domenica 17 gennaio 2016

Picco del petrolio: è quello vero?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



Art Berman riporta nel suo blog gli ultimi dati della IEA. Questi dati rivelano una grande quantità di informazioni su quanto è successo nei mercati petroliferi durante gli ultimi due anni circa. Tutta la cosa sembra essere finita fuori controllo, con tutti che pompano il più possibile, preoccupandosi solo di danneggiare i concorrenti e senza troppa preoccupazione circa il disastro generale causato dalla sovrapproduzione. L'eccesso ha stimolato la domanda, ma solo debolmente. Il risultato è stato il collasso del prezzo del petrolio, che osserviamo ancora oggi.

sabato 16 gennaio 2016

Il collasso dalla produzione di petrolio di scisto

Da “srsroccoreport.com”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)

Non dobbiamo più aspettare il collasso del petrolio di scisto statunitense, è già iniziato. Sfortunatamente, è una cattiva notizia per il governo statunitense e per l'economia interna. Il crollo della produzione petrolifera interna metterà a dura prova il sistema finanziario fortemente basato sul debito nei prossimi anni.

Secondo il recente Rapporto sulla Produttività delle Trivellazioni della Energy Information Agency (EIA), la produzione di petrolio di scisto dei principali giacimenti è prevista in declino di 116.000 barili al giorno nel gennaio 2016. Anche se la produzione di petrolio di scisto complessiva statunitense è prevista in calo del 12% dal suo picco del marzo 2015, uno dei giacimenti più grandi in Texas è in calo di un esorbitante 30%:

giovedì 14 gennaio 2016

LA SOVRAPPOPOLAZIONE È UN PROBLEMA ?


di Jacopo Simonetta

Articolo tratto da  "Overshoot n. 7", Bollettino dell'Associazione Rientrodolce. 

Le parole hanno un significato e da come si usano si può capire come funziona la mente di chi parla o scrive.

Prendiamone una che oggi si incontra spessissimo: problema.

In pratica, quando una determinata situazione viene definita “un problema” s’intende dire che è una cosa più o meno spiacevole, magari anche pericolosa, ma che opportune azioni possono, almeno in teoria, ricondurre il tutto entro l’alveo della normalità (altro termine su cui ci sarebbe molto da dire).
Dunque è questo che intendiamo quando diciamo che la sovrappopolazione è un problema?  Se si, vuol dire che ci devono essere delle azioni atte a risolverlo, questo problema; altrimenti utilizzeremmo altri termini come, ad esempio, “catastrofe”.

Ma che vuol dire “catastrofe”? Comunemente, lo sappiamo, indica un evento improvviso, tale da provocare danni molto elevati, anche irreparabili.
In un contesto scientifico, indica più genericamente un cambiamento molto rapido e consistente nell'andamento di una funzione. Un modo molto asettico di indicare eventi che, spesso, hannoconseguenze devastanti, perlomeno alla scala dimensionale cui ci si sta riferendo.

Insomma, riferito alla realtà quotidiana di tutti noi, vogliono dire la stessa cosa, ma il significato scientifico ci interessa perché si porta dietro la spiegazione di come avviene la formazione di una catastrofe. Impariamo così che se gli effetti sono repentini, le cause, al contrario, si accumulano silenziosamente per un periodo anche molto lungo, senza che succeda praticamente niente.  Ed è proprio questa dilazione degli effetti rispetto alle cause che impedisce un tempestivo adattamento, provocando quindi effetti dirompenti.

Ad esempio, se, un poco per volta, si accumula un carico eccessivo su una trave di legno, un osservatore accorto avrà modo di vedere che pian piano si flette, vi compaiono fenditure caratteristiche e nel silenzio si udirà scricchiolare.  Ci sarà quindi il tempo per spostare i mobili. Viceversa, se si eccede nel caricare una trave di cemento armato, non si vedranno segni di sorta finché un giorno, all'improvviso, la trave cederà di schianto.  E se vi capita di sentire scricchiolare una trave di questo tipo, non pensate ai mobili, ma a scappare perché è già troppo tardi.

Considerando che i principali effetti della sovrappopolazione sono l’aumento della disoccupazione, l’incremento dei flussi migratori, lo sgretolamento delle strutture sociali, la distruzione di ecosistemi, la perdita di biomassa e di biodiversità, l’erosione dei suoli ed altri simili, non credo che ci sia molto bisogno di dilungarsi sul fatto che la trave stia scricchiolando molto forte e non da adesso.

Ma potremmo forse fare qualcosa per evitare il peggio che incombe?

In effetti, fin dagli anni ’60 del ‘900, quando la tendenza demografica è diventata evidente, c’è stato un fiorire di proposte, perlopiù concentrate sulla riduzione delle nascite, ma non hanno funzionato.  A livello globale, la curva demografica reale ha ricalcato quasi perfettamente quella prevista negli scenari “business as usual”.

In parte perché solo alcuni paesi hanno ridotto sufficientemente la natalità ed anche questi troppo lentamente. Ma soprattutto perché l’aumento vertiginoso della popolazione è dipeso prevalentemente dalla riduzione della mortalità, un fatto direttamente correlato con l’aumento delle produzioni agricole ed al miglioramento dei servizi sanitari più o meno in tutto il mondo.

Sicuramente le due conquiste della modernità più universalmente apprezzate. Ma conquiste direttamente dipendenti dal tipo di sviluppo economico che abbiamo avuto, poiché solo questo tipo e questo livello di crescita economica poteva mettere a disposizione le immani risorse necessarie ad un tale sviluppo della scienza e dell’industria medico-farmaceutica, così come per l’industrializzazione dell’agricoltura, lo sviluppo dei trasporti ecc.

Sappiamo per esperienza che crescita economica significa maggiori opportunità di guadagno, oltre che più beni e più servizi da acquistare. E’ intuitivo che ciò favorisca sia la natalità che la longevità; dunque la crescita demografica.   E’ invece molto meno evidente che, alle lunghe, proprio il perdurare della crescita demografica finisca con l’erodere l’economia. Eppure tutti sanno ( o dovrebbero sapere) che una famiglia deve scegliere se pagare l’università al figlio, acquistare una macchina nuova, andare in vacanza in un albergo di lusso o mettere al mondo un altro bambino. Semplicemente perché non ci sono risorse sufficienti per fare tutte queste cose contemporaneamente, a meno che non si guadagni di più.   Ma guadagnare di più significa per l'appunto crescita economica.

E, malgrado la frenesia di governi, banche, imprenditori ecc. la semplice verità è che i presupposti per la crescita economica non ci sono più. Al di la dei trucchi contabili, l’occidente è in recessione da quasi 20 anni oramai; ed il resto del mondo, alla spicciolata, ci segue.

Andamento di PIL, debito federale e borsa negli USA. I dati del PIL,
 corretto 
dalle manipolazioni contabili, sono tratti da John Williams,
”Shadow Government 
Statistics”)
In estrema sintesi, crescita demografica e crescita economica si rinforzano vicendevolmente, ma fra le due è la crescita economica che fa aggio sull'altra perché, se l’economia si contrae, la mortalità inevitabilmente sale,  mentre la natalità può sia aumentare che diminuire a seconda di molti fattori,
principalmente il livello d’autonomia decisionale delle donne in seno alla società.

Dunque: esiste una soluzione del problema? Secondo me, dipende da cosa chiamiamo “soluzione”. Se intendiamo dire che esiste un modo per riportare l’umanità in equilibrio con le superstiti risorse del pianeta in maniera non traumatica, direi certamente: NO.

Qualunque intervento anche solo teoricamente adottabile dalle pubbliche autorità non sortirebbe effetti sensibili prima di alcuni decenni, mentre gli effetti della contrazione economica si stanno già facendo sentire in alcuni paesi e, con ogni probabilità, cominceranno a farsi sentire su scala globale nel giro di 10-20 anni da adesso.   Dunque molto prima ed in modo, purtroppo, molto più rapido.

Insomma, per una volta è vero il detto “il problema è la soluzione”, ma ciò non significa che siamo eticamente autorizzati a stare a guardare la fine della nostra civiltà con le mani in mano, magari sogghignando “io l’avevo detto”.  Al contrario, è proprio quando la barca affonda che bisogna darsi maggiormente da fare.

Per cominciare, ridurre la natalità non sarà certamente sufficiente a riportare la situazione entro i limiti di sostenibilità, ma può fare moltissimo per ridurre il carico di sofferenza collettiva nel prossimo futuro.   Soprattutto, può dare un contributo cruciale nel flettere la curva della popolazione abbastanza in fretta da permettere agli ecosistemi di recuperare abbastanza da poter assicurare una vita decente ai discendenti dei superstiti.

Del pari, studiare ogni possibile modo per ridurre i propri impatti personali e collettivi sul pianeta, ben lungi dall'essere inutile, aiuterà a guadagnare tempo, lenire almeno un poco le situazioni più disperate e, soprattutto, elaborare i presupposti per la nascita di una civiltà futura molto diversa da quella attuale.

Per non parlare dell’urgenza di elaborare e sperimentare forme di aggregazione sociale e forme di economia di sussistenza preadattati, entro i limiti del possibile, alle condizioni socio-economiche e politiche probabili nel futuro a medio termine.

Un altro campo d’azione sterminato è occuparsi di trasmettere ai posteri almeno una parte dell’immenso patrimonio d’arte e scienza che abbiamo generato e accumulato attraverso secoli. E’ estremamente improbabile che le civiltà del futuro abbiano a disposizione i mezzi che abbiamo avuto noi, semplicemente perché le risorse necessarie non esistono più. Ma proprio per questo dovremmo preoccuparci, forse ancor più che di qualunque altra cosa, di proteggere questo nostro straordinario prezioso patrimonio dalla distruzione dei decenni venturi. Abbiamo ben visto di quali danni siano capaci gruppi di fanatici: quali saranno le conseguenze degli inevitabili e drastici tagli ai bilanci di università, musei, biblioteche, eccetera?

Infine, non dobbiamo dimenticare mai che se poco può essere fatto per lenire la durezza dei tempi a venire, moltissimo possiamo invece fare per rendere tali tempi molto, ma molto peggiori.  Il dilagare di nazionalismi e fanatismi di ogni sorta, il diffondersi di pensieri del tipo “ci vorrebbe un uomo forte” o “si stava meglio quando si stava peggio” e simili, sono tutti dei “dejà vu” in altre epoche di profonda crisi, che dovrebbero metterci all'erta.

Mantenersi impermeabili a questi richiami e cercare di contrastarli dovrebbe essere una delle occupazioni quotidiane di chi desidera dare il suo piccolo contributo ad una decrescita che, se non sarà felice, si può sperare che sia almeno “passabile”.  Evitando di farne l’incubo che, apparentemente, sempre più persone stanno cercando di materializzare.   Perlopiù per lo spasmodico desiderio di evitare l’inevitabile, quasi che fosse possibile riportare indietro l’orologio delle storia ad epoche in cui, è vero, si viveva meglio di oggi.   Ma è proprio in quelle epoche che abbiamo stoltamente sovraccaricato le strutture vitali del pianeta. Tornare indietro non servirebbe quindi a nulla; meno male che non è possibile.



mercoledì 13 gennaio 2016

Il collasso della società mediterranea nell'Età del Bronzo: perché continuiamo a non capire le ragioni del collasso della civiltà

Da “Resource Crisis”. Con considerazioni introduttive e a seguito di Bodhi Paul Chefurka dalla sua pagina FB. Traduzione di MR

Il mondo è stato preda di una “catastrofe da uso eccessivo da parte degli umani” negli ultimi 65 anni, sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La situazione è stata compresa chiaramente circa dal 1970, negli ultimi 45 anni. In quel periodo abbiamo visto l'erosione dei sistemi naturali nel mondo a tassi accelerati. Ora, è vero che non capiamo pienamente il collasso sociale, come evidenzia il professor Ugo Bardi in questa sua recensione:

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Il collasso della società mediterranea nell'Età del Bronzo: perché continuiamo a non capire il collasso della civiltà



Eric Cline ha scritto un libro eccellente sulla fine dell'Età del Bronzo nell'area mediterranea ma, sfortunatamente, non arriva ad una conclusione definita circa le ragioni del collasso. Cline suggerisce che “diversi fattori di stress” hanno lavorato insieme per assicurare la fine di questa civiltà. Ma questo è davvero deludente, a dir poco. E' come un giallo in cui, alla fine, ci viene detto che il killer della Signora in Rosso avrebbe potuto essere il professor Plum, la signora Peacock, la signora White, il reverendo Green o il colonnello Mustard ma, realmente, sembra che l'abbiano accoltellata tutti insieme, simultaneamente. 


Immaginate una squadra di archeologi che vivono fra tremila anni. Lavorano agli scavi delle vestigia di un'antica civiltà della costa orientale del Mar Mediterraneo, una regione i cui antichi abitanti chiamavano “Siria”. Gli archeologi scoprono prove chiare che la civiltà siriana è collassata in corrispondenza di una serie di disastri: una grave siccità, una guerra civile, la distruzione delle città da parte di incendi, invasori stranieri, una riduzione della popolazione ed altro. Le prove di questo evento sono chiare, ma ma cosa le ha causate esattamente? I nostri futuri archeologi sono sconcertati, sospettano che ci sia una singola ragione per questa coalescenza di disastri, ma non riescono a trovare prove di quale possa essere stata. Uno di loro propone che potrebbe aver avuto a che fare col fatto che gli antichi siriani stavano estraendo qualcosa del sottosuolo e lo usavano come fonte di energia. Ma, senza dati affidabili sulle tendenze di produzione, non sono in grado di provare che l'esaurimento del petrolio è stata la causa fondamentale del collasso siriano.

martedì 12 gennaio 2016

La sovrappopolazione è ancora un tabù

Da “Amerika”. Traduzione di MR (via Population Matters)

Di Frank Azzurro

Ci sono molte persone – alcune delle quali scienziati rispettati – che hanno parlato della sovrappopolazione per decenni. Il dottor Albert Bartlett, persino Isaac Asimov – uomini intelligenti che vedono attraverso le complesse strutture sociali e le condensano nella forma più semplice, di modo che possa essere vista per quello che è. 


La maggior parte delle persone nella società moderna non ama parlare di sovrappopolazione perché non vuole ammettere che non tutte le vite umane sono preziose e vale la pena salvarle – il che nega la semplice realtà che la morte accade; che sia a tarda età o nell'infanzia, è inevitabile. Può accadere in circostanze tragiche o non tanto tragiche. La parte più profonda della nostra esistenza è il fatto che finisce, eppure non riusciamo ancora ad afferrarlo. Se ogni vita umana non vale la pena di essere salvata, il pensiero vaga, allora forse la mia vita non vale la pena di essere salvata, e ciò è inaccettabile praticamente per tutti. Al posto di ammettere semplicemente che siamo una società di idioti narcisisti che ripete a pappagallo cose sui diritti individuali mentre si accaparra e consuma tutte le risorse disponibili, però, proiettiamo quel pensiero nel, “la vita di chiunque è tutt'altro che preziosa, pertanto qualsiasi cosa riduca o limiti i diritti di qualcun altro è un attacco diretto all'umanità ed alla vita stessa”. Naturalmente, ciò è stupido se riferito alla sovrappopolazione, perché la cosa è che meno persone ci sono, più risorse ci sono per tutti.

lunedì 11 gennaio 2016

Quale futuro per l'Antropocene? Un'interpretazione biofisica.

Traduzione di MR

Nota: questa è la traduzione di un testo piuttosto pesantino che si trova per ora su "ArXiv" in attesa di essere sottoposto a una rivista scientifica, cosa che mi ripropongo di fare appena possibile. Nel frattempo, Max Rupalti si è messo a tradurlo in Italiano e il risultato lo trovate qui sotto. Come dicevo, è una cosetta un po' accademichetta/pesantuccia, però, se avete voglia di leggerlo, aspetto i vostri commenti prima di mandarlo alla rivista. (UB)

Di Ugo Bardi
ArXiv 2015

Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Firenze.
Polo Scientifico di Sesto Fiorentino, 50019 Sesto F. (Fi)
ugo.bardi@unifi.it

Abstract. L'Antropocene è una suddivisione temporale proposta per la storia della Terra correlata alla forte perturbazione umana dell'ecosistema. Gran parte del dibattito si sta svolgendo su quale debba essere considerata la data come l'inizio dell'Antropocene, ma molto meno su come possa evolvere nel futuro e quali siano i suoi limiti finali. Qui si sostiene che il fenomeno che attualmente definisce l'Antropocene declinerà e poi scomparirà rapidamente in tempi dell'ordine di un secolo, in conseguenza della dispersione irreversibile dei potenziali termodinamici associati al carbonio fossile. Tuttavia, è possibile che in futuro il sistema economico umano possa catalizzare la dissipazione di energia solare in forme diverse dalla fotosintesi, per esempio usando dispositivi fotovoltaici a stato solido. In questo caso, una forte influenza umana sull'ecosistema potrebbe persistere per tempi molto più lunghi, ma in forme molto diverse da quelle attuali.

sabato 9 gennaio 2016

Quando la Terra si trova alla sua capacità massima

Da “Lariat”. Traduzione di MR (via Population Matters) 

Di Jonathan Anson


La Terra sta attraversando una pletora di problemi. La maggior parte di essi sono collegati all'eccessiva crescita della popolazione della razza umana. (Illustrazione di Anibal Santos)

Il cambiamento climatico continua a rimanere un problema controverso e spinoso. Il conflitto ha raggiunto un nuovo vertice coi governi del mondo che vedono sempre più necessario contrattaccarlo. Le Nazioni Unite considerano che il cambiamento climatico sia un enorme minaccia ed ha fornito ampi rapporti sul problema. Sperano di affrontare la causa che sta dietro al cambiamento climatico, cioè l'uso di combustibili fossili, lo spreco di energia e l'eccessivo consumo. Un altro fattore riceve ancora poca considerazione dai mezzi di informazione ed è tuttavia collegato con tutto questo: la crescita della popolazione.