venerdì 18 dicembre 2015

Dopo la COP21 di Parigi: cinque scenari per il futuro

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

 2060: la ricerca di una tecnologia rivoluzionaria per risolvere il cambiamento climatico continua. "E' una macchina del tempo che speriamo ci riporti indietro di 50 anni quando avremmo potuto tassare il carbonio".

Gli scenari non sono previsioni, solo modi per descrivere futuri possibili, utili per essere pronti ad eventi inaspettati. La sola regola nella costruzione di scenari è che le ipotesi non devono essere troppo improbabili, come contemplare macchine del tempo. Eppure, sembra che in alcuni casi che coinvolgono previsioni climatiche, le macchine del tempo siano un'ipotesi intrinseca


La conferenza COP21 di Parigi ha riportato il clima all'attenzione del pubblico e da adesso in avanti parte la sfida vera: cosa possiamo realmente aspettarci per il futuro del clima terrestre? Come sempre, le previsioni sono difficili, specialmente quando ci sono molte variabili coinvolte. Ciononostante, il cambiamento climatico è il risultato di fattori fisici che possiamo capire e sappiamo che l'accumulo di gas serra in atmosfera – se continuasse – ci porterà ad un futuro molto sgradevole.

Se guardiamo al futuro a lungo termine, tutta la questione ruota intorno a se riusciamo a ruotare al di sotto di un aumento di temperatura che è ritenuto “sicuro” (potrebbe essere 2°C, ma non lo sappiamo con certezza), o superiamo il limite e ci ritroviamo al di sopra del “punto di non ritorno climatico” dopo il quale il sistema comincia a muoversi verso un riscaldamento sempre maggiore, con tutti i disastri associati.

Quindi ho pensato che avrei potuto impegnarmi in un piccolo esercizio di “costruzione di scenari” qualitativi con una focalizzazione particolare sul clima. Ecco alcuni scenari, elencati senza un ordine particolare. Alcuni li potreste vedere come orribili, alcuni come improbabili, altri come eccessivamente ottimistici. Ma non sono altro che scenari. La COP21 è stato un passo nella giusta direzione. Evitare le conseguenze peggiori non sarà facile, ma dipende da noi.

1. Business as usual. In questo scenario, le cose rimangono in gran parte come sono oggi, peggiorano soltanto gradualmente. Non ci sono grandi guerre, nessun collasso economico brusco, nessun disastro climatico improvviso. Ma le temperature continuano ad aumentare mentre il sistema economico mondiale viene colpito da una crisi dopo l'altra. Quindi l'economia perde gradualmente le risorse necessarie per mantenere in vita le strutture che studiano e comprendono i problemi globali: università e centri di ricerca. Di conseguenza, i problemi globali scivolano via dalla consapevolezza collettiva. Le persone vengono uccise da ondate di calore, affamate dalle siccità, spazzate via da uragani mostruosi, eppure nessuno è in grado di collegare tutto ciò al cambiamento climatico, mentre la combustione di combustibili fossili, anche se ridotta a causa dell'esaurimento, continua. Sul lungo periodo, ciò porterebbe alla fine della civiltà con un sussurro, piuttosto che con un fragore.

giovedì 17 dicembre 2015

COP21 a Parigi: La situazione è critica, ma state calmi

da "Pisorno.it"

Max Strata
Max Strata

L’accordo c’è ma cosa cambia? Si è conclusa a Parigi la 21ma conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

14dicembre 2015 di  Max Strata

clima urgenza.Ha riunito tecnici e politici di tutto il mondo per trovare un accordo che sia in grado di contenere il surriscaldamento del pianeta entro i due gradi centigradi a fine secolo rispetto alla temperatura media del periodo in cui è iniziata la rivoluzione industriale.

L’accordo, tra un generale entusiasmo, è dunque arrivato e immediatamente è stato salutato dai media come una pagina storica per l’umanità. Non c’è dubbio che dopo gli insuccessi delle trattative che avevano segnato un percorso durato oltre venti anni, siamo apparentemente di fronte a qualcosa di nuovo e di auspicabile, se non altro per il fatto che la diplomazia ha battuto un colpo e si è fatta sentire. A guardar bene però, il risultato è tutto qui, poiché di vincolante non c’è niente (e non potrebbe esserci stato) e i singoli Paesi, da quelli più ricchi, a quelli “emergenti”, ai più poveri, continueranno a muoversi ciascuno per conto proprio, autocertificando, gli interventi finalizzati a diminuire le emissioni climalteranti.

parigi clima
Parigi per la Cop21Sulla revisione e l’aggiornamento delle politiche nazionali di riduzione delle emissioni climalteranti bisognerà attendere il 2020 e addirittura il 2023 per il controllo dell’attuazione degli impegni; il 2020 è anche l’anno in cui dovrebbe essere reso completamente disponibile il fondo comune da cento miliardi di dollari all’anno, destinato al trasferimento delle “tecnologie pulite” ai paesi a scarsa industralizzazione (un buon business per molte aziende occidentali), mentre nel frattempo gli incentivi all’uso del petrolio potrebbero continuare a ricevere la modica cifra di cinquecento miliardi di dollari all’anno.
Ancora tempo dunque per dare fondo alle riserve di oro nero prima di procedere con convinzione su una via alternativa benché la ricerca scientifica abbia da tempo precisato che siamo in grave ritardo rispetto ai cambiamenti da effettuare.

Riassumendo, si può dire che è stato creato un quadro di riferimento che addirittura vede come traguardo il contenimento del rialzo della temperatura media ben al di sotto dei due gradi (ovvero un grado e mezzo) sapendo tuttavia che un grado ce lo siamo già giocati e che quindi ci resta un margine strettissimo su cui operare e in cui dovremmo riorganizzare l’intera economia globale dominata dai combustibili fossili.

Questo è il punto.

agricoltura mondoSi tratta di uno spazio di manovra eccezionalmente piccolo all’interno del quale si rende necessario abbattere l’uso di petrolio, carbone e gas naturale, smettere di tagliare le foreste e smettere di allevare animali in modo intensivo, ovvero, ridurre drasticamente le quantità di merci in circolazione e colpire al cuore il tipo di economia dominata dall’idea di crescita a cui (noi dei paesi più ricchi) ci siamo abituati. E tutto questo senza intaccare i consumi del trasporto aereo e marittimo, per non parlare dei costi energetici dell’apparato militare mondiale che per definizione non vengono neppure contabilizzati poiché vale il principio che la guerra è una cosa a parte, pianeta da salvare o meno.

L’accordo dunque non impone e non può imporre quanto è sgradito a chi comanda e in ogni caso sarà rivedibile ogni cinque anni.

Semplificando, ci dice che (forse) ci saranno un po’ di soldi a disposizione per riparare i danni prodotti dal caos climatico (sommersione di terre, distruzione di raccolti e infrastrutture, ecc.) ma che non è possibile introdurre nel documento finale ne il concetto di “giustizia climatica” ne quello di “diritti umani”.

Soprattutto, facendo finta di non sapere che la densità energetica del petrolio non è attualmente sostituibile, ci dice che la Green Economy è il nostro futuro, ovvero che lo sviluppo delle energie rinnovabili ci porterà fuori dal pantano in cui ci siamo infilati e che saranno gli investimenti della finanza a modificare gli assetti attuali e ad avviare la de-carbonizzazione, considerato che per raggiungere gli obiettivi individuati entro il 2050 sarà indispensabile lasciare sotto terra i combustibili fossili.
In sostanza, secondo lo spirito di Parigi, sarà questa nuova indicazione “politica” dei grandi e dei piccoli della Terra a far cambiare strada alla grandi Lobbies del settore, e a far dirottare investimenti e strategie di business verso un altro modello di produzione dell’energia: come a dire a chi ha procurato il problema, “ora devi risolverlo”.

Devo essermi perso qualcosa poiché mi era parso che soprattutto negli ultimi anni fosse ormai chiaro che sono le grandi multinazionali che condizionano i governi nelle loro scelte e non il contrario.

Qualche osservatore, del resto, ha fatto notare come al tavolo dei negoziati non fosse stata invitata, ne dunque sia stata ufficialmente rappresentata, nessuna grande compagnia, come a dire, che probabilmente non ce n’era bisogno in quanto gli interessi di “Big Oil” potevano considerarsi già ampiamente rappresentati.
Dr. James Hansen
Dr. James Hansen

Insomma, il messaggio di Parigi potrebbe essere ironicamente riassunto in una frase del genere “la situazione è critica ma state calmi, non intaccheremo l’economia e salveremo il pianeta”.

James Hansen, uno tra i più importanti studiosi del clima, ha commentato a caldo dicendo che la conferenza ha partorito una frode, un testo che contiene solo promesse, altri come Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace, ha invece sottolineato i passi avanti definendo l’accordo come la tappa di un viaggio che prosegue.

Ma parlare di luci e ombre sarebbe riduttivo e come al solito troveremo anche nelle analisi più accurate dei prossimi giorni, sostenitori del sì -si tratta di un risultato importante- e del no -si tratta di un fallimento -.
Più banalmente vorrei sottolineare che da una conferenza di questo genere sarebbe stato difficile avere preteso di più, considerati i veti incrociati e le ambizioni dei singoli stati che non intendono mettere in discussione il tema centrale della crescita economica.
geopoliticaQuel che è certo è che adesso il tema del caos climatico e del suo rapporto con un modello di sviluppo energivoro che impatta disastrosamente sugli ecosistemi e sulle comunità umane, non potrà più essere messo in discussione.

Come ho scritto appena qualche giorno fa su Il Tirreno, tecnicamente siamo di fronte ad un generale “tipping point”, ovvero ad punto di “non ritorno ecologico” oltre il quale si manifestano in modo esponenziale i ritorni negativi del processo che abbiamo messo in moto.

Quanto l’accordo di Parigi potrà incidere concretamente sui pessimi scenari che ci attendono, lo vedremo, personalmente continuo a restare scettico sulla capacità dell’establishment di comprendere davvero quanto sta avvenendo sotto il profilo chimico/fisico al pianeta e quindi, come tale sovrastruttura possa essa in grado di organizzare una risposta efficace.

energia contributiUna risposta che peraltro non può prescindere da una profonda modifica dell’esistente, ragione per cui appare quanto meno azzardato confidare che un cambiamento di tale portata possa venire da coloro (individui e gruppi) che sul mantenimento dell’attuale modello economico e sociale fondano le loro posizioni di privilegio e di potere.

Come ho scritto, appare più ragionevole e concretamente fattibile, sviluppare in tempi brevi la costruzione di una resilienza locale che significa iniziare da subito a ridisegnare i flussi di energia e di materia che caratterizzano ciascun territorio secondo una logica “carbon neutral” e di economia circolare, riducendo rapidamente le emissioni climalteranti e organizzando in loco (e non in mega impianti) la produzione di energia rinnovabile e la fornitura di servizi, sviluppando una forte agricoltura locale stagionale e non monocolturale, investendo in progetti di conservazione della biodiversità e degli ecosistemi.
Piuttosto che lasciare che qualcuno provveda per noi, in questo caso si tratta di operare direttamente e non per delega, in modo orizzontale e non verticale (verticistico), affinché diminuisca progressivamente non solo la pressione che esercitiamo su tutte le risorse del pianeta ma anche la concentrazione di denaro e di poteri che attualmente fanno sì che il 99% della ricchezza globale sia posta nelle mani dell’1% dei nostri concittadini.
Per ottenere risultati tangibili è dunque fondamentale comprendere che dovremo fare con meno e fare bene e che non dobbiamo avere paura nel pronunciare il termine -decrescita- in quanto la cosidetta “crescita economica e materiale”, evidentemente risulta ormai appannaggio dei soliti noti e, come tra gli altri spiega molto bene Tim Jackson nel suo “Prosperità senza crescita”, nel provocare alti costi sociali non contribuisce più al “sentirsi bene delle persone”.

A partire dalle singole comunità territoriali, è allora indispensabile riorganizzare il sistema economico e sociale puntando dritto verso un modello ecologico autenticamente sostenibile, inclusivo, equo e stazionario, un modello che si sta già sperimentando con varie modalità in realtà rurali e urbane di tutti continenti e che probabilmente può permetterci di affrontare in modo intelligente la transizione che ci attende.

Un percorso per il cambiamento che la conferenza di Parigi evidentemente non poteva e non ha saputo elaborare.

mercoledì 16 dicembre 2015

Clima: camminare su un sentiero di montagna con gli occhi chiusi sperando che il burrone sia ancora molto lontano...

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questo post è stato leggermente modificato rispetto alla versione apparsa in inglese




Il pericolo del cambiamento climatico continua ad essere ampiamente frainteso o ignorato. 


Il cambiamento climatico, a quanto pare, viene visto come qualcosa di lontano, la sua importanza viene sminuita da minacce più immediate, dal terrorismo alle preoccupazioni finanziarie. E i governi sembrano soffrire di sindrome di sdoppiamento della personalità, con i politici che si accalcano a Parigi per dichiarare l'assoluta necessità di salvare il pianeta per le future generazioni e poi tornano a casa e dichiarano l'assoluta necessità di far ripartire la crescita.

Ma la minaccia climatica non riguarda le future generazioni. E' una cosa che avviene adesso, che è avvenuta per un secolo e che continua ad avvenire, portandoci lungo un sentiero pericoloso che finisce da qualche parte, probabilmente in un burrone ripido.

Ecco un riassunto della situazione ad oggi. Non è da intendersi come esauriente, ma come un tentativo di cogliere i punti principali di quello che sta avvenendo.


1. Gas serra.  Il biossido di carbonio e il metano sono i principali gas serra generati come risultato delle attività umane. Il loro accumulo nell'atmosfera continua. Riguardo al CO2, il 2015 probabilmente è stato l'ultimo anno della storia durante il quale gli esseri umani hanno potuto respirare un'aria che ne contiene meno di 400 ppm. Da adesso in poi, le concentrazioni saranno maggiori. Non sappiamo quali effetti avranno queste concentrazioni sulle persone, ma sappiamo che gli esseri umani non hanno mai sperimentato un'atmosfera con più di 300 ppm di CO2 per più di 100.000 anni della loro esistenza come specie. Sappiamo anche che il processo cognitivo umano è già compromesso in modo misurabile a concentrazioni al di sopra delle 600-800 ppm. Riguardo al metano, anche le sue concentrazioni stanno aumentando dopo un periodo di stasi che è durato fino al 2006. Esistono possibilità preoccupanti che le temperature in aumento genereranno un “punto di non ritorno” in cui il rilascio di metano intrappolato nel permafrost delle alte latitudini diventerebbe una fonte indipendente e fuori controllo di gas serra. Finora, non ci sono prove che ciò stia avvenendo, ma ci sono rapporti preoccupanti di esplosioni di metano rilasciate da crateri in Siberia.

2. Temperature. Il cambiamento climatico non significa solo aumento delle temperature, ma questa probabilmente ne è la manifestazione più diretta e visibile. La Terra è diventata sempre più calda durante l'ultimo secolo, più o meno, ed oggi la cosiddetta “pausa” è finita, se è mai esistita. Il 2015 sta per diventare l'anno più caldo mai registrato, con buone possibilità che il 2016 sia anche più caldo. Siamo molto vicini, o abbiamo già superato, ad 1°C di aumento della temperatura media rispetto al periodo preindustriale. Gli effetti di questo riscaldamento sono molteplici: siccità, ondate di calore, fusione dei ghiacciai, aumento del livello del mare ed altro. E più la Terra si riscalda, più questi effetti sono importanti.

3. Fusione dei ghiacci e livelli del mare. La fusione celle calotte glaciali e dei ghiacciai continua inarrestabile, anche se non si è verificato nessun evento spettacolare, finora. Alcuni studi sembrano indicare che l'Antartide abbia guadagnato un po' di calotta glaciale dal 2008 a causa dell'aumento delle nevicate ma, anche se questo risultasse essere vero, la tendenza complessiva alla fusione è evidente. La fusione dei ghiacciai continentali sta destabilizzando le montagne, causando frane estese. L'acqua dolce che fluisce nell'oceano è uno dei fattori principali che causano un aumento dei livelli dei mari. Al momento ci troviamo ad un livello di circa 20 cm più alto di quando sono iniziate le misurazioni, alla fine del XIX secolo. Finora, nessuna città costiera o isola abitata è finita sott'acqua in modo permanente, ma se la tendenza ad aumentare continua questo sarà un problema enorme.

4. Disastri legati al meteo e al clima. Gli schemi meteorologici che cambiano sono uno dei fattori che hanno generato un rapido aumento dei disastri naturali nel XX secolo. Il numero di disastri sembra aver raggiunto un picco intorno al 2004-2006, anche se il danno arrecato continua ad aumentare in termini monetari. Il cambiamento degli schemi meteorologici sta causando danni considerevoli all'agricoltura, colpita dalle siccità (come sta succedendo negli Stati Uniti) e dagli instabili schemi delle precipitazioni. Finora, la produzione di cibo non è stata colpita pesantemente, perlomeno in media e la produzione di cereali rimane stabile, o persino in crescita. Tuttavia, i paesi poveri sono particolarmente a rischio, visto che i contadini non hanno le risorse finanziarie necessarie per adattarsi. La produzione ittica è in declino quasi ovunque, in gran parte a causa della pesca eccessiva, ma anche a causa del riscaldamento degli oceani.

5. Altri effetti. Tutti quelli precedenti sono effetti che possono essere classificati sotto l'etichetta del “cambiamento climatico”, a sua volta un effetto del riscaldamento causato dalla forzante serra. Tuttavia, i cambiamenti in corso nell'ecosistema sono molto più complessi ed estesi. Per esempio, l'acidificazione degli oceani si sta verificando come un effetto del discioglimento del CO2 ad un livello di circa 0,1 unità di pH e che potrebbe avere effetti negativi sui coralli. Dovremmo considerare l'eutrofizzazione, l'erosione del suolo, la dispersione di metalli pesanti, la copertura del terreno con strutture permanenti, le estinzioni multiple, la deforestazione e molto altro.

Anche se breve, questo elenco mostra quanto siano giganteschi e in gran parte irreversibili i cambiamenti che hanno luogo. La Terra sta cambiando, viene trasformata in un pianeta diverso, un ambiente che i nostri antenati non hanno mai conosciuto, ma che non possiamo evitare di affrontare. In questa situazione, un certo grado di adattamento è sicuramente possibile per gli esseri umani. L'aria condizionata può aiutare contro le ondate di calore, l'agricoltura si può adattare alle siccità con l'irrigazione o passando a varietà diverse di piante, le opere ingegneristiche possono aiutare contro le alluvioni e gli incendi possono essere spenti con vari metodi. Ma ci sono limiti all'adattamento e i problemi tendono ad arrivare non gradualmente, ma tutti in una volta. Per esempio, quando New York ha subito la disastrosa inondazione del 2012, l'aumento del livello del mare è stato sicuramente un fattore che ha peggiorato il problema.

In molti casi vediamo una situazione in cui le grandi emergenze legate al clima potrebbero avvenire in ogni momento. Ci sono varie possibilità, come quella di nuove ondate di calore paragonabili, o peggiori, di quella del 2003, che ha rivendicato circa 70.000 vittime in Europa. Potremmo vedere il collasso di grandi masse di ghiaccio dall'Antartide o dalla Groenlandia che porterebbero ad un disastroso e rapido aumento del livello del mare. Oppure cambiamenti degli schemi meteorologici che colpiscono negativamente l'agricolture e quindi la produzione di cibo. O qualcos'altro. In ogni caso, man mano che la forzante serra continua ad aumentare, queste possibilità diventano sempre più probabili.

In cima a tutto questo, c'è la terribile possibilità di un “punto di non ritorno climatico”, il fatto che dopo aver raggiunto un certo grado di riscaldamento, l'intero ecosistema, comincerà a rilasciare il metano immagazzinato nel permafrost, spingendo sé stesso in un nuovo stato di temperatura. Questo nuovo stato potrebbe essere così caldo da rendere gran parte del pianeta inabitabile per gli esseri umani. Ovviamente, non c'è modo di adattarsi ad un evento del genere.

Eppure, non sarebbe impossibile stabilizzare il clima passando ad un'economia completamente alimentata dall'energia rinnovabile prima che sia troppo tardi. Ma ciò richiede sacrifici che, al momento, nessuno è disposto a fare. Quindi, continuiamo a camminare lungo il sentiero di montagna con gli occhi chiusi, sperando che il burrone sia ancora molto lontano...



martedì 15 dicembre 2015

Le grandi promesse dell'accordo climatico di Parigi minate da squallide limitazioni

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Di George Monbiot

Finché i governi non si impegnano a tenere i combustibili fossili nel sotto terra continueranno a minare l'accordo che hanno appena sottoscritto


La conferenza sul cambiamento climatico COP21 dell'ONU a Parigi. Qualsiasi cosa accada adesso, non saremo visti di con benevolenza dalle generazioni successive. Foto: Christophe Petit Tesson/EPA 

In confronto a come poteva essere, è un miracolo. In confronto a cosa doveva essere, è un disastro.

domenica 13 dicembre 2015

Il post-capitalismo incipiente?

di Jacopo Simonetta

In Europa occidentale dove è nato, Il capitalismo è vecchio ormai di 300 anni.   Non moltissimi in una prospettiva storica, ma comunque una rispettabile età.   Durante questo ormai lungo periodo è stato dato per spacciato varie volte, ma sempre ha trovato il modo di cavarsela e, anzi, uscire dalla crisi più forte di prima.    Direi anzi che la principale caratteristica di questo singolare sistema socio-economico è la sua incredibile resilienza.   La sua capacità, cioè, di reagire alle difficoltà rilanciando ogni volta la sua scommessa ad un livello più alto.   Se mai è esistita una filosofia politica della rivoluzione permanente, questa è proprio il capitalismo.

“Si dissolvono tutti i rapporti sociali stabili e fissi, con il loro seguito di concezioni e di idee tradizionali e venerabili; i nuovi rapporti invecchiano prima di essere consolidati.  Qualsiasi elemento di gerarchia sociale e di stabilità di casta se ne va in fumo, tutto ciò che era sacro è profanato”.   Non lo scrivono Balzac o il Conte di Chambord parlando del socialismo; lo scrive Marx nel 1848 riferendosi al capitalismo.

Tra i fattori che concorrono a questo straordinario risultato, direi che i principali sono i seguenti:

1. Fa appello ai peggiori istinti di ognuno, quali l’avidità e l’egoismo.  Una volta un mio amico, sostenitore convinto del capitalismo, ne condensò così la natura: “L’istinto naturale dell’uomo è fregare il prossimo e questo è un sistema con il quale ognuno, tirando a fregare gli altri, senza saperlo fa il bene comune”.    Si può dissentire, ovviamente, ma è un fatto che molti tentativi di opporsi al capitalismo sono falliti perché chiedevano alla cittadinanza un livello ed una costanza morale che non erano alla portata dei più.

2. E’ acefalo.   Malgrado la passione di molti per “il nuovo ordine mondiale” ed i complotti, la forza del capitalismo risiede proprio nel fatto che si comporta come un “branco acefalo”.   Questo significa che i suoi centri di comando e controllo non possono essere colpiti perché non esistono, oppure possono essere continuamente corto-circuitati o sostituiti.   Alcune realtà che si sviluppano su internet funzionano sullo stesso principio e, difatti, sono molto difficili da contrastare.   Chi vuol capire come funziona faccia una gita in campagna ed osservi molto attentamente come si muovono i voli di storni all'imbrunire.   Anche lo storno è un animale estremamente resiliente, come il capitalista.


3. E’ onnivoro.   Il capitalismo si può nutrire di praticamente qualunque cosa esista, reale o virtuale che sia.   Nessun altro sistema vivente riesce a tanto.

4. E’ inclusivo e proteiforme.   Chiunque e qualunque cosa riesca ad acquisire una fetta di potere sufficientemente interessante, viene automaticamente cooptato nel sistema, senza che se ne renda neanche conto.   Questo vale per le persone e le organizzazioni, ma anche per le idee.   Si pensi a come le parole d’ordine dell’ambientalismo siano diventate quelle della pubblicità consumista.   Ma il fatto importante è che ciò non avviene per a seguito di un piano prestabilito, bensì per la natura stessa del capitalismo che è capace di assorbire e fare propria qualunque cosa possa essere usata.
Dal punto di vista di chi gli si vuole opporre, l’unico modo per non far parte del sistema è l’estrema marginalizzazione.   Ma in questo modo si perde completamente la possibilità di influire sul corso attuale degli eventi.

Dunque il capitalismo è una macchina termodinamica e culturale praticamente perfetta che, finora, si è dimostrata invulnerabile ed inarrestabile.   Ma proprio questa sua capacità di superare ogni limite potrebbe essere la sua condanna finale.   Il capitalismo è strutturato infatti in modo che non può sopravvivere in uno stato di equilibrio dinamico.   Il capitalismo o cresce o muore.

Dunque l’unica cosa che può distruggere il capitalismo è sé stesso, semplicemente esaurendo le risorse di cui vive ed avvelenando il mondo di cui fa parte.   Perché, per quanto possa utilizzare praticamente tutto, ci sono comunque dei limiti che non possono essere superati: quelli del Pianeta. Una volta che l’impatto con questi limiti avrà chiuso definitivamente ogni possibilità di ulteriore crescita, il capitalismo morirà da solo.   E ci sono buone ragioni per credere che questo momento sia abbastanza vicino.

Guarda caso, nessun nemico si profila all'orizzonte per sfidare il vecchio, ma il flusso di energia e materia che lo alimenta comincia a rallentare, mentre l’atmosfera, i suoli ed i mari stanno diventando inquietanti.   Il mantenimento dell’ipertrofica infrastruttura di cui si è dotato diviene problematica, come quello di un numero demenziale di persone che si guardano intorno sempre più smarrite, senza capire perché.

Sarà la volta buona?   Lo vedremo, intanto stanno sorgendo piccole ma agguerrite pattuglie di persone che cercano di capire quale sistema prenderà il posto del capitalismo, una volta conclusa la sua lunga e dolorosa agonia.

Un campo che trovo particolarmente interessante e, nel quale, segnalo questo articolo,   Mapping the Emerging Post-Capitalist Paradigm and its Main Thinkers 

Non dice niente che non si fosse già sentito tante volte, ma ha il merito di riassumere in una bella grafica “lo stato dell’arte” in materia di pensiero post-capitalista.   Dunque ne consiglio senz’altro la lettura e, soprattutto, consiglio di scaricare e conservare le grafiche, possono essere molto utili per orientarsi.   Non per nulla sono etichettate come “mappe”.

Tuttavia, non condivido lo spirito dell’articolo, né molte delle cose che vi si affermano.   In particolare, vorrei qui discutere molto brevemente i tre punti critici che, secondo gli autori, la nostra società starebbe attraversando:

Cambio di ordine sociale.  Da una società centralizzata e gerarchica ad una società organizzata orizzontalmente, decentralizzata e funzionante “dal basso verso l’alto”. Per ora nessun paese veramente capitalista è entrato in una fase successiva, ma i crescenti scricchiolii che si odono dalle fondamenta del sistema non suggeriscono ottimismo nel futuro a breve e medio-termine.   Del resto, in alcuni paesi che già sono entrati in una fase post-capitalista (Siria, Libia Iraq, Yemen fra gli altri) si assiste effettivamente alla disintegrazione delle strutture statali e sovra-statali.   Ma ciò che sorge è una miriade di gruppi e gruppuscoli, ognuno dei quali fortemente militarizzato, che combattono per accedere alle scarse risorse sfuggite alla digestione del sistema precedente.

Cambio di struttura economica.  Al posto di organizzazioni grandi e burocratizzate che producono grandi quantità di oggetti a buon mercato, nella nuova economia digitale è possibile sviluppare prodotti e servizi localmente e su piccola scala. La nuova economia digitale, qualunque cosa sia o sarà, necessita di un flusso costante ed abbondante di energia, oltre che di un costante ricambio di oggetti ad altissimo contenuto tecnologico (computers, Iphones, stampanti tridimensionali, servers e moltissimo ancora).   Tutta roba che solo l’economia capitalista attuale può essere in grado (per ora) di produrre in quantità massicce ed a prezzi arrivabili.

Cambio nei rapporti di potere.   Un tempo l’influenza politica e le economie di scala determinavano l’accesso alle risorse, alle conoscenze ed alle informazioni.   Conoscenze ed informazioni sono adesso accessibili al di fuori delle istituzioni politiche.   Ciò permetterà lo sviluppo di economie basate su conoscenze liberamente condivise. E’ vero che in rete si trova condivisa una miriade di informazioni di ogni livello e qualità.   Ma nessuno posta informazioni che possano avere un interesse commerciale e perfino le informazioni scientifiche sono spesso disponibili solo a pagamento.   E neanche sempre.   Per essere chiari, in internet si trovano miriadi di filmati che insegnano a coltivare le rape, ma nessun softwhere per la progettazione di una turbina moderna.   Certo, l’economia del futuro potrebbe essere fatta solo di ortaggi ed oggetti artigianali e  ci sono buone ragioni per pensarla così.   Ma questo significa che saremo in un’economia più o meno di sussistenza e, comunque, del tutto priva di gadget tecnologici.
Inoltre, quando anche disponibili, le informazioni sono utili solo se si dispone anche dell’energia e della materia per metterle in pratica.   Altrimenti servono a poco.

Dunque il capitalismo sta davvero morendo?   Forse, ma io credo che sia ancora presto per vendere la pelle dell’orso.    Siamo d’accordo che stavolta il vecchio è in un angolo molto stretto, ma ci ha già sorpresi più di una volta.   Inoltre, ammesso che il capitalismo davvero muoia, non credo proprio che un sistema sostitutivo potrà sorgere a breve termine e pacificamente.   Non è mai successo nella storia.  Alla fine di un sistema consolidato segue sempre un lungo periodo di disastri naturali e non.   Non a caso, almeno tre dei  quattro cavalieri di cui parla S. Giovanni, sono degli habitué del nostro pianeta.

La mia opinione è che il “nuovo mondo”, bello o brutto che sarà, potrà sorgere solo dopo che sarà conclusa la putrefazione di quello vecchio ed i cavalieri si saranno presi un po’ di ferie.   Paracelso sosteneva che la vita nuova nasce dalla putrefazione di ciò che era precedentemente morto.   Riferendosi a singoli organismi aveva certamente torto, ma parlando di sistemi sociali, forse, aveva ragione.




sabato 12 dicembre 2015

Il picco del diesel: revisione del 2015

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

qualche giorno fa è arrivata la notizia ai principali mezzi di comunicazione: alcuni motori a gasolio delle automobili prodotte dalla Volkswagen erano truccati con un software complicato ed ingegnoso che faceva in modo di far rilevare all'automobile quando era sottoposta ad un'analisi di controllo delle emissioni contaminanti e, in quel caso, cambiare il suo regime di funzionamento per poter superare convenientemente la prova. In condizioni di funzionamento normali, il fumo di queste automobili potrebbe arrivare ad avere una concentrazione, per quanto riguarda alcuni inquinanti, fino a 40 volte superiore al limite consentito dalle norme statunitensi e di diverse volte rispetto a quelle europee. Si sta ancora valutando l'impatto che avrà questo scandalo, ma è possibile che comporterà costi enormi per l'azienda tedesca (che dovrà disinstallare il software fraudolento da milioni di automobili). Inoltre, l'azienda di bandiera tedesca e principale produttrice di automobili del mondo, ha di fronte sanzioni economiche di diverse migliaia di milioni di dollari che, insieme al degrado dell'immagine del marchio e la conseguente riduzione delle vendite, potrebbe portare la Volkswagen al fallimento e persino al degrado dell'immagine di tutta l'industria tedesca. Una conseguenza più diretta della caduta della Volkswagen è che potrebbe trascinare con se il settore finanziario tedesco e questo a sua volta potrebbe generare una crisi finanziaria europea per effetto domino. Questa crisi non potrebbe arrivare in un momento peggiore, poiché i sintomi di una recessione globale imminente sono ogni giorno più evidenti. Se l'Europa barcollasse nei prossimi mesi, la caduta sarebbe più forte e prolungata. Pertanto ci troviamo di fronte ad una crisi molto più seria di quanto non si voglia riconoscere.

venerdì 11 dicembre 2015

Come costruire un aereo sicuro secondo la COP 21 di Parigi

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Negli anni 50 dello scorso secolo, una serie di incidenti ha colpito il “Comet”, un aereo che avrebbe dovuto essere una grande innovazione nel campo dell'aviazione. Le ragioni principali dei disastri possono essere attribuite alla generale atmosfera di ottimismo tecnologico che pervadeva gli anni 50 e che portava gli ingegneri a sopravvalutare le loro capacità. Il Comet è stata una dura lezione da imparare, ma è stata imparata. Oggi, l'industria è estremamente prudente e gli aerei moderni sono di gran lunga più sicuri di quanto non fossero in passato. 

Anni di lavoro sui materiali per i motori a turbina mi hanno insegnato quanto sia attenta l'industria aerospaziale riguardo alla sicurezza dei propri prodotti. Naturalmente, nessuno vuole pensare agli incidenti aerei, nemmeno gli ingegneri aerospaziali, ma lo devono fare, Non esistono “allarmisti” nell'industria aerospaziale. Così, l'industria aerospaziale è estremamente prudente ed attenta, niente va a finire dentro un aereo a meno che non abbia superato test rigorosi ed abbia definitivamente dimostrato di essere sicuro e conforme alle specifiche. E' questo che rende il trasporto aereo uno dei sistemi di trasporto più sicuri esistenti.