sabato 12 aprile 2014

Chimica delle radici ed altre storie.




Nota: si ricorda che le opinioni espresse in questo blog non sono da ascrivere alla SCI o alla redazione ma al solo autore del testo.


In un post recente avevo sottolineato l’importanza dei diversi meccanismi di retroazione nel controllo del clima; in particolare mi ero soffermato sul fatto che a diverse scale di tempo il loro ruolo può essere positivo o negativo, tendere cioè a destabilizzare o a stabilizzare la situazione esistente. Uno dei più importanti meccanismi di retroazione negativa sul lungo periodo è il cosiddetto “weathering dei silicati” ossia la dissoluzione, la erosione dei silicati ad opera dei vari meccanismi in azione in atmosfera e in biosfera (per esempio l’azione dell’acido carbonico ma anche degli acidi e delle sostanze con azione lisciviante e corrosiva  prodotti da organismi e microorganismi).
La degradazione dei silicati è un sistema complesso di reazioni che ha molteplici effetti fra i quali i più notevoli sono l’estrazione di alcuni ioni dalle rocce (il cosiddetto “meccanismo del caffè”) con la modifica della composizione delle acque superficiali, la formazione del terreno oppure la determinazione di colori dominanti del paesaggio tramite gli effetti delle reazioni che vi si verificano (vi siete mai chiesti per esempio perché i deserti abbiano una dominante rossa? Una risposta possibile è che abbiamo ad un certo punto subito un processo di lisciviazione della silice che lascia dietro di se maggiori quantità relative di ossidi di ferro, anche se credo che il meccanismo esatto possa essere più complesso).
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uby.colorado.edu/~smyth/G1010/16Weathering.pdf
Dal punto di vista che mi interessa qui sottolineare il risultato complessivo di questi processi, che sono ripeto estremamente complessi ed affascinanti[si veda qui e qui], potrebbe essere descritto come l’assorbimento della CO2 atmosferica, qualcosa come**:
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Una descrizione approfondita e per certi versi poetica di questa reazione e dei suoi effetti la potete trovare sul blog di un nostro collega di UniFi, Ugo Bardi, che penso sia conosciuto da molti di voi per i suoi libri sul petrolio e la ricerca minerale e per averci fatto conoscere il picco del petrolio e averci ricordato l’importanza di Limits to growth, (e non ultimo per aver fondato ASPO Italia); attualmente Ugo ha un blog molto bello che vi segnalo. Colgo anche l’occasione di ringraziarlo per quello che ho imparato da lui.
Ebbene in un lavoro recentissimo pubblicato su Geophysical Research Letters (Doughty, C. E., L. L. Taylor, C. A. J. Girardin, Y. Malhi, and D. J. Beerling (2014), Cenozoic global change possibly stabilized by montane forest root growth and soil organic layer depth, Geophys. Res. Lett., 41, doi:10.1002/ 2013GL058737.) che potete scaricare da http://www.yadvindermalhi.org/uploads/1/8/7/6/18767612/doughty_2014_montane_roots.pdf
Doughty e collaboratori hanno scoperto una cosa affascinante e che getta nuova luce sul ruolo delle foreste; avrete capito dai miei post che io sono affascinato dagli alberi come vi ho raccontato di recente (http://ilblogdellasci.wordpress.com/brevissime/grandi-alberi/), ma se mi seguirete fino alla fine ne sarete affascinati anche voi.

Dice Doughty:
Si crede che le radici degli alberi e I loro partners simbiotici fungini giochino un importante ruolo nella regolazione climatica a lungo termine, ma le retroazioni fra la temperatura globale e la erosione biotica non sono ancora state esplorate in dettaglio. Dati raccolti sul campo in una sezione di foresta che parte da 3000 m in Perù mostrano che la crescita delle radici più sottili diminuisce mentre lo spessore di frazione organica del suolo aumenta con la riduzione delle temperature che prevale a maggiore altezza. Noi facciamo l’ipotesi che questa osservazione possa suggerire una retroazione negativa: quando la temperatura globale aumenta lo strato più organico del suolo si contrae e un maggior numero di radici sottili aggrediscono lo strato minerale, accelerando così la erosione e riducendo la  CO2 atmosferica. Il nostro esame di questo fenomeno attraverso un modello di erosione biologica  mostra che questa retroazione negativa potrebbe aver contribuito a controllare il clima durante tutto il Cenozoico specie in occasione dei maggiori degassamenti vulcanici e degli eventi tettonici maggiori di emersione.

In pratica il meccanismo che viene illustrato dalla seguente immagine tratta dalla fig. 1  del lavoro di Doughty e collaboratori, potrebbe aver funzionato per tutto il Cenozoico, ossia per gli ultimi 65 milioni di anni, dopo la caduta del meteorite che distrusse il dominio dei dinosauri e aprì la strada a noi mammiferi, e ci avrebbe quindi accompagnato fin dalle nostre origini.
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In pratica le radici e le loro reazioni acide, tramite le quali esse aggrediscono la roccia e ne facilitano la trasformazione in suolo “organico” (ovviamente non in modo diretto ma facilitando attraverso la disgregazione della roccia un ambiente adatto alla esistenza di organismi e microorganismi) sarebbero parte di una sorta di gigantesco termostato planetario; pensate allora quale enorme danno abbiamo fatto al pianeta e alla biosfera tramite la indiscriminata distruzione della foresta attraverso secoli di sviluppo agricolo e industriale; abbiamo praticamente ridimensionato enormemente un meccanismo di controllo fondamentale senza sostituirlo con nient’altro.
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Se le cose stanno così la sostituzione del ciclo agricolo a quello della foresta ha certamente messo in crisi il termostato da almeno 8-10.000 anni e la cosa si è aggravata negli ultimi 250 anni; certo oggi ce ne siamo accorti, ma ancora non abbiamo trovato un utile sostituto; pensate voi che l’uso dei concimi sintetici con tutto il ciclo della loro produzione possa sostituire un meccanismo così finemente cesellato?
Il rapporto fra suolo organico ed inorganico disegnato da questo complesso meccanismo, il ruolo di mediazione delle ife fungine, la simbiosi vegetale che si determina, potrebbe mai confrontarsi con la produzione di concimi che ha come solo obiettivo la crescita indiscriminata e il profitto crescente e come conseguenza un enorme consumo di energia con conseguente inquinamento da gas serra e sottoprodotti di scarto? In pratica abbiamo distrutto un termostato planetario e l’abbiamo sostituito (dato il consumo energetico e la conseguente massa di gas serra prodotti) con una stufa planetaria anche un po’ sporca, con lo scopo di dare supporto alla crescita di una sola specie, la nostra? Voi che ne dite?

Nota: dato che il metabolismo basale dell’uomo è di circa 100W, si può stimare che in un anno l’umanità dissipi a questo scopo almeno 2×1019J; il consumo energetico primario totale è dell’ordine di 50×1019J; da qui risulterebbe circa il 4% del totale dedicato al cibo, anzi considerando che una parte notevole viene direttamente dalla fotosintesi, la percentuale dovrebbe essere perfino di meno. Ma si stima che in realtà, in un paese avanzato come l’Italia,  circa il 15-18% dell’energia primaria sia devoluto a questo scopo, a causa dell’impatto dei metodi di produzione e conservazione, quindi molto di più; riflettiamoci. (http://www.fosan.it/articolo/108_lca_alimentazione_stima_del_consumo_energetico_la_produzione_il_trasporto_e_la_preparaz)

Dati analoghi potete trovare in questo grafico che dà alcuni confronti fra energia solare ed energia fossile immagazzinati in prodotti agricoli:
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Per confronto (ed anche un po’ per provocazione lo confesso) si calcola che il 97% della biomassa totale dei vertebrati sia costituita da uomini e dagli animali che essi direttamente usano a qualunque scopo, alimentare o di compagnia. (Anthropology and Contemporary Human Problems, p. 24  John H. Bodley, 6 ed Altamira Press 2012)
Per approfondire:


** è da sottolinare per evitare incomprensioni specie con persone di estrazione geologica o geochimica che la formula CaSiO3 non indica qui necessariamente la wollanstonite ma un generico silicato, mentre la reazione indicata è la conseguenza NETTA di due processi distinti, uno di dissoluzione dei silicati con assorbimento di due molecole di CO2 ed uno di liberazione di UNA sola molecola di CO2 con la conseguenza che il processo corrisponde al riassorbimento netto di una molecola di CO2; la sequenza di reazioni, che fa parte del ciclo del carbonio sul lungo termine è indicata per esempio qui:
fra gli altri (mi scuso per tutti quelli che non conosco) segnalo i magnifici appunti di geochimica applicata del collega Marini di UniGe.
o le slides che potete trovare su: http://fenzi.dssg.unifi.it/dip/materiali/3101/

Il blog di Ugo Bardi mostra una specifica conferenza tenuta dal nostro collega, ma contiene molti altri articoli interessanti: http://ugobardi.blogspot.it/2012/07/la-grande-reazione-chimica-vita-e-morte.html