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venerdì 12 febbraio 2016

Il cattivo Antropocene


C'è chi parla del "buon Antropocene", ma sembra che ci siano grossi problemi con questa idea (UB)


Da “Chronìques del l'Anthopocéne”. Traduzione di MR (via Jacopo Simonetta)

Di Alain Grandjean

L'Antropocene è una nuova era geologica caratterizzata dall'impatto sempre più determinante delle attività umane sui grandi equilibri della biosfera e da una pressione considerevole sulle risorse naturali. Abbiamo avviato delle dinamiche esponenziali su tutti i fronti: emissioni di gas ad effetto serra, uso di energie fossili, consumo di acqua, degrado dei suoli, deforestazione, distruzione delle risorse ittiche, erosione della biodiversità, dispersione di prodotti tossici e/o ecotossici...

Consumo energetico e demografia

Cominciamo dalla demografia. Nel 1800, l'umanità celebra il suo primo miliardo d'individui, dopo
I tre periodi della demografia umana
 essersi moltiplicata per 5 in 1800 anni, Se le ci sono voluti milioni di anni per diventare demograficamente miliardaria, il suo secondo miliardo le ha richiesto 130 anni, il suo terzo 30 anni, il suo quarto 15 anni, il suo quinto e sesto 12 anni ciascuno. Le proiezioni per il 2050 [1] conducono a degli effettivi compresi fra i 9 e i 10 miliardi.

In parallelo, la capacità dell'umanità di trasformare il proprio ambiente si è moltiplicata, grazie alla potenza termodinamica delle sue macchine. Nel 1800, l'umanità consumava circa 250 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) [2], vale a dire un quarto di TEP a persona. Questo consumo è stato moltiplicato nei 200 anni seguenti per più di 40, mentre la popolazione si è moltiplicata per 6: il consumo individuale è cresciuto di un fattore dell'ordine di 7 [3]. Oggi consumiamo più di 13 miliardi di TEP...

Questa doppia crescita (demografica e della potenza disponibile) permette all'umanità di appropriarsi di una parte di un quarto della produzione primaria di biomassa [4] e del 40% della produzione primaria terrestre valutata in circa 120 miliardi di tonnellate all'anno.

Consumo di risorse ed emissione di inquinanti

L'80% delle nostre energie è di origine fossile, la cui combustione emette del CO2, un gas ad effetto serra. I “climatologi” [5] comprendono sempre meglio i meccanismi e le conseguenze della deriva climatica, anche se le incertezze rimangono ancora grandi. La deriva climatica attuale è legata alle emissioni di gas ad effetto serra (GES), cioè, nel 2010, circa 50 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente [6] all'anno di cui il 60% circa sono di biossido di carbonio provenienti dalla combustione di energia fossile (carbone, petrolio e gas). Dopo la metà del XIX secolo, l'umanità ha emesso 2.000 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio.

La concentrazione di questo gas è passata da 280 ppm [7] (un livello stabile in media per 400.000 anni) a 400 ppm nel 2013. In effetti la biosfera (principalmente gli oceani e i vegetali) non assorbono che 12 miliardi di tonnellate all'anno. E' livello di emissioni al quale bisognerebbe giungere per far sì che l'aumento di temperatura si arresti.

Molti minerali sono sfruttati in proporzioni insostenibili. Facciamo un esempio, quello dell'acciaio, seguendo la dimostrazione di  François Grosse [8]. Annualmente produciamo una cifra nell'ordine del miliardo di tonnellate di accia, cioè 30 volte di più che all'inizio del XX secolo. La crescita è stata, in quel periodo, di circa il 3,5% all'anno. A questo ritmo, la produzione cumulativa di acciaio in un secolo è uguale a 878 volte la produzione del primo anno. Se si prolunga questa tendenza, la produzione annuale sarà moltiplicata per 100 ogni 135 anni. Si produrrebbero quindi, in 270 anni, 10000 volte più acciaio di oggi! Inutile essere troppo precisi sulla stima delle riserve di minerali di ferro per comprendere che un ritmo del genere è impossibile da mantenere, persino per un minerale così abbondante!

Ogni anno vengono liberate 160 milioni di tonnellate di biossido di zolfo, cioè più del doppio delle emissioni naturali [9]

Siamo capaci di spostare ogni anno tanti materiali quanto i meccanismi naturali (erosione annuale, vulcanesimo, attività tettonica), cioè nell'ordine dei 40 miliardi di tonnellate all'anno.

Era del muco, sesta grande estinzione, erosione, acqua dolce…

Secondo il Millenium Ecosystem Assessment, [10] il tasso d'estinzione delle specie è da 50 a 500 volte più alto del tasso “naturale” (le stime più recenti portano questa cifra probabilmente a 1.000). Siamo all'inizio di quella che il biologo Edward Wilson ha proposto di chiamare la sesta estinzione [11] (la vita precedente dalla sua apparizione sulla Terra ha conosciuto cinque grandi estinzioni). Limitandoci alla sola pesca, peschiamo ogni anno 90 milioni di tonnellate ed abbiamo raggiunto dopo 20 anni un picco che non possiamo superare malgrado la crescente potenza dei nostri pescherecci. Il professor Daniel Pauly [12], esperto internazionale di risorse ittiche, stima che rischiamo di entrare, per quanto riguarda gli oceani, nell'era del muco, in cui regnano le meduse e i batteri, a causa della distruzione dei loro predatori.

Gli oceani vengono trasformati in una gigantesca discarica. Una zona gigantesca di rifiuti larga
Sfruttamento attuale delle risorse ittiche
centinaia di migliaia di km2 è stata scoperta nel Pacifico dall'oceanografo Charles J. Moore. Una pattumiera della dimensione del Texas è stata a sua volta individuata nell'Oceano Atlantico.

Dall'inizio dell'agricoltura le foreste hanno perso una superficie difficile da valutare, ma sull'ordine del 15-45%. 450 milioni di ettari sono scomparsi dalle regioni tropicali fra il 1960 e il 1990. Il bilancio delle risorse idriche è ugualmente difficile da fare e ha senso solo a livello regionale. Utilizziamo ogni anno la metà delle risorse d'acqua dolce disponibili, degradandone generalmente la qualità quando la restituiamo agli ecosistemi. Mac Neill cita la stima seguente che è ugualmente significativa: il consumo di acqua alla fine del XX secolo rappresenta il 18% della quantità di acqua dolce che scorre sul pianeta e l'utilizzo diretto o indiretto ne rappresenta il 54%. Nel 1700, l'umanità prelevava annualmente 110 km3 d'acqua per abitante, nel 200 ne prelevava 5190 km3, cioè 7 volte di più. A questo ritmo anche l'acqua, una risorsa molto abbondante sul pianeta, potrebbe venir meno.

La situazione non è migliore sul fronte dei suoli. Circa un quarto delle terre utilizzate dall'umanità sono degradate [13] ? “Perdiamo ogni anno lo 0,5% del nostro capitale di suolo, sottraendone diverse migliaia di ettari per l'accrescimento delle nostre città e delle nostre strade, perdendone a causa del nostro inquinamento e per salinizzazione, per erosione”. La rovina progressiva dei suoli ci condurrà a nuove carestie. Ultimo elemento di questa rapida panoramica: abbiamo prodotto e disseminato più di 100.000 nuove molecole, delle quali alcune sono molto pericolose per la salute umana e/o per gli ecosistemi (fra questi i mille esempi di neonicotinoidi che uccidono le api o gli interferenti endocrini fortemente cancerogeni). Il nostro pianeta è diventato letteralmente tossico [14].

Cause dell'Antropocene

Come comprendere questa ferocia dell'umanità nel distruggere le condizioni della sua stessa vita? Tre grandi cause mi sembrano all'origine di questo comportamento: la cultura no-limits, la rivoluzione scientifica e il dogma neoliberale.

La “cultura no-limits”: consumismo, tecno-ottimismo e cinismo

La nostra civiltà è caratterizzata da diverse credenze letali. Siamo individualisti, facciamo della libertà un assoluto e rifiutiamo i limiti. Economicamente è Bernard Mandeville, con la sua favola delle api che ha fatto il primo passo verso un mondo assurdo in cui si suppone che i vizi privati generino le virtù collettive. L'apologia del consumo e della crescita, una cosa tira l'altra, è risultata alla base del consumo del pianeta che caratterizza l'antropocene.

La Favola delle api (1715) segna una vera e propria rottura antropologica. Tutte le civiltà, tutte le culture umane, tentano di disciplinare quello che i greci chiamavano la hubris, l'eccesso. Le morali ed altre regole religiose o sociali, presenti in tutte le culture, sono tutte concepite per evitare che l'uomo si metta a “debordare”, a mettere la sua intelligenza al servizio delle proprie passioni. Nelle civiltà di tipo sciamanico o animista ciò che viene ricercato è un equilibrio fra l'uomo e la natura. Mandeville inverte quest'ordine di cose e trasforma in valore ciò che veniva considerato come un grave errore. Il rifiuto dei limiti ora pervade la nostra cultura, in tutti i campi, e si declina in credenze:

  • La scienza e la tecnologia risolvono tutti i problemi 
  • Tutto ciò che è scientificamente concepibili deve essere ricercato e sperimentato
  • I prodotti devono essere sempre nuovi, quindi diventano obsoleti in fretta (spreco senza limiti) e sempre di più usa e getta
  • L’innovazione incessante è il motore del progresso e della soddisfazione
  • E' proibito proibire
  • Tutto è possibile
  • L’arte in sé deve essere trasgressiva

Questo dei limiti è nutrito dal progresso delle scienze e delle tecniche è all'origine di un profondo paradosso. Di fronte a distruzioni di massa dell'ambiente permesse dalle scienze e dalle tecniche, queste sono presentate dai“tecno-ottimisti” come la fonte della soluzione ai problemi che esse stesse hanno creato. E' la scienza che ci salverà trovando nuove fonti di energia (la fusione nucleare, per esempio, o l'idrogeno). Questo paradosso si basa infatti su un valore (il rifiuto dei limiti) ed una credenza (la capacità di trovare una risposta a tutti i problemi creati) ma per niente su delle prove. Gli industriali, gli uomini del marketing, sanno sfruttare questo rifiuto dei limiti in tutti i campi del consumo:

  • la cosmetica, che permette di non vedersi invecchiare o di attenuare i segni dell'età
  • il cibo, dove diventa possibile soddisfare tutti i gusti, di fare invogliare sempre di più, per poi degenerare a volte in obesità 
  • i prodotti che danno dipendenza come il tabacco e tutte le forme di droga, dall'alcol alle altre
  • i beni di consumo attuali o il rischio di affaticamento, di perdita di desiderio, vengono combattuti senza sosta e milioni di nuovi prodotti inventati ogni giorno

Il cinismo di alcuni, mosso dai loro interessi che esprimono in potere, o in soldi, è ovviamente nascosto dietro a tutti questi comportamenti e tutte queste ricerche. Il cerchio è completo: scienza, tecnologia, marketing, idealismo e cinismo si sposano per distruggere sempre più le nostre risorse e le nostre condizioni di vita, dando un'apparenza di razionalità a questo delirio collettivo.

Transumanesimo: un nuovo orizzonte?

La corrente transumanista, apogeo della cultura no-limits, applica le cose suddette all'umanità stessa e pensa di migliorare grazie alla convergenza delle tecniche NBIC. Secondo i transumanisti, il “mortalismo” sarebbe una credenza. Il loro obbiettivo di transumanisti è l'immortalità, cioè il rifiuto del “limite dei limiti”... vedete www.transhumanistes.com

La rivoluzione scientifica

Noi crediamo che la scienza e la tecnica supereranno i limiti e più in generale ci “salveranno”. Bel paradosso quando si constata che sono proprio le scienze e le tecniche che ci permettono di esercitare questa pressione antropica insopportabile sul pianeta! Ma è vero che l'efficacia del metodo sperimentale (fisica, biologia, medicina, …) e qualcosa di stupefacente, addirittura di magico! Il metodo sperimentale ha condotto a delle applicazioni in tutti i campi (dalla macchina del caffè al GPS...), cosa che ci ha permesso di mettere a punto milioni di macchine, automi e robot, di migliaia di molecole che rispondono a dei bisogni apparentemente infiniti (dalla lotta contro la sofferenza alla cosmetica passando agli schermi piatti...).

I ricercatori mettono in campo una creatività senza limiti (un milione di articoli scientifici prodotti nel mondo ogni anno, in crescita...) e talvolta rivendicato (la bioetica si scontra spesso con la domanda di ricerca a priori a tutto campo). La scienza ci ha dotati di una capacità di prevedere che potrebbe permetterci di evitare le conseguenze delle nostre attività e, probabilmente, della capacità di trasformare la Natura.

Il dogma neoliberale e il capitalismo finanziario

Il liberalismo economico si fonda sull'idea che la prosperità nasca spontaneamente dal libero gioco degli interessi e delle forze individuali. Il ruolo dello Stato sul piano economico dovrebbe limitarsi a permettere questa libertà (per il diritto di concorrenza e l'insieme dei dispositivi che permettono di applicarlo). Il liberalismo economico deriva dal CNL e ne è uno dei pilastri. Ha finito per trasformarsi in religione: i mercati diventano degli dei capaci di soddisfare tutti i nostri desideri e quindi non possono essere sorvegliati e regolamentati.

La realtà dei fatti e la teoria economica mostrano che si tratta di un dogma e che numerose situazioni necessitano dell'intervento del potere pubblico, cosa che non esclude un ruolo determinante delle imprese, della loro capacità d'innovazione e di risposta sottile ai bisogni dei loro clienti. L'economia si è vestita degli abiti della scienza, fra cui il ricorso alla matematica ed alle statistiche. Ma evidentemente il dogmatismo non viene scartato da questo semplice automatismo!

Gli anni 70 hanno visto la diffusione in tutto il mondo di un capitalismo finanziario, figlio di questo dogma, che orienta l'attività economica in direzione del brevissimo termine (per le sue esigenze eccessive di rendimento di capitale). Non smette mai di stimolare i desideri di avere sempre di più e rende infantili gli individui, controlla i media, colonizza gli spiriti e l'immaginario. Aumenta le disuguaglianze di massa.

Il capitalismo finanziario schiavizza una parte dell'attività scientifica [15]. Lotta contro tutte le regole ed ha sempre più potere per farlo. Si oppone ad ogni rilocalizzazione dell'economia e ad ogni nozione di frontiera e di limite, ed impone un libero-scambismo socialmente ed ecologicamente inaccettabili: le reti sociali e le azioni di preservazione o di ripristino dell'ambiente non sono redditizie e sono viste come delle fonti di perdita di competitività.

L’antropocene, risorse complementari

Lo abbiamo visto con qualche esempio, per chi si prende il disturbo di osservarli, gli strumenti indicano che è in arrivo una tempesta di una brutalità inaudita (vedete in particolare questa presentazione fatta per Carbone 4, ma anche il sito dell'IPCC per il clima, il sito di Manicore per l'energia, il sito dell'IPBES per la biodiversità...)

Ecco una presentazione con grafici fatta per Carbone 4

https://www.scribd.com/doc/212864517/bienvenue-en-anthropoce-neV2

Sintesi dei problemi in un libro ancora da pubblicare

http://www.scribd.com/doc/255170330/Chapitre-1-L-ine-luctable-est-en-marche

[1] Sentite per esempio Gilles Pison, Popolazione e società, N°480, luglio-agosto 2011.
[2] Una tonnellata equivalente di petrolio è l'energia contenuta in una tonnellata di petrolio: le stime di consumo energetico nel XIX secolo sono inaffidabili. Ciò che conta qui sono gli ordini di grandezza.
[3] Questa media si cela in sé enormi disparità. Un americano medio consuma circa 8 TEP all'anno, un europeo si situa invece a 4 ed un abitante dell'Africa sub-sahariana non ha accesso ad 1 TEP all'anno.
[4] Robert Barbault, Jacques Weber, La vita, che impresa! Per una rivoluzione ecologica dell'economia, Seuil, 2010.
[5] Più precisamente la comunità degli scienziati la cui disciplina (che potrebbe essere la biochimica, la modellizzazione informatica, la dinamica dei fluidi e la paleoclimatologia, fra le altre) viene mobilitata nella comprensione dei fenomeni climatici. Le informazioni di sintesi sulla deriva climatica sono fornite dall'IPCC (vedete www.ipcc.ch). Vedete http://alaingrandjean.fr/2015/01/05/le-changement-climatique-points-de-repere/
[6] Le emissioni di gas ad effetto serra vengono misurate in tonnellate di CO2 equivalenti, ogni gas che ha un potere di riscaldamento globale multiplo di quello del CO2. Una tonnellata di metano (CH4), per esempio, “equivale” a circa 25 tonnellate di CO2. Lo si esprime anche in tonnellate di carbonio. A causa del rapporto delle masse (44/12), 1 tonnellata di CO2 vale circa 3,6 tonnellate di carbonio.
[7] Ppm = parti per milione.
[8] François Grosse, “Il disaccoppiamento crescita/materie prime. Dall'economia circolare all'economia della funzionalità: virtù e limiti del riciclaggio”, Futuribles, luglio-agosto 2010, numero 365.
[9] Robert Barbault, Jacques Weber, La vita, che impresa! Per una rivoluzione ecologica dell'economia, Seuil, 2010, pagina 79.
[10] La valutazione degli ecosistemi per millenario (MEA) è uno studio di 5 anni, lanciato dall'iniziativa del segretario generale dell'ONU, Kofi Annan indirizzato alla valutazione dello stato degli ecosistemi mondiali. I lavori sono stati pubblicati nel 2005. Vedete http://www.maweb.org/fr/Synthesis.aspx.
[11] Vedete Richard Leakey e Roger Lewin, op.citata. E più di recente vedete: Raphaël BILLE Philippe CURY, Michel LOREAU, Biodiversità: verso una sesta estinzione di massa, Editore: LA VILLE BRÛLE, 2014
[12] Daniel Pauly, Cinque pezzi facili, l'impatto della pesca sugli Ecosistemi Marini, Island press, 2010.
[13] Daniel Nahon, L’esaurimento della terra, il problema del XXI secolo, Odile Jacob, 2008.
[14] André Cicolella, Pianeta tossico, Le seuil, 2013
[15] Vedete Naomi Oreskes e Erik M. Conway, I mercanti di dubbio, ovvero come un pugno di scienziati hanno mascherato la verità su dei problemi sociali quali il tabagismo e il riscaldamento climatico, Le Pommier, 2012 e Stéphane Foucart,  La fabrica della menzogna, Denoël, 2013.








lunedì 1 febbraio 2016

Laudato si, un commento tardivo.

di Jacopo Simonetta

L’enciclica "Laudato sì" ha sollevato notevole interesse ed una ridda di commenti pro e contro.    Io penso di accodarmi tardivamente per due motivi.    Il primo che la lettura ha richiesto tempo e fatica, malgrado abbia studiato solo il riassunto ufficiale in sole 63 pagine.  Diciamo che il testo non è propriamente scorrevole.   Il secondo motivo è che mi ci vuole tempo per riflettere.

Un primo punto che credo non sia stato sufficientemente considerato da molti commentatori è che le encicliche sono testi complessi che devono assolvere a numerose funzioni contemporaneamente.  Sono documenti politici funzionali sia alla politica internazionale del Vaticano, sia alla sua politica interna.   Ma sono anche documenti destinati ai sacerdoti di ogni ordine e grado per indirizzarne l’azione pastorale.    Infine sono destinati ai fedeli con il duplice scopo di  indirizzarne l’azione e la spiritualità, ma anche con quello di aggiornare via via le posizioni della Chiesa al divenire del mondo e della cultura.

Relativamente alla politica internazionale, penso che  lo scopo principale dell’enciclica fosse quello di influenzare i lavori della COP 21, creando delle difficoltà a quelli che hanno fatto naufragare le 20 conferenze precedenti: americani e cinesi in primis.

Relativamente  alla politica interna, secondo me, l’enciclica va invece  vista nel quadro assai complesso dello scontro in seno alla Chiesa fra un ala più conservatrice ed una più “terzomondista”.    Soprattutto, mi pare evidente un tentativo di mediazione fra la tradizione della curia romana ed il movimento “Teologia della Liberazione”   profondamente radicato in gran parte dell’unico continente compattamente cattolico e diffuso fra i Gesuiti sudamericani.

Per quanto attiene, invece alla funzione pastorale del documento, direi che contiene esattamente quel che poteva contenere.   Richiama ad una maggiore attenzione e cura verso il creato, ribadendo il ruolo unico e sovrano dell’uomo, unico fra le creature ad avere un’anima partecipe della natura divina.    Anzi, è proprio da questo primato dell’uomo che deriva la sua responsabilità di accorto gestore della creazione.

Questa parte del documento richiama la necessità di un dialogo costruttivo fra tutte le religioni, ma contemporaneamente stigmatizza ogni possibile deriva animista, panteista o comunque paganeggiante nel rapporto fra uomo e  creato.   Non per nulla, Terra è scritto con la maiuscola una sola volta, all'inizio, nella citazione del Cantico delle Creature da cui l’enciclica trae il nome.    In tutto i resto del documento è scritta con la minuscola malgrado si tratti del nome proprio del nostro Pianeta e non penso che sia per sbadataggine.

Insomma si raccomanda un rapporto mistico con la natura (con la minuscola) in quanto opera e dono di Dio, ma facendo bene attenzione e non confonderla con la Natura (con la maiuscola)!  Il dialogo interreligioso va bene, ma ci sono evidentemente dei limiti.

Parimenti sarebbe stato sorprendente se il testo non avesse colto l’occasione per ribadire una serie di punti chiave per la chiesa: dall'aborto al matrimonio omosessuale e numerosi altri punti particolarmente importanti per chi scrive.  Primo fra tutti il fatto che, come specificato al punto 50 e ribadito più volte altrove, la sovrappopolazione è solo una fantasia malata di alcuni.   Il numero di umani sul pianeta, si afferma, non ha niente a che fare con la crisi ecologica a livello globale.   Viceversa, si spiega, la sovrappopolazione esiste eccome a livello di singoli paesi, in particolare asiatici ed africani, ma non è questa una responsabilità loro, bensì dell’umanità intera.    Un punto di importanza politica fondamentale perché serve a sostenere che la migrazione di massa da un paese e da un continente all'altro è un diritto umano che deve essere garantito.

Si può essere d’accordo o meno con tutto questo, ma non si può certo pretendere che il capo spirituale dei cattolici scriva qualcosa rinnegando 2.000 anni di dottrina.   Tanto per cominciare, perché è lecito presumere che il Papa sia sinceramente cattolico.

Sul piano ecologico, il testo mostra un indubbio pregio, rappresentato dal ripetuto richiamo non solo al clima, ma anche all'importanza fondamentale della biodiversità e della sua conservazione.   A parer mio i termini sono ancora deboli, in rapporto a quanto sta accadendo, ma sono comunque più forti di quelli che si trovano nella maggioranza dei documenti politici.

In generale, vengono affermate cose perfettamente in linea con le conoscenze scientifiche e si fanno raccomandazioni di grandissimo buon senso.    Ma ci sono due aspetti strutturali all'intero documento che lo rendono profondamente incoerente.

Il primo è già stato citato ed ampiamente commentato da altri: la pretesa assenza di una componente demografica nella crisi globale.  

I secondo è l’asse portante dell’intero documento e viene ribadito in quasi tutti i 246 punti in cui è articolato. Cioè, il fatto che chi abusa della natura (minuscola) abusa contestualmente dei poveri e viceversa.     Insomma si stabilisce un’identità assoluta fra gli interessi degli ecosistemi e quelli dei poveri.   Per l'appunto in linea con le posizioni di buona parte del clero sudamericano, anche quando non aderisce del tutto alla “Teologia della Liberazione”.    Ne consegue che i ricchi ed i potenti hanno la responsabilità di garantire contemporaneamente lo sviluppo economico dei poveri e la conservazione del Pianeta.    Due cose che, si sostiene,  non solo sono compatibili, ma addirittura sono sinergiche, essendo lo sviluppo dei popoli il miglior sistema per garantire la conservazione della Biosfera.

Una posizione che forse è sincera da parte del Papa, ma che contrasta diametralmente con quanto oggi sappiamo del nostro Pianeta.    Il miglioramento delle condizioni di vita delle persone è infatti la principale forzante che spinge sia l’incremento della popolazione, sia quello dei consumi pro-capite.   A molti questa cosa darà fastidio, ma la formula empirica

Impatto = (Popolazione x PIL/capita x tecnologia)

pur essendo molto indicativa, è concettualmente corretta.    

Se ne deduce che, teoricamente, un aumento del numero e del tenore di vita dei poveri potrebbe  essere compensato da una drastica riduzione nei consumi dei ricchi.   Ma come si era reso conto Malthus già due secoli or sono, ciò sarebbe utile esclusivamente a condizione che la popolazione si stabilizzasse (ai suoi tempi, oggi dovrebbe necessariamente diminuire).    Con numeri dell’ordine di quelli attuali, probabilmente c’è  la possibilità di nutrire tutti, ma certamente non quella di, contemporaneamente, salvaguardare il clima e la biodiversità.

 In altre parole, l’attuale smisurata iniquità distributiva, che non ha alcun precedente storico, è effettivamente una calamità, oltre che un assurdo.    Ma l’equità distributiva si dovrebbe cercare non nel diritto dei poveri ad avere una vita migliore, bensì nel dovere dei ricchi ad averne una molto peggiore.    E non è questo che viene detto in un testo che raccomanda la parsimonia, ma in cui la parola “sviluppo” ricorre quasi due volte per pagina.

Tutto questo, devo dire era sostanzialmente quello che pensavo di trovare e che ho trovato nel documento.    Più interessante a mio avviso è quello che non c’è.  In un recentissimo libro, “Insostenibile”  di Igor Giussani,  l’autore centra un aspetto fondamentale del fallimento del movimento ambientalista nel suo insieme.   Il fatto cioè di non essere stato capace di costruire una narrativa alternativa abbastanza potente da competere con la popolarità della mitologia progressista, concrezionata nell'inconscio dell’umanità intera da decenni, quando non da secoli, di propaganda.
In assenza di una mitologia alternativa altrettanto potente, come pretendere che le persone accettino di buon grado i sacrifici necessari per salvare i propri discendenti ed il Pianeta?    E chi meglio di uno dei principali capi spirituali del mondo avrebbe potuto colmare questa lacuna?    Tanto più che, in questo, il Pontefice avrebbe avuto un vantaggio considerevole.   Che io sappia, il cuore della mistica cristiana è infatti il tema del peccato e della redenzione.   Questo sarebbe il principale insegnamento di Cristo che, secondo la Chiesa, ha immolato sé stesso sulla Croce per riuscire a farcelo capire.   Ma di tutto ciò nell'enciclica non c’è la benché minima traccia.

Eppure sappiamo bene che passeremo i prossimi cento anni a pagare gli errori che abbiamo commesso nei due secoli precedenti.   Ed in buona misura è proprio il rifiuto di questa semplice verità che impedisce ai governi ed alle persone di pensare in termini costruttivi.   Non possiamo trovare niente di utile finché continueremo a cercare una cosa impossibile, cioè un modo per salvare uno stile di vita agiato (chi lo ha) o di conquistarlo (chi non lo ha).   Dove per agiato si intende mangiare a sazietà tutti i giorni ed avere un tetto sicuro sulla testa.    Certo a qualcuno capiterà, forse a molti, ma non a tutti.    La Natura (maiuscola) non fa sconti a nessuno ed i debiti aperti con la Biosfera saranno necessariamente pagati con gli interessi.

Ora, cosa di meglio della mistica del peccato, della penitenza e della redenzione potrebbe aiutare i cristiani ad accettare questa realtà?    Un passaggio fondamentale, credo, perché consentirebbe alle persone di cambiare punto di vista, farsi una ragione delle proprie calamità ed elaborare risposte costruttive, entro i limiti del possibile.   Ma soprattutto potrebbe aiutare chi viene travolto dagli eventi a non essere travolto anche dalla Disperazione e dall'Ira (maiuscole, sono due dei 7 Peccati Capitali!)

Certo, qualcuno griderà all’ “Oppio dei popoli”, ma se così anche fosse, chi soffre davvero non disprezza gli analgesici.


lunedì 4 gennaio 2016

James Hansen, padre della consapevolezza del cambiamento climatico, definisce le trattative di Pargi “Una frode”.


Di Hugh Muir.
Articolo pubblicato su “The Guardian” del 12/12 2015 

Traduzione e chiosa di Jacopo Simonetta.


La sola menzione della trattativa parigina sul clima è sufficiente a rendere James Hansen di malumore.

L’ex-scienziato della NASA, considerato il padre della consapevolezza globale del cambiamento climatico, è un gentile e schivo signore dell’Iowa.   Ma quando parla dell’assemblea di quasi 200 nazioni a Parigi il suo comportamento cambia.

“E’ un’autentica truffa, una bufala”, dice sfregandosi la testa “E’ vera merda che dicano:  -abbiamo l’obbiettivo di due gradi di riscaldamento e quindi proveremo a fare qualcosina di meglio ogni cinque anni.-   Sono parole senza senso.    Non ci sono azioni, solo promesse.   Finché i combustibili fossili resteranno i più economici, continueranno a bruciarli”.

La trattativa, intesa a raggiungere un nuovo accordo globale sul taglio delle emissioni a partire dal 2020, ha speso molto tempo ed energia su due temi principali:

Come il mondo puntare a contenere l’aumento di temperatura fra 1,5 o 2 C sopra i livelli preindustriali.   Quale investimento deve essere concesso dai paesi ricchi alle nazioni in via di sviluppo che rischiano di essere sommerse dall'innalzamento del livello del mare e devastate dal crescere degli eventi climatici estremi.  Ma, secondo Hansen, la festa internazionale è inutile se le emissioni clima alteranti non saranno tassate su tutta la linea.   Ritiene che solo questo potrebbe forzare al ribasso le emissioni abbastanza in fretta da evitare i danni peggiori del cambiamento climatico.

Hansen, 74 anni, è appena tornato da Parigi dove ha nuovamente perorato perché sia imposto un prezzo su ogni tonnellata di carbonio da parte di tutti i maggiori emettitori  (suggerisce di  usare la parola “compensazione, perché Tassa spaventa la gente”.)   di 15 $ la tonnellata che potrebbero aumentare di 10 $ all’anno; farebbero 600 miliardi solo dagli USA).   Ma non piace a molti, neanche fra i “big green” come Hansen chiama i gruppi ambientalisti.

Hansen è stato una voce fastidiosa, ma rispettata nel campo del cambiamento climatico fin da quando divenne famoso nell'estate del 1988.   Lo scienziato della NASA, che aveva analizzato i cambiamenti del clima terrestre fin dagli anni ’70, spiegò ad una commissione parlamentare qualcosa chiamato “effetto serra” dove dei gas che intrappolano il calore e che vengono rilasciati in atmosfera avrebbero causato un riscaldamento globale con il 99% di certezza.

In un articolo del New York Times del 1988, aggiunse la radicale proposta di una “brusca riduzione nella combustione di carbone, petrolio e altri combustibili fossili che rilascino anidride carbonica."   Una richiesta familiare per coloro che hanno visto i politici sommersi dai microfoni degli intervistatori, durante le passate due settimane.

Dopo queste uscite le cose cominciarono a farsi un po’ difficili per Hansen.   Egli denuncia che la Casa Bianca ha alterato una sua successiva testimonianza, del 1989, e che la NASA designò un supervisore per verificare quello che lui diceva alla stampa.    Furono anche tenute delle conferenze stampa in cui ogni suggerimento di ridurre l’uso dei combustibili fossili fu definito come politico e non scientifico.

“Gli scienziati sono addestrati ad essere obbiettivi” dice Hansen.   “Non credo che dovremmo essere prevenuti nel parlare delle implicazioni della scienza.”    Si è pensionato dalla NASA nel 2013.   “E’ stato un motivo di frizione.   Ho continuato più a lungo di quanto volessi, un anno o due.    Avevo settant'anni, era tempo che qualcun altro mi desse il cambio.   Adesso mi sento molto meglio.”

Da essere forse il più famoso scienziato americano, Hansen è ora probabilmente il principale attivista per il clima.   E’ stato arrestato varie volte durante delle proteste fuori dalla Casa Bianca a proposito delle miniere e del controverso oleodotto Keystone.

E’ anche un professore della Columbia University.   Quando è a New York, vive vicino al campus, circondato dai libri impilati negli scaffali.   Hansen non sta rallentando – è coinvolto in un gruppo di lobbying climatica e mantiene quel tipo di atteggiamento scientifico che aiuta a mantenere la sua dignità.

Un articolo in particolare, di Luglio, dipinge un futuro particolarmente nero per chiunque viva vicino alla costa.    Hansen e 16 colleghi hanno trovato che le principali calotte glaciali, come quella della Groenlandia, si stanno sciogliendo più rapidamente del previsto, evidenziando che anche 2 C di riscaldamento sia  “molto pericoloso”.

In questo articolo, dice che Il livello del mare può rapidamente crescere fino a 5 metri sopra il livello attuale per la fine di questo secolo, se non saranno radicalmente ridotti i gas –serra.  Questo inonderà molte delle città del mondo, incluse Londra, New York, Miami e Shanghai.

“Più della metà delle principali città del mondo sono a rischio”, dice Hansen.   “Se parli coi glaciologi in privato ti dicono che temono molto di vedere un aumento del livello marino molto più importante di quello che ci dicono i modelli attuali.

“Il costo economico” di una approccio economico tradizionale alle emissioni è incalcolabile.   Potrebbe essere messa in discussione la capacità dei governi di evitare il proprio collasso.   Stiamo parlando di centinaia di milioni di rifugiati climatici da posti come il Pakistan e la Cina.   Non possiamo permettere che accada.   La civiltà si è sviluppata con una linea di costa stabile e costante”.

L’articolo è ancora in corso di revisione ed alcuni dei colleghi di Hansen, compreso il suo pupillo alla NASA - Gavin Shmidt - hanno espresso dei dubbi che il livello del mare possa essere così pericoloso, quando le proiezioni dell’IPCC danno un incremento di un metro per il 2100.

Ma le mattonate arrivano a tutti.    Hansen ritiene che Obama, che ha fatto del clima un punto chiave durante l’ultimo anno del suo mandato, ha mancato la possibilità di inquadrare il problema.
“Siamo matti a sperare che Obama risolva le cose, che sia una specie di Roosevelt e che chiacchierando davanti al camino possa spiegare al pubblico perché abbiamo bisogno di una compensazione crescente sul carbonio per spostarci sulle energie pulite,” dice.   “Non è molto bravo in questo.   Non ne ha fatto una priorità e adesso è tardi per lui.”

Hansen è caustico sui leaders repubblicani che hanno abbracciato il negazionismo climatico, fra la costernazione di alcuni anziani del partito.

I principali canditati alle presidenziali: Donald Trump, Marco Rubio e Ben Carson hanno tutti deriso l’evidenza che il mondo si sta scaldando a causa delle attività umane, mentre Ted Cruz, un altro candidato, ha dedicato tempo della sua campagna elettorale per partecipare ad una inchiesta sulla climatologia che ha ascoltato un ospite abituale delle radio di destra privo di competenze scientifiche.

“Questo è davvero imbarazzante,”   dice Hansen.   Dopo un po’, come scienziato, ti rendi conto che i politici non agiscono in modo razionale.”

"Molti dei conservatori la sanno che il cambiamento climatico non è una bufala.   Ma quelli in corsa per le presidenziali sono ostacolati dal fatto che pensano che non avranno la candidatura se dicono che questo è un problema.   Non prenderebbero più soldi delle industrie dei combustibili fossili."

Comunque, alla fine c’è una nota positiva.   La crescita delle emissioni è in qualche modo in stallo e Hansen ritiene che la Cina, il principale inquinatore mondiale, possa ora assumere quella guida che è mancata da parte degli USA,   Una Quinta Avenue sommersa e mortali ondate di calore non sono inevitabili.

“Io penso che ce la faremo perché la Cina è razionale,” dice Hansen.   “I loro capi sono perlopiù istruiti in ingegneria e cose simili, non negano il cambiamento climatico ed hanno un forte incentivo, che è l’inquinamento dell’aria.   Nelle loro città è talmente terribile che devono per forza andare verso le energie pulite.   Hanno capito che non è una bufala, ma hanno bisogno di cooperazione”.



(nota di JS) A chiosa di questo articolo, vorrei ricordare alcuni passaggi importanti e azzardare un pronostico.  

  • La prima osservazione è che il commento “Il risultato non è il massimo, ma si può migliorare ed è comunque un buon punto di partenza” lo ho personalmente udito per la prima volta a chiosa del summit di Stoccolma nel 1972.   Ma è probabilmente più vecchio.
  • La seconda è che il summit di Rio del 1992 non fece che continuare a pasticciare le cose, mescolando ottime idee e bieche furberie, senza cercare la minima coerenza interna nei documenti finali.   Un fatto abituale in queste occasioni, ma che pochissimi allora denunciarono, sommersi dalla fanfara cui parteciparono anche molti dei “big green” come dice Hansen.
  • La terza è che tutto quello che è stato detto e scritto a Parigi avrebbe potuto essere scritto a Copenhagen 8 anni fa,   Ma l’asse di ferro USA-Cina fece fallire la conferenza, soprattutto con lo scopo di danneggiare politicamente la UE.   All’epoca Obama era appena stato nominato ed era al culmine del suo potere e della sua popolarità internazionale.   Se avesse creduto seria la questione avrebbe avuto tutto il tempo per fare qualcosa di serio.
  • Il pronostico è che i cinesi prenderanno misure parzialmente efficaci per ridurre le polveri sottili, non la CO2.   I loro dirigenti non son caduti dal letto la settimana scorsa e queste cose le conoscono bene da anni.   Forse ne sono anche preoccupati, ma la loro priorità assoluta è fare un altro giro di doping alla crescita economica, costi quel che costi.   Come tutti gli altri, del resto.

Jacopo Simonetta

venerdì 18 dicembre 2015

Dopo la COP21 di Parigi: cinque scenari per il futuro

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

 2060: la ricerca di una tecnologia rivoluzionaria per risolvere il cambiamento climatico continua. "E' una macchina del tempo che speriamo ci riporti indietro di 50 anni quando avremmo potuto tassare il carbonio".

Gli scenari non sono previsioni, solo modi per descrivere futuri possibili, utili per essere pronti ad eventi inaspettati. La sola regola nella costruzione di scenari è che le ipotesi non devono essere troppo improbabili, come contemplare macchine del tempo. Eppure, sembra che in alcuni casi che coinvolgono previsioni climatiche, le macchine del tempo siano un'ipotesi intrinseca


La conferenza COP21 di Parigi ha riportato il clima all'attenzione del pubblico e da adesso in avanti parte la sfida vera: cosa possiamo realmente aspettarci per il futuro del clima terrestre? Come sempre, le previsioni sono difficili, specialmente quando ci sono molte variabili coinvolte. Ciononostante, il cambiamento climatico è il risultato di fattori fisici che possiamo capire e sappiamo che l'accumulo di gas serra in atmosfera – se continuasse – ci porterà ad un futuro molto sgradevole.

Se guardiamo al futuro a lungo termine, tutta la questione ruota intorno a se riusciamo a ruotare al di sotto di un aumento di temperatura che è ritenuto “sicuro” (potrebbe essere 2°C, ma non lo sappiamo con certezza), o superiamo il limite e ci ritroviamo al di sopra del “punto di non ritorno climatico” dopo il quale il sistema comincia a muoversi verso un riscaldamento sempre maggiore, con tutti i disastri associati.

Quindi ho pensato che avrei potuto impegnarmi in un piccolo esercizio di “costruzione di scenari” qualitativi con una focalizzazione particolare sul clima. Ecco alcuni scenari, elencati senza un ordine particolare. Alcuni li potreste vedere come orribili, alcuni come improbabili, altri come eccessivamente ottimistici. Ma non sono altro che scenari. La COP21 è stato un passo nella giusta direzione. Evitare le conseguenze peggiori non sarà facile, ma dipende da noi.

1. Business as usual. In questo scenario, le cose rimangono in gran parte come sono oggi, peggiorano soltanto gradualmente. Non ci sono grandi guerre, nessun collasso economico brusco, nessun disastro climatico improvviso. Ma le temperature continuano ad aumentare mentre il sistema economico mondiale viene colpito da una crisi dopo l'altra. Quindi l'economia perde gradualmente le risorse necessarie per mantenere in vita le strutture che studiano e comprendono i problemi globali: università e centri di ricerca. Di conseguenza, i problemi globali scivolano via dalla consapevolezza collettiva. Le persone vengono uccise da ondate di calore, affamate dalle siccità, spazzate via da uragani mostruosi, eppure nessuno è in grado di collegare tutto ciò al cambiamento climatico, mentre la combustione di combustibili fossili, anche se ridotta a causa dell'esaurimento, continua. Sul lungo periodo, ciò porterebbe alla fine della civiltà con un sussurro, piuttosto che con un fragore.

mercoledì 16 dicembre 2015

Clima: camminare su un sentiero di montagna con gli occhi chiusi sperando che il burrone sia ancora molto lontano...

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questo post è stato leggermente modificato rispetto alla versione apparsa in inglese




Il pericolo del cambiamento climatico continua ad essere ampiamente frainteso o ignorato. 


Il cambiamento climatico, a quanto pare, viene visto come qualcosa di lontano, la sua importanza viene sminuita da minacce più immediate, dal terrorismo alle preoccupazioni finanziarie. E i governi sembrano soffrire di sindrome di sdoppiamento della personalità, con i politici che si accalcano a Parigi per dichiarare l'assoluta necessità di salvare il pianeta per le future generazioni e poi tornano a casa e dichiarano l'assoluta necessità di far ripartire la crescita.

Ma la minaccia climatica non riguarda le future generazioni. E' una cosa che avviene adesso, che è avvenuta per un secolo e che continua ad avvenire, portandoci lungo un sentiero pericoloso che finisce da qualche parte, probabilmente in un burrone ripido.

Ecco un riassunto della situazione ad oggi. Non è da intendersi come esauriente, ma come un tentativo di cogliere i punti principali di quello che sta avvenendo.


1. Gas serra.  Il biossido di carbonio e il metano sono i principali gas serra generati come risultato delle attività umane. Il loro accumulo nell'atmosfera continua. Riguardo al CO2, il 2015 probabilmente è stato l'ultimo anno della storia durante il quale gli esseri umani hanno potuto respirare un'aria che ne contiene meno di 400 ppm. Da adesso in poi, le concentrazioni saranno maggiori. Non sappiamo quali effetti avranno queste concentrazioni sulle persone, ma sappiamo che gli esseri umani non hanno mai sperimentato un'atmosfera con più di 300 ppm di CO2 per più di 100.000 anni della loro esistenza come specie. Sappiamo anche che il processo cognitivo umano è già compromesso in modo misurabile a concentrazioni al di sopra delle 600-800 ppm. Riguardo al metano, anche le sue concentrazioni stanno aumentando dopo un periodo di stasi che è durato fino al 2006. Esistono possibilità preoccupanti che le temperature in aumento genereranno un “punto di non ritorno” in cui il rilascio di metano intrappolato nel permafrost delle alte latitudini diventerebbe una fonte indipendente e fuori controllo di gas serra. Finora, non ci sono prove che ciò stia avvenendo, ma ci sono rapporti preoccupanti di esplosioni di metano rilasciate da crateri in Siberia.

2. Temperature. Il cambiamento climatico non significa solo aumento delle temperature, ma questa probabilmente ne è la manifestazione più diretta e visibile. La Terra è diventata sempre più calda durante l'ultimo secolo, più o meno, ed oggi la cosiddetta “pausa” è finita, se è mai esistita. Il 2015 sta per diventare l'anno più caldo mai registrato, con buone possibilità che il 2016 sia anche più caldo. Siamo molto vicini, o abbiamo già superato, ad 1°C di aumento della temperatura media rispetto al periodo preindustriale. Gli effetti di questo riscaldamento sono molteplici: siccità, ondate di calore, fusione dei ghiacciai, aumento del livello del mare ed altro. E più la Terra si riscalda, più questi effetti sono importanti.

3. Fusione dei ghiacci e livelli del mare. La fusione celle calotte glaciali e dei ghiacciai continua inarrestabile, anche se non si è verificato nessun evento spettacolare, finora. Alcuni studi sembrano indicare che l'Antartide abbia guadagnato un po' di calotta glaciale dal 2008 a causa dell'aumento delle nevicate ma, anche se questo risultasse essere vero, la tendenza complessiva alla fusione è evidente. La fusione dei ghiacciai continentali sta destabilizzando le montagne, causando frane estese. L'acqua dolce che fluisce nell'oceano è uno dei fattori principali che causano un aumento dei livelli dei mari. Al momento ci troviamo ad un livello di circa 20 cm più alto di quando sono iniziate le misurazioni, alla fine del XIX secolo. Finora, nessuna città costiera o isola abitata è finita sott'acqua in modo permanente, ma se la tendenza ad aumentare continua questo sarà un problema enorme.

4. Disastri legati al meteo e al clima. Gli schemi meteorologici che cambiano sono uno dei fattori che hanno generato un rapido aumento dei disastri naturali nel XX secolo. Il numero di disastri sembra aver raggiunto un picco intorno al 2004-2006, anche se il danno arrecato continua ad aumentare in termini monetari. Il cambiamento degli schemi meteorologici sta causando danni considerevoli all'agricoltura, colpita dalle siccità (come sta succedendo negli Stati Uniti) e dagli instabili schemi delle precipitazioni. Finora, la produzione di cibo non è stata colpita pesantemente, perlomeno in media e la produzione di cereali rimane stabile, o persino in crescita. Tuttavia, i paesi poveri sono particolarmente a rischio, visto che i contadini non hanno le risorse finanziarie necessarie per adattarsi. La produzione ittica è in declino quasi ovunque, in gran parte a causa della pesca eccessiva, ma anche a causa del riscaldamento degli oceani.

5. Altri effetti. Tutti quelli precedenti sono effetti che possono essere classificati sotto l'etichetta del “cambiamento climatico”, a sua volta un effetto del riscaldamento causato dalla forzante serra. Tuttavia, i cambiamenti in corso nell'ecosistema sono molto più complessi ed estesi. Per esempio, l'acidificazione degli oceani si sta verificando come un effetto del discioglimento del CO2 ad un livello di circa 0,1 unità di pH e che potrebbe avere effetti negativi sui coralli. Dovremmo considerare l'eutrofizzazione, l'erosione del suolo, la dispersione di metalli pesanti, la copertura del terreno con strutture permanenti, le estinzioni multiple, la deforestazione e molto altro.

Anche se breve, questo elenco mostra quanto siano giganteschi e in gran parte irreversibili i cambiamenti che hanno luogo. La Terra sta cambiando, viene trasformata in un pianeta diverso, un ambiente che i nostri antenati non hanno mai conosciuto, ma che non possiamo evitare di affrontare. In questa situazione, un certo grado di adattamento è sicuramente possibile per gli esseri umani. L'aria condizionata può aiutare contro le ondate di calore, l'agricoltura si può adattare alle siccità con l'irrigazione o passando a varietà diverse di piante, le opere ingegneristiche possono aiutare contro le alluvioni e gli incendi possono essere spenti con vari metodi. Ma ci sono limiti all'adattamento e i problemi tendono ad arrivare non gradualmente, ma tutti in una volta. Per esempio, quando New York ha subito la disastrosa inondazione del 2012, l'aumento del livello del mare è stato sicuramente un fattore che ha peggiorato il problema.

In molti casi vediamo una situazione in cui le grandi emergenze legate al clima potrebbero avvenire in ogni momento. Ci sono varie possibilità, come quella di nuove ondate di calore paragonabili, o peggiori, di quella del 2003, che ha rivendicato circa 70.000 vittime in Europa. Potremmo vedere il collasso di grandi masse di ghiaccio dall'Antartide o dalla Groenlandia che porterebbero ad un disastroso e rapido aumento del livello del mare. Oppure cambiamenti degli schemi meteorologici che colpiscono negativamente l'agricolture e quindi la produzione di cibo. O qualcos'altro. In ogni caso, man mano che la forzante serra continua ad aumentare, queste possibilità diventano sempre più probabili.

In cima a tutto questo, c'è la terribile possibilità di un “punto di non ritorno climatico”, il fatto che dopo aver raggiunto un certo grado di riscaldamento, l'intero ecosistema, comincerà a rilasciare il metano immagazzinato nel permafrost, spingendo sé stesso in un nuovo stato di temperatura. Questo nuovo stato potrebbe essere così caldo da rendere gran parte del pianeta inabitabile per gli esseri umani. Ovviamente, non c'è modo di adattarsi ad un evento del genere.

Eppure, non sarebbe impossibile stabilizzare il clima passando ad un'economia completamente alimentata dall'energia rinnovabile prima che sia troppo tardi. Ma ciò richiede sacrifici che, al momento, nessuno è disposto a fare. Quindi, continuiamo a camminare lungo il sentiero di montagna con gli occhi chiusi, sperando che il burrone sia ancora molto lontano...



venerdì 4 dicembre 2015

Figuraccia climatica: La Società Italiana di Fisica dichiara che la scienza del clima non è scienza

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Allora, signor Darwin, qual è l'equazione dell'evoluzione?


Coi negoziati sul clima in pieno svolgimento a Parigi, 14 società scientifiche italiane si sono unite per pubblicare un documento in cui esprimono il loro sostegno ai negoziati della COP 21 e per la necessità di agire contro il cambiamento climatico antropogenico. Tuttavia, una società scientifica era evidentemente assente: la Società Italiana di Fisica (SIF).

Poco dopo, la presidentessa della SIF, professoressa Luisa Cifarelli, ha diffuso una dichiarazione su questo problema sotto forma di uncommento nel blog della Società Italiana di Chimica (SCI). Questo commento non è stato confermato ufficialmente, ma nemmeno smentito, quindi sembra essere reale. Lasciate che riporti qui la sua affermazione iniziale.

La SIF è un’associazione di fisici abituati a considerare leggi fisiche regolate da equazioni più o meno complesse, e risultati espressi con il dovuto livello di confidenza o di probabilità o di verosimiglianza. Questo, del resto, è il metodo scientifico.  

La professoressa Cifarelli prosegue poi affermando che la SIF si rifiuta di firmare un documento in cui alcune affermazioni sono date come certezze e non come possibilità e che la scienza non può essere basata sul consenso e sul “mescolare scienza e politica”. La professoressa conclude che è importante che la Terra venga protetta dall'inquinamento, che che lo studio del clima debba essere “basato sulla fisica”.

Quindi eccoci qua. Ciò che sta dicendo la professoressa Cifarelli è che la scienza è scienza solo se è basata su equazioni. Pertanto, visto che una “equazione del clima” non pare che esista, la scienza del clima non è una scienza. In una sola frase, la professoressa Cifarelli ha rimosso dalla categoria delle scienza legittime tutto quello che va dalle scienze della Terra (qual è l'equazione di dinosauri?) allo studio dei sistemi complessi (qual è l'equazione della Pila di sabbia di Bak?).

Questa è una bella figuraccia per tutta la comunità della Fisica italiana. Anche se diversi fisici italiani hanno fortemente criticato il comportamento della SIF in questa occasione, rimane un duro colpo al prestigio alla comunità della ricerca italiana. Ancora di più se si considera colpi precedenti come l'iniziale sostegno dato al "E-cat" da parte del Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna.

Ma è peggio di così. In un momento in cui abbiamo tutti disperatamente bisogno di sostenere il lavoro degli scienziati del clima per promuovere un cambiamento indispensabile delle nostre politiche, sembra che alcuni scienziati tendano a aggrapparsi a paradigmi obsoleti, per esempio riguardo all'influenza umana sul clima. E' vero che i paradigmi obsoleti tendono ad essere rimossi dalla scienza per mezzo del progresso della conoscenza, ma ci vuole un po' di tempo, come mostra molto bene questa storia.
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Nota: dopo avere scritto questo testo, ho notato un commento firmato Luisa Cifarelli sul blog della SCI. Il commento dice: “Eppure Lei sa bene che la Groenlandia era verde in tempi non sospetti”. Non posso essere certo che questa frase sia stata scritta dalla presidentessa della Società Italiana di Fisica ma, se fosse così, è un'altra notevole figuraccia. 

mercoledì 2 dicembre 2015

Fuffa e rivoluzione. A Parigi vedremo la solita gran fumata di roboanti dichiarazioni, ma niente di più

di Jacopo Simonetta

Tra manifestazioni, tafferugli e mal riposte speranze, a Parigi va in scena l’ennesimo episodio di un serial che dovremmo conoscere già bene.   Ma se qualcuno si fosse perduto le puntate precedenti, basteranno le dichiarazioni iniziali dei principali leader mondiali ( per Obama qui e per Xi Jinping qui) per chiarire da subito che non ci sarà nessun accordo che possa, sia pur minimamente, influire positivamente sul clima.

Insomma, quello che vedremo sarà la solita gran fumata di roboanti dichiarazioni a copertura di un piccolissimo arrosto di incentivi a questa o quella lobby industriale.

Disfattismo?   Lo vedremo fra qualche giorno, nel frattempo vorrei ricordare che questa non è certo la prima volta che viene annunciato un “cambio di rotta epocale” in materia di clima o, più genericamente, di ambiente.   Questa è infatti una vecchia storia, cominciata una cinquantina di anni fa e culminata nell'ormai remoto 1992 fra grandi speranze e fuochi d’artificio. In realtà il “nonno di tutti i fiaschi” fu infatti proprio il “Summit mondiale dell’ambiente” del 1992 da cui questa e tante altre conferenze sono poi scaturite.   Fu un vero e proprio picco del movimento ambientalista: contemporaneamente zenit di influenza politica e mediatica, ma anche dimostrazione di incapacità ed inizio della sua ingloriosa fine.

Molti troveranno sbagliate, o perlomeno esagerate, queste affermazioni.   Prima di entrare in qualche dettaglio credo sia quindi opportuno inquadrare brevemente l’evento.

Che la crescita demografia ed economica stavano conducendo l’umanità verso il disastro divenne evidente nel corso degli anni ’70.   Non solo per la pubblicazione di “Limits to Growth”, ma per l’accumularsi di una impressionante mole di dati e conoscenze in tutti i campi scientifici che, nel loro insieme, non davano adito a dubbi (tranne che per la maggior parte degli economisti).   Ma eravamo in guerra, sia pure “fredda”;  una guerra mortale fra le due scuole (o sette) in cui si era diviso il mondo:   Capitalismo versus Socialismo.   Entrambi perseguivano lo stesso fine: il massimo del benessere possibile per un numero crescente di persone.   Ma erano molto diversi i metodi immaginati per raggiungere lo scopo, così come i criteri di selezione delle rispettive classi dirigenti.
In Russia il tema dell’insostenibilità della crescita non fu neanche preso in considerazione.   In occidente se ne parlò molto, ma si fece poco perché porre dei severi limiti alla crescita economica avrebbe ridotto il peso politico-economico e militare dei paesi che lo avessero fatto.   Col rischio molto concreto di essere sconfitti.

Dunque, dopo 10 anni circa di discussioni e parziali provvedimenti, fu deciso che era più urgente rilanciare la crescita.   Cosa che fu fatta  mediante una complessa strategia che comprendeva, fra l’altro, la trasformazione del denaro e della finanza in entità totalmente virtuali, oltre ad un insieme di provvedimenti che vanno sotto l’etichetta di “deregulation”.   In pratica, la progressiva rimozione dei vincoli precedentemente imposti alle attività economiche per fini di tutela ambientale o sociale.  Il risultato non si fece attendere e, nel 1989, l’Unione Sovietica fu sconfitta non già sul campo di battaglia, bensì sul piano puramente economico.

Il crollo del blocco sovietico convinse tutti della giustezza del modello capitalista e fu in questo clima euforico che fu indetto il summit Rio.   Finita la guerra, nessuno aveva più molto da temere e tutti i paesi del mondo potevano finalmente collaborare per risolvere i problemi del sottosviluppo e dell’ambientale una volta per tutte.  O perlomeno così sembrava.Parteciparono ben 172 governi, di cui 116 con le loro massime cariche istituzionali, mentre ad un parallelo forum consultivo partecipavano 17.000 persone in rappresentanza di 2.400 NGO (associazioni non governative).   In effetti, non si era mai visto un evento di questa portata dedicato all’ambiente, ma la montagna partorì un ben misero topolino.   O meglio, produsse un magnifico castello di cristallo, attraverso i cui muri iridescenti non era difficile vedere le solide strutture di cemento e di acciaio del “Business as usual”.

A parte migliaia di pagine di analisi e commenti che nessuno ha mai letto, la conferenza produsse infatti una serie di documenti potenzialmente importanti, ma che ebbero ben poco impatto reale: Dichiarazione di Rio sull'ambiente e sullo sviluppo; Agenda 21; Convenzione sulla diversità biologica; Principi sulle foreste; Convenzione sul cambiamento climatico.

Ognuno di questi meriterebbe un approfondimento, ma visti i limiti di un post, vorrei solamente chiosare il primo dei 27 principi che avrebbero dovuto guidare le nazioni verso lo “sviluppo sostenibile”.   Esattamente gli stessi principi, si noti, proclamati a chiusura del summit di Stoccolma, esattamente 20 anni prima (1972) in piena guerra fredda (mancava il blocco sovietico e la Cina era rappresentata da Taiwan).

Principio 1:  Gli esseri umani sono al centro della preoccupazione per uno sviluppo sostenibile.   Hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura.

Suona bene.   Effettivamente nel 1972, con un’impronta ecologica globale vicino ad 1, poteva essere sottoscrivibile.   Ma nel 1992, con una popolazione di 5,5 miliardi crescenti ad un tasso senza precedenti, magari qualcuno avrebbe dovuto porsi qualche qualche domanda.

Per esempio, cosa vuol dire “sviluppo sostenibile,?   Perché se voleva dire sviluppare società più parsimoniose e giuste era fattibile.   Ma se si intendeva che era ancora possibile una crescita demografica e/o economica senza scatenare catastrofi era semplicemente falso.   La capacità di carico del pianeta era già stata superata da un pezzo.

Seconda domanda: E’ bello avere dei diritti, ma siamo sicuri che questi non comportino dei doveri di cui non si parla mai?   Ad esempio, avere diritto ad una vita sana ed operosa non potrebbe presupporre il dovere di limitare la propria discendenza?   Oppure il diritto all'acqua potabile, non potrebbe avere a che fare con il dovere di razionarne l’uso in rapporto alla disponibilità? Sempre in tema di diritti, per essere sani e produttivi sono necessari una serie non indifferente di presupposti, a cominciare da cibo, acqua, energia, alloggi, cure mediche, e molto altro ancora.   Per quanta gente tutto questo può essere reso disponibile senza distruggere il pianeta?

Sulla base della situazione e delle conoscenze del 1972 si poteva ancora pensare che per circa 4 miliardi di persone fosse possibile.   Ma nel 1992 era già chiaro che il recupero di condizioni di sostenibilità sarebbe necessariamente passato attraverso una netta riduzione sia della popolazione umana, sia dello standard di vita medio.  Cosa che per europei, americani e giapponesi già allora avrebbe significato dei sacrifici assolutamente traumatici.   Mentre per tutti gli altri avrebbe significato rinunciare definitivamente alla speranza di accedere anche loro al tanto agognato Paese di Bengodi.   Per tutti voleva dire accettare di avere non più di due figli e morire possibilmente intorno ai 70 anni, come ai tempi di Dante Alighieri.

Molto "politicamente scorretto".  E difatti in tutti i 26 punti seguenti si continua a fingere che il numero di persone sia una variabile indipendente e che gli occidentali possano mantenere il loro tenore di vita principesco, mentre tutti gli altri hanno il diritto di raggiungerlo.   Ma, naturalmente, in modo “sostenibile”.
 
Insomma, da parte di chi capiva di cosa si stava parlando, il tentativo fu di contrabbandare alcuni principi assolutamente giusti, come quello di precauzione e quello di responsabilità, in mezzo ad un denso fumo di fuffa in cui ognuno avrebbe potuto trovare quel che più gli piaceva.   Ma mescolati alla fuffa, anche i principi seri divennero parole vuote.

Insomma, la filosofia generale che emerse fu che, OK, salvaguardare l’ambiente era bello ed importante, ma ad alcune condizioni.   In particolare che: a) ogni stato ha il diritto di fare quello che gli pare sul suo territorio; b) i paesi ricchi hanno il diritto di restare tali, semmai devono aiutare gli altri a diventare ricchi anche loro; c) i paesi poveri hanno diritto a diventare ricchi; d) la questione demografica è assolutamente marginale; h) nessuno si deve azzardare a porre dei limiti alla libertà di commercio; i) lo sviluppo economico e la protezione ambientale non sono in contrasto, anzi sono sinergici.

Difficile assemblare una collezione di ossimori più raffinata di questa.   Ma la misura del fallimento non fu tanto un documento pieno di vuotame che, in casa ONU, è normale.   La vera Caporetto fu che, con poche ed isolate eccezioni, il movimento ambientalista non denunciò il fallimento della conferenza.   Al contrario, si unì al coro di quanti dicevano che, ancorché non perfetto, il risultato era un eccellente compromesso ed un punto di partenza per nuove ed efficaci politiche ecc. ecc.

Insomma, il BAU aveva vinto non solo sul piano politico e diplomatico, ma anche e soprattutto su quello culturale.   Non a caso, nei decenni seguenti le parole d’ordine ed i concetti che erano stati elaborati per modificare alla radice l’impostazione sociale ed economica del mondo divennero gli slogan delle più spudorate campagne commerciali.   E perfino entrarono nella retorica elettorale di tutti i partiti, qualunque ne fosse il programma politico.

Purtroppo, la percezione della realtà dipende in grandissima misura dalla frequenza ed intensità con cui riceviamo i messaggi.   Così, in pochi anni, lo stesso movimento ambientalista finì col perdere la strada, ammesso che mai ne avesse avuta una, finendo col balbettare un guazzabuglio di luoghi comuni, privo di ogni coerenza esterna ed interna.
 
Rio non fu solo la tomba in cui finì ogni speranza di cambiare la rotta suicida del nostro mondo.   Fu anche la tomba del movimento ambientalista e perfino dalla sua cultura, divenuta pudebonda foglia di fico per imbellettare ogni nequizia.   Esattamente quello che in questi giorni sta accadendo a Parigi.
In quest’ottica il ricorso alla violenza è sicuramente una forte tentazione soprattutto per chi, essendo giovane, si rende conto che sarà abbandonato in un mondo che è stato saccheggiato in ogni suo anfratto dai suoi stessi nonni e genitori.

Ma si sa, o si dovrebbe sapere, che le tentazioni sono mostri che apparentemente ti offrono una via d’uscita da situazioni tremende, mentre in realtà ti ci sprofondano ulteriormente.   Se lasciare scarpe in piazza serve solo a sentirsi meno soli, lanciare fumogeni e bruciare automobili serve a peggiorare ulteriormente la situazione, da tutti i punti di vista.   Ma se qualcuno volesse davvero “portare l’attacco al cuore del sistema” avrebbe un modo sicuro e perfino legale di farlo: comprare il meno possibile, spengere luci e termosifoni.   E via di seguito.   Nessun soldato vince la guerra da solo, ma è la sommatoria dei contributi di ognuno che vince.   E questa, udite udite, è una guerra che può solo essere vita.

La barca del capitalismo globale fa già acqua da tutte le parti e non può che affondare, anche senza l’aiuto di nessuno.   Il problema è che tutti noi siamo a bordo e non ci sono scialuppe, al massimo qualche ciambella gonfiabile.   Nessuno se la caverà a buon mercato e molti non se la caveranno affatto, sarebbe bene parlarne ed organizzarsi almeno per limitare
il panico, ma è molto più facile a dirsi che a farsi.



sabato 28 febbraio 2015

Stasera, al via "Scala Mercalli" su Rai 3, a partire dalle 21:30


La miniera di rame nel deserto di Atacama, in Cile (foto di Radomiro Tomic)

Stasera su Rai 3, la prima puntata di "Scala Mercalli". Ci sarà anche una breve apparizione del sottoscritto, Ugo Bardi, che parlerà dei "Limiti alla crescita" e dell'esaurimento delle risorse minerali.

Ho già visto gran parte del programma durante la registrazione; ci sono dei filmati interessantissimi e originali, specialmente delle miniere di rame di Atacama, in Cile, mai visti prima di oggi!

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Prima puntata di "Scala Mercalli"

28-02-2015 21:30

Prima puntata

Sabato 28 febbraio alle 21.30 prende il via  un nuovo programma di Rai 3 “Scala Mercalli”, girato in uno studio realizzato appositamente all’interno della F.A.O.  e condotto da Luca Mercalli, climatologo e divulgatore scientifico. Sei puntate in prima serata, ogni sabato, dedicate ai problemi  più urgenti  per la salvaguardia del Pianeta Terra.

Nella prima puntata: che clima ci aspetta domani ? E quanto ancora potremo sfruttare le risorse del pianeta che ci ospita ?

“Scala Mercalli” mostrerà le evidenze scientifiche attraverso documentari originali girati in tutto il mondo, dove gli scienziati mostreranno i risultati delle loro ricerche e le popolazioni ci faranno capire le ricadute sulla loro vita quotidiana del cambiamento climatico.

In Australia  aumenta  la febbre della Terra e gli effetti del surriscaldamento sono tanto evidenti  da portare il Bureau of Meteorology, uno dei più importanti al mondo, a classificare con un nuovo colore le zone del continente che hanno già raggiunto i 50 gradi centigradi di temperatura.

In Cile la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo non produce più oro rosso a sufficienza per soddisfare i bisogni dell’umanità, che utilizza questo bene prezioso in tutte le tecnologie più avanzate e leggere, dal cellulare al tablet. Un’azienda italiana sta costruendo il più lungo tunnel per penetrare in profondità ed estrarre rame che soddisfi i bisogni planetari per i prossimi decenni.

In Svizzera Luca Mercalli ci mostra l’Osservatorio di Jungfraujoch, a quasi 3.500 metri di altezza.

A Londra e a Monteveglio in provincia di Bologna, scopriremo come i cittadini più consapevoli hanno aderito al movimento delle Transition Towns, per realizzare un futuro più ecosostenibile.

Ospiti in studio Ugo Bardi, docente di chimica all’università di Firenze, esperto in esaurimento delle risorse e Tim Jackson, docente di economia sostenibile, all’università di Surrey, in Inghilterra. 
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domenica 4 gennaio 2015

L'effetto dei vulcani sul clima

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

I vulcani potrebbero essere responsabili di gran parte del rallentamento del riscaldamento della temperatura di superficie



Di Dana Nuccitelli

Un nuovo studio stima il raffreddamento della temperatura di superficie dovuta ai vulcani fra 0,05 e 0,12°C dal 2000




Eruzione vulcanica vista da lontano il 12 settembre 2014 a Holuhraun, Irlanda. Un nuovo studio conclude che le piccole eruzioni vulcaniche sono state un contributo significativo al rallentamento del riscaldamento globale della superficie. Foto:   Einar Gudmann / Barcroft Media/Einar Gudmann / Barcroft Media

Un nuovo studio ha scoperto che quando il particolato di una piccola eruzione vulcanica viene adeguatamente tenuto in considerazione, i vulcani potrebbero essere responsabili di gran parte del rallentamento del riscaldamento globale delle superficie negli ultimi 15 anni. I particolati di aerosol di zolfo immessi in atmosfera da eruzioni vulcaniche causano raffreddamenti a breve termine bloccando la luce solare. Fino a poco tempo fa, gli scienziati del clima pensavano che solo le grandi eruzioni avessero un impatto significativo sulle temperature globali. Non ci sono state grandi eruzioni da quella del Monte Pinatubo nel 1991. Tuttavia, gli studi pubblicati negli ultimi anni hanno scoperto che anche eruzioni vulcaniche moderate possono immettere quantità significative di particolati di aerosol nell'atmosfera. Virtualmente ogni ricerca sull'influenza sul clima degli aerosol vulcanici ha usato misurazioni satellitari dei particolati nell'atmosfera superiore (la stratosfera). Queste misurazioni satellitari monitorano soltanto gli aerosol vulcanici ad altezze di 15 km ed oltre. Il nuovo saggio di David Ridley e dei suoi colleghi, ha studiato la quantità di aerosol vulcanici in parti della stratosfera che si trovano al di sotto dei 15 km.

Per fare questo, i ricercatori hanno unito i dati satellitari, dagli strumenti a terra del programma AERONET e dagli strumenti delle sonde meteorologiche. Lo studio ha avuto come coautori 17 scienziati climatici, compresi alcuni massimi esperti nella ricerca sugli aerosol. Unendo tutte queste misurazioni, gli scienziati hanno scoperto che c'è una quantità significativa di aerosol vulcanici anche in parti della stratosfera al di sotto dei 15 km. Hanno concluso che per le recenti eruzioni, fra il 30 e il 70% della quantità complessiva di aerosol vulcanici nella stratosfera proviene dalla parte al di sotto i 15 km. Dal 2000, lo studio stima che i vulcani abbiano avuto un'influenza raffreddante sulle temperature globali di superficie. La gamma probabile di questa influenza di raffreddamento dei vulcani si trova fra 0,05 e 0,12°C. Come osservano gli autori del saggio, questa influenza di raffreddamento non viene tenuta in considerazione nella simulazioni del modello climatico incorporate nell'ultimo rapporto del IPCC.

“Le simulazioni del modello climatico valutate nel quinto rapporto di valutazione del IPCC [Stocker et al., 2013] ipotizza aerosol stratosferici pari a zero dopo circa il 2000 e quindi trascura qualsiasi effetto raffreddante delle recenti eruzioni vulcaniche”

Anche se i dati della temperatura di superficie sono stati entro la gamma delle simulazioni del modello, sono stati verso l'estremo basso di quei run del modello negli ultimi 10-15 anni.


Figura 1.4 del AR5 del IPCC. Linee intere e quadretti rappresentano i cambiamenti della temperatura globale di superficie media misurati dalla NASA (blu), dal NOAA (giallo) e dall'Hadley Center del Regno Unito (verde). L'ombreggiatura colorata mostra la gamma prevista di riscaldamento di superficie nel primo rapporto di Valutazione del IPCC (FAR, giallo), del Secondo (SAR, verde), del Terzo (TAR, blue) e del Quarto (AR4, rosso).

Il riscaldamento di superficie misurato è stato di circa 0,13°C inferiore della media delle simulazioni del modello dal 2000. Il raffreddamento vulcanico stimato da questo nuovo saggio (0,05 – 0,12°C), non incluso in quei modelli climatici, potrebbe coprire gran parte di quella discrepanza. Unite questo ai circa 0,06°C di raffreddamento della superficie dovuti al maggiore calore immagazzinato negli oceani profondi e il rallentamento è pienamente spiegato e temporaneo. Gli scienziati del clima credono che i cicli oceanici passeranno presto ad uno stato in cui viene trasferito meno calore agli oceani profondi, lasciando più calore a riscaldare la superficie. Come cambierà in futuro l'attività vulcanica naturalmente non si sa, ma gli aerosol vulcanici hanno una vita relativamente breve nell'atmosfera. Se non ci sono altre eruzioni moderate nel prossimo futuro, la quantità di aerosol vulcanici nella stratosfera dovrebbe tornare ai valori di base entro pochi anni. Date le temperature globali record che abbiamo visto nel 2014, il rallentamento potrebbe già essere finito. In ogni caso, sembra che i modelli climatici abbiano difficoltà a valutare il rallentamento perché non hanno incluso né l'aumento di raffreddamento vulcanico né l'accumulo di calore nell'oceano profondo, nessuno dei quali condizionerà il riscaldamento globale a lungo termine. In breve, quando si tiene conto di questi cambiamenti degli aerosol vulcanici e dell'accumulo di calore nell'oceano, il clima si sta generalmente comportando come si aspettano gli scienziati. Abbiamo pochi motivi di mettere in dubbio le proiezioni molto preoccupanti del riscaldamento globale a lungo termine dei modelli climatici.