazione: La gaffe di “Frontiers” su “Recursive Fury”

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

Nota: su queste mie dimissioni si sta scatenando una notevole polemica sui blog in lingua inglese. Beh, me lo aspettavo. Certo, però, è dura...... (UB)


Dopo gli eventi recenti nella saga del saggio intitolato “Recursive Fury” (Furia ricorrente) di  Lewandowsky et al., dichiaro il mio disappunto dimettendomi da Editore Capo di Specialità della rivista Frontiers 


Avrete probabilmente seguito la storia di “Recursive Fury”, il saggio di Stephan Lewandowsky ed altri che la rivista “Frontiers” aveva pubblicato nel 2013. Il saggio riportava i riultati di un'inchiesta che mostrava che il rifiuto della scienza del clima era spesso accompagnato da una mentalità simile in altre aree scientifiche. Quindi si è scoperto che gli “scettici del clima” rifiutano anche il concetto che l'AIDS sia causato del virus HIV e che fumare provochi il cancro. Un risultato niente affatto sorprendente per coloro fra noi che seguono il dibattito sul clima in dettaglio.

Come ci si poteva aspettare, dopo la pubblicazione è stata scatenata una tempesta di commenti negativi contro gli autori di “Recursive Fury” e contro la rivista. Ciò che non ci si aspettava, invece, è stata la decisione di ritirare il saggio, decisione presa dalla redazione di Frontiers.

Ho trovato il comportamento dell'editore già molto sgradevole in questa parte. Tuttavia, potevo ancora capirlo (anche se non essere d'accordo). Ha dichiarato che “le ricerche [di Frontier] non hanno identificato nessun problema con aspetti di tipo accademico o etico dello studio. Si è tuttavia venuto a determinare che il contesto legale non è sufficientemente chiaro, pertanto Frontiers desidera ritirare l'articolo pubblicato”. Gli autori stessi sembravano condividere questa opinione quando hanno detto: “Gli autori capiscono questa decisione, pur difendendo il loro articolo”.

Sfortunatamente, ora Frontiers ha pubblicato una nuova nota dove fa retromarcia dalla precedente dichiarazione e sembra indicare di aver trovato problemi sostanziali nel saggio. La nuova nota di Frontiers è discussa in dettaglio dallo stesso Lewandowsky in un post dal titolo: “rivedere una ritrattazione”.

Non è compito mio discutere qui i meriti e i demeriti di questo saggio, né i problemi legali che comporta (rilevo, tuttavia, che l'Università dell'Australia Occidentale non ha avuto problemi ad ospitarlo nel proprio sito). Tuttavia, la mia opinione è che, con l'ultima dichiarazione e la sua decisione di ritirare il saggio, Frontiers non abbia mostrato rispetto per gli autori né per i loro revisori designati ed editori. Ma il problema principale è che qui abbiamo un altro esempio del clima di intimidazione che si sta sviluppando intorno al problema del clima.

Sta diventando comune per gli scienziati ricevere attacchi personali (comprese minacce di morte) per aver dichiarato le loro posizioni sul problema del clima. Questa reazione violenta spesso assume la forma di campagne di mail dirette alle istituzioni degli scienziati presi di mira. Ci sono molti esempi di questo fenomeno: qui sarà sufficiente citare il caso più recente, quello del professor Lawrence Torcello, che è stato recentemente preso di mira da una campagna di odio violento, basata sulla falsa dichiarazione secondo la quale avrebbe proposto la galera per gli scettici. Per fortuna, l'istituzione di Torcello (l'Istituto Rochester per la Tecnologia) ha sostenuto la libertà di espressione. In altri casi analoghi, le università hanno sostenuto i diritti dei membri della propria facoltà. Hanno fatto esattamente ciò che non ha fatto Frontiers (ma che avrebbe dovuto fare) per il saggio di Lewandowsky et al.

Il clima di intimidazione che si sta sviluppando oggigiorno rischia di fare un grande danno alla scienza del clima e alla scienza in generale. Credo che la situazione rischi di deteriorarsi ulteriormente se noi tutti non prendiamo una posizione forte su questo tema. Quindi, intraprendo l'azione più forte che possa intraprendere, cioè, mi dimetto da Editore Capo di Specialità di Frontiers per protesta contro il comportamento della rivista nel caso “Recursive Fury”. Oggi ho spedito una lettera agli editori, dichiarando la mia intenzione di dimettermi.

Non sono contento di aver dovuto prendere questa decisione, perché ho lavorato duramente e con serietà alla rivista speciale di Frontiers dal titolo “Energy Systems and Policy”. Ma penso che fosse la cosa giusta da fare. Constato anche che questa gaffe da parte di “Frontiers” è anche un colpo al concetto di editoria “open access”, che era la caratteristica principale della sua serie di riviste. Ma credo ancora che l'editoria open access sia la strada per il futuro. Questo è solo un contrattempo temporaneo per una buona idea che sta facendo il suo cammino.