Un paio di settimane fa, mi sono provato a sollevare la questione della geoingegneria sul "Fatto Quotidiano" e credo sia stata forse la prima volta che se ne è parlato su un quotidiano al di fuori delle rubriche scientifiche sul clima.
Il risultato: un flop clamoroso. Pochi l'hanno letto, quasi nessuno l'ha capito, i commenti sono stati di una banalità devastante. Immaginatevi di provare a spiegare al vostro gatto come sta che i croccantini arrivano nelle loro scatole. Al massimo vi guarderà con i suoi grandi occhi di gatto e vi dirà "miao". Più o meno, siamo a questo livello in tutto il dibattito sul cambiamento climatico.
Non che le cose vadano molto meglio nel resto del mondo, ma in Italia la divisione è fra quelli che hanno concluso con ferrea logica che "siccome ci hanno imbrogliato con il covid, ne consegue che ci stanno imbrogliando anche sul clima" e quelli dall'altra parte che invece si sono attestati sul discorso che "siccome la maggioranza degli scienziati ci crede, allora ne consegue che il cambiamento climatico è una cosa vera". Fra le due posizioni, c'è un numero incredibile di svirgolati che non sa dire altro che "ma guardate in cielo, non vedete cosa sta succedendo?" Ma gli sciachimisti non si sono fatti vivi a commentare il mio articolo che era probabilmente incomprensibile per loro
Purtroppo, qui mentre tutti si aspettano che gli arrivino i croccantini tutti i giorni, la situazione climatica si sta deteriorando in modo drammatico. Vediamo cosa succede la prossima estate. Se la tendenza alla crescita delle temperature rimane quella che si è vista questa estate, allora siamo tutti del gatto: siamo croccantini da sgranocchiare.
Dal "Fatto Quotidiano" del 16 Ottobre 2023
di Ugo Bardi
Contro la crisi climatica si valuta il ricorso alla geoingegneria: cos’è e cosa prevede
E allora, cosa fare? Certe strategie che una volta sembravano percorribili ci appaiono oggi come inutili perdite di tempo. Per esempio, il tentativo di ottenere un accordo globale su una riduzione significativa delle emissioni si sta rivelando un fallimento epocale, forse ancora peggiore di quello di instaurare il paradiso dei lavoratori in Unione Sovietica. Allo stesso modo, non sembra molto pratico pensare di poter rimediare stando al buio e al freddo e mangiando solo patate coltivate nell’orto (ed essendo anche felici di farlo).
Una strada molto più promettente è quella dell’energia rinnovabile che, in effetti, sta crescendo in tutto il mondo con una rapidità inaspettata. Ma, anche con molto ottimismo, non ce la potremo fare a eliminare i combustibili fossili prima del 2040-2050. E anche se ci riuscissimo, potrebbe essere troppo tardi. Quindi ci vogliono strade nuove e l’attenzione di quelli che si occupano di queste cose si sta rivolgendo rapidamente verso il concetto di “geoingegneria”. Non ne sentite ancora parlare in tv o sui giornali ma, per esempio, Scientific American ha pubblicato un articolo in proposito nel suo ultimo numero. E’ probabile che fra breve troverete la geoingegneria al centro del dibattito sul clima.
Ma cos’è questa geoingegneria (a volte chiamata “ingegneria climatica”)? Per prima cosa, sgombriamo il campo dalle tante fesserie che girano sul web in proposito. La principale è quella delle cosiddette “scie chimiche”, ovvero che le innocue scie di condensazione di vapore acqueo degli aerei siano in realtà un tentativo di avvelenarci sparpagliando composti venefici. Purtroppo, a furia di diffondere sciocchezze come questa, il concetto stesso di “geoingegneria” sembra diventato una specie di babau che spaventa un po’ tutti.
L’ingegneria, di per sé, non è né buona né cattiva. Per esempio, costruire un ponte è normalmente una cosa buona, ma può anche essere un inutile e pericoloso spreco di soldi (e qui viene in mente il ponte sullo Stretto, ma non entriamo nell’argomento). E’ la stessa cosa per l’ingegneria climatica che prevede di intervenire sui parametri dell’ecosistema terrestre per rimediare ai danni fatti dalle azioni umane. Anche qui si possono fare danni se non si fa molta attenzione, ma nella situazione in cui siamo può darsi che non ci sia altra scelta.
In ogni caso, la geoingegneria non è una novità: da migliaia di anni gli esseri umani modificano il clima con le loro azioni, perlomeno da quando hanno imparato ad accendere il fuoco e a impegnarsi nell’agricoltura. Oggi, si ragiona su molti possibili interventi per gestire l’emergenza climatica. Uno è quello di schermare la radiazione solare (si chiama “Solar Radiation Management”, SRM). Ce ne sono varie versioni, alcune promettono di essere soluzioni rapide e relativamente poco costose per raffrescare la Terra. Ma è anche una strategia incerta e con possibili conseguenze negative su cose come, per esempio, il regime delle piogge.
Una strada molto più promettente è quella dell’energia rinnovabile che, in effetti, sta crescendo in tutto il mondo con una rapidità inaspettata. Ma, anche con molto ottimismo, non ce la potremo fare a eliminare i combustibili fossili prima del 2040-2050. E anche se ci riuscissimo, potrebbe essere troppo tardi. Quindi ci vogliono strade nuove e l’attenzione di quelli che si occupano di queste cose si sta rivolgendo rapidamente verso il concetto di “geoingegneria”. Non ne sentite ancora parlare in tv o sui giornali ma, per esempio, Scientific American ha pubblicato un articolo in proposito nel suo ultimo numero. E’ probabile che fra breve troverete la geoingegneria al centro del dibattito sul clima.
Ma cos’è questa geoingegneria (a volte chiamata “ingegneria climatica”)? Per prima cosa, sgombriamo il campo dalle tante fesserie che girano sul web in proposito. La principale è quella delle cosiddette “scie chimiche”, ovvero che le innocue scie di condensazione di vapore acqueo degli aerei siano in realtà un tentativo di avvelenarci sparpagliando composti venefici. Purtroppo, a furia di diffondere sciocchezze come questa, il concetto stesso di “geoingegneria” sembra diventato una specie di babau che spaventa un po’ tutti.
L’ingegneria, di per sé, non è né buona né cattiva. Per esempio, costruire un ponte è normalmente una cosa buona, ma può anche essere un inutile e pericoloso spreco di soldi (e qui viene in mente il ponte sullo Stretto, ma non entriamo nell’argomento). E’ la stessa cosa per l’ingegneria climatica che prevede di intervenire sui parametri dell’ecosistema terrestre per rimediare ai danni fatti dalle azioni umane. Anche qui si possono fare danni se non si fa molta attenzione, ma nella situazione in cui siamo può darsi che non ci sia altra scelta.
In ogni caso, la geoingegneria non è una novità: da migliaia di anni gli esseri umani modificano il clima con le loro azioni, perlomeno da quando hanno imparato ad accendere il fuoco e a impegnarsi nell’agricoltura. Oggi, si ragiona su molti possibili interventi per gestire l’emergenza climatica. Uno è quello di schermare la radiazione solare (si chiama “Solar Radiation Management”, SRM). Ce ne sono varie versioni, alcune promettono di essere soluzioni rapide e relativamente poco costose per raffrescare la Terra. Ma è anche una strategia incerta e con possibili conseguenze negative su cose come, per esempio, il regime delle piogge.
Ci sono altre possibilità decisamente più “soft”. Una è la cattura e il sequestro del carbonio atmosferico. Si chiama “direct atmospheric capture” (DAC). L’idea potrebbe funzionare, ma è costosa, e se non la si accoppia a una riduzione rapida dell’uso dei combustibili fossili rischia di diventare qualcosa di simile alla storiella di quell’economista che aveva proposto di abolire la disoccupazione mettendo metà della popolazione a scavare buche e l’altra metà a riempirle.
Infine, c’è anche una “geoingegneria naturale” che è molto promettente. Si tratta di gestire gli ecosistemi in modo tale che possano influire sulla temperatura dell’atmosfera come hanno fatto egregiamente negli ultimi milioni di anni. Fra le tante cose, si comincia oggi a capire che l’effetto delle foreste sul clima è ben più complesso del semplice accumulo di carbonio. Quindi, riforestare si presenta come una buona strategia per raffrescare la terra in modo naturale e a basso costo. Lo stesso vale per gli ecosistemi marini, che possono assorbire grandi quantità di carbonio atmosferico se gestiti nel modo giusto.
Ce la possiamo ancora fare? Certo la storia recente non ci dà molte ragioni di essere ottimisti a proposito della capacità del genere umano di gestire emergenze globali. Ma non tutto è perduto; c’è ancora speranza.
Ce la possiamo ancora fare? Certo la storia recente non ci dà molte ragioni di essere ottimisti a proposito della capacità del genere umano di gestire emergenze globali. Ma non tutto è perduto; c’è ancora speranza.