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domenica 29 ottobre 2023

Geoingegneria e Scie Chimiche -- Il grande flop di Ugo Bardi





Un paio di settimane fa, mi sono provato a sollevare la questione della geoingegneria sul "Fatto Quotidiano" e credo sia stata forse la prima volta che se ne è parlato su un quotidiano al di fuori delle rubriche scientifiche sul clima. 

Il risultato: un flop clamoroso. Pochi l'hanno letto, quasi nessuno l'ha capito, i commenti sono stati di una banalità devastante. Immaginatevi di provare a spiegare al vostro gatto come sta che i croccantini arrivano nelle loro scatole. Al massimo vi guarderà con i suoi grandi occhi di gatto e vi dirà "miao". Più o meno, siamo a questo livello in tutto il dibattito sul cambiamento climatico. 

Non che le cose vadano molto meglio nel resto del mondo, ma in Italia la divisione è fra quelli che hanno concluso con ferrea logica che "siccome ci hanno imbrogliato con il covid, ne consegue che ci stanno imbrogliando anche sul clima"  e quelli dall'altra parte che invece si sono attestati sul discorso che "siccome la maggioranza degli scienziati ci crede, allora ne consegue che il cambiamento climatico è una cosa vera". Fra le due posizioni, c'è un numero incredibile di svirgolati che non sa dire altro che "ma guardate in cielo, non vedete cosa sta succedendo?" Ma gli sciachimisti non si sono fatti vivi a commentare il mio articolo che era probabilmente incomprensibile per loro 

Purtroppo, qui mentre tutti si aspettano che gli arrivino i croccantini tutti i giorni, la situazione climatica si sta deteriorando in modo drammatico. Vediamo cosa succede la prossima estate. Se la tendenza alla crescita delle temperature rimane quella che si è vista questa estate, allora siamo tutti del gatto: siamo croccantini da sgranocchiare.  


Dal "Fatto Quotidiano" del 16 Ottobre 2023
di Ugo Bardi

Contro la crisi climatica si valuta il ricorso alla geoingegneria: cos’è e cosa prevede



Non lo avete ancora letto sui giornali italiani, ma la notizia sta venendo fuori nel mondo: a livello globale, questo settembre si piazza come il mese più caldo rispetto alla media mai misurato nella storia. Con il 2024 che si prospetta ancora più caldo con l’arrivo dell’oscillazione oceanica chiamata “El Niño”, ci stiamo accorgendo che non stiamo più parlando di un problema dei nostri nipoti, e nemmeno dei nostri figli. L’emergenza climatica è qui, adesso.

E allora, cosa fare? Certe strategie che una volta sembravano percorribili ci appaiono oggi come inutili perdite di tempo. Per esempio, il tentativo di ottenere un accordo globale su una riduzione significativa delle emissioni si sta rivelando un fallimento epocale, forse ancora peggiore di quello di instaurare il paradiso dei lavoratori in Unione Sovietica. Allo stesso modo, non sembra molto pratico pensare di poter rimediare stando al buio e al freddo e mangiando solo patate coltivate nell’orto (ed essendo anche felici di farlo).

Una strada molto più promettente è quella dell’energia rinnovabile che, in effetti, sta crescendo in tutto il mondo con una rapidità inaspettata. Ma, anche con molto ottimismo, non ce la potremo fare a eliminare i combustibili fossili prima del 2040-2050. E anche se ci riuscissimo, potrebbe essere troppo tardi. Quindi ci vogliono strade nuove e l’attenzione di quelli che si occupano di queste cose si sta rivolgendo rapidamente verso il concetto di “geoingegneria”. Non ne sentite ancora parlare in tv o sui giornali ma, per esempio, Scientific American ha pubblicato un articolo in proposito nel suo ultimo numero. E’ probabile che fra breve troverete la geoingegneria al centro del dibattito sul clima.

Ma cos’è questa geoingegneria (a volte chiamata “ingegneria climatica”)? Per prima cosa, sgombriamo il campo dalle tante fesserie che girano sul web in proposito. La principale è quella delle cosiddette “scie chimiche”, ovvero che le innocue scie di condensazione di vapore acqueo degli aerei siano in realtà un tentativo di avvelenarci sparpagliando composti venefici. Purtroppo, a furia di diffondere sciocchezze come questa, il concetto stesso di “geoingegneria” sembra diventato una specie di babau che spaventa un po’ tutti.

L’ingegneria, di per sé, non è né buona né cattiva. Per esempio, costruire un ponte è normalmente una cosa buona, ma può anche essere un inutile e pericoloso spreco di soldi (e qui viene in mente il ponte sullo Stretto, ma non entriamo nell’argomento). E’ la stessa cosa per l’ingegneria climatica che prevede di intervenire sui parametri dell’ecosistema terrestre per rimediare ai danni fatti dalle azioni umane. Anche qui si possono fare danni se non si fa molta attenzione, ma nella situazione in cui siamo può darsi che non ci sia altra scelta.

In ogni caso, la geoingegneria non è una novità: da migliaia di anni gli esseri umani modificano il clima con le loro azioni, perlomeno da quando hanno imparato ad accendere il fuoco e a impegnarsi nell’agricoltura. Oggi, si ragiona su molti possibili interventi per gestire l’emergenza climatica. Uno è quello di schermare la radiazione solare (si chiama “Solar Radiation Management”, SRM). Ce ne sono varie versioni, alcune promettono di essere soluzioni rapide e relativamente poco costose per raffrescare la Terra. Ma è anche una strategia incerta e con possibili conseguenze negative su cose come, per esempio, il regime delle piogge.



Ci sono altre possibilità decisamente più “soft”. Una è la cattura e il sequestro del carbonio atmosferico. Si chiama “direct atmospheric capture” (DAC). L’idea potrebbe funzionare, ma è costosa, e se non la si accoppia a una riduzione rapida dell’uso dei combustibili fossili rischia di diventare qualcosa di simile alla storiella di quell’economista che aveva proposto di abolire la disoccupazione mettendo metà della popolazione a scavare buche e l’altra metà a riempirle.

Infine, c’è anche una “geoingegneria naturale” che è molto promettente. Si tratta di gestire gli ecosistemi in modo tale che possano influire sulla temperatura dell’atmosfera come hanno fatto egregiamente negli ultimi milioni di anni. Fra le tante cose, si comincia oggi a capire che l’effetto delle foreste sul clima è ben più complesso del semplice accumulo di carbonio. Quindi, riforestare si presenta come una buona strategia per raffrescare la terra in modo naturale e a basso costo. Lo stesso vale per gli ecosistemi marini, che possono assorbire grandi quantità di carbonio atmosferico se gestiti nel modo giusto.

Ce la possiamo ancora fare? Certo la storia recente non ci dà molte ragioni di essere ottimisti a proposito della capacità del genere umano di gestire emergenze globali. Ma non tutto è perduto; c’è ancora speranza.



mercoledì 13 settembre 2023

Una discussioncina sul clima

 


Lo so che non ci si dovrebbe mai mettere a discutere su facebook di nessuna cosa, che tanto nessuno mai cambia idea e neppure ammette di avere avuto torto. Tuttavia ho fatto un eccezione per un thread che mi è capitato davanti in un sito di amici delle foreste. Dovresti pensare che, in principio, persone che si occupano della salute delle foreste dovrebbero essere i primi a preoccuparsi delle conseguenze del riscaldamento globale. Dovrebbero andare d'accordo benissimo con i climatologi, i quali sono spesso i primi a sostenere la necessità di riforestare (con qualche eccezione, ma è un'altra storia). Invece, mi sono stupito di vedere che in quel sito gira l'idea che la scienza del clima è tutta un imbroglio, che è una scusa per chiuderci in casa come al tempo del Covid, che non c'è prova che il CO2 generi riscaldamento, Insomma, le solite cose che girano nei peggiori siti anti-scienza. 

Fra le altre cose, un membro del forum ha citato positivamente le esternazioni di John Clauser, premio Nobel per la meccanica quantistica, che si è improvvisato climatologo per sostenere che "non esiste un emergenza climatica", apparentemente perché più fa caldo più ci sono nuvole, e siccome le nuvole riflettono la luce del sole, tutto si aggiusta da se. E la scienza del clima, chissà perché, non ne tiene conto. Non entro nei discorsi di Clauser, perché non dice nulla che sia verificabile: sono solo sue opinioni non basate su dati o studi (ti verrebbe da pensare che un premio nobel avrebbe il dovere di essere un po' più rigoroso, ma lasciamo perdere). Se vi interessa una breve discussione sulle affermazioni di Clauser, le trovate sul Blog di Dana Nuccitelli

Quello di cui vi volevo parlare, invece, è di come è andata la discussione. Vedete all'inizio del post la domanda che mi fa una signora, ovvero "ci sono studi che calcolano l'effetto delle nuvole?" con la persona che aggiunge "a me non risulta."

Bene. Sono andato su Google Scholar è ho trovato 740.000 studi che citano "clouds" e "climate change". Al che la signora ha precisato che voleva solo sapere se l'effetto delle nuvole è calcolato nei modelli. Non era proprio questo, ma sono tornato su Google è ho trovato 164.000 studi che citano "clouds" e "climate models". Diciamo che mi sembrano sufficienti per confutare l'affermazione della signora che "non le risultano" studi del genere, In entrambe i casi, ho incluso delle schermate dei risultati della mia ricerca. Al che la signora mi risponde


E qui ti trovi di fronte all'abisso. A parte la maleducazione di darmi di ignorante senza ragione, a parte che sono vent'anni che mi occupo di clima e che cosa fanno e non fanno i modelli lo dovrei sapere, l'abisso è che questa signora mi accusa di aver fatto esattamente quello che una persona seria fa quando ti chiedono un informazione. Non solo rispondi, ma fornisce i dati su cui basi la tua risposta.E invece questa qui te la rigira come se fosse un'ammissione di ignoranza. Come è possibile ridursi a questo livello in una discussione?

Dopo di che la discussione è andata avanti come sempre su Facebook, con la signora che ha continuato a inistere che i modelli non prendono in considerazione le nuvole e, fra le altre cose accusandomi di "trincerarmi dietro gli studi scientifici".

Beh, ho lasciato quel gruppo e non se ne parla più. Ma alla fine dei conti che conclusioni possiamo trarre? Beh direi le seguenti

1. Non metterti mai a discutere sui social con qualcuno che ne sa meno di te di un certo soggetto. Se non ti può sconfiggere con la competenza, finisce sempre per sconfiggerti con la persistenza.

2. La vicenda del COVID ha distrutto completamente il prestigio della scienza nella mente di moltissime persone, anche intelligenti, ma che ora si trovano con il dente avvelenato e rifiutano qualsiasi ragionamento che sia vagamente basato su fatti e dati scientifici.

3. Ogni discussione razionale su problemi importanti è ormai diventata impossible. Non vale più neanche la pena di provarci. 

E allora? E allora, andrà come deve andare e avremo quello che ci meritiamo -- queste sono le regole dell'universo. 









martedì 22 agosto 2023

Addio al Pianeta Terra? Dall’autocompiacimento al panico



Il 2022 è stato l’anno che ha visto la conferma che il riscaldamento globale non solo esiste ma sta avanzando a un ritmo accelerato. Di fronte a dati come questi, la reazione logica avrebbe dovuto essere quella di spingere a fare qualcosa per evitare il peggio. Tuttavia, il risultato è stato opposto: le persone hanno ignorato questi dati o li hanno liquidati come una truffa. È un problema memetico. Figura da Ballester et Al. 2023.


La saggezza convenzionale sul clima era che il pubblico avrebbe gradualmente capito la gravità della minaccia climatica a causa dei suoi effetti sempre più evidenti: temperature più elevate, scioglimento dei ghiacci, eventi catastrofici e simili. Quindi, tutti avrebbero chiesto a gran voce che si facesse qualcosa al riguardo. 

Non sta succedendo. Ecco alcuni dati recenti di Gallup per gli Stati Uniti. La situazione non è molto diversa negli altri paesi. 


Al momento, siamo allo stesso livello di preoccupazione di 20 anni fa e i record della temperatura del 2022 e del 2023 non hanno avuto alcun impatto sulla percezione pubblica. Al contrario, da quanto si legge sui social, hanno generato una forte controreazione tra un gran numero di persone che sostengono che sia tutta una truffa per schiavizzarli. 

Quindi la saggezza convenzionale era sbagliata: non possiamo convincere gradualmente le persone che esiste un problema legato al clima. Ma potrebbe esserci un’altra possibilità: quella di un cambiamento improvviso nella percezione del pubblico generata da un evento spettacolare.

Può succedere. Nel 2020, in un paio di mesi, il pubblico è passato da un livello di preoccupazione sostanzialmente pari a zero per le infezioni virali a una percezione quasi universale di una minaccia mortale rappresentata dal virus del Covid. Un altro esempio è l'attentato al World Trade Center di New York nel settembre 2001, che ha improvvisamente aumentato la percezione di una grave minaccia terroristica. Ce ne sono molti altri.

Indipendentemente dal fatto che le minacce fossero reali o meno, questi eventi possono essere descritti come  transizioni memetiche di fase  (il termine “meme” indica un insieme di idee che si sposta da una persona all'altra). Cioè, un cambiamento rapido e completo nelle opinioni di un gran numero di persone. 

Queste transizioni fanno parte del modo in cui funziona il cervello. Sono stati notati per prima volta, forse, da James Schlesinger quando ha affermato che "le persone hanno solo due modi di agire: compiacenza e panico". Anche il cervello di altre specie sembra funzionare allo stesso modo. Ecco il principio di Schlesinger all'opera con gli uccelli. 




Alcuni uccelli stanno cercando cibo in un campo. Un uccello vede qualcosa di sospetto, vola in alto e, in un attimo, tutti gli uccelli volano via. È una transizione memetica: non cambia nulla di fisico, solo lo stato mentale degli uccelli diventa dominato dal meme che dice: "Ehi, forse c'è un predatore in giro!"

Possiamo vedere nella figura l'andamento del numero di uccelli in volo in funzione del tempo utilizzando una funzione logistica.



Il meme Covid ha attraversato una fase di transizione simile nel 2020, durata circa due anni. Da notare come all'inizio seguiva una curva che assomiglia ad una logistica, poi ha oscillato per un paio d'anni attorno ad un plateau, prima di declinare verso la scomparsa.



Ma non esiste una transizione del genere se cerchiamo su Google Trends termini relativi al riscaldamento globale. Al contrario, vediamo un costante declino per il termine “riscaldamento globale” e un aumento marginale per “cambiamento climatico”. (c'è un picco nei dati creati da Google che inserisce "cambiamento climatico" nel banner del loro motore di ricerca. Non prendetelo in considerazione).

Ciò non significa che una transizione memetica non potrebbe avvenire per il clima, ma ci sono due domande da porsi : 1) Può davvero accadere? e 2) Se ciò accadesse, sarebbe una buona cosa? La mia opinione è che la risposta ad entrambe le domande sia “no”, ma vorrei procedere con alcune considerazioni. 

Prima di tutto, che tipo di evento climatico potrebbe spingere le persone a uscire dall’autocompiacimento e portarle al panico? Finora abbiamo assistito a numerosi eventi disastrosi correlati al cambiamento climatico, ma nessuno ha generato una transizione della percezione a livello mondiale. Il problema sembra essere che esistono forti " anticorpi memetici " che impediscono alle persone di essere colpite dal meme del riscaldamento globale. Quindi, gli incendi boschivi sono attribuiti a piromani pagati dalla cabala climatica, lo scioglimento del ghiaccio è visto come parte di cicli normali, le ondate di caldo sono descritte come “normale clima estivo”, l’aumento delle temperature a misurazioni errate o vere e proprie truffe, e simili. 

La crisi Covid iniziata nel 2020 potrebbe aver rafforzato e alimentato questi anticorpi memetici, anche se sicuramente esistevano già prima. Molte persone credono in un semplice sillogismo aristotelico che recita:
 
- Il Covid era una truffa
- Covid e cambiamento climatico sono la stessa cosa
- Pertanto, il cambiamento climatico è una truffa. 

Si potrebbe sostenere che, di queste due cose, una rappresentava una minaccia di bassa entità, mentre l’altra può potenzialmente distruggere la civiltà umana. Ma le leggi della memetica sfidano le considerazioni razionali. La maggior parte delle persone non riesce a ragionare in termini di dati, né a comprendere cose come le medie, le tendenze a lungo termine, le incertezze sperimentali e simili. Ragionano secondo il principio di Schlesinger: o è compiacimento o è panico innescato da qualche evento improvviso e spettacolare. 

Non è che una transizione memetica non possa avvenire per il clima, ma richiederebbe eventi davvero eccezionali. Considerando che l’opinione pubblica ha completamente ignorato le 60.000 morti causate dall’ondata di caldo del 2022 in Europa, ne consegue che solo qualcosa di molto peggio potrebbe causare la transizione. E nessuno sano di mente lo vorrebbe. 

Ma immaginiamo che qualche evento veramente estremo scateni il panico nella percezione pubblica. Ciò genererebbe un’azione efficace contro il riscaldamento globale? Può darsi, ma dall'esempio della crisi Covid possiamo dire che il panico non porta necessariamente a buone soluzioni a un problema. Con il Covid abbiamo visto mettere in pratica molte non-soluzioni e soluzioni deboli, così come di soluzioni che hanno peggiorato il problema. Tutti questi provvedimenti hanno avuto un forte impatto negativo sulla salute, la dignità e il benessere delle persone. 

Peggio ancora, abbiamo visto che un determinato intervento era stato messo in pratica, era impossibile invertire la decisione, indipendentemente da ciò che dicevano i dati e la ricerca. La crisi del Covid è stata gestita principalmente dai politici, e i politici operano secondo un regime binario in cui non possono cambiare idea per non essere accusati di essere deboli. Possiamo solo rabbrividire all’idea di cosa potrebbe accadere se la crisi climatica fosse gestita dalle stesse persone, utilizzando gli stessi metodi. 

Speriamo che non avvenga una transizione repentina perché potrebbe peggiorare una situazione già difficile. Ma questo significa che dovremo subire il destino della rana bollita? Non necessariamente. Molte cose possono accadere e probabilmente accadranno. Ma di questo parlerò nei prossimi post. 


mercoledì 16 agosto 2023

Il Cambiamento Climatico secondo Tizio, Caio, e Sempronio

 

Immagine creata con Dezgo.com


Contributo di Fabio Vomiero



Tizio è un tipo piuttosto in gamba, ha studiato e si è laureato a pieni voti in filosofia. Ora si occupa di giornalismo, ma riveste prudentemente anche una comoda carica politica, non si sa mai con i tempi che corrono. Indubbiamente ci sa fare con le parole e anche con le persone.

I suoi scritti sono sempre ben architettati e trattano principalmente di argomenti di carattere politico e sociologico; il tono pertanto è spesso sarcastico e critico, difficilmente non condivisibile. Tizio è abituato ad avere sempre ragione, tanto sa benissimo che nessuno potrà mai dimostrare il contrario di quello che dice; è qui che prende origine la sua forza persuasiva e il suo successo.

Ogni tanto Tizio, in preda a delirio di onnipotenza, parla anche di scienza, mantenendo naturalmente quel suo irreprensibile ed immancabile piglio critico. Purtroppo non sa, o non si rende conto, che invece la scienza, per fortuna, non funziona come la politica e che generalmente gli scienziati parlano lingue e utilizzano metodi completamente diversi. Il riscaldamento globale antropico? Una bufala, quindi. Motivo? Perchè il clima è sempre cambiato e sempre cambierà, Annibale ha attravesato le Alpi con gli elefanti, i vichinghi hanno colonizzato la Groenlandia intorno all’anno 1000 d.C. quando era verde e quindi faceva più caldo e in Inghilterra, nello stesso periodo, si coltivava la vite. Inoltre è da qualche anno che gli inverni negli USA orientali e in Inghilterra sono particolarmente freddi e quindi, visto che la Corrente del Golfo si bloccherà e che l’attività solare si prenderà una pausa, entreremo presto in una nuova piccola era glaciale, altro che riscaldamento globale.

Quindi, caro uomo, tu non c’entri nulla, parola di politico, filosofo, poeta; stai pure tranquillo e goditela, pensa a cose più serie, magari alle scie chimiche, per esempio, o ai vaccini che causano l’autismo, quelle sì che sono cose di cui preoccuparsi.

Caio invece è laureato in fisica ed è oramai un po’ in là con gli anni, sa tutto di piani inclinati, cinematica, macchine di Carnot, particelle subnucleari e meccanica quantistica, se n’è occupato per tutta una vita. Dategli una leva e vi solleverà il mondo.

Purtroppo per lui, però, quel mondo nel frattempo è andato avanti e, come lui, è cambiata la scienza e il modo di fare scienza. L’era della fisica classica, del determinismo e del riduzionismo è stata in gran parte superata con il ventesimo secolo; ora il nuovo paradigma scientifico è rappresentato dalle scienze della vita in generale, non è più soltanto la fisica a farla da padrona. C’è ancora bisogno di Newton per carità, così come di ottica, di elettromagnetismo e di teoria quantistica dei campi, non si può certo farne a meno, ma ora il mondo si deve confrontare anche con una nuova forma della realtà, rappresentata dai sistemi complessi e servono pertanto nuove consapevolezze, nuove conoscenze, nuovi approcci, nuove teorie e nuovi metodi sperimentali.

Ma i tempi frastornati ed esigenti in cui viviamo, gli chiedono di esprimersi anche sul clima, nonostante la sua visione appaia evidentemente un po’ stantia, bloccata ancora allo studio della fluidodinamica e alla ricerca di equazioni e di algoritmi per tentare di spiegare ogni fenomeno naturale. Per lui non è semplice cambiare prospettiva e riuscire ad inquadrare un sistema complesso nella sua globalità e interdisciplinarità. Non è provato con assoluta certezza che la CO2 antropica sia il driver principale del riscaldamento globale, quindi… E quindi per lui il limite insuperabile diventa la conoscenza stessa del sistema, che ovviamente non potrà mai essere completa e definitiva, non esiste infatti l’equazione del clima.

Su questo hai ragione, caro Caio, ma allora visto che non esiste nemmeno l’equazione del cancro, che facciamo, rinunciamo alla ricerca medico-biologica e quindi alla speranza di trovare delle cure sempre migliori e più efficaci? Esiste forse un’equazione dell’invecchiamento o di un qualche altro processo fisiologico tipo la digestione o la funzione renale?

Sempronio invece è il classico italiano medio, ceto sociale medio, cultura media, curiosità media, indottrinamento medio, stupidità media... Rappresenta la pancia della società, come si suol dire, e in genere è abbastanza conformista, nonostante lui non si consideri affatto tale. Se una cosa esiste, o se la gente ha determinati comportamenti stereotipati, allora vuol dire che quella cosa o quel comportamento sono leciti o quantomeno innocui.

Fumare, prendere il sole tutto il giorno, consumare regolarmente alcol, mangiare merendine e carne abbrustolita alla brace in compagnia, bere bibite zuccherate, credere nell’oroscopo e nel fato. Lo dice la pubblicità, lo dicono Tizio e Caio, lo dice il dottore, lo dice il prete e via dicendo. Anche l’omeopatia dovrà quindi necessariamente funzionare per il semplice fatto che esiste; Il classico modo di ragionare degli adepti del mercato e del consumismo, altro che anticonformismo.

Ma cosa vuoi che gliene freghi allora del riscaldamento globale o dell’ambiente, l’importante è andare a fare ore di fila per il concerto, la partita, l’Expo, o farsi dieci giorni a New York o a Sharm, visto che va di moda, e al diavolo la dissenteria... Sennò poi, cosa racconto in ufficio.

E poi c’è il mutuo da pagare, il lavoro che non va, il viaggio da fare, la Zumba, l’escursione a 3000 metri, battere il record personale di corsa sui 10 km. per scongiurare l’avanzamento dell’età e dimostrare a se stessi e agli altri di essere ancora fisicamente prestanti. E’ infatti il fisico che conta, non c’è più tempo per leggere qualche saggio scientifico. Cosa vuoi che sia quindi per un po’ di CO2 in più, o il limite delle risorse, lo sviluppo insostenibile, il degrado ambientale, umano ed etico.

Molte di queste persone non si sono nemmeno accorte che il clima è cambiato anche a casa loro, perchè tanto per loro è tutto lo stesso, non ci fanno caso, hanno altro a cui pensare. Poi, quando gli chiedi cosa pensano del clima ti rispondono che d’estate ha sempre fatto caldo (32°C o 38°C per loro sono la stessa cosa) e che d’inverno fa sempre freddo uguale, al massimo, che non esistono più le mezze stagioni. Magari ti sanno dire soltanto, peraltro con invidiabile saccenza, che se anche il clima dovesse cambiare poi tornerà tutto come prima perchè sono soltanto dei cicli naturali... Gliel’ha insegnato il babbo quando erano piccoli.

Poi però, quando vengono a sapere che i figli vanno male a scuola, che bevono o assumono sostanze stupefacenti, o che il loro partner li tradisce, cadono sempre dal pero. Ma va?

Bella pancia della società che ci ritroviamo.

lunedì 31 luglio 2023

L'Europa brucia: l'energia rinnovabile può salvarci?


Figura da  Ballester et Al. 2023 che mostra le temperature medie estive in diversi Stati dell'Europa occidentale. La situazione sta rapidamente diventando drammatica e le energie rinnovabili saranno disperatamente necessarie non solo come sostituto dei combustibili fossili, ma anche come strumento di adattamento. 


Questo luglio ha visto le temperature più alte mai registrate in Europa e nel mondo. Non è un evento eccezionale ma fa parte di una tendenza. Dai un'occhiata al grafico sopra; non c'è altro modo per definirlo se non spaventoso. Se si mantiene la tendenza degli ultimi 10 anni, la temperatura media estiva in Europa continuerà ad aumentare di circa 0,14 °C ogni anno. Significa un grado in più entro il 2030 e tre gradi in più entro il 2050. E potrebbe andare molto peggio: gli autori dell'articolo hanno interpretato la crescita come lineare, ma questi sistemi complessi tendono ad andare in modo esponenziale. Forse anche l'aumento della temperatura potrebbe iniziare a ridursi. Ma è lecito ritenere che la tendenza continuerà e che l'Europa meridionale sarà particolarmente colpita. "L'Europa brucia"? Esattamente

Molte persone trovano questi dati sorprendenti. La maggior parte ha in mente l'aumento di "1,1 °C" normalmente menzionato quando si ha a che fare con il riscaldamento globale. Ma questo valore è una media globale delle temperature della terra e del mare, e il mare si riscalda meno della terra principalmente perché ha una maggiore capacità termica. Le temperature estive sulla terraferma sono un'altra storia e sono ciò che uccide le persone quando compaiono sotto forma di ondate di calore. L'estate scorsa, abbiamo avuto 60.000 morti in eccesso nell'Europa meridionale correlate alle ondate di caldo. Quest'estate le cose sembrano andare un po' meglio, ma che ne dite di un futuro con quattro gradi in più di riscaldamento? E non è solo una questione di ondate di caldo: i cambiamenti negli ecosistemi saranno profondi e irreversibili. Possiamo aspettarci siccità, desertificazione, erosione del suolo ed eventi meteorologici estremi. 

La saggezza standard è che possiamo fermare il cambiamento climatico eliminando gradualmente il consumo di combustibili fossili e quindi le emissioni di CO2. Si potrebbe fare con una migliore efficienza, risparmio energetico e diffusione di energie rinnovabili (potrebbe essere utilizzata anche l'energia nucleare, anche se con molti problemi in più). È possibile, ma potrebbe essere fatto abbastanza velocemente? Vediamo una proiezione del recente rapporto al Club di Roma " Earth for All ", un modello globale del sistema economico mondiale. 


Vedete la transizione energetica in termini di graduale eliminazione delle emissioni di CO2. Nello scenario "Giant Leap", la transizione è completata entro il 2050. Si possono vedere scenari simili, anche se più dettagliati, nei rapporti IPCC . Anche le proiezioni più ottimistiche non vedono la scomparsa dell'uso di combustibili fossili prima del 2050-2060. 

Ora, quali sarebbero gli effetti sulle temperature globali dell'eliminazione graduale dei combustibili fossili entro il 2050? Lo studio " Earth for All " modella anche questo. (gli scenari IPCC forniscono risultati simili): 


Vedi che non c'è una grande differenza tra i due scenari. Anche dopo che il consumo di combustibili fossili è stato portato a zero, nel 2050, le temperature continuano a salire per più di 30 anni . È previsto. La riduzione o addirittura l'azzeramento delle emissioni non rimuove la CO2 dall'atmosfera; impedisce solo che la sua concentrazione aumenti. Il sistema ha un certo ritardo nella risposta alla forzante climatica che lo fa riscaldare anche se le emissioni sono diventate pari a zero. Per questo motivo, la maggior parte degli scenari dell'IPCC presuppone l'utilizzo di tecnologie di sequestro del carbonio da implementare dopo il 2050, anche se nessuno sa con certezza come queste tecnologie potrebbero funzionare. Si noti inoltre che questi calcoli non tengono conto della possibilità di "punti critici" che potrebbero sbilanciare il sistema e causare cambiamenti drastici, rapidi e irreversibili.  

Il punto è che se il rapporto tra le temperature europee e quelle globali si mantiene ai valori attuali, un aumento globale di oltre 2 gradi corrisponde a circa 4 gradi in più sulla terraferma in Europa. Quindi, anche con ipotesi ottimistiche, sembra che una rapida transizione dai combustibili fossili non possa impedire cambiamenti radicali nel sistema climatico . 

Questo significa che le rinnovabili sono inutili? Per nienteLe rinnovabili, finora, sono state considerate principalmente come uno strumento per mitigare il riscaldamento globale. Cioè come strumenti per ridurre ed eventualmente eliminare le emissioni di CO2. Ma serviranno anche le rinnovabili come strumenti di adattamento. A questo punto, è chiaro che  abbiamo bisogno di energia per sopravvivere. 

In futuro, l'Europa meridionale potrebbe diventare un ambiente paragonabile a quello attuale in luoghi come Dubai, dove la  temperatura media giornaliera estiva  è di circa 34 °C. I residenti dicono che  ci sono solo tre stagioni a Dubai: primavera, estate e inferno.  In estate le persone vivono in case con aria condizionata e si spostano in veicoli climatizzati per raggiungere spazi climatizzati per lavoro o per attività sociali. Bevono acqua desalinizzata e consumano cibo importato o coltivato in zone irrigate. È perfettamente possibile  coltivare il deserto arabo , a condizione che la terra possa essere irrigata e che richieda energia.

Il Sud Europa può adottare strategie simili? Sì, ma serve energia. Dubai ha un'ampia fornitura di combustibili fossili a basso costo dai paesi vicini, sufficiente a creare gli ambienti artificiali che mantengono in vita le persone durante l'estate. Si stanno  muovendo verso le rinnovabili , ma stanno partendo da livelli molto bassi. In Europa, invece, l'approvvigionamento di combustibili fossili è limitato e costoso, ma le rinnovabili stanno già coprendo un'ampia frazione dei consumi ( oltre il 20%). Questa offerta può essere aumentata gradualmente per sostenere l'adattamento. Abbiamo bisogno di spazi climatizzati per le persone in estate, abbiamo bisogno di gestire il territorio per evitare l'erosione e la desertificazione, rimboschire aree degradate, creare bacini idrici e altro ancora. Potremmo aver bisogno di utilizzare una fermentazione di precisione alimentata da fonti rinnovabili per fornire cibo indipendentemente dall'agricoltura. 

Lo scenario di mitigazione basato sulle rinnovabili è un probabile percorso che le regioni colpite dal riscaldamento potrebbero seguire gradualmente, forse controvoglia ma costrette dalle circostanze. Le persone vorranno disperatamente l'aria condizionata anche se continuano a gridare che il riscaldamento globale non esiste o che "il clima cambia sempre". Certo, sono varie le forme che questa strategia può assumere, e può essere accompagnata da massicce migrazioni verso i Paesi del Nord e da tentativi di abbattere drasticamente CO2 dall'atmosfera. Entrambi richiederebbero enormi quantità di energia. 

Al momento, questi scenari sono politicamente tabù nella discussione in Europa. La maggior parte delle persone nella regione sembra ignorare o negare l'esistenza stessa del riscaldamento globale o considerarlo nient'altro che un fastidio minore, se non un complotto dei poteri forti per renderli schiavi. Ciò potrebbe rallentare gli sforzi per mitigarlo o per adattarsi ad esso. Alla fine, però, il cambiamento è inevitabile. Ovviamente a nessuno piace l'idea che l'Italia assomigli a Dubai tra qualche decennio, ma potrebbe andare molto peggio . 



sabato 22 luglio 2023

Finiremo tutti bolliti? Probabilmente si, ma forse ce lo meritiamo




Gira in rete un testo pubblicato su “Libero quotidiano” a firma di Fausto Gnesotto, professore all’Università di Trieste, dal titolo “Riscaldamento Globale, Perché i meteorologi sbagliano." Lo trovate a questo link 

Il testo di Gnesotto ha avuto un certo successo e si può capire anche perché. In un momento di smarrimento per una situazione climatica che si sta facendo drammatica, è un testo tranquillizzante che si basa su un'idea molto popolare: “il clima è sempre cambiato”. E’ anche scritto da qualcuno che, in linea di principio, potrebbe essere qualificato per parlare di certi argomenti. Va insieme ad altre esternazioni di persone sicuramente blasonate, anche se non esperti di clima. Per esempio, il premio nobel Carlo Rubbia ha parlato di clima in modo tranquillizzante sulla base di cose tipo gli elefanti di Annibale che attraversavano le Alpi.

Così, succede anche a persone intelligenti di veder passare il testo di Gnesotto sui social. A una rapida passata gli sembra interessante, e così cliccano su “condividi” e il testo si diffonde e va a far parte di quella nuvola di scetticismo che circonda la questione del clima oggi. 

Si, ma di cosa stiamo parlando? Lo so che ormai quando si cerca di spiegare certe cose si viene classificati immediatamente come parte del complotto globale ordito dal WEF, il World Economic Forum di Klaus Schwab, per farci mangiare insetti. Però, fatemi provare a ragionarci sopra un attimo.

Cosa dice Gnesotto? Beh, cose tipo, “Purtroppo i climatologi dell’Ipcc (che dettano legge) sono dei meteorologi che possono conoscere le temperature solo dal 1800 in poi, mentre gli unici scienziati idonei a tracciare una storia del clima sono i geologi”. Un attimo….. I climatologi sono dei meteorologi? Da quando? Senza dir male dei meteorologi, che hanno una loro specializzazione ben precisa, i climatologi NON sono meteorologi. Sono specializzazioni completamente diverse, che si sovrappongono solo parzialmente. 

Quanto poi a “conoscere le temperature solo dal 1800 in poi”, non si capisce nemmeno cosa voglia dire. Esiste un campo che si chiama “paleoclimatologia” dove lavorano scienziati con diverse specializzazioni – anche geologi, ma non solo. Ed è un campo che non parte certamente dal 1800. Spazia su miliardi di anni anche se, ovviamente, più si va indietro nel tempo, più le ricostruzioni di temperatura sono incerte.

Gnesotto dice anche che “gli unici scienziati idonei a tracciare una storia del clima sono i geologi ... coi loro carotaggi pollinici”. E, anche qui, onestamente non ci siamo proprio. Lo studio del polline è uno dei tanti strumenti usati per questi studi, ma solo uno. Senza troppo sforzarmi le meningi, ve ne posso elencare svariati altri, dalla dendrocronologia (lo studio degli anelli degli alberi) allo studio delle carote glaciali. E’ chiaro che Gnesotto è uno che a studiato pollini per tutta la vita, ma forse avrebbe dovuto o potuto prendere in considerazione che ci sono altri campi che vanno in parallelo col suo.

E qui arriviamo alla ricostruzione del clima che fa Gnesotto, parlando di “cicli di 400 anni” di caldo e di freddo. E’ “un fatto storico che il clima muta periodicamente ogni 400 anni circa.” Non è chiaro cosa intenda Gnesotto con “fatto storico” ma la sua ricostruzione è completamente sbagliata. Non esiste nessun ciclo di 400 anni nel clima terrestre, in particolare in Europa. Non vi sto a raccontare i dettagli, ma la storia che racconta Gnesotto, fra vichinghi in Groenlandia, la Peste di Giustiniano, e la piccola era glaciale, è un miscuglio di leggende raffazzonate che non hanno base quantitativa. 

Se volete capire qualcosa del clima del passato in Europa, potete consultare un articolo di Ulf Buentgen, che è un paleoclimatologo, fra le altre cose con qualifiche in geologia. Qui, trovate una ricostruzione delle temperature in Europa degli ultimi 2500 anni, e con tutta la buona volontà non ci troverete nessun ciclo di 400 anni. Se proprio vi volete divertire, potete dare un’occhiata a questo articolo del 2016 di Lüdecke e altri, che hanno fatto del loro meglio per analizzare i dati alla ricerca di cicli climatici. Forse c’è qualcosa con un periodo di 200 anni, ma niente a 400. La temperatura dell'Europa, durante questo periodo, è cambiata molto poco. Niente che abbia a che vedere con quello che sta succedendo adesso. 

Vedete quindi che con un po’ di buona volontà non è impossibile andare a capire se qualcuno parla sapendo di cosa parla, oppure no. Da notare che non sto mettendo in dubbio la competenza del Prof. Gnesotto nel suo campo, la palinologia, così come non mi azzarderei mai a mettere in dubbio la competenza di Carlo Rubbia nella fisica delle particelle. Mi sento però in grado di mettere in dubbio la competenza di Gnesotto nel campo generale della paleoclimatologia, come pure quella di Rubbia quando parla degli elefanti di Annibale.

Certo, questo richiede un minimo di lavoro e di competenza spicciola; anche solo sapere la differenza fra “meteorologo” e “climatologo” aiuta molto. Ma non basta, bisogna sapersi districare un attimo nella letteratura scientifica: se leggete che qualcuno parla di una “periodicità di 400 anni nel clima” non è che dovete essere dei paleoclimatologi esperti per andare a verificare se esiste oppure no. Però dovete essere in grado di leggere un articolo scientifico in Inglese e, se necessario, tirarlo fuori dal “paywall” dietro il quale gli scienziati lo hanno nascosto. Come se se ne vergognassero, un altro autogol della “Scienza”-

Il problema è che ben pochi hanno questo tipo di competenza. E allora, si ritorna al solito punto. Il dibattito si basa su concetti come “il tale professore ha detto questo” ma “il talaltro professore ha detto esattamente il contrario”. E quando qualcuno ti dice, " ma se gli scienziati ci hanno imbrogliato sul virus, perché dovrei credere a quello che ci raccontano sul clima?" non gli posso in coscienza dare torto. In pochi anni, la scienza ha rovinato la reputazione che si era costruita in un paio di secoli di lavoro, non solo col Covid, ma con tante altre cose.

E allora come ne usciamo? Francamente, non ne ho idea. Mi sa che se il dibattito rimane quello che è oggi, finiremo tutti bolliti. E, forse, ce lo meritiamo.

domenica 11 giugno 2023

Che Pena il Dibattito sul Clima


Dal "Fatto Quotidiano" del 24 Maggio 2023


Il disastro dell’Emilia-Romagna ha generato un’accesa discussione fra quelli che lo attribuiscono al cambiamento climatico e quelli che lo danno come dovuto alla cementificazione o ai verdi che non vogliono tagliare gli alberi. E’ parte del dibattito sul clima che, purtroppo, è degenerato in una polemica assai semplificata, per non dir di peggio. Oltre ad accusare (o scagionare) il CO2 per i fenomeni estremi, non c’è molto di più che ragionamenti sul fatto che “il clima è sempre cambiato,” e vaghi discorsi sugli elefanti di Annibale, o le Alpi prive di ghiaccio nel Medio Evo. E da questo se ne dovrebbe dedurre che il cambiamento non è colpa dell’uomo e non azzardatevi a togliermi la mia suv. Dall’altra parte, si tende a liquidare le obiezioni parlando di “negazionismo” (termine che non uso e che suggerirei a tutti di non usare) e con il concetto che “il 99% degli scienziati è d’accordo, e allora tacetevi”.

E’ un peccato che il dibattito sul clima si sia ridotto a questo basso livello. Ma è un fatto che la politica vuole certezze; pochi e semplici concetti in bianco e nero. Invece, la scienza (quella vera, non quella dei televirologi) tende sempre a sfumature di grigio. Questo è vero in particolare per la scienza del clima; una faccenda complessa e incerta, ed è proprio questo che la rende così affascinante. Forse anche i negazionisti… (oops, scusate, mi è sfuggito!) la troverebbero affascinante se avessero voglia di fare uno sforzo per capirla.

Su questo punto, vi posso raccontare di qualche sviluppo recente. Per cominciare, c’è un articolo in preparazione di James Hansen e altri che fa il punto su quello che si sa sul clima degli ultimi 66 milioni di anni, il periodo chiamato “Cenozoico”. Quello, per intendersi, dei mammiferi dopo l’estinzione dei dinosauri. E, per la felicità di quelli che dicono che “il clima è sempre cambiato”, beh, è proprio vero: all’inizio del Cenozoico le temperature erano qualcosa come 10-12 gradi più alte di oggi. Era un mondo diverso, senza ghiacci ai poli, con il livello del mare più alto di circa 60 metri rispetto all’attuale, e molte altre cose.

Il punto è, tuttavia, che il clima non cambia per caso. Ci sono delle ragioni che lo destabilizzano ed è questo il soggetto dell’articolo di Hansen. Viene fuori che siamo oggi in condizioni di concentrazioni di gas serra tali che a lungo andare potremmo tornare alle condizioni dell’inizio del Cenozoico; ovvero 10 gradi in più di temperatura, con gli annessi 60 metri di innalzamento del livello del mare. Non succederà a breve scadenza ma, quantomeno, è una strada un po’ pericolosa quella che abbiamo preso.

C’è poi di un altro articolo recente, che studia un argomento complementare, ovvero i fattori che tendono a stabilizzare il clima. Anche qui, leggiamo una storia affascinante: sono questi fattori che hanno reso possibile la sopravvivenza della vita terrestre per miliardi di anni. Questo studio è una conferma della cosiddetta “Ipotesi Gaia” presentata tempo fa da Lynn Margulis e James Lovelock. Ma non facciamoci troppe illusioni: sono fenomeni molto lenti se confrontati con l’esistenza umana. Su scale di tempi relativamente brevi – meno di qualche migliaio di anni – non compenseranno la perturbazione antropogenica attuale.

Per finire, un cenno a un articolo al quale ho contribuito anch’io sul ruolo delle foreste nella regolazione del clima e dell’umidità atmosferica. Viene fuori che le foreste stabilizzano sia il clima come le precipitazioni quando sono in buona salute e potrebbero avere un effetto benefico nell’evitare disastri come quello recente in Emilia-Romagna. Ma, anche qui, l’azione umana in termini di tagli indiscriminati e cementificazione ha fatto danni.

Tutte queste cose sono affette da inevitabili incertezze e risultano incomprensibili da chi vede il mondo in bianco e nero, come è normale nel dibattito politico. Ma, nel dubbio, io prenderei qualche precauzione. Oltre alle cose che già sappiamo su come combattere il riscaldamento globale, io lascerei anche le foreste in pace e ne pianterei di nuove.

venerdì 3 marzo 2023

Nazionalismo e Ambientalismo: una contraddizione insolubile?




Il Nazionalismo sta andando di moda, anche se con il nome un tantino più nobilitato di "sovranismo," ma è sempre la stessa cosa. Di per sè, non c'è niente di male nell'amare il proprio paese. Il problema è che la crescita del sovranismo è andata di pari passo con il declino della capacità delle istituzioni internazionali di fare qualcosa per evitare il degrado degli ecosistemi planetari, che non conoscono confini, non hanno identità culturali, e non seguono bandiere. Fra i primi a tirar fuori esplicitamente il problema è stato Daniele Conversi con il suo recente libro "Cambiamenti Climatici, Antropocene e Politica," dove suggerisce alcune possibili strategie per evitare la contraddizione. Qui, una recensione di Elena Camino.




Verso un nazionalismo «cosmopolita» Venerdì 3 Marzo 2023 

Elena Camino


La copertina del libro di Conversi

Alcuni giorni fa, presso la Casa dell’Ambiente di Torino (Corso Moncalieri 18) è stato presentato un libro dal titolo Cambiamenti climatici. Antropocene e politica (Mondadori Università, 2022). Era presente l’autore, Daniele Conversi – professore presso l’Università dei Paesi Baschi a Bilbao, Spagna – che ha conseguito un dottorato di ricerca presso la London School of Economics, e ha collaborato con varie istituzioni negli Stati Uniti e in Europa. Esperto di nazionalismi, Conversi in questi ultimi anni ha indirizzato le sue ricerche sulle relazioni, complesse e conflittuali, tra le varie espressioni di nazionalismo e gli emergenti problemi globali provocati dai cambiamenti climatici.

L’Antropocene e i nazionalismi

«Il nazionalismo è la modalità dominante di legittimazione politica e soggettività collettiva dell’era moderna» (Malesevic, 2019). «Lo Stato-nazione è la realtà politica dominante del nostro tempo» (Brubaker, 2015).

Nonostante questa realtà, che in un suo recente articolo Daniele Conversi ci ricorda, fino al 2020 nessuno studio accademico ha affrontato il tema del cambiamento climatico dalla prospettiva delle teorie sul nazionalismo. Questa considerazione mette drammaticamente in luce l’esistenza, ancora oggi, di barriere tra discipline specialistiche diverse. Da decenni ormai il problema dei cambiamenti climatici è analizzato da scienziati che si occupano di scienze fisiche, chimiche e naturali (ma anche filosofi…), tanto da aver indotto la comunità scientifica mondiale ad assegnare il nome di «Antropocene» a questo periodo della storia della Terra, così drammaticamente perturbato dalla presenza umana.

Eppure questo insieme, ormai consolidato, di conoscenze e di previsioni sul futuro dell’umanità (e del pianeta) non ha mai incrociato un aspetto cruciale delle scienze sociali, quello delle storie e delle dinamiche degli «stati» e delle «nazioni», e dei modi con cui ne vengono condizionate le vite e le relazioni tra i popoli.

Quali nazionalismi per il futuro globale?

Daniele Conversi è stato il primo studioso a esplorare questo campo di ricerca, con un articolo pubblicato nel 2020 dal titolo: The ultimate challenge: nationalism and climate change (L’ultima sfida: nazionalismo e cambiamento climatico). Dopo questo primo saggio ha approfondito la ricerca sul tema, cercando di capire se sono in atto forme di nazionalismo che siano più adeguate di altre nell’accogliere la sfida del cambiamento climatico. Insieme al collega Lorenzo Posocco ha preso in esame alcuni Stati-Nazione che di recente sono stati ufficialmente segnalati come particolarmente virtuosi nel campo della protezione ambientale.

Si tratta di Paesi scandinavi che hanno ricevuto punteggi elevati in valutazioni internazionali, come l’Environmental Performance Index (EPI), elaborato dalle università di Yale e della Columbia e pubblicato per la prima volta nel 2002. Progettato per integrare gli obiettivi ambientali delle Nazioni Unite, l’EPI prende in esame 32 indici di performance di salute ambientale calcolati per 180 Paesi.

La domanda che si sono posti Conversi e Posocco era: «Which nationalism for the Anthropocene?» (Quale nazionalismo per l’Antropocene?) ed è articolata in due questioni tra loro correlate:Il nazionalismo, che è l’ideologia dominante del nostro mondo di «stati-nazione», è compatibile con gli sforzi volti a fermare o ridurre i cambiamenti climatici e le conseguenti catastrofi ambientali?
Quali forme di governo, ispirate o meno all’ideologia nazionalista, potrebbero risultate più adatte ad affrontare la minaccia climatica che si è profilata all’orizzonte?
Tra emergenze geofisiche globali e divisioni geopolitiche

Mentre continua con le sue ricerche a cercare risposte a quelle domande, Daniele Conversi ha voluto compiere un servizio alla società, mettendo a disposizione del pubblico non specialistico (e a studiosi molto concentrati sulle proprie discipline!) una riflessione ampia e approfondita delle basi concettuali e delle ricerche finora svolte sui due temi che ritiene essenziale mettere in relazione, e di cui considera necessario lo sviluppo di un dialogo costruttivo: gli studi sulle cause e sulle previsioni dei cambiamenti climatici globali in atto, e gli studi sulla storia, sulla molteplicità e sull’evoluzione dei nazionalismi, che in varia misura influenzano le scelte politiche delle collettività umane in questo frangente storico.

Nel presentare il suo libro, pubblicato pochi mesi fa, l’autore ha sottolineato con forza l’importanza della divulgazione degli studi sui cambiamenti climatici, e sulla natura dinamica dei cambiamenti in atto sul nostro pianeta. Illustrando la struttura concettuale del suo lavoro, Conversi ha ripetutamente segnalato la necessità di un continuo aggiornamento dei dati scientifici, che pur essendo recentissimi sono già superati dal succedersi di nuovi e drammatici cambiamenti.

Nonostante la consapevolezza di una rapida obsolescenza dei dati scientifici, l’autore ha voluto dedicare la prima metà del suo libro ai risultati delle più recenti ricerche: oltre a fornire dati quantitativi, ha approfondito gli aspetti epistemologici e alle riflessioni interdisciplinari di questa nuova scienza della complessità e del limite, così poco nota al pubblico in generale e alle classi tecno-politiche dominanti. La seconda parte del libro affronta il problema della divisione geopolitica in Stati-nazione e dei loro nazionalismi incrociati, che hanno impedito finora azioni concertate per fermare la crisi, influenzando negativamente tutti gli accordi internazionali sul clima.

Nel quarto capitolo, in particolare, Conversi si interroga su come gestire questa pervasività del nazionalismo e su come cooptarlo verso una causa per cui non era stato inizialmente concepito, cioè la lotta al cambiamento climatico.

Mentre la ricerca scientifica continua a confermare le conseguenze sempre più rovinose dell’inazione – afferma l’autore – la necessità di costruire reti e alleanze globali sotto la bandiera del «cosmopolitismo di sopravvivenza» non può escludere a priori tutte le forme di nazionalismo. L’emergenza climatica e le relative crisi sono così ampie e onnicomprensive che nulla dovrebbe essere escluso a priori nello sforzo comune di cercare una via d’uscita dalla possibile catastrofe.

Una miniera di spunti

La presentazione che Daniele Conversi ha fatto del suo libro è stata lucida e appassionata, e ha suscitato interesse e curiosità da parte dei presenti, ciascuno esperto di «qualcosa» ma sicuramente ignorante su «altro». Ma la sfida lanciata dall’autore per stimolare un maggior grado di interdisciplinarietà tra gli studiosi, e per promuovere l’avvio di dialoghi davvero trans-disciplinari, si apprezza in tutta la sua complessità quando si comincia a sfogliare il suo libro. In poco più di 150 pagine vengono offerte informazioni, riflessioni, suggerimenti di letture che aiutano a vedere i problemi con sguardi nuovi, a connettere aspetti della realtà finora tenuti rigidamente separati, ad approfondire argomenti che sembravano estranei o irrilevanti.

Una bibliografia sterminata eppure tutta pertinente mette ricercatrici e ricercatori di fronte all’evidente necessità di sviluppare dialoghi con i colleghi di altre discipline, e sollecita lettrici e lettori del pubblico meno specialistico ad associare le nuove conoscenze scientifiche per ripensare le proprie scelte politiche in uno scenario di rapida trasformazione globale.

Una copia del libro sarà a breve disponibile al prestito presso la Biblioteca del Centro Studi Sereno Regis di Torino.



mercoledì 8 febbraio 2023

Gaia in movimento: l'ascesa delle scimmie della savana

 Da "The Proud Holobionts"

Non esistono scimmie boreali. O forse, ne esiste solo una, ma non è non esattamente una scimmia!


I primati sono creature arboree che si sono evolute nell'ambiente caldo delle foreste dell'Eocene. Usavano i rami degli alberi come rifugio e potevano adattarsi a vari tipi di cibo. Ma, dal punto di vista di questi antichi primati, la riduzione dell'area occupata dalle foreste tropicali iniziata con la " Grande Coupure," circa 30 milioni di anni fa, fu un disastro. Non erano attrezzati per vivere nelle savane: erano lenti a terra: un facile pranzo per i predatori dell'epoca. Inoltre, i primati non colonizzarono mai le foreste settentrionali della taiga eurasiatica. Molto probabilmente non perché non potessero vivere in ambienti freddi (alcune scimmie di montagna moderne possono farlo), ma perché non potevano attraversare la steppa che separava le foreste tropicali da quelle settentrionali. Se per caso ci hanno provato, i carnivori della steppa hanno fatto in modo che non ci riuscissero.  

Alla fine, le scimmie furono costrette a trasferirsi nella savana. Durante il Pleistocene, circa 4 milioni di anni fa, apparvero in Africa gli Australopitechi, (fonte immagine ). Possiamo chiamarle le prime "scimmie della savana". Parallelamente, forse un po' più tardi, si è evoluto in Africa anche un altro tipo di scimmia che viveva nella savana, il babbuino. All'inizio, australopitechi e babbuini probabilmente praticavano tecniche di vita simili, ma col tempo si svilupparono in specie molto diverse. I babbuini esistono ancora oggi: sono una specie robusta e adattabile che, tuttavia, non ha mai sviluppato le caratteristiche speciali degli australopitechi che li hanno trasformati in esseri umani. Le prime creature che classifichiamo come appartenenti al genere Homo, l' homo habilis, sono apparse circa 2,8 milioni di anni fa. Erano abitanti della savana. 

Questo ramo di scimmie della savana ha vinto il gioco della sopravvivenza attraverso una serie di innovazioni evolutive. Hanno aumentato le loro dimensioni corporee per una migliore difesa, hanno sviluppato una posizione eretta per avere un campo visivo più esteso, hanno potenziato il loro metabolismo eliminando i peli del corpo e usando la sudorazione profusa per rinfrescarsi, hanno sviluppato linguaggi complessi per creare gruppi sociali per la difesa dai predatori, e hanno imparato a realizzare strumenti di pietra adattabili a diverse situazioni. Infine, hanno sviluppato uno strumento che nessun animale sulla Terra aveva mai imparato prima: il fuoco. Nel giro di poche centinaia di migliaia di anni, si sono diffuse in tutto il mondo dalla loro base iniziale in una piccola area dell'Africa centrale. Le scimmie della savana, ora chiamate "Homo sapiens," furono uno straordinario successo evolutivo. Le conseguenze sull'ecosistema sono state enormi.

Innanzitutto, le scimmie della savana hanno sterminato la maggior parte della megafauna, i grandi erbivori che popolavano le steppe e le savane. Gli unici grandi mammiferi sopravvissuti all'assalto furono quelli che vivevano in Africa, forse perché si sono evoluti insieme agli australopitechi e hanno sviluppato specifiche tecniche di difesa. Ad esempio, le grandi orecchie dell'elefante africano sono un sistema di raffreddamento destinato a rendere gli elefanti in grado di far fronte all'incredibile resistenza dei cacciatori umani. Ma in Eurasia, Nord America e Australia, l'arrivo dei nuovi arrivati ​​è stato così rapido e inaspettato che la maggior parte dei grandi animali è stata spazzata via. 

Eliminando i megaerbivori, le scimmie avevano, teoricamente, dato una mano ai concorrenti dell'erba, delle foreste, che ora avrebbero avuto più facilità a invadere i prati senza vedere calpestati i loro germogli. Ma anche le scimmie della savana avevano assunto il ruolo di megaerbivori. Hanno usato gli incendi con grande efficienza per disboscare le foreste per fare spazio alla selvaggina che cacciavano. In seguito, con lo sviluppo della metallurgia, le scimmie riuscirono ad abbattere intere foreste per fare spazio alla coltivazione delle specie erbacee che nel frattempo avevano addomesticato: grano, riso, mais, giura e molte altre. 

Ma le scimmie della savana non erano necessariamente nemiche delle foreste. Parallelamente all'agricoltura, gestivano anche intere foreste come fonti di cibo. La storia delle foreste di castagno del Nord America è oggi quasi dimenticata ma, circa un secolo fa, le foreste della regione erano in gran parte  formate da alberi di castagno  piantati dai nativi americani come fonte di cibo ( fonte immagine). All'inizio del XX secolo, il castagneto fu devastato dalla "peronospora del castagno", una malattia fungina originaria della Cina. Si dice che siano stati distrutti circa 3-4 miliardi di castagni e, ora, il castagneto non esiste più. Il castagneto americano non è l'unico esempio di foresta gestita, o addirittura creata, dall'uomo. Anche la foresta pluviale amazzonica, a volte considerata un esempio di foresta "naturale", mostra segni di essere stata gestita in passato dai nativi amazzonici come fonte di cibo e altri prodotti. 

L'azione delle scimmie della savana è sempre stata massiccia e, nella maggior parte dei casi, si è conclusa con un disastro. Anche gli oceani non erano al sicuro dalle scimmie: riuscirono quasi a sterminare le balene, trasformando vaste aree degli oceani in deserti. A terra, intere foreste furono rase al suolo. Ne seguì la desertificazione, provocata da "mega siccità" quando il ciclo delle piogge non era più controllato dalle foreste. Anche quando le scimmie risparmiavano una foresta, spesso la trasformavano in una monocoltura, soggetta ad essere distrutta dai parassiti, come dimostra il caso dei castagneti americani. Eppure, in un certo senso, le scimmie stavano facendo un favore alle foreste. Nonostante le enormi perdite causate da seghe e accette, non sono mai riusciti a  sterminare completamente una specie di albero , anche se oggigiorno alcune sono in grave pericolo di estinzione. 

L'azione più importante delle scimmie in tempi recenti è la loro abitudine di bruciare specie di carbonio sedimentate che erano state rimosse dall'ecosfera molto tempo prima. Le scimmie chiamano queste specie di carbonio "combustibili fossili." Hanno trovato una vero tesoro sepolto usando l'energia immagazzinata in questo antico carbonio senza la necessità di passare attraverso il lento e laborioso processo di fotosintesi. Così facendo, hanno innalzato la concentrazione di CO2 nell'atmosfera a livelli che non si vedevano da decine di milioni di anni prima. Questo carbonio è cibo gradito per gli alberi, che ora si stanno riprendendo dalla loro precedente situazione difficile durante il Pleistocene, quando la concentrazione di CO2 era talmente bassa da mettere a rischio il meccanismo fotosintetico detto "C3", quello usato dagli alberi. In questo modo, le foreste stanno riconquistando alcune delle terre che avevano perso a causa dell'invasione dell'erba. Nel nord dell'Eurasia, la taiga si sta espandendo e sta gradualmente eliminando la vecchia steppa dei mammut. Stiamo vedendo la tendenza a un ritorno del verde nel deserto del Sahara. 

Il problema, però, è che l'aumento della concentrazione di biossido di carbonio sta portando la terra a una nuova situazione di equilibrio di temperature molto elevate che non si vedeva dal lontano Eocene. E' una Terra diversa quella che le scimmie della savana stanno creando, e lo stanno facendo senza rendersene conto. E senza nemmeno rendersi conto che loro stesse potrebbero non sopravvivere alla trasformazione. 

Quello che le scimmie della savana hanno potuto fare è stata probabilmente una sorpresa per la stessa Gaia, che ora deve  essere lì a grattarsi la testa, chiedendosi cosa sia successo alla sua amata Terra. E cosa succederà ora con l'aumento delle temperature che sembra essere inarrestabile? Ci sono diverse possibilità, inclusa un'estinzione catastrofica della maggior parte dei vertebrati, o forse di tutti. O, forse, una nuova esplosione evolutiva potrebbe sostituirli con forme di vita completamente nuove. Quello che possiamo dire è che l'evoluzione ha "messo il turbo" in questa fase dell'esistenza del pianeta Terra. I cambiamenti saranno molti e molto rapidi. Non necessariamente piacevoli per le specie esistenti ma, come sempre, Gaia ne sa più di noi.