venerdì 17 dicembre 2010

"Quando gli scienziati prevedevano il raffreddamento globale": un'altra delle tante leggende sul clima


 La pagina iniziale di un numero del 1953 di "Scienza Illustrata. "Le calotte glaciali si ritirano ogni anno. Quando saranno fuse, il livello degli oceani si eleverà di trenta metri e molte città costiere saranno sommerse" Questo articolo, da solo, è più che sufficiente per sfatare la leggenda che vuole che gli scienziati prevedessero un'era glaciale solo poche decine di anni fa.

 
Mi è capitato in mano per caso un numero di "La scienza illustrata" che era stato di mio zio ingegnere. La copertina si è persa molto tempo fa, ma dai testi deduco che risale al 1953. Faceva parte delle mie letture quando avevo - probabilmente - meno di 10 anni e me ne ricordo quasi tutte le pagine. Ci trovo ancora le mie risposte al "Quiz a Premi" dove avevo risposto correttamente "no" alla domanda se l'iguana vive nell'Africa Orientale.

In questo numero, trovo un articolo a firma di Ugo Maraldi intitolato "Caldo al Polo" dove si parla del riscaldamento globale già in atto in quegli anni. Evidentemente, gli scienziati se ne erano già accorti, nonostante che la rete di monitoraggio delle temperature non fosse così estesa come lo è oggi. Lo vedevano dal ritiro dei ghiacci, dai cambiamenti nella vegetazione e nel comportamento degli animali.


A partire da questo ritrovamento, sono andato a cercarmi - e ho ritrovato - un libro di Ugo Maraldi che mi ricordavo aver letto in gioventù. E "Il romanzo della terra" pubblicato dalla società editrice internazionale nel 1956. Di questo libro mi ricordavo abbastanza poco ma è una specie di compendio di tutto quello che si sapeva di scienze della terra a quel tempo. Anche li', si parla del riscaldamento globale in corso.

Sia qui che nell'articolo su "Scienza Illustrata" Maraldi non sa, e non può sapere, che cosa stia causando il ritiro dei ghiacci. Non si sapeva ancora che la concentrazione di CO2 nell'atmosfera stava aumentando: il lavoro di Keeling e di Revelle doveva ancora arrivare. Quindi Maraldi attribuisce il cambiamento ai cicli orbitali, quelli di Milankovich, ma non riesce comunque a spiegare come mai si sta andando verso un riscaldamento. Di certo, già negli anni '50 si sapeva dei cicli glaciali/interglaciali e Maraldi ritiene che a lungo andare torneremo a un era glaciale, ma dice che ci vorranno ancora 20.000 anni.

Maraldi era stato prima pilota dell'aeronautica militare e poi, dopo la guerra, si era dato alla divulgazione scientifica. Non era uno scienziato e questi suoi testi sono parecchio aneddotici. Però, il suo mestiere di divulgatore lo faceva e questi testi sono abbastanza rappresentativi di quello che si sapeva di geologia a quel tempo. E il racconto di Maraldi è più che sufficiente per sfatare la vecchia leggenda che vorrebbe gli scienziati talmente confusi e inetti da aver creduto a un'era glaciale imminente solo poche decine di anni fa.

Un'altra cosa che viene fuori da questi vecchi testi è quanto abbiamo progredito in quasi 50 anni. In confronto alla moderna "scienza dei sistemi terrestri" il libro di Maraldi sembra risalire all'epoca dei Sumeri. E immaginatevi quante cose ci sono ancora da imparare e da scoprire sul clima terrestre!

giovedì 16 dicembre 2010

E meno male che doveva arrivare l'era glaciale......


Immagine di John Wahr, via "Climate Change" E' il record assoluto di decrescita dei ghiacci in Groenlandia, circa due teratonnellate (duemila miliardi di tonnellate) in meno dal 2001.

mercoledì 15 dicembre 2010

Astroturfing e il partito dei 50 centesimi


Le compagnie petrolifere organizzano adunate contro i tentativi del governo di regolare le emissioni di CO2. 

- Che cosa vogliamo? Siccità, alluvioni, ondate di calore e estinzioni di massa!! Quando le vogliamo? Ora!!

- Salvate big oil!
- Uccidi il pianeta, salva un posto di lavoro!
- Giù le mani dalla mia benzina.

da: http://dearkitty.blogsome.com/2009/08/25/big-oils-astroturfing-in-the-usa-cartoon/


E' incredibile quante cose stiamo imparando in questo dibattito sul cambiamento climatico. Mi sto sempre di più convincendo di come l' "Astroturfing" sia un'arma di confusione di massa veramente micidiale. L'intervento di persone che si nascondono dietro una facciata di buona fede per manipolare le opinioni altrui riesce a lungo andare a distruggere le convinzioni più serie e fondate.

L'astroturfing è - a livello mediatico - esattamente la stessa cosa dell' "infiltrazione" nei movimenti politici con falsi manifestanti che vengono inviati per disturbare le manifestazioni o per screditarne gli organizzatori. Ne abbiamo visto un esempio recentissimo, come leggiamo sul blog "crisis". 

Di astroturfing ne ho parlato in dei post precedenti (qui, e qui), come pure ne ha parlato Carlo Fusco (qui). Adesso, ne parla George Monbiot nell'articolo che vi passo in fondo.

Se masticate bene l'inglese, l'articolo di Monbiot è veramente illuminante. Fra le tante cose, lo sapevate che in Cina c'è il "partito dei 50 cent?" Persone pagate dal governo Cinese l'equivalente di 50 centesimi di dollaro per ogni post che scrivono per disturbare il dibattito oppure sterzarlo in direzione favorevole alle politiche governative. Non è uno scherzo, c'è davvero! (vedi, per esempio, Wikipedia e i link annessi)


50 centesimi a post? Mi fa venire in mente qualcuno, che però non è cinese......

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http://www.monbiot.com/archives/2010/12/13/reclaim-the-cyber-commons/


The internet is being captured by organised trolls. It’s time we fought back. 


By George Monbiot, published in the Guardian, 14th December 2010

They are the online equivalent of enclosure riots: the rick-burning, fence-toppling protests by English peasants losing their rights to the land. When MasterCard, Visa, Paypal and Amazon tried to shut WikiLeaks out of the cyber-commons, an army of hackers responded by trying to smash their way into these great estates and pull down their fences.

In the Wikileaks punch-up the commoners appear to have the upper hand. But it’s just one battle. There’s a wider cyberwar being fought, of which you hear much less. And in most cases the landlords, with the help of a mercenary army, are winning.

I’m not talking here about threats to net neutrality and the danger of a two-tier internet developing(1,2), though these are real. I’m talking about the daily attempts to control and influence content in the interests of the state and corporations: attempts in which money talks.

The weapon used by both state and corporate players is a technique known as astroturfing. An astroturf campaign is one that mimics spontaneous grassroots mobilisations, but which has in reality been organised. Anyone writing a comment piece in Mandarin critical of the Chinese government, for example, is likely to be bombarded with abuse by people purporting to be ordinary citizens, upset by the slurs against their country.

But many of them aren’t upset: they are members of the 50 Cent Party, so-called because one Chinese government agency pays 5 mao (half a yuan) for every post its tame commenters write(3). Teams of these sock-puppets are hired by party leaders to drown out critical voices and derail intelligent debates.

I first came across online astroturfing in 2002, when the investigators Andy Rowell and Jonathan Matthews looked into a series of comments made by two people calling themselves Mary Murphy and Andura Smetacek(4,5). They had launched ferocious attacks, across several internet forums, against a scientist whose research suggested that Mexican corn had been widely contaminated by GM pollen.

Rowell and Matthews found that one of the messages Mary Murphy had sent came from a domain owned by the Bivings Group, a PR company specialising in internet lobbying. An article on the Bivings website explained that “there are some campaigns where it would be undesirable or even disastrous to let the audience know that your organization is directly involved … Message boards, chat rooms, and listservs are a great way to anonymously monitor what is being said. Once you are plugged into this world, it is possible to make postings to these outlets that present your position as an uninvolved third party.”(6)

The Bivings site also quoted a senior executive from the biotech corporation Monsanto, thanking the PR firm for its “outstanding work”(7). When a Bivings executive was challenged by Newsnight, he admitted that the “Mary Murphy” email was sent by someone “working for Bivings” or “clients using our services”(8). Rowell and Matthews then discovered that the IP address on Andura Smetacek’s messages was assigned to Monsanto’s headquarters in St. Louis, Missouri(9). There’s a nice twist to this story. AstroTurf TM - real fake grass - was developed and patented by Monsanto.

Reading comment threads on the Guardian’s sites and elsewhere on the web, two patterns jump out at me. The first is that discussions of issues in which there’s little money at stake tend to be a lot more civilised than debates about issues where companies stand to lose or gain billions: such as climate change, public health and corporate tax avoidance. These are often characterised by amazing levels of abuse and disruption.

Articles about the environment are hit harder by such tactics than any others. I love debate, and I often wade into the threads beneath my columns. But it’s a depressing experience, as instead of contesting the issues I raise, many of those who disagree bombard me with infantile abuse, or just keep repeating a fiction, however often you discredit it. This ensures that an intelligent discussion is almost impossible - which appears to be the point(10).

The second pattern is the strong association between this tactic and a certain set of views: pro-corporate, anti-tax, anti-regulation. Both traditional conservatives and traditional progressives tend be more willing to discuss an issue than these right-wing libertarians, many of whom seek instead to shut down debate.

So what’s going on? I’m not suggesting that most of the people trying to derail these discussions are paid to do so, though I would be surprised if none were. I’m suggesting that some of the efforts to prevent intelligence from blooming seem to be organised, and that neither website hosts nor other commenters know how to respond.

For his film (Astro)Turf Wars, Taki Oldham secretly recorded a training session organised by a rightwing libertarian group called American Majority. The trainer, Austin James, was instructing Tea Party members on how to “manipulate the medium”(11). This is what he told them:

“Here’s what I do. I get on Amazon; I type in “Liberal Books”. I go through and I say “one star, one star, one star”. The flipside is you go to a conservative/ libertarian whatever, go to their products and give them five stars. … This is where your kids get information: Rotten Tomatoes, Flixster. These are places where you can rate movies. So when you type in “Movies on Healthcare”, I don’t want Michael Moore’s to come up, so I always give it bad ratings. I spend about 30 minutes a day, just click, click, click, click. … If there’s a place to comment, a place to rate, a place to share information, you have to do it. That’s how you control the online dialogue and give our ideas a fighting chance.”

Over 75% of the funding for American Majority, which hosted this training session, comes from the Sam Adams Alliance(12). In 2008, the year in which American Majority was founded, 88% of the alliance’s money came from a single donation, of $3.7m(13). A group which trains rightwing libertarians to distort online democratic processes, in other words, was set up with funding from a person or company with a very large wallet.

The internet is a remarkable gift, which has granted us one of the greatest democratic opportunities since universal suffrage. We’re in danger of losing this global commons as it comes under assault from an army of trolls and flacks, many of them covertly organised or trained. The question for all of us - the Guardian, other websites, everyone who benefits from this resource - is what we intend to do about it. It’s time we fought back and reclaimed the internet for what it does best: exploring issues, testing ideas, opening the debate.
www.monbiot.com

References:

1. http://www.guardian.co.uk/technology/pda/2010/aug/10/google-verizon-net-neutrality?INTCMP=SRCH
2. http://www.bbc.co.uk/news/technology-10961776
3. http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/asia-pacific/7783640.stm
4. http://www.powerbase.info/index.php/Andura_Smetacek
5. http://www.powerbase.info/index.php/Mary_Murphy
6. Andrew Dimock, head of the Bivings Groups Online Marketing and Promotions division, 1st April 2002. “Viral Marketing: How to Infect the World”.
The original article was here:
http://www.thebivingsreport.com/search_view_full_article.php?article_id=73

But has since been taken down. Subsequently a note says that it has been “Recently edited for clarification”: which appears to mean saying the exact opposite of what the original stated, and re-posted here:
http://www.bivingsreport.com/2002/viral-marketing-how-to-infect-the-world/
You can read extracts from the original version here:
http://www.lobbywatch.org/profile1.asp?PrId=166
7. See http://www.powerbase.info/index.php/Bivings_Group
(The original has also been taken down).
8. Newsnight, 7th June 2002.
9. http://www.powerbase.info/index.php/Andura_Smetacek
10. See also the interesting comment by SteB1, here: http://www.guardian.co.uk/world/2010/dec/04/cancun-climate-talks-kyoto-latin-america?showallcomments=true#comment-8653581
11. http://astroturfwars.org/
12. Scott K Parks, 5th October 2009. American Majority holds Dallas workshop. The Dallas Morning News.
http://www.dallasnews.com/sharedcontent/dws/news/localnews/stories/DN-americanmajority_05met.ART0.State.Edition2.4ba21b6.html

13. Karoli, 26th April 2010. American Majority: Part the astroturf to see what’s underneath. http://crooksandliars.com/karoli/american-majority-part-astroturf-see-whats

martedì 14 dicembre 2010

Stai zitto e rema!


- Hai visto su internet quell'articolo a proposito dei messaggi sul riscaldamento globale? Apparentemente il cambiamento climatico è un imbroglio.

- Stai zitto e rema.

http://blog.nj.com/njv_shenemans_sketchpad/2009/12/climate_change_is_a_hoaxor_is.html

lunedì 13 dicembre 2010

Un altro pianeta: TerraA


Bill McKibben ha notato una cosa ormai ovvia: con il cambiamento climatico la Terra non è più la stessa (immagine di Pat Rawlings). E' diventata un nuovo pianeta, che lui ha chiamato "Terraa" (Eaarth). Siamo come astronauti sbarcati su un nuovo pianeta che non sembra affatto ospitale. Ma ormai ci siamo e dobbiamo adattarci


Questo libro di Bill McKibben è un buon esempio di come si stia evolvendo il dibattito sul cambiamento climatico. Fino a non molto tempo fa, il problema sembrava ancora relativamente remoto. Sembrava che si potesse rimediare con misure relativamente semplici: consumare di meno, mettere doppi vetri qua e là, andare di più in autobus, cose del genere.

E invece il problema si è fatto drammatico, immediato, forse irrisolvibile. Ci guardiamo intorno e tutto sta cambiando intorno a noi. Siamo sbarcati su un altro pianeta e non abbiamo più il carburante per tornare indietro. Su questo nuovo pianeta dobbiamo vivere - in qualche modo - anche se non sarà facile.

La prima parte del libro di McKibben è un'esplorazione di questo nuovo pianeta, Terraa. Affascinante, in un senso che ha a che fare con il fascino dell'orrido. Terraa è un pianeta ostile e non soltanto in senso climatico. Se il clima diventa caldo, arido e inadatto alle coltivazioni, Terraa manca anche delle risorse che hanno fatto la fortuna degli umani sul loro vecchio pianeta, Terra: combustibili fossili, risorse minerali e suolo fertile. E, trovandosi litigiosi come sono, gli umani su Terraa si litigano quel poco che c'è invece di accordarsi su come utilizzarlo al meglio.

La prima parte del libro è la più interessante - anche se alquanto inquietante. La seconda parte descrive la vita su Terraa come potrebbe essere. Qui, McKibben propone piccole comunità dedite all'agricoltura biologica ma linkate da Internet. Anche questa è una parte interessante, ricca di notizie e di idee (basta solo la sezione sul compostaggio a giustificare il libro intero).

Ma questa seconda parte è anche la più debole del libro. Non sappiamo come potremo adattarci a Terraa e nemmeno se ci riusciremo. Certe soluzioni a livello individuale proposte da McKibben sembrano più adatte a contrastare il picco del petrolio piuttosto che il riscaldamento globale. Per un problema a livello planetario, sembrerebbe che una soluzione più efficace dovrebbe passare attraverso qualche tipo di accordo internazionale per limitare le emissioni. Ovvero, non basta essere virtuosi a livello individuale, ma occorre in qualche modo anche scoraggiare certi comportamenti da parte di chi virtuoso non vuole proprio essere.

Ma, fra tante possibili ipotesi, chissà, forse ci troveremo veramente tutti a coltivare patate e a scambiarsi messaggi su internet.

domenica 12 dicembre 2010

Il vertice di Cancun: in una buona causa non ci sono mai sconfitte


Se il Mahatma Gandhi fosse ancora con noi, sono sicuro che sarebbe fra i primi a combattere per l'umanità contro il cambiamento climatico. Molta della sua opera, in effetti, si legge ancora oggi come un invito alla sobrietà e a rispettare sia gli esseri umani sia tutto quanto fa parte della natura. In questo caso, mi pare che le sue parole "In una buona causa non ci sono mai sconfitte" si applicano al vertice di Cancun, recentemente concluso. I risultati non sono stati eccezionali, ma comunque sono qualcosa e in una buona causa non bisogna mai arrendersi. Qui di seguito, una riflessione di Luca Mercalli sull'argomento.



Ma i grandi vertici non servono



LUCA MERCALLI

Alla fine Cancún ha portato a casa un accordo definito «equilibrato». Tutti concordi sul fatto che contro il riscaldamento globale si debba agire, che si debbano stanziare fondi per i Paesi in via di sviluppo per la diffusione di energie rinnovabili e per la salvaguardia delle foreste. Ma la domanda è: i tempi della diplomazia sono compatibili con quelli della termodinamica?

Il sistema climatico, soggetto a implacabili leggi fisiche, è del tutto indifferente alle nostre difficoltà politiche ed economiche, e i segnali che giungono dall’ambiente sono giustamente inquietanti. La banchisa polare artica si sta riducendo al di là dei modelli più pessimisti elaborati negli scorsi anni e si ritiene che il ghiaccio marino estivo sarà pressoché scomparso verso il 2030. La concentrazione di CO2 in atmosfera è oggi di 390 parti per milione.
Mentre il valore ritenuto sicuro per evitare cambiamenti climatici inediti per la specie umana è di 350 parti per milione.

In questo contesto, anche con accordi più severi, si rischia comunque un aumento termico dell’ordine di tre gradi entro fine secolo, il che non sarà una passeggiata per la civiltà. Quindi, che fare?

Cancún e Copenhagen mostrano che l’epoca delle grandi conferenze mediatizzate e onnicomprensive è al tramonto. Troppa attesa concentrata in negoziati ora febbrili, ora stancamente trascinati, spesso bloccati su questioni formali. Meglio dunque un flusso continuo di intese multilaterali che risolvano via via le varie questioni che sorgono tra singoli Paesi o blocchi economici. Ma il vero obiettivo è la diffusione di una consapevolezza globale che porti a una corale condivisione dal basso dell’urgenza di agire, della necessità di mettere al servizio di questa enorme sfida tutti i saperi, tutte le risorse e tutta la creatività in grado di spingere la politica internazionale a fare molto di più di quanto oggi si possa immaginare.

Tocca ribaltare l’attuale criterio di delega assoluta alla politica per la soluzione dei problemi mentre nel frattempo si aspetta inerti.
Almeno nel mondo industrializzato ognuno ha la possibilità di assumersi fin da subito le proprie responsabilità: consumi sobri, efficienza energetica, pannelli solari, trasporti morigerati, riduzione dei rifiuti. Sono scelte che non hanno bisogno di aspettare né Cancún né Durban. E i migliori cervelli del mondo è ora che riflettano sull’evoluzione del modello economico e demografico imperante: la crescita infinita dei consumi e della popolazione non è infatti compatibile con la finitezza delle risorse terrestri e la stabilità del clima.

Invece che di crescita, vogliamo cominciare a parlare dell’economia in «stato stazionario»?
Cercate Herman Daly su Google





sabato 11 dicembre 2010

I fratelli Koch non demordono, ma sono in difficoltà

I fratelli Koch, padroni delle Koch Industries, sono i principali finanziatori della campagna propagandistica destinata a negare il cambiamento climatico e il ruolo dell'uomo nello stesso. Come mostra questa figura, tuttavia, sono al momento sotto attacco e, come si sa bene, in una campagna di questo genere, quando sei costretto a difendersi sei già sconfitto.

Si è sparsa rapidamente in rete la notizia che le "Koch Industries" avevano annunciato che non avrebbero più finanziato la campagna propagandistica contro la scienza del clima. Sarebbe stato un evento epocale se una delle lobby principali del petrolio e dei combustibili fossili, il "kochtopus" avesse gettato la spugna.

Ma era una bufala, abbastanza ovviamente. I fratelli Koch, proprietari della "Koch Industries" non demordono e - se lo facessero - non lo annuncerebbero in pubblico.

Ma questo comunicato è abbastanza significativo. Vuol dire che i fratelli Koch sono stati identificati come una delle forze principali dietro la campagna anti-scienza in corso. Questo è molto male per loro.

Si dice che il trucco principale del demonio è di far credere che non esiste. Lo stesso vale per la propaganda: funziona finchè il pubblico non si accorge di essere imbrogliato. Al momento in cui si rendono noti i trucchi e i mandanti, la propaganda perde efficacia; si sgonfia, svanisce.

Sembrerebbe che siamo arrivati a questo stadio nello scontro sul cambiamento climatico. Dopo l'aggressiva campagna propagandistica cominciata con il "climategate" dell'anno scorso, il fronte dell'anti-scienza sembra perdere smalto, fiato e coerenza.

Dopo il climategate, non sembra che stiano riuscendo a tirar fuori qualcosa di altrettanto efficace, a parte qualche tentativo di astroturfing per screditare gli ambientalisti con un video disgustoso, ma che si è rivelato di scarso impatto. Non li aiuta di certo il fatto che il 2010 stia risultando l'anno più caldo della storia.

Insomma, potrebbe darsi che stiamo vedendo l'inizio della sconfitta delle lobby dell'anti-scienza. Attenzione, sono ancora potenti e velenosi - bisogna starci molto attenti. Ma è una battaglia che possiamo vincere.