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lunedì 15 febbraio 2016

Il bello di essere uno scienziato: perché l'editoria “Open Access” non è una buona idea

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Di Ugo Bardi

"BERQ”, Biophysical Economics and Resource Quality, è una nuova rivista di Springer dedicata allo studio dei sitemi economici complessi e la loro relazione con la disponibilità di risorse naturali. Notate come la copertina alluda ai risultati dello studio del 1972 intitolato £I Limiti dello Sviluppo” che ha originato questo campo di studi. Ho grandi speranze che questa nuova rivista possa fornire una produzione di molti articoli scientifici di alta qualità. Per questa ragione ho accettato di assumere il ruolo di “editore capo” di BERQ, insieme al professor Charles Hall. Notate che questa è una rivista non necessariamente open access. In questo post spiego le ragioni di questa scelta. 


Una delle cose belle dell'essere uno scienziato è che puoi cambiare idea. Oh sì, puoi. In realtà devi! Hai nuovi dati? Allora cambi la tua interpretazione, è semplicissimo. Naturalmente, gli scienziati non sono sempre felici di ammettere di aver sbagliato, sono esseri umani, dopotutto. Ma, nel complesso, la scienza va avanti perché gli scienziati cambiano idea; come potrebbe essere altrimenti? Così, posso solo compatire i poveri politici che, quando si trovano di fronte a nuovi dati,  non hanno altra opzione se non quella di ignorarli o ridicolizzare coloro che li hanno prodotti (o in qualche caso, metterli in galera o farli fucilare).

Questo post parla del modo in cui ho cambiato idea riguardo all'editoria "open access" in campo scientifico. Probabilmente avete sentito parlare del tema, c'è un buon articolo di George Monbiot in cui accusa gli editori scientifici dicendo che “fanno sembrare Murdoch un socialista”. Monbiot non sbaglia: per prima cosa osserva che gli scienziati sono pagati dai governi (cioè dalla gente). Poi danno i risultati del loro lavoro gratuitamente ad editori commerciali. Infine, gli editori commerciali fanno pagare la gente per accedere agli articoli per cui hanno già pagato. Come affare, è paragonabile a quello di Esau che svende la sua eredità per una ciotola di lenticchie.

Già molto tempo fa avevo cominciato a ragionare come Monbiot e molti altri. L'idea era (ed è): perché gli scienziati dovrebbero pagare ditte commerciali per fare qualcosa che possono fare da soli? Perché gli scienziati non si pubblicano da soli i loro risultati? In questo modo, tutti saranno in grado di accedere ai risultati delle ricerca finanziata pubblicamente. Così, già negli anni 90, avevo allestito una rivista open access, “The Surface Science Forum”. E' stata una delle prima di quel tipo. Ancora nel 2012, ero a favore dell'editoria open access (come ho descritto in questo post).

Gradualmente, tuttavia, ho cambiato idea. Ciò che sembrava essere una buona idea all'inizio, non mi è sembrata così buona dopo averla provata. Conoscete la storia del tipo che è saltato tutto nudo in mezzo ai rovi? Diceva che gli sembrava una buona idea per raccogliere more, così l'ha messa in pratica. Subito dopo ha cambiato idea.

Così, ho provato a mettere in pratica l'idea di “editoria open access” ed ho lavorato come editore scientifico per due case editrici open access: MDPI e Frontiers. La mia esperienza con MDPI è stata ragionevolmente buona, mentre quella con Frontiers è stata orribile. In entrambi i casi, tuttavia, l'esperienza mi ha insegnato molto sull'editoria accademica. Ed ho cambiato idea sull'editoria open access.

In parte, ho cambiato idea a causa della brutta esperienza che ho avuto con Frontiers, ma solo in parte. Dove ho notato i difetti dell'editoria open access è stato con l'attuale dibattito sul cambiamento climatico. E' un dibattito che ovviamente dovrebbe essere basato sulla scienza. Certo, ma quale scienza? Be', la maggior parte di noi direbbe che la scienza è quello che viene pubblicato nelle riviste accademiche referenziate. Ed è qui il problema. L'editoria open access è uno dei fattori (non il solo) che ha grandemente aumentato il volume delle pubblicazioni scientifiche (o cosiddette scientifiche) di bassa qualità. E questa non è una cosa buona, perché ha reso più difficile per il pubblico ed i decisori politici capire cosa sia scienza e cosa no.

Questa cosa va spiegata bene: spieghi: nella mia esperienza, il rigore delle osservazioni della revisione fra pari non viene necessariamente ostacolato dal format dell'open access. Se non altro, gli editori open access seri (come MDPI) sono estremamente rigorosi nel processo. Ma ciò è controbilanciato dalla presenza di un gran numero di editori open access non seri. Molti accettano semplicemente di tutto, se gli autori pagano. Altri si fanno semplicemente beffe del processo di revisione (una volta ho ricevuto una richiesta di revisionare un articolo e nel modello di raccomandazione non c'era l'opzione “rifiutato”). Vengono chiamati “editori predatori” e se ne può trovare un elenco esteso (ed impressionante) nel sito di Jeffrey Beal.

Si potrebbe dire che una cattiva implementazione non necessariamente significa che l'idea è sbagliata. Vero, ma il problema è in profondità nel modello dell'open access; nel fatto che gli editori più pubblicano più fanno soldi. E la tentazione di pubblicare più articoli possibile è forte. Ciò può essere ottenuto anche senza rilassare il processo di revisione. E' sufficiente pubblicare un gran numero di “titoli”, riviste teoricamente diverse, ma tutte gestite dallo stesso staff. La moltiplicazione dei titoli costa quasi niente agli editori ma apre sempre più possibilità per gli autori che, alla fine, provando diverse riviste imbroccherà il colpo grosso di una combinazione favorevole di revisori anche per un articolo scadente. Così, la qualità media delle pubblicazioni scientifiche ne può solo soffrire.

Alla fine, gli editori open access sono semplicemente parte di un problema più generale che ha condizionato la scienza dallo sviluppo di internet. Una volta, l'editoria scientifica era costosa e spesso richiedeva uno staff specializzato per aiutare nella preparazione dei manoscritti. Ma ora, con i software a buon mercato ed un sito web, è facile per chiunque produrre una caricatura di un articolo scientifico, pieno di dati e grafici e che non significa niente. Per uno scienziato, di solito è facile dire cos'è buona scienza a cosa non lo è (non sempre, comunque...). Ma per la maggior parte delle persone non è facile. Ecco di conseguenza la grande confusione nel dibattito sulla scienza del clima, dove la lobby anti-scienza è stata in grado di presentare la pseudoscienza come scienza vera e confondere praticamente tutti.

Dopo aver rimuginato l'idea per un po', penso di capire cosa ci serve. Ci serve scienza di alta qualità. E questa scienza di alta qualità deve essere riconoscibile da tutti. Sarebbe bello se potessimo avere scienza di alta qualità all'interno dello schema open access, ma non possiamo dimenticare il principio di Sturgeon (il 99% di tutto è immondizia). Dovremmo quindi premiare gli editori non in termini di numero di articoli che pubblicano ma in termini di qualità degli articoli che pubblicano. E, sfortunatamente, l'open access non va nella giusta direzione.

Tutto ciò non significa che l'open access è sempre sbagliato. Al contrario, ha buone giustificazioni e se, diciamo, i risultati della ricerca medica possono aiutare i medici a salvare le persone, allora in tutti i modi dovrebbero essere accessibili ai medici e a chiunque possa trarne beneficio. Ma questo non è il caso di gran parte della ricerca accademica. E non voglio nemmeno dire che tornare al modo tradizionale di pubblicare (pagare per accedervi) si il modo perfetto per muoversi. Niente affatto, ci sono molti problemi nel sistema tradizionale; uno sono i prezzi eccessivi chiesti da molti editori. Tuttavia, a parte alcune distorsioni evidenti, l'idea che si debba pagare qualcosa per i beni che si comprano è un concetto che funziona in tutti i mercati e che incoraggia una qualità migliore. E se, come scienziati, pensate che vale la pena che il vostro lavoro venga conosciuto dal grande pubblico, avete l'opzione di diffondere i vostri risultati in un blog o in un altro formato pubblicamente accessibile. In realtà; non dovrebbe essere solo un'opzione, dovrebbe essere la regola. Se pensate che niente di ciò che pubblicate possa interessare se non qualcuno dei vostri colleghi, allora non potete lamentarvi se dicono che siete dei mangiapane a ufo assistiti dal governo.

Come nota finale, le caratteristiche dell'editoria accademica stanno cambiando in continuazione. Ci sono diversi formati di open access che potrebbero funzionare meglio di quelli attuali. Poi, gli archivi di articoli accademici come “ArXiv” e “Academia.edu” stanno rivoluzionando il campo. Non sono peer-review e ciò offre una possibilità di diffondere risultati molto innovativi ed ancora incerti senza interferire con ciò che va nelle riviste peer-review. La scienza sta cambiando e il mondo sta cambiando, forse troppo velocemente, ma dobbiamo cercare di affrontare il cambiamento meglio che possiamo.

In vista di queste considerazioni, recentemente ho accettato (*) di fare il "chief editor", insieme al professor Charles Hall, di una nuova rivista di Springer, “BERQ” (Biophysical Economics and Resource Quality). La rivista è dedicata allo studio dei sistemi economici complessi e la loro relazione con le risorse naturali. Alla fine, è un discendente del primo studio intitolato “I limiti della crescita” che ha dato inizio a tutto un campo di ricerca che molti di noi stanno ancora esplorando. Ho molte speranze in questa nuova rivista, che dovrebbe fornire una produzione di molti articoli scientifici di alta qualità dedicati a questo tipo di studi.

Se siete interessati a pubblicare su BERQ, troverete le informazioni necessarie sul sito web della rivista. BERQ opera secondo il formato tradizionale dell'editoria scientifica, ma può diventare open access se gli autori vogliono così. E' un passo lungo un percorso. La cosa importante è che possa dare un prodotto di buona qualità per le persone che fanno buona scienza.



(*) Noto: per il lavoro di chief editor di BERQ ho accettato un onorario 1500 dollari all'anno che credo sia un compenso ragionevole per il lavoro aggiuntivo che faccio per Springer. 



martedì 22 aprile 2014

“Furia recursiva”: le ragioni del passo falso di "Frontiers"

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi

Come probabilmente sapete, l'editore scientifico “Frontiers” ha recentemente deciso di ritirare un saggio già approvato e pubblicato (“Recursive Fury”, Furia recursiva) sul tema degli atteggiamenti cospirazionisti nel dibattito sul cambiamento climatico. Questo gesto ha provocato le dimissioni di alcuni editori di Frontiers, compreso me stesso, come ho descritto in un post precedente. Qui torno sul tema più in dettaglio.


Quando sono stato contattato dallo staff di “Frontiers” e mi è stato chiesto di diventare “editore capo” con loro, ho pensato che fosse un'eccellente idea. Ero attratto, principalmente, dal fatto che la rivista fosse completamente “open access”, un'idea che ho sempre appoggiato (sono stato probabilmente uno dei primi a sperimentare con l'editoria open access in chimica). Così ho accettato l'offerta con considerevole entusiasmo ed ho cominciato a lavorare su una rivista (in realtà una sezione di una rivista) dal nome “Frontiers in Energy Systems and Policy".

Una volta diventato editore, ho scoperto la struttura peculiare del sistema di Frontiers. E' un enorme schema piramidale in cui ogni rivista ha delle sotto-riviste (chiamate “specialties” nel gergo di Frontiers). La piramide si estende alle persone coinvolte: comincia con i “capi editori”, che supervisionano i “capi editori di specialità”, che supervisionano gli “editori associati”, che supervisionano i “revisori”. Visto che ogni passaggio coinvolge una crescita di un fattore 10-20 nel numero di persone coinvolte, potete capire che ogni rivista della serie di Frontiers può coinvolgere diverse migliaia di scienziati. L'intero sistema potrebbe contare, probabilmente, decine di migliaia di scienziati.

Perché questa struttura barocca? La spiegazione ufficiale è che questo rende il processo della revisione più rapido. In questo, la struttura piramidale di Frontiers sembra apparentata in qualche modo a un sistema militare di “comando e controllo” che è, di fatto, progettato per accelerare il processo di comunicazione/azione. Naturalmente, se sei arruolato come editore su Frontiers, non ti vengono dati ordini dai livelli superiori; ciononostante vieni continuamente tormentato da comunicazioni e reminder su quello che devi fare e devi passare queste comunicazioni ai livelli inferiori al tuo. Tutti questi messaggi tendono a stimolarti a completare i tuoi compiti.

Ma la mia impressione è che la struttura piramidale di Frontiers non è stata creata solo per la velocità, aveva un obbiettivo di marketing. Di sicuro, coinvolgendo così tanti scienziati nel processo crea un'atmosfera di partecipazione che li incoraggia a sottoporre i loro saggi alla rivista ed è qui che gli editori fanno soldi, naturalmente. Non posso provare che la struttura di Frontiers si stata concepita in questi termini dall'inizio ma, apparentemente, non sono alieni all'uso di tattiche di promozione aggressive per i loro affari.

Come potete immaginare, un sistema così complesso porta molti problemi. Primo, la pletora di sotto-riviste rende l'intero sistema di Frontiers simile all' “Emporio Celeste della Conoscenza Benevola” descritto da Borges – in breve, un casino. Poi, in caso di sistemi molto grandi, il problema del controllo è praticamente irrisolvibile: vedi il caso delle “Guerre Stellari” di Reagan come esempio. Forse Frontiers non è così complesso come la vecchia iniziativa di difesa strategica americana (SDI), ma i problemi sono gli stessi. Il loro sito internet dovrebbe gestire l'attività di migliaia (o forse decine di migliaia) di scienziati ma, nella mia esperienza, non ha mai funzionato decentemente bene. E gestire tutto il sistema deve richiedere un considerevole staff permanente. Di conseguenza, pubblicare con Frontiers non è a buon mercato.

Così, dopo quasi un anno di lavoro con Frontiers, sono diventato sempre più perplesso. Ho avuto la sensazione di essere solo un ingranaggio in una gigantesca macchina che non funzionava molto bene e che aveva il solo scopo di fare soldi per i livelli alti della piramide. Per favore, non mi fraintendete. Non sto dicendo che ci sia qualcosa di sbagliato nell'idea di fare soldi nel business dell'editoria: assolutamente no. E' chiaro anche che se gli editori sono un'impresa commerciale, allora loro un suo diritto decidere cosa pubblicare e cosa non pubblicare. Il modo in cui Frontiers si è comportato con “Recursive Fury” mostra questo atteggiamento in modo cristallino. Il loro management ha ascoltato solo i loro avvocati ed ha preso una decisione che ha comportato il rischio finanziario minore per loro. Non è stata solo una gaffe occasionale, è stata la conseguenza della struttura decisionale dell'editore.

Una volta chiarito questo punto, mi è sembrato anche chiaro quale fosse il problema: dato per scontato che un editore commerciale può pubblicare quello che vuole, chi difende la scienza (e in particolare la scienza del clima) dai gruppi di interesse, dalle lobby dai gruppi assortiti contro la scienza e dai vari pazzoidi individuali? Non si può chiederlo a un'impresa commerciale che è (correttamente) concentrata sul profitto. Ma si può chiedere perché così tanti scienziati dovrebbero regalare il proprio tempo e il loro lavoro ad un'impresa commerciale che non sembra essere realmente interessata a difendere la scienza. A questo punto, la mia scelta era ovvia. Mi sono dimesso come editore di Frontiers. Altri hanno fatto lo stesso per ragioni analoghe.

Spero che queste righe aiutino a chiarire la mia posizione in questa storia. Come ho detto nel mio commento precedente, le mie dimissioni non avevano niente a che fare con le virtù (o i difetti) del saggio intitolato “Recursive Fury”. Non sono qualificato per giudicare in quel campo e, comunque, non è questo il punto. Il punto che ho voluto sostenere – e spero che si sia compreso – è che dobbiamo reagire al clima di intimidazione che sta fagocitando la scienza. Questo clima di intimidazione assume molte forme e il caso di “Recursive Fury” mostra che ora ha raggiunto anche l'editoria scientifica. Il problema, qui, non è di uno specifico editore. E' che siamo bloccati da un modello vecchio di un secolo di comunicazione: costoso, inefficace e, peggio ancora, facilmente sovvertito dai gruppi di interesse particolare (su questo punto, vedete per esempio questo post di Dana Nuccitelli).

Quindi, cosa possiamo fare? All'inizio l'open access mi sembrava una buona idea per migliorare il processo editoriale, ma è diventato sempre più chiaro che potrebbe causare più danni che guadagni. In aggiunta all'aver generato centinaia di “riviste predatorie” di bassa qualità, gli editori tradizionali se ne sono appropriati e l'hanno trasformato in un modo per estrarre ancora altro denaro dai bilanci della ricerca scientifica.

Credo ancora nell'editoria open access, ma credo che ci sia molto lavoro da fare se vogliamo che diventi la rivoluzione della comunicazione scientifica che speravamo diventasse. Per questo ci vorrà tempo e, al momento, siamo bloccati in un sistema basato sull'editoria commerciale che non è necessariamente desiderosa di difendere la scienza in questo momento difficile. Ma possiamo almeno combattere astenendoci dal pubblicare con riviste che non difendono la scienza e possiamo anche andarcene come editori, come ho fatto con Frontiers. Questo dovrebbe dar loro almeno una spinta nella giusta direzione.




mercoledì 9 aprile 2014

Clima di intimidazione: La gaffe di “Frontiers” su “Recursive Fury”

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

Nota: su queste mie dimissioni si sta scatenando una notevole polemica sui blog in lingua inglese. Beh, me lo aspettavo. Certo, però, è dura...... (UB)


Dopo gli eventi recenti nella saga del saggio intitolato “Recursive Fury” (Furia ricorrente) di  Lewandowsky et al., dichiaro il mio disappunto dimettendomi da Editore Capo di Specialità della rivista Frontiers 


Avrete probabilmente seguito la storia di “Recursive Fury”, il saggio di Stephan Lewandowsky ed altri che la rivista “Frontiers” aveva pubblicato nel 2013. Il saggio riportava i riultati di un'inchiesta che mostrava che il rifiuto della scienza del clima era spesso accompagnato da una mentalità simile in altre aree scientifiche. Quindi si è scoperto che gli “scettici del clima” rifiutano anche il concetto che l'AIDS sia causato del virus HIV e che fumare provochi il cancro. Un risultato niente affatto sorprendente per coloro fra noi che seguono il dibattito sul clima in dettaglio.

Come ci si poteva aspettare, dopo la pubblicazione è stata scatenata una tempesta di commenti negativi contro gli autori di “Recursive Fury” e contro la rivista. Ciò che non ci si aspettava, invece, è stata la decisione di ritirare il saggio, decisione presa dalla redazione di Frontiers.

Ho trovato il comportamento dell'editore già molto sgradevole in questa parte. Tuttavia, potevo ancora capirlo (anche se non essere d'accordo). Ha dichiarato che “le ricerche [di Frontier] non hanno identificato nessun problema con aspetti di tipo accademico o etico dello studio. Si è tuttavia venuto a determinare che il contesto legale non è sufficientemente chiaro, pertanto Frontiers desidera ritirare l'articolo pubblicato”. Gli autori stessi sembravano condividere questa opinione quando hanno detto: “Gli autori capiscono questa decisione, pur difendendo il loro articolo”.

Sfortunatamente, ora Frontiers ha pubblicato una nuova nota dove fa retromarcia dalla precedente dichiarazione e sembra indicare di aver trovato problemi sostanziali nel saggio. La nuova nota di Frontiers è discussa in dettaglio dallo stesso Lewandowsky in un post dal titolo: “rivedere una ritrattazione”.

Non è compito mio discutere qui i meriti e i demeriti di questo saggio, né i problemi legali che comporta (rilevo, tuttavia, che l'Università dell'Australia Occidentale non ha avuto problemi ad ospitarlo nel proprio sito). Tuttavia, la mia opinione è che, con l'ultima dichiarazione e la sua decisione di ritirare il saggio, Frontiers non abbia mostrato rispetto per gli autori né per i loro revisori designati ed editori. Ma il problema principale è che qui abbiamo un altro esempio del clima di intimidazione che si sta sviluppando intorno al problema del clima.

Sta diventando comune per gli scienziati ricevere attacchi personali (comprese minacce di morte) per aver dichiarato le loro posizioni sul problema del clima. Questa reazione violenta spesso assume la forma di campagne di mail dirette alle istituzioni degli scienziati presi di mira. Ci sono molti esempi di questo fenomeno: qui sarà sufficiente citare il caso più recente, quello del professor Lawrence Torcello, che è stato recentemente preso di mira da una campagna di odio violento, basata sulla falsa dichiarazione secondo la quale avrebbe proposto la galera per gli scettici. Per fortuna, l'istituzione di Torcello (l'Istituto Rochester per la Tecnologia) ha sostenuto la libertà di espressione. In altri casi analoghi, le università hanno sostenuto i diritti dei membri della propria facoltà. Hanno fatto esattamente ciò che non ha fatto Frontiers (ma che avrebbe dovuto fare) per il saggio di Lewandowsky et al.

Il clima di intimidazione che si sta sviluppando oggigiorno rischia di fare un grande danno alla scienza del clima e alla scienza in generale. Credo che la situazione rischi di deteriorarsi ulteriormente se noi tutti non prendiamo una posizione forte su questo tema. Quindi, intraprendo l'azione più forte che possa intraprendere, cioè, mi dimetto da Editore Capo di Specialità di Frontiers per protesta contro il comportamento della rivista nel caso “Recursive Fury”. Oggi ho spedito una lettera agli editori, dichiarando la mia intenzione di dimettermi.

Non sono contento di aver dovuto prendere questa decisione, perché ho lavorato duramente e con serietà alla rivista speciale di Frontiers dal titolo “Energy Systems and Policy”. Ma penso che fosse la cosa giusta da fare. Constato anche che questa gaffe da parte di “Frontiers” è anche un colpo al concetto di editoria “open access”, che era la caratteristica principale della sua serie di riviste. Ma credo ancora che l'editoria open access sia la strada per il futuro. Questo è solo un contrattempo temporaneo per una buona idea che sta facendo il suo cammino.