giovedì 26 giugno 2014

Turiel: aggiornamenti sulla situazione petrolifera

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR
























Di Antonio Turiel

Cari lettori,

nelle ultime due settimane sono venute fuori diverse notizie di grande impatto nel mondo dell'energia, tutte meriterebbero di avere una posizione di rilievo sulla prima pagina dei quotidiani e alcuni minuti nei notiziari televisivi, cosa che naturalmente o non è successa o o è stata mascherata da qualcos'altro. Tutte queste notizie comportano una crescente angoscia e preoccupazione per il futuro, non tanto dell'energia quanto dell'economia mondiale, e anticipano che il declino energetico può entrare in una nuova fase più rapida, in una caduta più precipitosa. Facciamo una revisione di questi fatti:

La Panoramica sull'Investimento Energetico Mondiale della IEA: Come 11 anni fa, l'Agenzia ha pubblicato un rapporto sulle necessità di finanziamento e sulle opportunità per gli investitori nel settore dell'energia globale. Il rapporto ha causato grande agitazione nella comunità delle persone consapevoli della crisi energetica per due motivi: perché indica che servirebbero 48 trilioni di dollari di investimento in energia da qui al 2035 e perché dice che il sistema europeo dei prezzi per l'elettricità garantiscono il fatto che la rete elettrica europea non è sostenibile. Rispetto alla prima delle minacce, bisogna contestualizzarla: 48 trilioni di dollari da spendere in 22 anni comportano una spesa media di 2,18 trilioni all'anno (cominciando da 1,5 trilioni quest'anno per finire con 2,5 trilioni nel 2035). Intendo dire che tutte queste cifre vengono fornite in dollari costanti. In confronto al PIL attuale (2012) del pianeta Terra (circa 71,8 trilioni di dollari) questa spesa media annuale rappresenta un 3% del PIL. Significativo ma non impressionante. Anche i 2,5 trilioni del 2035 rappresenterebbero solo il 3,5% del PIL di oggi. Il problema, come osserva Gail Tverberg, è che la IEA sta dando per scontata una crescita dell'economia mondiale del 3,6% all'anno, cosa che vedendo l'attuale rallentamento economico sembra sempre più difficile e, ciò che è peggio, tenendo conto dell'ormai indissimulabile tramonto del petrolio che comporta che questa crisi non finirà mai, in questo periodo tanto dilatato di tempo il PIL del pianeta comincerà a contrarsi. Il che è grave perché, a parte che le previsioni delle necessità di investimento della IEA sono sicuramente ottimistiche, in una situazione di PIL in declino il peso del costo energetico sarà sempre maggiore. Ricordiamo che, come indica James Hamilton, quando il costo finale dell'energia supera il 10% del PIL, un'economia entra in recessione. E i 48 trilioni che indica la IEA non sono il costo energetico, ma solo l'investimento totale necessario (secondo loro) perché continui a fluire (e questo assumendo che l'OPEC raccoglierà il gioco della avventura americana fallita del fracking, che il rapporto stesso mostra che ha le ali molto piccole). Per questo è facile supporre che il prezzo dell'energia sia una percentuale maggiore del PIL globale di quel 3% di costi di produzione e in una economia che non cresce sarà molto facile superare questa soglia del dolore del 10% del PIL, a partire dalla quale l'economia entrerà in una coclea irrecuperabile, visto che la recessione implicherà meno investimento in energia ed un aumento del prezzo della stessa che affonderà ancora di più l'economia in una spirale mortale e, per la prima volta, globale. Rispetto al secondo rischio che indica la IEA, non c'è molto da dire: il settore elettrico europeo (ricordiamo, tuttavia, che l'elettricità rappresenta una percentuale minoritaria e solo un 10% su scala globale) è in crisi e le compagnie elettriche non hanno troppo interesse ad investire nel loro mantenimento ed espansione. Sembra pertanto che i blackout saranno inevitabili nei prossimi decenni. Per un'analisi più approfondita consiglio l'eccellente articolo di Gail Tverberg su Our Finite Worldanche questo di Richard Heinberg.

Il documento sulla Strategia Europea di Sicurezza Energetica: Due settimane fa la Commissione Europea ha pubblicato un documento di strategia energetica il cui obbiettivo è quello di preparare l'Unione ad una possibile interruzione improvvisa della fornitura di gas naturale all'Europa. Anche se non viene detto apertamente, dietro a questa impostazione strategica c'è lo scontro fra Occidente e Russia per il caso Ucraina. La Commissione considera verosimile che ci possano essere problemi questo stesso inverno ed ha disposto che si facciano dele prove di stress (stress test) al più presto per verificare la capacità del sistema europeo di resistere a questa interruzione. Si parla anche molto di gas naturale, non si parla poco di petrolio, e in linea di principio le prove di stress sono per tutto il sistema energetico, cioè che si contempla anche un'interruzione della fornitura di petrolio: Anche se viene molto enfatizzato quanto l'Europa dipenda dal petrolio russo, viene data poca importanza a questa possibilità, chiarendo che finora la Russia è dipesa molto dai prodotti raffinati che le inviamo da qui – ma, è chiaro, oggigiorno i movimenti dei paesi sono sempre più imprevedibili. Per combattere questi rischi e nel breve periodo che rimane – mesi, da qui al prossimo inverno – i mezzi sono di favorire le interconnessioni, appellarsi alla solidarietà fra stati membri ed appoggiare la produzione energetica autoctona mediante rinnovabili (ignorando tutti i limiti di queste ultime e che di fatto non stanno funzionando troppo bene a livello europeo, non tanto nel caso molto particolare della Spagna, ma in Germania).

La produzione di petrolio greggio e di condensati vegetali, a parte il tight oil da fracking, sta già diminuendo: Matthieu Auzanneau si fa eco di questo fatto nell'ultimo articolo del suo blog, da dove ho preso questo grafico:


Come fa notare Matthieu nel grafico sopra, la diminuzione non si giustifica né togliendo i paesi dove si stanno osservando problemi seri (ora peleremo di quei paesi), per cui la conclusione è che davvero l'OPEC non ce la fa già più (cosa che viene mascherata dicendo che “il mondo è ben rifornito” nonostante l'abbondanza di prove del contrario). In particolare, l'Arabia Saudita ha messo in piena produzione il giacimento di Manifa, il cui petrolio fortemente contaminato da vanadio e molto solforoso è molto difficile da raffinare e colloca questo cattivo prodotto in miscele di prezzo più conveniente. Era la sua ultima pallottola, non le resta altro. Mal ipotizzato, il rapporto della IEA che abbiamo commentato all'inizio faceva poggiare sulle spalle finora grandi dell'OPEC la responsabilità di sostenere (a livello petrolifero) il mondo.

L'interruzione delle esportazioni del petrolio libico: Giorni fa è trapelata la notizia secondo la quale la Libia smetterebbe di esportare gli esigui 200.000 barili di petrolio al giorno che era ancora in grado di produrre per soddisfare le proprie necessità nazionali. La cosa certa è che dopo la guerra lampo di quasi 3 anni fa il paese non si è stabilizzato ma è andato progressivamente collassando, trasformandosi in un regno di Taifa, come evidenzia il seguente grafico di produzione petrolifera (quasi l'unica esportazione del paese), preso a sua volta dall'articolo di Matthieu Auzanneau:


Prima della guerra, il paese era in grado di produrre più di 1,6 milioni di barili di petrolio al giorno (Mb/g), ora praticamente niente. Le potenze occidentali non hanno la capacità di imporre la propria volontà su un tavolo di gioco sempre più grande e complesso e i paesi, anziché essere controllati, collassano. E in una situazione in cui la produzione di petrolio si trova alla sua capacità massima e sta diminuendo, gli 1,6 Mb/g della Libia non sono per nulla disprezzabili. O non lo erano.

La guerra civile in Iraq: Il paradigma del collasso incontrollato sta venendo dal paese che si trovava da più tempo sotto il nuovo ordine mondiale petrolifero: l'Iraq. L'eterno Eldorado del petrolio la cui produzione doveva passare dai 3 Mb/g attuali a 6 Mb/g in qualche anno e addirittura giungere a 12 Mb/g in futuro, risulta che stia a sua volta collassando. La guerra civile non è mai finita del tutto e col ritiro delle truppe degli Stati Uniti si è andata aggravando. Il conflitto civile nella vicina Siria ha favorito il fatto che un movimento jihadista che si muove fra i due paesi abbia preso forza, fino a conquistare la città di Mosul, città chiave per il controllo del petrolio del Kurdistan per la sua raffineria e per il passaggio dell'oleodotto Mosul-Haifa (situato piuttosto più a sud). Se il gruppo armato continua ad avanzare potrà prendere il controllo di una delle zone più produttive dell'Iraq ed il sogno di un'abbondanza petrolifera nel paese finirebbe per sempre. Come dimostra il caso della Libia e la storia dello stesso Iraq, ci vogliono decenni per cancellare le impronte della guerra in un'industria tanto delicata come quella petrolifera.

L'instabilità generale di alcuni produttori: La produzione continua a diminuire in Angola e in Venezuela (in quest'ultima, spinta dalle proteste e dagli scioperi); il disastro ecologico del Delta del Niger ha molto a che fare con la sollevazione dei gruppi come Boko Haram e fa scappare alcuni investitori dal paese, mettendo ancora di più a rischio la produzione. Lo Yemen è sul punto di collassare, Egitto e Siria lo hanno già fatto... l'elenco potrebbe diventare molto più lunga, ma credo che vi siate già fatti un'idea.

Il riconoscimento sempre più forte del fatto che gli sfruttamenti di gas di scisto e petrolio di scisto con la tecnica del fracking sono completamente rovinosi economicamente: Poco più di un anno fa qui abbiamo affrontato il tema del rendimento scarso (o negativo) del fracking e sette mesi fa circa, nel momento in cui cominciavano a manifestarsi i sintomi del crollo di questa bolla finanziaria. Bene: sembra che cominci ad essere una verità detta ad alta voce. Ora è la stessa Bloomberg che ha fatto un'analisi approfondita delle perdite delle imprese del settore, giungendo alla conclusione che molte di esse spariranno. Non ci sarà, pertanto, una soluzione del problema petrolifero da questa parte, anche se fosse provvisoria (fino al 2020, come ha riconosciuto la stessa IEA). Il modello di importazione di energia ed esportazione di miseria, propiziato dalla condizione di moneta di riserva del dollaro, non si sostiene più e il fatto è che le compagnie petrolifere non possono continuare ad investire in affari di rendimento dubbio si sono lanciati in un disinvestimento aggressivo con conseguenze nefaste per il nostro futuro immediato. Questo provocherà non l'aumento della produzione di petrolio in un futuro immediato, ma che il il tampone che ci garantiva attualmente il fracking svanisca nel giro di qualche mese. Sommato a tutto quanto abbiamo detto sopra, questo mette in una prospettiva nuova e più inquietante il rapporto della IEA e fa comprendere che il suo linguaggio moderato nasconde una realtà sempre più inquietante.

Dopo tale rassegna di notizie nefaste, con cattivi presagi per il nostro futuro, cose vediamo? Anziché suonare i logici segnali d'allarme, la sola cosa di cui si sente parlare da queste parti e da molte altre sono i clacson dei tifosi di calcio, che si godono come mai prima uno degli ultimi mondiali di questo sport. Essendoci il calcio, a chi interessa vedere che il mondo so sbriciola? E tuttavia, una parte della popolazione molto tifosa degli ospiti del campionato, il Brasile, scende in strada a dire che no, non va bene...


Non ci serve la coppa del mondo. Ci servono i soldi per gli ospedali e per l'educazione

Forse sono loro l'ultima speranza che non tutto è perduto.

Saluti.
AMT

mercoledì 25 giugno 2014

Come il governo Renzi vuol distruggere l'energia rinnovabile in Italia


Fotovoltaico: la vera speculazione arriva adesso, grazie al governo

Oltre all'effetto nefasto sull'affidabilità economico finanziaria, lo spalma-incentivi ha altre conseguenze negative. Con lo spettro del default che si aggira nel settore del fotovoltaico italiano, questo governo che ha accusato le fonti rinnovabili di speculazione ora favorirà quella vera, di rapina, dei "vulture funds". 


«Don't come knocking on my door». Non bussate alla mia porta. Si chiude così l'articolo pubblicato sul Wall Street Journal a firma di Bonte-Friedheim il CEO di NextEnergy Capital Group che commenta il provvedimento spalma-incentivi sul fotovoltaico varato dal Governo. Ma piuttosto che investitori esteri, saranno ben altri i soggetti attratti, come mosche al miele, in Italia dal default di parecchi impianti fotovoltaici che seguiranno i provvedimenti degli ultimi giorni e che potranno acquistarli a prezzi di saldo, mentre continueranno a ricevere incentivi, anche se ridotti o spalmati.

Si chiamano "Vulture funds" e sono i fondi "avvoltoio" specializzati nell'accaparrarsi, a prezzi da saldi, ciò che rimane della crisi una volta raschiato il fondo del barile, per poi magari rivendere, dopo poco tempo a prezzi migliori, o magari, come nel nostro caso a godersi gli incentivi ridotti o spalmati perché di una cosa siamo certi: gli 11 GW, su 17,7 (altro che una piccola parte che coinvolge 8.600 soggetti come sostenuto dal ministro Guidi) interessati dal provvedimento continueranno a produrre elettricità anche quando passeranno in mano alla speculazione, quella vera, a causa dei default indotti dallo spalma-incentivi che saranno più probabili di quanto non si pensi.

"I continui cambiamenti nel settore stanno spaventando gli investitori e saranno parecchi quelli che si tireranno indietro.- commenta GB Zorzoli, presidente del Coordinamento Free - E ci sarà anche lo spettro del rientro immediato richiesto dalle parte delle banche per il cambiamento delle posizioni". E le banche a loro volta dovranno rivendere, tentando di realizzare; ed ecco che con ogni probabilità saranno i raiders dei 'vulture founds' ad entrare in azione come sta succedendo in Spagna per le rinnovabili e in tutta l'Europa colpita dalla crisi, per quanto riguarda il mercato immobiliare, dove acquisiscono immobili al 20% del loro valore di dieci anni fa.

Ma è sul serio reale il rischio dei default a fronte di incentivi, come vuole la vulgata, 'ricchi'? Sì, perché una consistente parte degli impianti fotovoltaici della 'migliore generazione' sono già passati di mano, anche per via dell'incertezza italiana, nel cosiddetto mercato secondario, perdendo di valore, mentre sono più bassi i margini sulle ultime edizioni del Conto Energia. Per questa ragione se iniziamo a ragionare in termini squisitamente industriali, e non ideologici, ci si accorge che potrebbero essere non pochi i business plan a rischio.

"Con la struttura che si è impostata attraverso lo spalma-incentivi è abbastanza matematico il fatto che molti non potranno coprire le rate. - ci spiega Piero Pacchione, di Green Utility - E oltre a ciò c'è da dire che le banche non sono strutturate per gestire gli impianti e potrebbero rivenderli anche con ribassi del 50% al netto degli ammortamenti". Inoltre, c'è anche il fatto che: "far iniziare il periodo di decurtazione dell'8% al primo luglio 2014, in estate, periodo nel quale si concentra il 60% del fatturato annuo del fotovoltaico, significa voler provocare dei seri problemi fin da settembre". Secondo Pacchione il problema non riguarda investitori esteri oppure quelli italiani, ma gli investitori e basta.

E a una nostra domanda se ci sia stata volontà politica o incapacità, Pacchione risponde secco: "con lo spalma-incentivi forse c'è stata incapacità, ma sulla questione dei SEU (Sistemi efficienza d'utenza, ndr) la volontà politica di bloccarli è scientifica (si veda quanto scritto su questa pagine, ndr)». Il 5-10% di oneri di sistema sull'energia autconsumata, infatti, riduce la forbice di convenienza comune tra produttore e consumatore, ma soprattutto il fatto che siano previsti aumenti futuri della quota, peraltro solo a cairco dei nuovi impianti, aumenta l'incertezza, rendendo difficili investimenti in cui la stabilità del prezzo dell'energia elettrica è fondamentale.

"I contratti di project financing prevedono che il cambio tariffa possa essere un elemento per il default del progetto. - taglia corto Paolo Lugiato, consigliere di assoRinnovabili, responsabile per il settore fotovoltaico dell'associazione - Prima scatta il distribution lock, ossia il blocco dei dividendi per garantire il flusso di cassa verso gli istituti bancari, poi c'è il vero e proprio default del progetto che avviene quando il flusso di cassa è pari alla rata del mutuo". In pratica non è necessario "andare sotto" ma per gli istituti di credito il rischio diventa troppo grande anche quando si va alla pari.

Le ragioni sono chiare. Le rinnovabili sono intermittenti e anche se hanno un rendimento annuo medio, ci sono periodi poco produttivi, come quelli piovosi o poco ventosi, durante i quali hanno bisogno di una provvista. "E bisogna tenere conto anche del contesto nel quale questo provvedimento si inserisce. - prosegue Lugiato - Abbiamo avuto l'abbassamento del prezzo dell'elettricità, la robin tax, l'abolizione del prezzo minimo garantito, tutti elementi che hanno eroso la redditività degli impianti". Insomma, anche per Lugiato lo spettro del default per molti impianti non è una possibilità remota, come invece sostengono dalle parti del MiSE, dove arrivano ad affermare che il provvedimento potrebbe portare a una migliore gestione di parecchi impianti che sarebbero mal gestiti.

"La vera botta la vedremo il 1° gennaio 2015 quando gli impianti che avranno scelto l'autoriduzione dell'8% a cui si aggiunge il 10% di trattenuta da parte del GSE, si ritroveranno con il 18% in meno di flusso di cassa. - afferma Giovanni Simoni, amministratore delegato di Kenergia - Si tratta di una riduzione importante che metterà a massimo rischio gli impianti del secondo e terzo Conto energia".

Su quali possano essere le potenziali quotazioni del watt fotovoltaico in default a fronte dell'aggressione speculativa dei "vulture funds" non si possono fare ipotesi visto che il fenomeno da noi non è ancora definito, ma si possono fare ipotesi diverse su ciò che sta accadendo nel contesto elettrico. Di sicuro la manovra del Governo ha una portata epocale sul fronte dell'affidabilità economico finanziaria del mercato dell'energia poiché introduce il concetto di retroattività, cosa che minerà l'affidabilità dell'Italia circa gli investimenti in tutto il settore energetico, non solo nelle rinnovabili. Non a caso il Wall Street Journal apre il proprio pezzo affermando «A quanto pare il governo italiano ha un rapporto difficile con i capitali privati», ossia tutti i capitali privati, non solo quelli legati alle rinnovabili. E lo fa, come abbiamo visto, favorendo la speculazione, quella vera e rapace fatta di rapina, dopo aver urlato ai quattro venti di voler colpire la "speculazione" nelle rinnovabili che tra parentesi, è bene sempre ricordarlo, hanno agito sempre e comunque sotto le leggi e i regolamenti dello Stato.

Il boom dello scisto statunitense è finito, serve una rivoluzione energetica per evitare i blackout

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

Di Nafeez Ahmed

Il cane da guardia dell'energia globale conferma che “la festa è finita” - riduce le proiezioni della produzione statunitense e richiede un investimento urgente



I funzionari del Regno Unito hanno dichiarato che la Gran Bretagna ha bisogno di frackin perchè l'industria 'prosperi' e 'l'economia cresca'. Sempre più dati contestano queste dichiarazioni. Foto: Brennan Linsley/AP

Odio dire ve lo avevo detto, ma...

Nel 2012, la IEA prevede che gli Stati Uniti avrebbero superato l'Arabia Saudita nella produzione di petrolio grazie al boom dello shale nel 2020, diventando degli esportatori netti nel 2030. La previsione è stata vista da molti come la prova decisiva del rinnovamento dell'era del petrolio, mentre i detrattori informati venivano nel migliore dei casi ignorati, nel peggiore ridicolizzati.

Fra i miei molti rapporti che esponevano gli errori geologici ed economici dietro alla narrativa del boom dello scisto ci sono questo, questo, questo e questo. Anche qui al Guardian, un titolo ha dichiarato che il rapporto della IEA mostra dimostrava che “l'idea del picco del petrolio era andata in fumo”. Ma l'ultima valutazione della IEA ha provato che i detrattori avevano ragione su tutto. La Panoramica sull'Investimento Energetico Mondiale dell'Agenzia pubblicato questa settimana dice che la produzione di tight oil statunitense – che attinge in gran parte da Bakken, nel Nord Dakota e ad Eagle Ford in Texas – raggiungerà il picco intorno al 2020 prima di declinare.

La nuova analisi mette fine al mito dei '100 anni di fornitura' ampiamente diffuso dall'industria e si avvicina alla valutazione più scettica di un picco del tight oil statunitense entro questo decennio. Il rapporto della IEA dice:

“... la produzione da parte del Nord America raggiunge un plateau [circa dal 2020] e poi diminuisce da meta degli anni 20 del 2000 in poi”.

L'ammanco renderà gli Stati Uniti, e i paesi dell'Europa che pensano di importare dall'America, sempre più dipendenti dalle forniture dal Medio oriente:

“Tuttavia c'è un rischio che l'investimento in Medio oriente non riesca a salire in tempo da evitare un ammanco di fornitura, a causa di un clima di investimento incerto in alcuni paesi e della priorità data spesso a spese in altre aree”.

La IEA ha evidenziato che sulla scia della Primavera araba, gli stati petroliferi del Medio Oriente stanno sentendo la pressione di deviare massicci sussidi petroliferi che mantengono la produzione in più spese sociali per alleggerire l'instabilità. Se non lo fanno potrebbero essere rovesciati. Questi paesi versano 800 miliardi di dollari in introiti del petrolio in sussidi energetici – e se non riescono a coprire l'ammanco previsto a causa della caduto post picco della produzione statunitense, per il 2025 il costo medio di un barile di petrolio potrebbe salire di 15 dollari. Lo scorso marzo, quando ho affrontato il pericolo di uno shock petrolifero imminente, mi è stato detto confidenzialmente da un portavoce del Dipartimento dell'Energia e del Cambiamento Climatico del Regno Unito che non c'era rischio che si spegnessero le luci – la politica del regno Unito aveva sistemato tutto. Ora il capo economista della IEA, Fatih Birol dice:

“In Europa stiamo affrontando il rischio che si spengano le luci. Non è uno scherzo”.

Ci servono 48 trilioni di dollari di nuovo investimento per mantenere le luci accese – e non è per niente chiaro se investire in petrolio e gas non convenzionali sempre più costosi risolverà qualcosa senza impatti seri sull'economia globale. Attualmente, di già, il rapporto della IEA rivela che oltre l'80% dell'investimento delle compagnie petrolifere sta andando per compensare i giacimenti esauriti in cui la produzione è in declino. L'agenzia fa anche un appello ad aumentare gli investimenti in rinnovabili e per aumentare l'efficienza, insieme ad un riforma dei regolamenti per incentivare gli investimenti, come parte del pacchetto.

Mentre l'impero dei combustibili fossili si sta frantumando, il settore dell'energia rinnovabile ha ricevuto il 60% dell'investimento totale in impianti dal 200 al 2012. Coloro che continuano ad investire in combustibili fossili per risolvere i nostri guai energetici ed economici dovrebbero prendere nota: non sono la risposta. Il tempo di uscirne è stato ieri.

martedì 24 giugno 2014

Renzi continua a fare danni: spegnere le centrali fotovoltaiche per far posto al gas e al carbone




Lettera Aperta al presidente del Consiglio

Di Paolo Rocco Viscontini


Egr. Presidente del Consiglio,

il Suo governo rischia di distinguersi come il primo della Storia della Repubblica che è intervenuto con degli interventi retroattivi su delle leggi dello Stato. Mi riferisco ai tagli agli incentivi agli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 200 kWp.

A parte il fatto che quando ci si muove all’interno delle leggi dello Stato bisognerebbe sentirsi tranquilli perché si considera impossibile che qualcosa cambi, ma anche entrando nello specifico si scopre che tutte le motivazioni usate dal Ministero dello Sviluppo Economico per giustificare questo provvedimento sono palesemente infondate.

Sono stati usati termini inappropriati, a cominciare dalla parola “speculatori”: speculatore è “chi consegue un vantaggio personale sfruttando senza scrupoli una situazione a scapito di altri”. Non dimentichiamoci che l’obiettivo del Conto Energia era incentivare le installazioni di impianti fotovoltaici, garantendo equi rendimenti a chi avesse deciso di installarli.

Ora si sta facendo di tutta l’erba un fascio: si dichiara che tutte le installazioni sopra i 200 kWp hanno rendimenti altissimi, tanto da intervenire dicendo “togliamo a chi ha avuto troppo per dare a chi ha avuto meno”. Si dimentica che dal 2005 a oggi si sono susseguite più leggi del Conto Energia (ben 5!) e nella maggior parte dei casi le tariffe d’incentivazione erano tali da creare le condizioni per ottenere un rendimento equo e non certamente eccessivo. Solo chi è riuscito a ottenere un prezzo d’impianto basso in momenti di tariffe alte è riuscito a guadagnare di più, ma si tratta di casi numericamente molto inferiori e non si può certamente incolparli di un comportamento scorretto, perché han fatto quello che tutti, Lei incluso, avrebbe fatto: credo sia naturale cercare sul mercato un buon prezzo. Se poi la tariffa in quel periodo era più alta, tanto da generare un rendimento più alto, era ed è un problema di chi ha fatto la legge. Inoltre, se speculazioni ci sono state, sono da ricondursi ai cosiddetti “sviluppatori”, che vendevano a prezzi alti le autorizzazioni, approfittando della complicazione della burocrazia italiana. Intervenire ora sui proprietari degli impianti è solo inutile e profondamente sbagliato.

Si vuole denigrare chi ha semplicemente creduto in una legge dello Stato, nata per indirizzare degli investimenti, mirati, come voleva fare lo Stato italiano, a sviluppare il settore fotovoltaico. Era pure stato stabilito un budget, per legge. Ora, a posteriori, si vuole ridurre il budget di spesa, nonostante ci siano dei contratti tra Stato italiano (tramite il GSE) per oltre 12 mila impianti. Tra l’altro una gran parte di questi 12 mila impianti sono di IMPRESE MANIFATTURIERE e di AZIENDE AGRICOLE che li hanno realizzati sui propri tetti o nelle aree limitrofe alle unità produttive! Quelle stesse imprese che Lei continua a dire che vuole aiutare.

Cambiare ora le condizioni significa mettere in ginocchio migliaia di aziende! Una gran parte di loro non riuscirà più a pagare le rate del leasing o del finanziamento. Ci saranno miliardi di Euro di ulteriori sofferenze per le banche italiane, che avranno ancora più difficoltà a dar credito alle aziende italiane. Ricordo infatti che gli oltre 18.000 megawatt installati son stati realizzati grazie a circa 50 miliardi di Euro di prestiti bancari.

E per moltissime aziende e imprenditori l’impianto fotovoltaico, realizzato sul tetto della fabbrica o su un terreno, rappresenta ora l’unica risorsa che li aiuta a stare in piedi in questo durissimo periodo di crisi.

Con le loro scelte, i funzionari del Ministero dello Sviluppo Economico responsabili per i temi energetici, stanno facendo un danno enorme al Suo Governo e quel che più conta all’Italia.

Non caschi infatti nel tranello di chi Le vuol far credere che in questo modo si colpiscono solo gli investitori, pure stranieri. Mi chiedo come sia possibile fare discorsi in giro per il mondo volti ad attrarre capitali dall’estero e poi distruggere investimenti di investitori che hanno pensato che l’Italia fosse un paese affidabile.

Le ricordo che i fondi d’investimento che hanno investito negli impianti fotovoltaici sono gli stessi che investono in infrastrutture e in aziende italiane garantendo capitali per la ripresa. Già diversi fondi d’investimento stranieri han dichiarato il loro sbigottimento e hanno detto che se una tale norma passerà bloccheranno ogni altro tipo di investimento per l’Italia. In realtà un gran danno è già stato fatto, anche perché il solo sentirne parlare ha fatto capire che l’Italia non è più un paese affidabile (vedere articolo sul Wall Street Journal). Non penso sia felice di sentirsi dire che prima di Lei ci si sentiva sicuri di investire in Italia e ora non più.

I suoi referenti al Ministero dello Sviluppo Economico l’hanno informata che già circa un mese fa addirittura le ambasciate degli Stati Uniti d’America e d’Inghilterra hanno inviato delle formali lettere di protesta al Ministero, spaventati dalle notizie che giravano circa questo paventato taglio retroattivo agli incentivi?

Le diranno che la legge è stata stilata in modo da dare la possibilità ai proprietari d’impianto di non soffrire particolari problemi (tariffe più basse per più anni per confermare il monte incentivi atteso). Non ci creda! I problemi sarebbero enormi. Non entro nei dettagli. Il panico che quello che state per fare sta creando dovrebbe bastare.

Non mancheranno i ricorsi contro questo cambio di regole, che è palesemente incostituzionale. Si avranno pertanto migliaia di cause che lo Stato perderà di certo, trovandosi a dover pagare i danni causati da un provvedimento fondamentalmente illegale, come sostiene il Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Valerio Onida: “Un simile provvedimento violerebbe sia le norme costituzionali in materia di retroattività e di tutela dell’affidamento, sia gli obblighi internazionali.” Purtroppo però i lunghi tempi della giustizia porteranno nel frattempo a default finanziari e conseguenti chiusure di aziende (non solo aziende del settore fotovoltaico).

Forse non sa che nell’ultimo anno si sono succeduti una serie di interventi che hanno già ridotto drasticamente i rendimenti degli impianti fotovoltaici.

Con la “rimodulazione” degli incentivi (che beffarda definizione) moltissimi impianti andranno in default finanziario, che vuol dire che non ci saranno neppure i soldi per garantirne la manutenzione. Risultato: non solo salteranno quelle poche aziende sopravvissute ai disastri causati dall’ex ministro Passera e dal suo Quinto Conto Energia, che si erano concentrate sulle manutenzioni degli impianti (perché purtroppo il settore del fotovoltaico era già stato colpito pesantemente portando alla chiusura migliaia di aziende e causando decine di migliaia di disoccupati, alla faccia delle belle parole sull’occupazione che sentiamo sempre alla televisione), ma addirittura molti impianti, a causa dell’assenza di assistenza tecnica, dovranno pure essere spenti!

Ma forse questo era proprio l’obiettivo finale: far spegnere gli impianti fotovoltaici per poter riaccendere le centrali a olio combustibile, carbone e gas che negli ultimi 2 anni hanno visto le loro ore di funzionamento crollare a causa dell’inaspettata e significativa crescita della produzione fotovoltaica.

Non penso possa essere orgoglioso di un simile risultato.

Infatti gli oltre 18 mila MWp di installazioni fotovoltaiche hanno permesso nel 2013 di coprire l’8% della produzione elettrica nazionale su base annuale e quote che vanno dal 20-25% nelle ore diurne dei giorni lavorativi a oltre il 50% nei giorni festivi. Sono risultati straordinari che hanno consentito di:
  • ridurre il prezzo dell’energia nella Borsa elettrica di quasi la metà, effetto positivo che però non passa all’utente finale! Il Ministero dello Sviluppo Economico dovrebbe concentrarsi su come risolvere questa questione invece che accanirsi contro il fotovoltaico. Qui sì che ci sono le vere speculazioni!
  • ridurre le spese di importazione PER combustibili fossili di diversi miliardi di euro all’anno (corrispondente miglioramento della bilancia dei pagamenti nazionale)
  • salvare centinaia se non migliaia di vite umane (meno emissioni dalle centrali a combustibile fossile significa molti meno tumori)
  • creare un’occupazione indotta importante e stabile grazie alle manutenzioni degli impianti
Il cambio retroattivo delle regole interessa ben 11 dei 18 mila MWp di impianti fotovoltaici installati in Italia. Vuol dire che si sta mettendo a rischio oltre il 60% della produzione di energia elettrica fotovoltaica italiana, pari a quasi il 5% della copertura della produzione elettrica nazionale. E ricordo che si tratta di una PRODUZIONE NAZIONALE, in quanto non dipende da alcuna fonte energetica estera. Mi sembra semplicemente assurdo sostituire questa produzione di energia PULITA e INESAURIBILE (ricordo che gli impianti funzionano ben oltre i 20 anni del Conto Energia) con energia FOSSILE inquinante e pure proveniente dall’estero.

Ora, stimato Presidente, ha forse ancora un’opportunità di correre ai ripari, dichiarando che non era stato correttamente informato e che non toccherà gli investimenti nel fotovoltaico.

E’ l’unico modo per uscire da questo impasse senza troppi danni. Mi creda, ci sono altri modi, più seri e onesti, per abbassare i costi dell’energia elettrica alle imprese italiane.

Cordiali saluti,
Ing. Paolo Rocco Viscontini (operatore del fotovoltaico)

Il declino dell'economia industriale italiana






L'economia industriale italiana sta venendo stritolata dall'alto costo delle materie prime. A questo si aggiunge il peso di una burocrazia spaventosa che è l'emblema moderno della teoria di Tainter che vede il crollo delle civiltà come dovuto all'eccessivo costo delle loro burocrazie. Il risultato è un economia italiana che si fa sempre più virtuale, sempre più eterea, sempre più orientata verso prodotti di lusso nella moda, nel turismo o nel settore alimentare. E' un'economia fragile, soggetta alla variabilità dei gusti planetari e che crea ricchezza solo per pochi.

In questo post, Miguel Martinez dal blog "Kelebek" coglie bene le tendenze del momento.


Aura d’Italia

Ogni tanto, mi viene da scrivere una riflessione sperimentale, dove semplifico molto e compio sicuramente errori, ma mi serve per mettere in ordine esperienze e idee.

Quindi non prendete troppo alla lettera ogni parola, cercate di cogliere il senso generale.

Innanzitutto, la crisi sta cambiando il volto dell’economia italiana. Tra tante altre realtà, ha messo in crisi i pilastri della sinistra realmente esistente, istituzioni come la Coop e il Monte dei Paschi di Siena, con il loro contorno politico.

Contemporaneamente, diventa centrale la commercializzazione dell‘Aura d’Italia.

Aura di di Estrosi Creativi che Coniugano Modernità e Tradizione nel Solco tracciato da Leonardo e Michelangelo… con due aspetti paralleli e inseparabili: turismo e moda.

Il grosso ricade su tre luoghi-cartolina che tutto il mondo riconosce, cioè Venezia, Firenze e Roma.

Ma Roma è troppe cose insieme, Venezia è quasi disabitata; per cui nei fatti, questa Aura si concentra soprattutto a Firenze, che non è solo luogo turistico, ma centro simbolico del sistema-moda planetario (anche se i centri economici sono ben altri, da New York a Milano).

Questo fatto ci permette di capire come abbia fatto il sindaco di Firenze a scardinare in pochi anni l’intero sistema del PD e impadronirsene, per poi passare a diventare addirittura il politico-protagonista di tutta l’Italia.

Tenendo presente, però che il vero potere non ama mai farsi vedere, e quindi non bisogna insistere troppo sull’esuberante personalità dell’ex-sindaco.

L’industria dell’Aura è l’inevitabile accompagnamento dell’immensa divaricazione della ricchezza mondiale: il settore del lusso, ci dicono, è l’unico che non conosce crisi. E questa industria ha come base, non l’accumulazione di piaceri, ma una disperata gara di prestigio tra uomini che devono dimostrare la propria potenza attraverso una serie di gesti prefigurati di spreco su scala gigantesca.

Allo stesso tempo, il mercato dell’Aura riflette il generale narcisismo, la smaterializzazione e la finta intimità dell’era della Jeune Fille.

Non è altro che la pubblicità di se stessa, e come ogni pubblicità, è quindi giovane, bella, seducente, entusiasmante.

Il mercato della moda, a differenza di quello turistico, genera ben poco di ciò che una volta si chiamava “lavoro”: gli scaricatori stagionali a Pitti Moda, il designer di gioielli, la modella eccezionale, il buttafuori sono figure numericamente irrilevanti.

Ma questo mercato muove capitali enormi, in grado di condizionare la politica, la cultura, i media… Nulla può fermare le cifre che i signori del lusso sono in grado di schierare sul campo. Cifre che ovviamente non hanno nulla a che fare con “l’Italia” o con “Firenze”, visto che scorrono dentro il mondo parallelo del denaro virtuale planetario.

Il mercato dell’Aura genera e rimodella l’Aura stessa. Decide, ad esempio, che il museo/monumento, invece di essere luogo in cui si può scoprire il proprio territorio, deve diventare sede di “eventi” mediatici, un continuo spettacolo a sostegno dell’industria dell’Aura (Pucci riveste il Battistero, Stefano Ricci decide l’illuminazione del Ponte Vecchio, Ferragamo prende in mano gli Uffizi…).

Il mercato dell’Aura deve vendere ciò che la gente già conosce, e quindi se riduce l’Italia a Firenze/Venezia/Roma, riduce a sua volta Firenze a due o tre monumenti facilmente riconoscibili in tutto il mondo. Il resto della città può fare da dormitorio, e i brandelli di centro non ancora distrutti possono diventare valvole di sfogo per la parte bassa dell’industria turistica.

Ecco che i punti chiave diventano modello di città, turismo, moda, gentrificazione, patrimonio, urbanistica, paesaggio.


lunedì 23 giugno 2014

Il culto dello sportello: come liberarsi dei rifiuti ingombranti




Vedi anche
Gli imperi muoiono di burocrazia
Il culto dello sportello-I
Il culto dello sportello-II
Il culto dello sportello -III
Il culto dello sportello - IV


Vecchi scaffali, una poltrona ormai lisa, materassi inutilizzabili e altra roba. Vado sul sito della nostra municipalizzata per vedere come devo fare per liberarmene. C'è scritto che il ritiro di rifiuti ingombranti è gratuito e che si può telefonare per avere un appuntamento, oppure prenotare per posta elettronica.

Preparo una lista della roba da buttare e la spedisco all'indirizzo indicato, insieme con tutti i miei dati - indirizzo, telefono, eccetera. Mezz'ora dopo, mi arriva una risposta che è semplicemente lo stesso testo che si trova su internet con le istruzioni su cosa fare. Il mio messaggio non lo hanno letto o, se lo hanno letto, non lo hanno minimamente preso in considerazione. Sembra proprio che non ci sia scampo. Lo devo fare via telefono.

Chiamo il numero indicato. Musichette varie, prema tale bottone e tal'altro, il nostro operatore le risponderà appena possibile, eccetera..... suona di nuovo la musichetta, poi ripete, i nostri operatori sono occupati, eccetera...... Come sempre in questi casi, tocca aspettare un bel po'.

Finalmente, mi risponde l'operatore e mi chiede l'elenco delle cose da ritirare. Le dico, "guardi; ho mandato l'elenco via posta elettronica. Non sarebbe più semplice per lei prenderlo da li?" Mi risponde in modo piuttosto scortese, "lei non si preoccupi, questa è la procedura." Dopo di che, però, ci ripensa e mi dice, "si, in effetti il suo messaggio è arrivato. Ora faccio un copia e incolla." Al che, mi verrebbe da dirle, "e allora che bisogno c'era che perdessi tutto questo tempo ad aspettare al telefono sentendo musichette?" Ma la tipa mi sembra già abbastanza nervosetta, per cui mi trattengo. Mi richiede un'altra volta tutti i dati che avevo già mandato via internet. Poi mi da l'appuntamento. Grazie e arrivederci.

Il tutto mi ha richiesto una buona mezz'ora. Niente di grave, certo, ma fa rabbia pensare che il tutto si poteva fare benissimo a costo zero e in tempi molto più rapidi per mezzo di un sito internet. Invece, viene fatta a costi che non so valutare pagando degli operatori che passano la giornata a sentirsi elencare mobili vecchi da buttare. Non deve essere un mestiere piacevole e capisco anche che la tipa che mi ha risposto fosse piuttosto nervosa. Sono costi, però, che alla fine ricadono sulla municipalizzata e di riflesso sugli utenti. Insomma, i ritorni decrescenti della complessità continuano a colpire!








Il Maggio più caldo mai registrato nella storia

Daclimatecrocks.com”. Traduzione di MR


Fonte: Istituto di Potsdam per la Ricerca sull'Impatto del Clima

Nota preliminare: Le temperature di maggio battono facilmente quelle del 1998 alimentate da El Niño. El Niño che si sta sviluppando quest'anno sembra essere in stallo in qualche modo. Più di quanto mi aspettassi.

Climate Progress:

L'Agenzia Meteorologica del Giappone ha riportato lunedì che il periodo marzo-maggio è stato il più caldo in più di 120 anni di misurazioni. E' stato anche il maggio più caldo mai registrato.



Questo è particolarmente degno di nota perché stiamo ancora aspettando l'inizio de El Niño. Di solito è la combinazione delle tendenze di fondo al riscaldamento e degli schemi regionali di riscaldamento de El Niño che portano a nuovi record di temperatura globale.

Potreste chiedervi come sia possibile che il mondo abbia segnato il record del marzo, aprile e maggio più caldi (la primavera boreale) quando non è stato particolarmente caldo negli Stati Uniti (posto che ignoriamo la California e l'Alaska). Risulta che ci sia un pianeta intero là fuori che è diventato ben caldo: