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venerdì 18 novembre 2022

Colin Campbell (1931-2022). Un omaggio al padre del concetto di "Peak Oil"

Colin Campbell è morto a 91 anni, il 13 novembre 2020, nella sua casa di Ballydehob, in Irlanda. Amava illustrare il concetto di picco del petrolio usando la birra. Nessuna teoria fantasiosa, nessuna ideologia, nessuna creazione di risorse: la birra è una cosa reale che non puoi creare dal nulla. E dopo averla bevuta, non ne rimane più! 


Ho incontrato Colin Campbell per la prima volta in Italia, nel 2003, quando l'ho invitato a tenere una conferenza all'Università di Firenze. Quel giorno era chiaro che Colin ci stava portando un messaggio importante. Sapeva che il nostro mondo, la nostra orgogliosa civiltà e le nostre (forse) grandi conquiste erano tutte basate sulla disponibilità di petrolio a buon mercato. Niente petrolio, niente energia. Nessuna energia, nessuna civiltà.

Non tutti quelli che lo ascoltavano, in quel momento, capirono il suo messaggio, ma alcuni di noi sì. Erano passati solo due anni da quando le Torri Gemelle di New York erano crollate. Era stato un evento che chiedeva una spiegazione, ma che non poteva essere compreso nel quadro del mondo così come ci veniva presentato dai media ufficiali. Fu quel giorno che un piccolo gruppo di scienziati e ricercatori italiani si riunì nel mio ufficio per incontrare Colin dopo la sua conferenza. È stata un'esperienza elettrizzante: tutti abbiamo avuto l'impressione che si stesse sollevando un velo, che si potesse vedere cosa c'era dietro il sipario della propaganda, che si potesse finalmente percepire il meccanismo che faceva muovere il mondo. Una nuova realtà ci veniva rivelata.

Colin non era uno scienziato accademico. Era principalmente un "petroliere", una di quelle persone che sono la versione moderna degli antichi esploratori. Persone che hanno opinioni pratiche e senza fronzoli, che non possono essere facilmente influenzate da ideologie o tendenze alla moda. Persone temprate dall'esperienza, abituate a porsi obiettivi realistici e a raggiungerli. Colin non era un uomo che potesse essere facilmente intimidito.

In qualità di ex petroliere, Colin ha avuto accesso a dati che per la maggior parte di noi sono troppo costosi o semplicemente non disponibili. Insieme al suo amico e collega di lunga data, Jean Laherrere, hanno rivisitato un vecchio modello che Marion King Hubbert aveva proposto nel 1956, lo hanno rinnovato con nuovi dati e hanno pubblicato i loro risultati in un articolo del 1998 su "Scientific American" intitolato " The End del petrolio a buon mercato ". Il modello era semplice e i dati ancora incerti, ma lo studio andava diritto al suo obiettivo e giungeva a una chiara conclusione: le risorse petrolifere del mondo stavano diventando sempre più costose e la crescita economica sarebbe diventata una cosa del passato in un futuro non remoto. Le conseguenze erano sconosciute ma potenzialmente disastrose. Più tardi, chiamai il declino che ci aspettava, "La Rupe di Seneca".

Colin si stava muovendo lungo un percorso parallelo a quello creato, circa 30 anni prima, dagli autori di "The Limits to Growth" e dai loro sponsor, il Club di Roma. Colin era un grande fan dello studio dei "Limiti dello Sviluppo" e, acuto come al solito, riusciva a riconoscere le idee che erano radicate nel mondo reale. Non avrebbe mai dato retta alle vaghe argomentazioni che erano state prodotte contro lo studio, come ad esempio che le risorse sono "create" dall'intelligenza umana. No, le risorse sono qualcosa di reale, qualcosa di fisico, qualcosa che puoi pesare e misurare. E non arrivano gratis: devi pagare per quello che estrai, e il costo potrebbe essere superiore a quello che puoi permetterti di pagare. Questa è l'essenza dell'idea di esaurimento graduale che porta alla curva "a campana". È stata la base dello studio "Limits to Growth", e la base della teoria del "picco del petrolio". Di seguito è riportato il risultato principale dello studio del 1998.


All'inizio degli anni 2000, Colin fondò la "Associazione per lo studio del picco del petrolio e del gas" (ASPO). Era un gruppo di scienziati, intellettuali e semplici cittadini che avevano capito un concetto semplice: il futuro non sarebbe stato quello che ci era stato detto di aspettarci. È stato un tentativo di allertare i governi e tutti quanti sui pericoli futuri.

Ripensando a quella storia, oggi, è davvero sorprendente come Colin sia riuscito, da solo e solo con i propri mezzi, a creare un'organizzazione che era arrivata ad avere un certo effetto sul dibattito globale. I politici di alto rango hanno ascoltato il messaggio, anche se spesso hanno reagito criticandolo. Per un certo periodo, l'ASPO è stato anche un forum dove si riunivano tutti i tipi di sovversivi, compreso l'arci-teorico della cospirazione Michael Ruppert, che ho incontrato personalmente a Vienna in uno degli incontri dell'ASPO. Sono ragionevolmente sicuro che ASPO sia stata infiltrata dalla CIA , non ho prove, ovviamente, ma sarei sorpreso se non avessero sondato ASPO per vedere cosa stavamo facendo. Evidentemente decisero che eravamo innocui (avevano ragione) e ci lasciarono in pace.

ASPO ha attraversato un ciclo di popolarità che è durato circa 10 anni. Per un po', sembrava che potessimo influenzare il mondo, che le persone che avevano il potere di fare qualcosa ascoltassero il nostro messaggio e intervenissero. Nel 2005, Colin Campbell propose il suo "Protocollo petrolifero" (detto anche "Protocollo di Rimini") che avrebbe posto un limite al tasso di estrazione del petrolio e degli altri fossili. E questo ha suscitato molto interesse a metà degli anni 2000. Ma non durò a lungo.

La traiettoria dell'ASPO ha seguito un percorso simile a quello del Club di Roma e del suo studio "Limiti alla crescita". In entrambi i casi, un gruppo di intellettuali ha cercato di allertare i governanti mondiali sulla finitezza delle risorse materiali su cui si basava l'economia e che bisognava fare qualcosa per evitare la "trappola del consumo eccessivo" che avrebbe necessariamente portato a un crollo. Ma, così come era successo per il messaggio del Club di Roma, anche il messaggio dell'ASPO è stato rifiutato e demonizzato, e poi ignorato.

Nel 2008, le previsioni dell'ASPO sembravano confermate quando i prezzi del petrolio sono saliti a livelli mai visti prima. Stava arrivando il "picco del petrolio"? Probabilmente si, almeno per quel che riguardava il petrolio "convenzionale", ma le conseguenze furono inaspettate. I poteri forti hanno reagito in modo aggressivo alla crisi, pompando enormi quantità di denaro e risorse nello sfruttamento di nuove risorse di petrolio e gas negli Stati Uniti. Era l'inizio dell'era del "fracking". Dal 2010 in poi, un'enorme quantità di petrolio ha iniziato a fuoriuscire dai pozzi di "tight oil", invertendo la tendenza al ribasso iniziata 40 anni prima. Per molti è stata la liberazione da un incubo. Alcuni hanno parlato di una "nuova era di abbondanza" che avrebbe potuto durare secoli, se non per sempre.

Nessuno dei geologi in ASPO o fuori di ASPO aveva previsto questo sviluppo. Cornucopiani e catastrofisti, allo stesso modo, ritenevano che i ricavi dello shale oil in un mercato libero non potessero giustificare i costi di estrazione. Non potevano credere che l'industria petrolifera si sarebbe imbarcata in un'avventura così costosa e incerta. In effetti, il fracking non ha portato profitti: è stata soprattutto una decisione politica, intesa a mantenere al potere le attuali élite. In questo senso ha funzionato, anche se nessuno può dire per quanto tempo.

Il fracking è stato la fine di ASPO. Dopo il 2010, il pubblico ha perso rapidamente interesse per il picco del petrolio, e forse era inevitabile. In generale, ci dimentichiamo facilmente le verità inquietanti, mentre preferiamo di gran lunga le bugie comode. Ed è quello che è successo. L'ASPO non è mai ufficialmente morta, ma è scesa a un livello di attività molto inferiore di quello che aveva alla sua nascita. Colin Campbell si è ritirato nella sua casa nell'Irlanda del Sud e il suo ultimo commento sul picco del petrolio è stato pubblicato su " Cassandra's Legacy " nel 2018.

Ripensando oggi all'eredità di Colin, possiamo vedere che non aveva sempre ragione nelle sue valutazioni. Uno dei limiti del suo approccio era che si concentrava troppo su petrolio e gas. I suoi modelli a volte erano eccessivamente semplificati e, a volte, non aveva capito come le nuove tecnologie avrebbero cambiato il quadro degli eventi. Forse il suo limite principale è stato quello di aver sopravvalutato l'importanza della data del picco come punto di svolta per l'umanità e di aver creduto che potesse essere determinata dai modelli. So bene che aveva capito che il picco era solo un punto in una curva, e lo ha detto più volte in dichiarazioni pubbliche. Ma molte persone hanno frainteso il significato di "picco del petrolio" e lo hanno visto come equivalente alla "fine del petrolio". Per alcuni, era l'equivalente del concetto religioso di apocalisse,

Va da sé che le idee di Colin erano tanto lontane dal millenarismo quanto avrebbero potuto esserlo. Il suo approccio era rigoroso: solo scienza basata sui dati. Gli piaceva citare Keynes dicendo: "quando ho nuovi dati, cambio idea, voi cosa fate?" (in effetti, l'ha detto Samuelson). La capacità di Colin di analizzare i dati senza farsi influenzare da fardelli ideologici lo ha portato a evitare gli errori commessi da altri membri dell'ASPO, come riporre tutte le loro speranze nell'energia nucleare o rifiutare di accettare la scienza del clima come campo scientifico valido.

Quindi, anche se in questo momento il concetto di "picco del petrolio" sembra fuori moda, le buone idee rimangono. Sono come le anime: passano da una generazione all'altra, rinascendo come nuove incarnazioni se sono buone. Le idee di Campbell hanno quel potere, in questo momento sono quasi dimenticate, ma aspettano di riapparire in un corpo adatto, come lo spirito del Dalai Lama. Noi umani dimentichiamo le cose così facilmente, specialmente le cose importanti. Ma un giorno capiremo il messaggio principale di Campbell secondo cui ciò che otteniamo dalla Terra può sembrare gratuito, ma deve essere ripagato, prima o poi. E l'agenzia di recupero crediti alle dipendenze di Gaia è spietata e non la si può corrompere.

Dal momento in cui ho incontrato Colin per la prima volta, quel giorno del 2003, l'ho considerato il mio mentore quando mi sono trasferito in un campo di ricerca, l'esaurimento delle risorse, che era completamente nuovo per me. È stato in gran parte con il suo aiuto, che era sempre felice di fornire, che sono riuscito a ritagliarmi una nicchia in questo nuovo e affascinante settore. Nel corso degli anni ho conosciuto bene Colin e sua moglie Bobbins. Non era il tipo di uomo che si prendeva cura della propria immagine pubblica, né era abituato a vantarsi dei suoi successi, ma posso dirvi una cosa: era una brava persona. Era al livello più alto della scala dell'empatia , come la definisce il mio amico Chuck Pezeshky.

Colin si prendeva cura delle persone. Per la sua famiglia, i suoi amici, i suoi colleghi e anche per l'umanità nel suo complesso, altrimenti non avrebbe fatto quello che ha fatto con ASPO. Aveva capito come le risorse, e il petrolio greggio in particolare, siano alla base di gran parte dell'oppressione e della sofferenza imposte alla maggioranza degli esseri umani , e ha cercato di fare il possibile per liberare l'umanità da questo immenso fardello. Oggi possiamo vederlo come una delle grandi menti degli ultimi decenni che hanno cercato di allertare l'umanità sui pericoli futuri, come Aurelio Peccei, Donella Meadows, Rachel Carson, Herman Daly e molti altri. Non sono stati ascoltati, ma la loro memoria non sarà dimenticata.

Che Colin riposi in pace tra le braccia di quella Terra che tanto ha studiato da geologo.

venerdì 25 febbraio 2022

Ritorno alla realtà: Siamo tutti figli del petrolio




In questi giorni, mi sono capitati in mano per caso alcuni documenti della conferenza "ASPO-5," il convegno dell'associazione per lo studio del picco del petrolio che io e altri membri di ASPO-Italia avevano organizzato a Pisa nel 2004. Sembra che sia passato un secolo da quando ci eravamo illusi che sarebbe stato possibile convincere quell'entità nebulosa che si chiama "umanità" che stavamo esaurendo le nostre risorse naturali, petrolio in primo luogo, e che dovevamo fare qualcosa in proposito prima che fosse troppo tardi.

All'epoca, non sapevamo quanto tempo avevamo. I nostri dati ci davano il picco del petrolio "convenzionale" intorno al 2012, ma in realtà siamo riusciti a tirare avanti fino quasi ad oggi spremendo le riserve al massimo possibile. Abbiamo avuto quasi vent'anni di tempo per prepararsi ma, come ci si poteva aspettare, non abbiamo fatto quasi niente di serio in proposito. 

Al contrario, sono stati 20 anni di ottovolante alla ricerca disperata di un nemico. L'entità chiamata "umanità" ha dimostrato la maturità e la saggezza di un indemoniato in preda a convulsioni parossistiche. Il nemico è stato additato come Osama, Saddam, Assad, Qaddafi, Putin, e tanti altri, incluso una creaturina peduncoluta invisibile a occhio nudo che ci ha terrorizzato per due anni. Anche il picco del petrolio è stato demonizzato, come tutte le cose che ci fanno paura. Non lo si poteva bombardare, e nemmeno ci si poteva vaccinare contro di esso. Ma lo abbiamo marginalizzato, ridicolizzato e fatto scomparire dalla vista, come se l'avessimo sconfitto. 

Ma, ogni volta che ci sembrava di aver distrutto il nemico del giorno, questo si ripresentava in un'altra forma, più grosso e più brutto di prima. E ogni volta, nella lotta contro il mostro di turno, perdevamo qualcosa della nostra saggezza, della nostra libertà, della nostra umanità.

E ora? E ora siamo in trappola. Come ha detto uno dei nostri televirologi alla moda, "come sorci." I paesi europei (e l'Italia in particolare) si fanno trovare completamente impreparati in una situazione in cui dipendono pesantemente dall'estero per la loro produzione energetica. Senza energia a basso prezzo, l'industria non produce, e nemmeno l'agricoltura. E i sorci muoiono di fame. Se questa guerra non finisce presto, i sorci siamo tutti noi. 

UB

Nel seguito, un testo di Jacopo Simonetta. Come tutto quello che viene scritto nel mezzo di una crisi, molte cose che contiene potrebbero rivearsi sbagliate ma, secondo me, Jacopo qui le azzecca quasi tutte. 


Trappola per Topi in Ucraina

Di Jacopo Simonetta
https://www.apocalottimismo.it/trappola-per-topi-in-ucraina/

E così, questa volta gli americani avevano ragione: nella notte fra il 23 ed il 24 febbraio la Russia ha lanciato un attacco in grande stile sull’intero territorio ucraino senza neppure darsi la briga di una dichiarazione formale di guerra. Tutti, legittimamente, si chiedono se intenda conquistarla tutta o solo una parte. Sotto alcuni aspetti somiglia ad una riedizione dell’invasione dell’Ungheria del 1956 su ben più vasta scala, ma in un contesto completamente diverso ed un rischio consistente di escalation a livello continentale, se non mondiale, in ragione di molti fattori ignoti. Per esempio: cosa faranno gli USA con i loro satelliti (non la NATO come tale che interviene solo in caso di attacco al territorio di uno dei membri)? Esistono degli accordi segreti sulla partizione dell’Ucraina? La Cina approfitterà dell’occasione per attaccare Taiwan? E molti altri.

In un articolo apparso sul “Fatto Quotidiano”, Loretta Napoleoni ha ricordato che Putin da ragazzo andava a caccia di topi e che è solito chiosare le sue memorie ricordando che questo sport gli ha insegnato che non bisogna mai intrappolare un grosso ratto nell’angolo senza una via di fuga perché allora attacca e può fare molto male. Eccellente metafora, solo che in questo caso l’impressione è che ci siamo cacciati in trappola tutti quanti, a cominciare proprio da Putin. Forse, gli unici che ci guadagneranno qualcosa saranno proprio gli americani, ma vedremo.

Il contesto.

Tutti, nessuno escluso, stiamo impattando brutalmente contro il Limiti della Crescita (chi non conoscesse il libro lo legga, è fondamentale). Solo per dirne qualcuna, abbiamo certamente superato il picco del greggio e probabilmente anche quello di tutti i petroli. Il picco del gas e del carbone è alle spalle per molti e nel prossimo futuro per tutti, ergo il temuto “picco di tutto” è alle porte. Assai più grave è che la biosfera è stata devastata a tal punto che ha almeno parzialmente perduto la capacità di controllare i cicli bio-geo-chimici. Ciò significa che le variabili chimico-fisiche del pianeta sono fuori controllo e che più nulla ci garantisce che restino ancora a lungo compatibili con la vita o, perlomeno, con una civiltà complessa.

Anche se nessuno ne parla, tutto questo ha già da parecchi anni delle conseguenze dirette sulle persone, una delle quali è che le condizioni di vita della stragrande maggioranza peggiorano e sempre di più peggioreranno, mentre quelle di alcuni migliorano a vista d’occhio. I modi ed i tempi con cui questo accade differiscono profondamente a seconda dei luoghi e delle classi sociali, ma la tendenza è generale perché generali sono le forzanti principali alla base di essa (ivi compresa l’incapacità della classe dirigente ad affrontare e mitigare questo fenomeno). In UE questa tendenza è assai meno sviluppata che nella maggior parte degli altri paesi (inclusi Russia, USA e Cina), ma comunque è evidente e crescente.

Questo crea malcontento e delegittimazione della classe dirigente. Chi vuole scalare il potere soffia sul questo fuoco in molti modi spesso disonesti. Chi invece lo detiene cerca di mantenerlo ed i metodi disponibili sono molti: rafforzare la polizia segreta e non, controllo sempre più capillare della popolazione, perseguitare i dissidenti, ecc. Ogni oligarchia sceglie il mix che preferisce, ma arriva un punto in cui tutto questo non basta più ed occorre qualcosa che ricompatti la popolazione sotto la propria bandiera. Costi quel che costi e di solito si ricorre ad una minoranza interna (etnica, culturale, politica o altro) come capro espiatorio; oppure ad un bel nemico estero, specie se già conosciuto e temuto per tradizione.

Le due opzioni possono anche andare insieme ed è per questo che il nazionalismo è quasi sempre la carta che viene giocata sia da chi teme di perdere il potere, che da chi vi spira. Quasi sempre funziona benissimo perché fa appello a sentimenti molto profondamente radicati e già sapientemente manipolati per un paio di secoli. La fregatura è che rappresenta una strada a senso unico: una volta imboccata si può solo alzare progressivamente la posta, anche se diventa controproducente, perché altrimenti si passa di colpo da “eroe nazionale” a “Traditore della Patria”. In una parola, è una trappola.

Una politica estera aggressiva può quindi essere tanto la manifestazione di una potenza imperialista in fase espansiva, quanto il disperato tentativo di un’oligarchia in declino di restare attaccata al potere. Distinguere i due casi è spesso difficile, ma importante perché i risultati sono spesso opposti.

La trappola.

Vediamo telegraficamente i principali protagonisti di questa tragicommedia:

Ucraina.

Gli ucraini si sono sbarazzati di Jankovic nel 2014. Certo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso fu il voltafaccia repentino a proposito di un trattato commerciale con l’UE, ma la rivolta fu soprattutto contro livelli di malgoverno e corruzione arrivati a livelli intollerabili. Tanto che grandi manifestazioni contro il governo si tennero anche in città e regioni a larga maggioranza russa.

Il governo provvisorio pensò però di legittimarsi giocando sulle mal sopite rivalità storiche fra ucraini e russi annunciando lo sfratto della base russa di Sebastopoli. Trappola: il governo ucraino non aveva alcuna possibilità di sloggiare i russi da un territorio per loro fondamentale sotto tutti i punti di vista (militare, politico, psicologico, ecc.). Dunque dirlo servì solo a porsi con le spalle al muro, senza più alcuna possibilità né di recuperare il territorio perduto, né di trattare e nemmeno di normalizzare la propria posizione sia con il potente vicino, sia con gli altri paesi del mondo. A livello internazionale, avere contese territoriali irresolubili preclude infatti moltissime opzioni fra cui quella di entrare nella famigerata NATO.

Russia.

La popolarità di Putin crebbe a dismisura con la ripresa economica che coincidette con i suoi primi anni di “regno”. Finita la ripresa, il suo partito cominciò a perdere seguito e non ha mai più recuperato. Alle lunghe, l’indurimento della repressione ed una vasta rete di appoggi fra i miliardari locali ed internazionali non possono bastare e, per Putin, rilanciare periodicamente la propria popolarità personale è quindi vitale. Gli va riconosciuto di essere riuscito in una specie di miracoloso paradosso: piacere sia ai nostalgici dello Zar che a quelli di Stalin. Notevole, ma al prezzo di dipendere sempre di più dalla chiesa e da una politica estera aggressiva che certo non giova al suo paese.

Tuttavia, fino al 2014, si è sempre mosso con abilità, riuscendo ad avere risultati tangibili per i suoi fans, senza creare crisi internazionali irreparabili. Anche il colpo di mano con cui occupò la Crimea quasi senza colpo ferire fu accolto con un “minimo sindacale” di proteste internazionali: tutti sanno che nessun governo russo, per nessuna ragione, può rinunciare alla Crimea senza cadere. Ma con l’annessione è invece scattata la prima trappola. Questa ha infatti degradato in maniera irreparabile i rapporti della Russia con la maggior parte degli altri paesi, ma soprattutto ha galvanizzato eccessivamente i nazionalisti russi che, circa un mese più tardi, hanno lanciato la rivolta nelle regioni orientali dell’Ucraina (a larga maggioranza russa). Un pasticcio irreparabile che già prima dell’invasione era costato caro sia agli ucraini che ai russi, entrambi intrappolati nella logica nazionalista secondo cui il primo che fa una cosa sensata “è un vile che vende la patria al nemico”. Trappola rilanciata in questi mesi con la minaccia di guerra e poi di nuovo l’occupazione formale delle due città contese, fino ad oggi con l’avvio di una guerra senza precedenti fin dal 1945, che mette ancora di più la Russia in un angolo dal quale può oramai solo attaccare.

Fra le poche cose certe di questa vicenda vi è che Putin ha deciso di giocarsi il tutto per tutto, visto che non mette sul piatto solo il suo paese, ma anche il suo formidabile patrimonio personale, pazientemente accumulato in decenni di potere ininterrotto.

Europa.

L’Europa (qui intesa come UE), si è messa in trappola da sola già dagli anni ’90. Allora avrebbe infatti potuto pretendere il rispetto degli accordi siglati fra Regan e Gorbaciov che impedivano l’allargamento ad est della NATO, ma non quello della UE. Questo apriva per noi un’opportunità unica per creare uno strumento militare europeo autonomo dagli americani, uno strumento che ci avrebbe permesso di tornare ad esercitare un’almeno parziale sovranità sul nostro continente. Forse Gorbaciov sperava proprio in questo, per far sorgere una potenza geopolitica, intermedia fra la Russia e gli USA, con cui sarebbe stato forse possibile collaborare visti gli evidenti e numerosi interessi che avevamo e tuttora avremmo in comune. Di sicuro del pericolo se ne accorsero però gli americani che ebbero cura di impedire una simile eventualità, con la piena collaborazione dei governi europei.

Oggi, anche volendo e nessuno lo vuole, un simile programma non sarebbe possibile perché non ci sono più né i tempi, né le risorse necessarie. Non ci rimane dunque altro da fare che seguire più o meno diligentemente le veline che ci vengono da Washington, sperando che non ci costino troppo care (il che non è detto).

Bielorussia.

Per Lukashenko la crisi russo-ucraina è stata una benedizione. Nel suo ruolo di mediatore, ha fatto ottimi affari con tutti i soggetti in causa sia a livello personale che nazionale, ma tutto questo è finito. Con una situazione interna esplosiva ed il paese di fatto sotto occupazione russa l’ex “ultimo dittatore d’Europa” è oramai solo un patetico burattino nelle mani di Putin che lo terrà finché gli farà comodo, non un giorno di più. Nel frattempo i bielorussi pagano il conto.

USA.

Se Atene piange, Sparta non ride. L’assalto al Campidoglio da parte di migliaia di cittadini che volevano sovvertire il risultato delle elezioni presidenziali è stata la clamorosa dimostrazione che gli USA sono ormai uniti solo di nome, ma non più di fatto. Il rischio di una parziale disintegrazione delle stato non è più un’ipotesi fantascientifica e sembra che la politica interna non sia in grado di farci molto. Così, come spesso accade, la politica estera può sopperire al bisogno con un nemico per combattere il quale occorre fare nuovamente fronte comune. Non sempre funziona (talvolta l’effetto è anzi contrario), ma spesso si. Riguardo all’Ucraina, finora l’amministrazione Biden si è limitata ai discorsi roboanti e poco più; nulla lascia pensare che davvero sia disposto ad intervenire militarmente. Del resto, la sua preoccupazione principale rimane la Cina, ma non è detto che non cambi idea. Presentarsi alle elezioni di medio termine come paladino della libertà dei popoli oppressi è una cosa che può far molto comodo.
Comunque, già ora ha incassato alcuni dei regali di Putin: ha rafforzato la presa statunitense sull’Europa, rimesso i fila anche i più riottosi dei suoi satelliti e dimostrato per l’ennesima volta che per parlare con “il mondo occidentale” esiste un unico numero di telefono: quello della casa Bianca. Del resto, indebolire l’UE è sempre stato forse l’unico interesse comune fra i governi americani e russi succedutisi negli ultimi 50 anni, con l’unica eccezione di Gorbaciov che tentò la carta contraria, invano.

Possibili sviluppi.

Il futuro sta in grembo a Zeus, ma sembra molto improbabile che Putin si possa accontentare di poco. Scatenando una guerra su vasta scala in Europa (qui in senso geografico) si sta giocando il tutto per tutto: una trappola da cui può uscire solo sconfitto o vincitore, senza più spazi di manovra. Una duplice trappola particolarmente perversa perché, con l’offensiva, a messo nell’angolo anche gli americani che, se lasceranno fare, perderanno completamente di credibilità e, dunque, di potere sul mondo. E come lui stesso insegna, i topi nell’angolo sono pericolosi.

L’esercito ucraino non può competere con quello russo in campo aperto, ma assediare le grandi città potrebbe richiedere molti morti e, soprattutto, molto tempo ai russi. Forse, un tempo sufficiente per convincere gli USA ed alcuni dei suoi satelliti, per esempio la Polonia, ad intervenire. Se preparare l’invasione ha richiesto ai russi alcuni mesi di lavoro, preparare una contro-invasione non può essere fatto nel giro di giorni e neppure di settimane.

Potrebbe quindi finire con la capitolazione dell’Ucraina, o potrebbe nascerne una vera grande guerra o, forse, una partizione fra un’Ucraina est occupata dai russi e un’Ucraina ovest occupata dagli americani. Nel mezzo la Bielorussia che si troverebbe quasi accerchiata, mentre con l’occasione probabilmente si chiuderebbe la partita in Transnistria (dove sono di stanza altre truppe russe) e la NATO imbarattolerebbe Kaliningrad come a suo tempo la Russia aveva imbarattolato Berlino. Come minimo, tutti i dispositivi militari euroamericani saranno rafforzati (anzi si stanno già rafforzando). In pratica, se davvero Putin voleva allontanare la Nato dai suoi confini, rischia di ottenere il risultato esattamente opposto.

Ritorno al contesto

Ci sono ben pochi punti sicuri in questa vicenda ed uno di questi è che europei, russi, bielorussi ed ucraini hanno tutto da perdere; forse gli americani invece ci guadagneranno qualcosa, vedremo. Ma se allarghiamo un tantino lo sguardo, vediamo che siamo tutti nella stessa trappola globale in cui ci siamo cacciati viribus unitis fra gli anni ’80 e ’90, quando abbiamo deciso di rilanciare il consumismo e globalizzare il capitalismo, anziché usare il poco tempo che ancora avevamo a disposizione per smantellare entrambi e tentare di slittare in una “steady state economy” senza scossoni troppo dolorosi.

E’ all’interno di questo trappola planetaria che i topi, non contenti del loro destino, si incantonano da soli per poi azzuffarsi fra loro.

Comunque vada, questa guerra accelera ulteriormente il consumo delle residue risorse che abbiamo e, se poi davvero scoppierà una guerra in grande stile, le distruzioni saranno tali da essere solo in parte recuperabili. Come disse credo Einstein: “Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre”. Lui temeva l’uso di armi nucleari, ma oggi non ne abbiamo più bisogno: anche con armi convenzionali abbiamo i mezzi per distruggere molta più roba di quella che potremmo poi ricostruire.

Forse, quello cui mira Putin è riconquistare più territorio possibile prima di calare una nuova “cortina di Ferro” attraverso l’Europa e sembra che su su questo punto USA, Russia e Cina siano d’accordo: una bella guerra fredda è quello che ci vuole per rifondare il potere degli stati più importanti. In effetti la “Cortina di Ferro” giocò un ruolo molto stabilizzante per 50 anni, ma il contesto era completamente diverso da oggi. Allora, le economie dei soggetti principali erano quasi completamente indipendenti, tutti avevano a disposizione abbondanti materie prime ed usufruivano di una biosfera funzionale. Oggi non c’è più nessuno di questi presupposti. Solo pochi mesi fa abbiamo sperimentato come il banale incagliamento di una grande nave in un canale possa mettere in crisi le economie mondiali, figuriamoci cosa accadrà se la guerra dovesse sbrodolare fuori dall’Ucraina o, perfino, coinvolgere la Cina. Per non parlare della catena di disastri irreparabili se qualcuno cominciasse a colpire obbiettivi strategici come piattaforme petrolifere, centrali nucleari e simili.

Ma forse chissà? Questa potrebbe essere la strada che inconsapevolmente abbiamo scelto per ridurre definitivamente la nostra impronta ecologica e la nostra popolazione. La peggiore possibile, come spesso accade, ma sempre meno peggio della “Sindrome di Venere”.

Il futuro sta in grembo a Zeus, ma neppure Lui ha il potere di modificare il Fato: una trappola in cui spesso ci cacciamo da soli.

martedì 30 dicembre 2014

Picco del petrolio: l'elefante nella stanza

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


"Il paese degli elefanti" è un libro sul picco del petrolio di Luca Pardi. Il titolo fa riferimento al fatto che alcuni politici hanno definito l'Italia il “paese del petrolio” perché ne produce un po', ma è sbagliato tanto quanto lo sarebbe dire che l'Italia sia il “paese degli elefanti”, perché ce ne sono alcuni negli zoo.


Nel 2003, ho invitato Colin Campbell, il fondatore dell'associazione per lo studio del picco del petrolio (ASPO), a fare una conferenza a Firenze. Dopo la conferenza, un piccolo gruppo di cospiratori (*) si sono riuniti nel mio ufficio. Abbiamo bevuto insieme una cosa che curiosamente aveva l'aspetto del petrolio in quanto a colore (non in quanto a sapore, fortunatamente), un liquore forte che veniva dall'Ucraina e si chiamava “Balzam”. Dopo qualche bicchiere dei quella roba marrone, abbiamo deciso di formare il capitolo italiano di ASPO, ASPO-Italia. Uno dei cospiratori di quel giorno fatidico, Luca Pardi, ora presidente di ASPO-Italia, ha recentemente pubblicato un libro sul petrolio e sul gas dal titolo curioso di “Il paese degli elefanti”. E' un gioco di parole su alcune stupide considerazioni sul petrolio fatte da uno dei nostri politici più importanti, Romano Prodi, che ha detto che l'Italia “galleggia su un mare di petrolio”. Ma si può prendere il titolo del libro anche come un riferimento al vecchio detto su “l'elefante nella stanza”. Il picco del petrolio è il vero elefante nella stanza dei nostri tempi. E' lì, è grande, non puoi non vederlo, eppure non viene percepito, visto, è invisibile.

L'invisibilità del picco del petrolio è ancora più impressionante se confrontato a quanto di più sappiamo oggi rispetto a quanto ne sapessimo all'inizio. Lo si può vedere, chiaramente, nel libro di Pardi, che è un eccellente riassunto del lavoro fatto fino ad oggi sull'argomento. Confrontatelo al mio primo libro sul picco del petrolio, pubblicato nel 2003, e vedrete che, certamente, siamo andati molto lontano da allora. Oggi abbiamo modelli migliori, dati migliori e in generale una comprensione molto migliore dei concetti che riassumiamo sotto il nome di “picco del petrolio”. E' tutti i dati e i modelli sempre più raffinati ci confermano la nostra iniziale intuizione: il picco del petrolio è davanti a noi.

Eppure, il problema dell'elefante nella stanza rimane. Il picco del petrolio rimane un concetto marginale, quasi mai menzionato nei media ufficiali e nel dibattito politico. I politici e i loro consiglieri sembrano non averne mai sentito parlare e quando gli è capitato, lo fraintendono. La situazione è ancora più deludente se teniamo conto della quantità di capacità intellettuale è stata dedicata al soggetto. Pochi campi della scienza hanno visto un gruppo del genere di persone intelligenti, dedicate e competenti ottenere risultati così impressionanti, normalmente avvalendosi di un budget ristretto o nessun budget. Aggiungerei che questo gruppo ha avuto anche le credenziali appropriate per essere presi sul serio: ricercatori universitari, scienziati di primo livello, professionisti di primo livello. Non immaginereste che il consiglio di un gruppo del genere possa essere ignorato. Eppure, lo è stato.

Ripensando al lavoro degli ultimi 10 anni, quasi non riesco a credere quanto fossimo ingenui. Abbiamo davvero pensato che buoni dati e buoni modelli avrebbero fatto breccia, alla fine, nella consapevolezza dei decisori. E, quindi, qualcuno avrebbe fatto qualcosa per questo problema. Sì, eravamo così ingenui. Non pensavamo che viviamo in un tempo in cui gli elefanti popolano i soggiorni delle persone e vengono normalmente ignorati. Viviamo nel tempo in cui Karl Rove ha detto che, siccome siamo un impero, creiamo la nostra realtà”. Una realtà in cui esistono mari di petrolio perché un politico lo ha detto. Proprio quest'anno, ho visto un esempio impressionante di questo processo di creazione della realtà basato sulle pie illusioni e su dati falsificati al Parlamento Europeo a Brussels.

Sembra che siamo indirizzati a vedere il mondo attraverso i nostri filtri ideologici, cosa che funziona bene per tenere lontana la realtà. Il problema è che la realtà virtuale, a prescindere da quanto sia potente l'impero che l'ha creata, tende a cadere a pezzi quando entra in contatto con la vera realtà. I mari virtuali di petrolio tendono ad essere calpestati dagli elefanti virtuali che popolano il soggiorno, ma tendiamo ancora ad attaccarci ai nostri filtri più a lungo che possiamo. Il picco del petrolio semplicemente non può passare dal filtro. Così, l'attuale collasso del mercato petrolifero non passa inosservato, ma viene percepito come una cosa buona. E' probabile che più ci avviciniamo al picco globale meno lo percepiremo. E quando lo superiamo (e potremmo averlo già fatto) diventerà un elefante realmente invisibile nascosto dietro al divano nel soggiorno. Mentre scendiamo dal dirupo di Seneca, penseremo che sia solo un dosso sulla strada per la prosperità infinita.


(*) Per la cronaca, i fondatori di ASPO-Italia che si sono riuniti nell'ufficio di Ugo Bardi per qualche bicchierino di “Balzam” ucraino erano (oltre ad Ugo Bardi) Luca Pardi, Francesco Meneguzzo, Giovanni Marocchi e Renato Guseo (o perlomeno questi sono quelli che ricordo).