Contro la crisi climatica si valuta il ricorso alla geoingegneria: cos’è e cosa prevede
Una strada molto più promettente è quella dell’energia rinnovabile che, in effetti, sta crescendo in tutto il mondo con una rapidità inaspettata. Ma, anche con molto ottimismo, non ce la potremo fare a eliminare i combustibili fossili prima del 2040-2050. E anche se ci riuscissimo, potrebbe essere troppo tardi. Quindi ci vogliono strade nuove e l’attenzione di quelli che si occupano di queste cose si sta rivolgendo rapidamente verso il concetto di “geoingegneria”. Non ne sentite ancora parlare in tv o sui giornali ma, per esempio, Scientific American ha pubblicato un articolo in proposito nel suo ultimo numero. E’ probabile che fra breve troverete la geoingegneria al centro del dibattito sul clima.
Ma cos’è questa geoingegneria (a volte chiamata “ingegneria climatica”)? Per prima cosa, sgombriamo il campo dalle tante fesserie che girano sul web in proposito. La principale è quella delle cosiddette “scie chimiche”, ovvero che le innocue scie di condensazione di vapore acqueo degli aerei siano in realtà un tentativo di avvelenarci sparpagliando composti venefici. Purtroppo, a furia di diffondere sciocchezze come questa, il concetto stesso di “geoingegneria” sembra diventato una specie di babau che spaventa un po’ tutti.
L’ingegneria, di per sé, non è né buona né cattiva. Per esempio, costruire un ponte è normalmente una cosa buona, ma può anche essere un inutile e pericoloso spreco di soldi (e qui viene in mente il ponte sullo Stretto, ma non entriamo nell’argomento). E’ la stessa cosa per l’ingegneria climatica che prevede di intervenire sui parametri dell’ecosistema terrestre per rimediare ai danni fatti dalle azioni umane. Anche qui si possono fare danni se non si fa molta attenzione, ma nella situazione in cui siamo può darsi che non ci sia altra scelta.
In ogni caso, la geoingegneria non è una novità: da migliaia di anni gli esseri umani modificano il clima con le loro azioni, perlomeno da quando hanno imparato ad accendere il fuoco e a impegnarsi nell’agricoltura. Oggi, si ragiona su molti possibili interventi per gestire l’emergenza climatica. Uno è quello di schermare la radiazione solare (si chiama “Solar Radiation Management”, SRM). Ce ne sono varie versioni, alcune promettono di essere soluzioni rapide e relativamente poco costose per raffrescare la Terra. Ma è anche una strategia incerta e con possibili conseguenze negative su cose come, per esempio, il regime delle piogge.
Ci sono altre possibilità decisamente più “soft”. Una è la cattura e il sequestro del carbonio atmosferico. Si chiama “direct atmospheric capture” (DAC). L’idea potrebbe funzionare, ma è costosa, e se non la si accoppia a una riduzione rapida dell’uso dei combustibili fossili rischia di diventare qualcosa di simile alla storiella di quell’economista che aveva proposto di abolire la disoccupazione mettendo metà della popolazione a scavare buche e l’altra metà a riempirle.
Ce la possiamo ancora fare? Certo la storia recente non ci dà molte ragioni di essere ottimisti a proposito della capacità del genere umano di gestire emergenze globali. Ma non tutto è perduto; c’è ancora speranza.