venerdì 6 giugno 2014

Urban legend 2: Ma è vero che la popolazione italiana è in diminuzione?

E' il primo? No, il 7-miliardesimo


Di Jacopo Simonetta

Che la popolazione italiana stia diminuendo è una leggenda talmente diffusa e radicata de essere stata accreditata perfino da Serge Latouche in una sua recente conferenza.

In realtà (dati ISTAT), se escludiamo l’immigrazione, osserviamo che il saldo fra nati e morti oscilla molto vicino allo zero dalla metà degli anni ’80 fino al 2010, poi sembra cominciare ad aprirsi un saldo negativo, ma è ancora troppo presto per capire se è una fluttuazione od una tendenza.
Tuttavia, le cose cambiano radicalmente se consideriamo il contributo alla popolazione degli immigrati. Considerando solo l’immigrazione legale (i clandestini sono stimati fra i 300.000 ed il 500.000 a seconda delle fonti e dei periodi), troviamo che la popolazione non ha mai cessato di crescere, ma era giunta molto vicino alla stabilità negli anni ’90, per poi ricominciare a crescere in modo esplosivo fino a giorni nostri.   Un dettaglio interessante: la curva presenta un punto di rottura preciso: il 2001, l’anno precedente l’ approvazione della famigerata “legge Bossi-Fini”  che, giusta od iniqua che sia, non ha minimamente influenzato la tendenza all'aumento della popolazione generato dall'immigrazione.


Per quanto riguarda invece la popolazione mondiale, è vero che il tasso di crescita è diminuito dal 2,19% del 1963 ad un apparentemente modesto 1,14% nel 2013, ma tradotto in numero di bocche da sfamare, nel 1963 l’incremento fu di circa 70 milioni, mentre nel 2013 l’incremento è stato di oltre 80 milioni.   In termini assoluti, oggi stiamo quindi vivendo la crescita demografica maggiore della storia, ma cosa accadrà negli anni venturi?  Generalmente si legge che la popolazione tenderà a stabilizzarsi fra i 9 ed i 10 miliardi di abitanti verso la metà del secolo, complice il miglioramento delle condizioni di vita.   Un messaggio apparentemente tranquillizzante, con una interessante storia alle spalle.

Le proiezioni demografiche che giustificano questa serafica conclusione sono basate su di un modello matematico chiamato “teoria della transizione demografica”.   Per l’appunto una teoria basata sul presupposto che le famiglie benestanti abbiano meno figli di quelle povere; ne consegue che il miglioramento delle condizioni di vita comporta una stabilizzazione della popolazione secondo lo schema seguente:

1 – Equilibrio demografico antico sostanzialmente stabile perché sia la natalità che la mortalità sono alte.

2 – Prima fase della transizione: Crescita dovuta la fatto che, migliorando le condizioni di vita, la mortalità diminuisce mentre la natalità rimane alta.

3 – Seconda fase di transizione: Stabilizzazione dovuta alla graduale riduzione delle nascite.

4 – Equilibrio demografico moderno, sostanzialmente stabile in quanto natalità e mortalità sono entrambe basse.


Nata agli inizi del XX° secolo, questa teoria che ha descritto in maniera abbastanza fedele quanto effettivamente accaduto in Europa occidentale, USA e Giappone nel secondo dopoguerra:   Dunque la teoria è validata dai fatti?   Così pareva agli inizi degli anni ’70, tanto che è entrata a far parte integrante di Word 3 i cui scenari, purtroppo, si stanno dimostrando molto affidabili.    Ma già allora il “gruppo Meadows” metteva in guardia contro alcuni limiti nell’applicabilità di tale teoria.

Oggi, 40 anni più tardi, dovremmo constatare alcune cose:

- Fra i paesi con la natalità più bassa al mondo troviamo alcuni paesi “sviluppati” (come Germania Regno Unito ed Austria), ma anche  paesi poveri ex-comunisti (come Bielorussia, Ucraina, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria) in cui il collasso economico ha portato un aumento della mortalità, ma non quello della natalità, come avrebbe dovuto accadere se la teoria fosse universalmente valida.
- Molti paesi particolarmente ricchi hanno indici di natalità elevati, ad es. i paesi arabi petroliferi.

- Dal momento che gli accordi in sede WTO consentono una notevole (anche se non totale) mobilità dei flussi migratori, il tasso di natalità e quello di crescita demografica dei vari paesi sono due variabili assai poco correlate.   Paesi con tassi di natalità molto bassi hanno tassi di crescita demografica molto elevati e viceversa.   

- Se anche avvenisse la prevista stabilizzazione, non è affatto detto che questa avvenga ad un livello sostenibile, vale a dire al di sotto della capacità di carico del territorio interessato o del pianeta nel suo complesso.   Ne siamo brillanti esempi noi occidentali che, se non fosse per l’immigrazione,  avremmo tassi di crescita molto vicini alla parità o lievemente negativi, ma che per vivere utilizziamo quasi il doppio delle risorse che avremmo a disposizione.

In realtà, il meccanismo storicamente riscontrato (ma da molti contestato)  è un altro: la crescita economica consente la crescita demografica che, alcune generazioni dopo, provoca una crisi economica a seguito della quale i tassi di mortalità e di emigrazione aumentano finché la popolazione non rientra all'interno della capacità di carico del proprio territorio.   Dopodiché le risorse possono rigenerarsi (almeno in parte) ed il ciclo può anche ripartire.   

La trappola psicologica consiste nel fatto che la fase di crescita demografica segue di poco l’inizio di quella di crescita economica e la accompagna a lungo, effettivamente stimolandola ulteriormente mediante l’ampliamento del mercato e della mano d’opera disponibile, ma solo finché gli altri elementi del sistema (risorse, inquinamento, stabilità sociale) lo consentono.    Una volta superata le “linea rossa” della capacità di carico, ogni incremento demografico diviene un chiodo nella bara del benessere acquisito, ma l’esperienza vissuta e ricordata porta invece ad identificare la prosperità con la fecondità.   Fino a giungere ai deliranti messaggi odierni in cui si invoca un’ulteriore crescita demografica per rilanciare quella economica.   Una cosa che suona un po’ come praticare l’incendio boschivo per rilanciare la forestazione.
Ma se i cicli storici sono stati di secoli, quello che stiamo vivendo attualmente ha vissuto l’esplosione e probabilmente vivrà il collasso in meno di cento anni, perché?    Semplicemente perché la nostra strabiliante crescita ha un nome preciso: petrolio di buona qualità ed a buon mercato.   Non abbiamo finito il petrolio (probabilmente non lo finiremo mai), ma quello che ci rimane è scadente e caro.   

Esistono alternative, certo, ma costose e parziali.   Inoltre l’energia non è certo l’unico limite allo sviluppo economico contro il quale ci stiamo scontrando: gli effetti negativi dell’inquinamento, del degrado dei suoli, dell’estinzione di massa in corso, (per citarne solo alcuni) rischiano di essere ancor più dirompenti.   L’estrema instabilità e disparità economica (entrambe senza precedenti nella storia moderna) rischiano di far implodere il sistema  in qualunque momento, mentre il crescere della conflittualità sociale, il risorgere dei nazionalismi e la corsa internazionale all'accaparramento delle risorse residue presentano ulteriori rischi già nel breve periodo.

In conclusione, è estremamente improbabile che la popolazione umana tenda a stabilizzarsi e sono certo che i demografi dell’ONU lo sanno benissimo.   Al contrario, e’ probabile che, a livello globale,  una flessione inizi entro il 2030 se non prima, quindi fra 10-15 anni.   Ma se il modello Word3 si è dimostrato estremamente affidabile finora, la sua affidabilità decrescerà molto rapidamente in rapporto al tempo da quando la curva della popolazione inizierà a flettere.

Ci sono due ragioni molto forti per questo.

La prima, già evidenziata dagli autori, è che nelle prime fasi del collasso il sistema globale si disarticolerà in sotto-sistemi relativamente indipendenti fra loro (magari anche in conflitto fra loro), cosicché saranno possibili dinamiche anche molto diverse a seconda delle zone.

La seconda è che il modello prevede che, al degradarsi delle condizioni di vita, aumentino rapidamente sia la mortalità che la natalità e questo non è detto che avvenga.   A parità di altre condizioni, le zone dove la popolazione diminuirà più rapidamente saranno quelle che si stabilizzeranno prima e che avranno le migliori possibilità di recupero, ma non è certo perché numerosissimi altri sono i fattori in gioco.


giovedì 5 giugno 2014

Dennis Meadows: è troppo tardi per lo sviluppo sostenibile

DaEnergy skeptic”. Traduzione di MR



Un'immagine della conferenza di ASPO di Pisa del 2006, organizzata da ASPO-Italia. Dennis Meadows(in piedi) sta parlando. Seduto vicino a lui, il moderatore Jean Laherrere. In questo articolo da "EnergySkeptic" l'autore riparte da quella conferenza di ormai quasi dieci anni fa per aggiornare la situazione sulla base del recente convegno "L'Era dei Limiti". Col tempo, Meadows sembra diventare più pessimista e non ne mancano le ragioni.





[Dennis Meadows ha parlato alla conferenza ASPO sul picco del petrolio del 2006 a Pisa. Molti degli scienziati e dei relatori hanno detto che Meadows aveva ragione sui Limiti della Crescita  nelle loro presentazioni – infatti, il suo modello è apparso essere in anticipo coi tempi. Meadows odia fornire date ma, messo sotto pressione, ha detto che anche se pensava al 2030 come al più probabile quadro temporale per il collasso nel 1972 sulla base di varie proiezioni del modello, l'uso esponenziale delle risorse e la crescita della popolazione sembrano aver anticipato il quadro temporale a circa il 2020. Alla conferenza sui “Limiti della Crescita”del 2014 ha detto che il quadro temporale sembra essere il 2015-2020].

Dennis Meadows è uno dei coautori de “I Limiti dello Sviluppo (Crescita)”. Nel 1972, la squadra di 66 scienziati che ha messo insieme per lo studio originale su I Limiti della Crescita ha concluso che il risultato più probabile sarebbe stato un improvviso ed incontrollabile declino sia della popolazione sia della capacità industriale. Dmitry Orlov sulla presentazione di Dennis Meadow alla conferenza “L'Era dei Limiti” del 2014: “Dennis aveva acconsentito di presentarsi con riluttanza a questa conferenza. Si è ritirato dalle discussioni del Club di Roma ed ha trovato usi più gioiosi per il suo tempo. Ma è sembrato felice del risultato, dicendo che questa è la prima volta che si è trovato di fronte ad un pubblico che non ha avuto bisogno di convincere. Piuttosto, si è preso il tempo di aggiungere alcuni dettagli che credo siano importanti in modo cruciale, fra questi il fatto che il suo modello WORLD3 è preciso solo finché vengono raggiunti i picchi. Una volta avvenuti i picchi (fra il 2015 e il 2020) tutte le scommesse sono inutili: passato quel punto, la capacità predittiva del modello non è affidabile perché gli assunti sui quali si basa non saranno più validi”.

Alla conferenza 'L'Era dei Limiti' del 2014 ha anche detto che nel 1972 avevamo raggiunto circa l'85% della capacità di carico della Terra ed oggi siamo intorno al 125% ed ogni mese che ritardiamo nel tornare entro i limiti erode l'ulteriore capacità della Terra di tollerarci. “La ragione per cui non abbiamo una risposta al cambiamento climatico”, ah detto, “non è perché non abbiamo modelli migliori. E' perché la gente se ne frega del cambiamento climatico”. Questo potrebbe essere il nostro epitaffio. “Nel 1972 c'erano due possibili opzioni a disposizione per andare avanti – superamento dei limiti (overshoot) o sviluppo sostenibile. Nonostante la miriade di conferenze e commissioni sullo sviluppo sostenibile tenutesi da allora, il mondo ha optato per il superamento dei limiti.  Le scimmie pelate bipedi hanno fatto ciò che hanno sempre fatto. Hanno dominato e sottomesso la Terra. Di fronte alle prove inequivocabili dell'arrivo di una minaccia alla propria esistenza, hanno tergiversato e per poi cercare di cavarsela.

La civiltà globale sarà solo la prima di molte vittime del clima, Madre Natura ci sta venendo addosso ad un tasso di cambiamento che supera qualsiasi passaggio paragonabile negli ultimi 3 milioni di anni, a parte forse le meteoriti o i super vulcani che hanno disperso i nostri antenati in coppie a malapena sufficienti da essere in grado di riprodursi. Questo cambiamento sarà vissuto più a lungo e sarà più profondo di molti di quei fenomeni. Abbiamo alterato alla radice i cicli dell'azoto, del carbonio e del potassio del pianeta. Potrebbe non tornare mai più ad essere un ecosistema nel quale i bipedi mammiferi con cervelli bicamerali siano possibili. Perlomeno non per milioni di anni”.

La presentazione video comincia a 17:30, sotto le slide

http://deepresource.wordpress.com/2012/05/28/dennis-meadows/ 

E' troppo tardi per lo sviluppo sostenibile

Smithsonian Institution Washington DC, 29 febbraio 2012


  • Descriverò brevemente cosa abbiamo fatto nel 1970 -1972 e riassumerò i principali contributi del nostro studio.
  • Poi descriverò cinque ragioni per le quali è troppo tardi per realizzare lo sviluppo sostenibile.


  1. La discussione pubblica ha difficoltà con messaggi subdoli e condizionanti.
  2. I sostenitori della crescita cambiano la giustificazione del loro paradigma piuttosto che cambiare il paradigma stesso. 
  3. Il sistema globale ora è ben al di sopra della capacità di carico.
  4. Ci comportiamo come se il cambiamento tecnologico possa sostituire il cambiamento sociale. 
  5. L'orizzonte temporale del nostro attuale sistema è troppo corto.


  • Di conseguenza, suggerirò che è essenziale ora mettere più enfasi nell'aumentare la resilienza del sistema. 

Quello che abbiamo fatto

Una squadra di 16 persone ha lavorato sotto la mia direzione per elaborare un modello computerizzato che rappresentasse le cause e le conseguenze della crescita nei fattori fisici principali che caratterizzano lo sviluppo globale nel periodo 1900 – 2100. Il modello è stato dapprima concepito da Jay Forrester, che ha lo descritto nel suo libro World Dynamics. La mia squadra ha scritto e pubblicato tre libri aggiuntivi sul progetto, “I Limiti dello Sviluppo (Crescita)”, Verso un Equilibrio Globale e Dinamiche della Crescita in un Mondo Finito. Il nostro focus è stato su:

Popolazione        Risorse non rinnovabili
Beni industriali     Inquinamento persistente
Cibo

I nostri principali contributi


  • NON abbiamo provato che ci sono limiti alla crescita fisica su un pianeta finito. L'abbiamo presa come dato di fatto.
  • Abbiamo presentato informazioni su diversi limiti fisici – acqua, suoli, metalli ed altre risorse – per rendere l'idea dei limiti plausibile.
  • Abbiamo descritto le ragioni per cui la crescita della popolazione e della produzione industriale sono intrinsecamente esponenziali. 
  • Abbiamo mostrato che la crescita esponenziale giunge rapidamente ad ogni limite concepibile.
  • I nostri scenari computerizzati hanno dimostrato che la prevalenza di politiche di crescita porteranno al superamento e al collasso, ma non un approccio asintotico ai limiti. 
  • Abbiamo suggerito che i cambiamenti delle politiche potrebbero portare ad uno stato sostenibile, se i cambiamenti affrontano sia i problemi culturali sia quelli tecnici e venissero attuati in fretta.


I Limiti dello Sviluppo (Crescita) ha presentato 12 scenari. Quattro mostravano un equilibrio globale relativamente attraente senza alcun collasso. Tuttavia, è stato scritto sul New York Times:“Non è una coincidenza che tutte le simulazioni basate sul modello del mondo di Meadows finiscano invariabilmente col collasso”. I Limiti dello Sviluppo (Crescita), Peter Passell, Marc Roberts e Leonard Ross, New York Times, 2 aprile 1972. Noi abbiamo detto: “Questi grafici non sono previsioni esatte dei valori delle variabili in ogni specifico anno nel futuro. Sono soltanto indicazioni delle tendenze comportamentali del sistema. Pagina 93, I Limiti dello Sviluppo (Crescita). Tuttavia, una ricerca su Google oggi su “il Club di Roma ha previsto” dà 13.700 risultati, per esempio. “Nel 1972, I Limiti della Crescita, pubblicato dal Club di Roma, ha previsto che il mondo avrebbe finito l'oro nel 1981, il mercurio nel 1985, lo stagno nel 1987, lo zinco nel 1990, il petrolio nel 1992 e il rame, il piombo e il gas naturale nel 1993”. I sostenitori della crescita cambiano la giustificazione al loro paradigma piuttosto che cambiare il paradigma stesso. “Ad ogni singolo stadio – dal suo punto di arrivo prevenuto alla sua codifica prevenuta, all'organizzazione intorno ad una falsa logica alla ricordare e rappresentare male agli altri, la mente agisce continuamente per distorcere il flusso di informazioni in favore dell'abituale obbiettivo buono di apparire meglio di quanto non si sia veramente”, pagina 139 de La Follia degli Stolti; logica dell'inganno e dell'auto inganno nella vita umana, Robert Trivers, Basic Books, New York, NY 2011

Evoluzione della critica


  • Anni 70: non ci sono limiti effettivi.
  • Anni 80: ci sono limiti, ma sono molto lontani.
  • Anni 90: i limiti sono vicini, ma la tecnologi e i mercati possono aggirarli facilmente. 
  • Primo decennio del 2000: la tecnologia e i mercati non sempre aggirano i limiti, ma la politica migliore è quella di perseguire la crescita del PIL, così avremo più risorse per risolvere i problemi.
  • Anni 10 del 2000: se fossimo stati capaci di sostenere la crescita economica, non avremmo avuto problemi coi limiti. 


Data l'energia sufficiente, i minerali potrebbero essere cercati in mare, o dall'acqua marina stessa. Una fonte virtualmente infinita di energia, la fusione nucleare controllata dell'idrogeno, verrà messa in rete probabilmente entro 50 anni. “I Limiti della Crescita” di  Peter Passell, Marc Roberts e Leonard Ross, New York Times, 2 aprile 1972.

“le risorse naturali non sono finite, in un senso economico significativo, per quanto questa asserzione possa essere sbalorditiva. Le loro riserve non vengono fissate ma piuttosto si stanno espandendo grazie all'ingegno umano. Pagina 24, Julian L. Simon, The Ultimate Resource2, Princeton University Press, Princeton, NJ, 1996

Il sistema globale ora è di gran lunga al di sopra della capacità di carico


Per evitare il collasso servirà un orizzonte temporale più lungo di quello fornito dall'attuale sistema

Il petrolio facile è andato


  • Le scoperte di petrolio hanno raggiunto il picco negli anni 60. 
  • Ogni anno dal 1984 il consumo di petrolio ha superato  le scoperte petrolifere.
  • Nel 2009 le scoperte sono state circa 5 miliardi di barili (mb), il consumo di 31 mb.
  • Dei 20 giacimenti di petrolio più grandi del mondo, 18 sono stati scoperti dal 1917 al 1968, 2 negli anni 70. Da allora nessun altro.


La produzione globale di petrolio si sta avvicinando alla fine del suo plateau


  • 1995 – 1999 + 5.5%
  • 2000 – 2004 + 7.9 %
  • 2005 – 2009 + 0.4 %  - dati dal Supplemento Statistico Internazionale – edizione 2010, IEA, pagina 18
  • 2010 – 2030 – 50%*

Proiezione da Petrolio greggio – Panoramica dell'offerta, Energy Watch Group, febbraio 2008, p. 12.

Dal 2012, la capacità di surplus di produzione petrolifera potrebbe sparire completamente e per il 2015, il deficit di produzione potrebbe raggiungere quasi i 10 miliardi di barili al giorno”. - Joint Forces Command degli Stati Uniti, Joint Operating Environment Report, febbraio, 2010.

“Il picco della produzione di petrolio potrebbe essere già arrivato” - Science, pagina 1510, Vol 331, 25 marzo 2011

Ora è essenziale metter più enfasi sull'aumento della resilienza del sistema. Ora è essenziale cominciare a cambiare comportamento.

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Mukerjee, M. 23 maggio 2012. Presto l'Apocalisse: la civiltà ha superato il punto di non ritorno ambientale? Scientific American.

Meadows sostiene che il collasso ora è del tutto inevitabile, ma che la sua forma effettiva sarà troppo complessa da prevedere per qualsiasi modello. “Il collasso non sarà alimentato da una singola causa identificabile che agisce simultaneamente in tutti i paesi”, osserva. “Si verificherà attraverso un complesso di istanze auto rinforzanti” - compresi cambiamento climatico, limitazioni delle risorse e iniquità socioeconomica. Quando le economie rallentano, spiega Meadows, vengono creati meno prodotti rispetto alla domanda e £quando i ricchi non riescono ad avere di più producendo ricchezza reale cominciano ad usare il loro potere per prendere dai segmenti inferiori”. Quando le scarsità montano e la disuguaglianza aumenta, rivoluzioni e movimenti socioeconomici come la Primavera Araba o Occupy Wall Street diventeranno più diffusi – come lo sarà la loro repressione.

Molti osservatori protestano che tali scenari apocalittici non tengono conto dell'ingegno umano. La tecnologia e i mercati risolveranno i problemi nel momento in cui si palesano, sostengono. Ma perché accada questo, asserisce l'economista Partha Dasgupta dell'Università di Cambridge nel Regno Unito, i decisori politici devono guidare la tecnologia con i giusti incentivi. Finché le risorse naturali sono a buon mercato in confronto al loro vero prezzo ambientale e sociale – finché, per esempio, i consumatori di automobili non pagano per le vite perse a causa di condizioni climatiche estreme causate dal riscaldamento da parte delle emissioni di carbonio dei loro veicoli – la tecnologia continuerà a produrre beni ad alta intensità di risorse e peggiorerà il fardello che pesa sull'ecosistema, sostiene Dasgupta. “Non ci si può aspettare che i mercati risolvano il problema”, dice. Randers va oltre, asserendo che il focus sul breve termine del capitalismo, e per esteso dei sistemi democratici, rende impossibile non solo per i mercati ma anche per gran parte dei governi affrontare efficacemente i problemi a lungo termine come il cambiamento climatico.

“Siamo in un periodo di continuo caos la cui grandezza non siamo in grado di prevedere”, avverte Meadows. Non perde più tempo a cercare di persuadere l'umanità dei limiti della crescita. Piuttosto, dice, “sto cercando di capire come le comunità e le città possano tamponare la situazione” contro l'inevitabile atterraggio brusco.

mercoledì 4 giugno 2014

Europa: dove troveremo il gas che ci serve?

DaThe Oil Crash”.  27 Maggio 2014
Traduzione di MR

Da notare, fra le altre cose, come in questo post Antonio Turiel nota come anche il governo spagnolo stia utilizzando trucchi statistici per far credere che il PIL sia in aumento o che cresca più rapidamente, come ho discusso in un mio post  per quanto riguarda l'Italia (U.B.)


Di Antonio Turiel

Cari lettori,

l'Unione Europea  si trova ad un crocevia storico. Alle recenti elezioni del Parlamento Europeo, la maggioranza dei partiti al Governo o con possibilità di esserci hanno subito una considerevole battuta d'arresto da parte degli elettori, mentre opzioni più radicali si stanno facendo strada. La sbandierata ripresa economica sta lì a dimostrare che non si trattava di altro che di un miraggio e specialmente in Spagna, dove un'opportuna adulterazione delle statistiche ha permesso di far credere che il PIL stesse recuperando con vigore mentre in realtà il consumo interno crolla, la produzione industriale non sta risalendo e il bilancio commerciale peggiora mese dopo mese (le esportazioni non sono più il tanto applaudito “motore economico della Spagna”, visto che chiaramente dagli inizi dell'anno le importazioni le superano in valore economico). Ma molto oltre le frontiere dell'Europa alcuni racconti eventi recenti strangoleranno ancora di più la capacità economica del Vecchio Continente nei prossimi anni e decenni con conseguenze politiche e sociali che non si ha ancora il coraggio di discutere.

La prima di queste notizie è il recente annuncio della firma di un accordo storico fra la compagnia russa Gazprom (protetta dal governo russo) e la compagnia cinese CNCP (controllata dal governo di quel paese) secondo il quale la Gazprom si impegna a fornire 38 miliardi di metri cubi (in unità americane sarebbero 1,3 trilioni di piedi cubici) di gas naturale all'anno a CNPC a partire dal 2018 per 30 anni. L'Unione Europea ha importato nel 2012 ha importato 14 trilioni di piedi cubici di gas naturale, dei quali circa un terzo (34%) provenienti dalla Russia, cioè 4,76 trilioni di piedi cubici, per cui l'accordo russo-cinese rappresenta circa il 27% della fornitura annuale di gas russo all'Europa. E' chiaro che per l'Unione Europea è emerso un concorrente importante per il gas naturale russo. Per mettere le cose in una migliore prospettiva, guardate il seguente grafico di produzione di gas naturale russo, preso come sempre dal sito web Flussi di Energia ed elaborato con dati dell'annuario del 2012 della BP:


La Russia ha prodotto meno di 60 miliardi di piedi cubici di gas naturale al giorno, cioé, circa 21 trilioni di piedi cubici di gas naturale all'anno. La fornitura annuale corrente all'Unione Europea e quella prevista alla Cina rappresentano rispettivamente il 22% e il 6% della produzione annuale di gas della Russia, il che rende chiara l'importanza di queste transazioni e della mutua dipendenza economica fra Russia ed Unione Europea, nella quale la prima si trova in condizioni migliori per diminuire che non la seconda, soprattutto ora che il problema in Ucraina le ha allontanate. Ciò che preoccupa veramente nell'accordo fra russi e cinesi è la sua lunga durata, soprattutto se si tiene conto del fatto che la Russia sembra prossima a raggiungere il proprio picco interno del gas. Non è facile trovare previsioni sulla futura produzione di gas in Russia; l'unica stima più o meno affidabile che ho trovato è quella del rapporto dettagliato del 2013 dell'Energy Watch Group; da lì ho estratto questo grafico con la previsione di produzione di gas naturale in Russia.


Come si vede, il fatto di mantenere un plateau produttivo per i prossimi 15 anni dipende dal fatto che si sviluppino una serie di giacimenti già identificati (Kruzenshten, Shtokmanskoye, Tambey, Yamal e Mare di Barents); oltre non c'è nulla, per il momento, e sarà difficile che ci sarà qualcos'altro, tenendo conto che la Russia ha già cominciato a mettere in moto i suoi giacimenti in Siberia, i più lontani, da quasi 10 anni. I tassi annuali di declino della produzione di gas naturale dei diversi giacimenti, come si vede, sono molto alti, con una diminuzione tipica del 50% in soli 10 anni. Inoltre, come mostra la caduta del 2009 (un anno dopo il picco del prezzo del petrolio), la produzione è molto sensibile all'investimento ed ai prezzi molto alti. Quindi non sarebbe strano che intorno al 2035, con l'accordo russo-cinese ancora a metà della propria vita, la produzione di gas russo fosse la metà di adesso e verso la fine della sua scadenza giungesse ad essere solo un quarto della produzione attuale. Anche contando su una stagnazione del consumo europeo in questi tre decenni, in quel momento la Russia dovrebbe decidere se esportare tutto il suo gas alla UE o piuttosto fornirlo in quantità parzialmente ridotte e fornire il proprio vicino del sud. Con una recessione in corso e senza poter competere col gigante asiatico, è più che probabile che l'Europa abbia tutte le possibilità di perdere in questa situazione.

Potrebbe sembrare che i problemi che avrà l'Europa con la fornitura di gas si potrebbero risolvere affidandosi di più ad altri fornitori anche vicini geograficamente, in questo caso i paesi del Golfo Persico, che sono ricchi di gas e petrolio (in Spagna si alimenta l'errore della fornitura inesauribile dall'Algeria, mentre questo paese ha già chiaramente superato il proprio picco interno di gas e petrolio). A chi pensa questo risulterà pertanto sconcertante una notizia apparsa la scorsa settimana, secondo la quale nel Golfo Persico comincia a scarseggiare il gas. Il fatto è che il gas naturale, che è stato disprezzato per anni in una zona con tanta abbondanza di petrolio, ora comincia ed essere molto ricercato perché risulta più redditizio per la produzione di elettricità e, sebbene se la notizia non lo dica, per lasciare più petrolio disponibile per l'esportazione, ora che la produzione di petrolio dell'OPEC è giunta ad un plateau dal qual non si salirà di nuovo. Ma risulta che per produrre gas naturale si deve fare un investimento in infrastrutture di stoccaggio e trasporto molto elevato, la qual cosa non è sempre facile da ammortizzare tenendo conto dei bassi prezzi del gas in confronto a quelli del petrolio (in parte perché il gas è meno versatile, più difficile da maneggiare e stoccare, più pericoloso, ecc.). In aggiunta, come riporta l'articolo, le grandi riserve di gas del Golfo Persico risultano avere un maggior contenuto di zolfo e pertanto esigono un trattamento maggiore per poter essere utilizzato. Tutto ciò si può riassumere in un modo semplice: questo gas ha un EROEI inferiore a quanto atteso, il che si traduce nel fatto che le presunte grandiose riserve di gas naturale della zona non sono, in senso netto, tanto grandiose come si presumeva (una cosa che agli economisti fa orrore comprendere). La conseguenza finale e reale di questa situazione è che il Golfo Persico, anziché essere un produttore netto di gas naturale, si sta dirigendo con passo deciso ad essere un importatore netto, per cui anziché alleviare i problemi dell'Europa, ne incrementa l'insicurezza.

E se l'Europa volesse guardare oltre Atlantico, le cose non vannomolto meglio. Non darò qui i dettagli delle ragioni per le quali è completamente assurdo pensare che gli Stati Uniti potranno esportare un giorno gas naturale in Europa; lo ha già fatto Gail Tverberg per me. Ma il fatto è che innanzitutto gli Stati Uniti avranno bisogno di aumentare le loro esportazioni di gas naturale nei prossimi anni, lasciando da parte il naufragio della bolla del fracking in atto, risulta che la EIA (che dipende dal Dipartimento per l'Energia degli Stati Uniti) stia falsificando i dati di produzione di gas naturale negli Stati Uniti, come viene spiegato in questo articolo, riassunto in questo grafico:


La fascia rossa rappresenta tutta la sovrastima di produzione di gas naturale. La cosa ironica è che la curva gialla si ottiene con i dati di produzione di ogni compagnia individualmente... che la stessa EIA rende pubblici! Come vedete, la EIA sta contribuendo a creare una falsa apparenza di abbondanza, ma l'inganno non si potrà mantenere per troppo tempo. Così non solo gli Stati Uniti non forniranno altro gas all'Europa, ma diventeranno degli ulteriori concorrenti per la preziosa risorsa.

Il gas naturale, eterna promessa di combustibile con minori emissioni di CO2, non è la soluzione a nessun problema, perché la sua disponibilità si trova già seriamente compromessa e lo sarà sempre di più negli anni a venire; non possiamo eludere il picco del gas, così come non possiamo eludere il picco del petrolio. Una politica energetica nazionale sensata dovrebbe tener conto di questo fattore, così come del tramonto del petrolio e del vicino picco dell'uranio, per preparare un vero piano di contingenza di fronte ad una transizione (non solo energetica, ma sistemica) che non può più attendere.

Saluti.
AMT

P. S.: La quarta notizia rilevante della settimana non ha a che fare col gas, ma col cosiddetto shale oil (il petrolio leggero che si estrae da rocce porose usando la tecnica del fracking). Risulta che recentemente il servizio geologico minerario degli Stati Uniti ha ribassato la sua stima delle riserve nella formazione di Monterey, California... di nientemeno che il 96%! Avete letto bene: le riserve inizialmente stimate in 15,5 miliardi di barili ora si dice che siano solo 600 milioni di barili. La cosa grave è che si stimava che la formazione di Monterey rappresentasse il 63% dello shale oil degli Stati Uniti, per cui le riserve nordamericane di shale oil oggi sono di un 60% inferiori a quello che erano la scorsa settimana... e questo finché non rivalutino il resto dei giacimenti. Il sogno ridicolo dell'indipendenza energetica degli Stati Uniti a tratti svanisce.

martedì 3 giugno 2014

La perdita di carbonio dal suolo accelera il cambiamento climatico

Da “Science Daily”. Traduzione di MR

Università del Nord dell'Arizona, 24 aprile 2014

Una nuova ricerca ha scoperto che l'aumento dei livelli di biossido di carbonio nell'atmosfera spinge i microbi del suolo a produrre più biossido di carbonio, accelerando il cambiamento climatico. Questa ricerca sfida la nostra comprensione precedente su come si accumula il carbonio nel suolo.

 Una ricerca pubblicata su Science  ha scoperto che l'aumento dei livelli di biossido di carbonio nell'atmosfera spinge i microbi del suolo a produrre più biossido di carbonio, accelerando il cambiamento climatico. 

Due ricercatori dell'Università del Nord dell'Arizona hanno condotto uno studio che sfida le conoscenze precedenti su come si accumula il carbonio nel suolo. L'aumento del livelli di CO2 accelera la crescita delle piante, che a sua volta provoca più assorbimento di CO2 attraverso la fotosintesi. Fino ad ora, l'opinione accettata era che il carbonio viene immagazzinato nel legno e nel suolo per lungo tempo, rallentando il cambiamento climatico. Tuttavia, questa nuova ricerca suggerisce che il carbonio supplementare fornisce combustibile ai microorganismi nel suolo i cui sottoprodotti (come il CO2) vengono rilasciati nell'atmosfera, contribuendo al cambiamento climatico.

“Le nostre scoperte significano che la natura non è così efficiente nel rallentare il riscaldamento globale come pensavamo in precedenza”, ha detto Kees Jan van Groenigen, ricercatore al Centro per la Scienza dell'Ecosistema e della Società alla NAU (Northern Arizona University) e autore principale dello studio. “Trascurando questo effetto dell'aumento del CO2 sui microbi del suolo, i modelli usati dal IPCC potrebbero aver sovrastimato il potenziale del suolo di immagazzinare carbonio e mitigare l'effetto serra”. Per capire meglio come rispondono i microbi del suolo alla mutevolezza dell'atmosfera, gli autori dello studio hanno utilizzato tecniche statistiche che confrontano i dati ai modelli e testano gli schemi generali fra gli studi. Hanno analizzato i risultati pubblicati di 53 diversi esperimenti nelle foreste, praterie e campi agricoli in tutto il mondo. Questi esperimenti hanno tutti misurato come il CO2 in eccesso nell'atmosfera condizione la crescita delle piante, la produzione microbica di biossido di carbonio e la quantità totale di carbonio del suolo alla fine dell'esperimento.

“Abbiamo creduto a lungo che i suoli fossero un posto stabile e sicuro per immagazzinare carbonio, ma i nostri risultati mostrano che il carbonio del suolo non è così stabile che pensavamo”, ha detto Bruce Hungate, direttore del Centro per la Scienza dell'Ecosistema e della Società alla NAU e autore dello studio. “Non dovremmo compiacerci dei continui aiuti da parte della natura nel rallentamento del cambiamento climatico”.

Fonte della storia:
La storia sopra è basata su materiali forniti dall'Università dell'Arizona del Nord. Nota: i materiali potrebbero essere modificati in contenuto e lunghezza.  

Rivista di riferimento:
1. Kees Jan van Groenigen, Xuan Qi, Craig W. Osenberg, Yiqi Luo, e Bruce A. Hungate. Faster Decomposition Under Increased Atmospheric CO2 Limits Soil Carbon Storage. Science, 2014 DOI: 10.1126/science.1249534