mercoledì 10 dicembre 2014

Il collasso dei prezzi del petrolio: una lezione dalla storia

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



L'attuale collasso dei prezzi del petrolio trova qualche parallelo con un caso molto più vecchio: quello dell'olio di balena e delle “ossa di balena” nel 19° secolo, essendo entrambi beni che hanno sofferto dell'esaurimento e di un picco di produzione. Notate le oscillazioni molto forti che si verificano vicino al picco e che sembrano aumentare col tempo. Notate anche come i livelli del prezzo medio si sono stabilizzati ad un certo punto: c'è un limite a ciò che le persone sono disposte a pagare per ogni bene. Era vero per l'olio di balena, è vero per il petrolio greggio. Quindi, è probabile che i prezzi del petrolio continueranno ad aumentare per un po', ma poi si stabilizzeranno, perlomeno in media. Immagine da un post del 2008 di Ugo Bardi su "The Oil Drum"


Nel 2008 ho pubblicato un post  su “The Oil Drum” (riprodotto sotto) dove ho cercato di prevedere il comportamento dei prezzi del petrolio greggio sulla base di un confronto col caso storico dell'olio di balena. Nella prima metà del 19° secolo, l'olio di balena era un bene importante, usato principalmente come combustibile per le lampade ad olio. Era, teoricamente, una risorsa rinnovabile, ma le balene sono state uccise così rapidamente che non avevano abbastanza tempo per riprodursi e ricostituire il proprio numero. Così, l'olio di balena si è comportato come se fosse una risorsa non rinnovabile: si è esaurito. Come ho riportato nel post, la sua produzione ha mostrato una curva simmetrica a forma di campana ed un chiaro “picco di Hubbert”. Nel 2008, ci trovavamo quasi alla fine di una fase di rapida crescita dei prezzi del petrolio, una tendenza che – in quel momento – sembrava essere inarrestabile. Ma ho fatto notare che i prezzi non avrebbero potuto continuare a salire per sempre. Ho affermato che: 

“...i dati storici della caccia alle balene ci dicono che un aumento esponenziale dei prezzi non è la sola caratteristica del mercato post picco. La caratteristica principale è, piuttosto, la presenza di oscillazioni del prezzo molto forti. Possiamo attribuire queste oscillazioni ad una caratteristica generale dei sistemi dominati da retroazioni e ritardi temporali. I prezzi devono mediare fra offerta e domanda, ma tendono a correggere troppo da una parte o dall'altra. Il risultato è una successione di distruzione della domanda (prezzi alti) e di distruzione dell'offerta (prezzi bassi)”. 

Sembra che questo sia esattamente ciò che stiamo vedendo per il petrolio greggio: oscillazioni del prezzo molto forti. Pochi mesi dopo la pubblicazione del mio post, i prezzi del petrolio sono infatti collassati. Oggi, stiamo vedendo qualcosa di simile e tendiamo ad interpretare l'attuale ciclo al ribasso come il risultato di scelte strategiche o di cospirazioni, ma è in gran parte un'illusione (l'illusione del controllo). Piuttosto, sembra che il mercato non possa regolare la produzione come funzione del progressivo esaurimento senza questi cicli di distruzione della domanda e di distruzione dell'offerta che alla fine portano ad un declino della produzione. Confrontandolo col comportamento dei prezzi dell'olio di balena, vediamo che in futuro potremmo attenderci un'ulteriore oscillazione ed una tendenza complessiva alla crescita negli anni dopo il picco di produzione. Tuttavia, i prezzi alla fine si dovrebbero stabilizzare, perlomeno in media. 

In questo confronto, dobbiamo tenere conto che c'è una differenza fondamentale da tenere presente quando si compara il caso dell'olio di balena col petrolio greggio. Mentre l'olio di balena è stato gradualmente sostituito con una risorsa più economica e più abbondante (il kerosene), non c'è nessuna possibilità del genere in vista per il petrolio greggio. Alla fine, tuttavia, ciò che cambia è solo quanto le persone sono disposte a pagare una determinata cosa. Le persone compravano ancora l'olio di balena quando il cherosene era dominante sul mercato; erano disposte a pagare un prezzo moderatamente più alto per un prodotto che era percepito come di qualità superiore. Nel caso del petrolio greggio, le persone potrebbero essere disposte a pagare un sacco di soldi per ottenere un prodotto di cui hanno disperato bisogno. Eppure, c'è un limite anche alla disperazione: i prezzi non possono salire all'infinito. Dopo un certo punto, le persone devono semplicemente consumare di meno. Questo sembra essere ciò che sta accadendo proprio ora in molte regioni del mondo, per esempio, in Italia, il consumo di petrolio è diminuito del 35% negli ultimi 10 anni. Così, in futuro, i prezzi del petrolio potrebbero non aumentare quanto si potrebbe temere, ma potrebbero aumentare abbastanza da rendere il petrolio inaccessibile per molti di noi. 
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Ecco l'articolo che ho postato su “The Oil Drum” nel 2008 (ho corretto qualche refuso presente nella versione originale)

Petrolio greggio: quanto può salire? (La caccia alle balene del 19° secolo come modello per l'esaurimento del petrolio e la volatilità del prezzo)


La caccia alle balene del 19° secolo è oggi uno dei migliori esempi che abbiamo di un ciclo completo di sfruttamento di una risorsa naturale.


Le curve di produzione dell'olio di balena e delle ossa di balena negli Stati Uniti nel 19° secolo (dati da “Storia della pesca americana alla balena” di  A. Starbuck, 1878). Entrambe mostrano una curva a campana di Hubbert.


Qualche anno fa, sono apparso in TV per la prima volta nella mia vita. Il petrolio aveva appena superato i 38 dollari al barile ed ero stato invitato a parlare in un canale finanziario nazionale come presidente della neonata sezione italiana di ASPO. Quando ho detto che mi aspettavo che il petrolio sarebbe presto aumentato ben al di sopra dei 40 dollari, tutti nello studio televisivo mi hanno guardato come se avessi appena detto qualcosa di molto divertente. Tutti gli altri esperti presenti si sono affrettati a contraddirmi dicendo che 38 dollari al barile erano solo un picco, speculazione, e che i prezzi sarebbero ridiscesi presto alla “normalità”. Visto retrospettivamente, era una previsione facile che i prezzi del petrolio dovessero aumentare. Dovevi solo sapere qualcosa sulla teoria di Hubbert. Mentre scrivo queste osservazioni, i prezzi del petrolio stanno intorno ai 120 dollari al barile e potrebbero continuare a salire. Ma per quanto tempo? Il problema del modello di Hubbert è che è buono per prevedere la produzione, ma non ci dice niente sui prezzi. 

C'è tutta una serie di modelli economici che cercano di prevedere i prezzi, ma il loro successo è molto limitato. Così, forse la risposta può essere trovata negli esempi storici. Se possiamo trovare una risorsa la cui produzione ha raggiunto il picco e declinato fino, a zero o quasi zero, in passato, allora i suoi prezzi storici potrebbero fornirci qualche idea di cosa attendersi oggi per il petrolio. Ci sono molte risorse che hanno raggiunto il picco e declinato a livello regionale; il petrolio greggio negli Stati Uniti ne è un buon esempio. Ma i prezzi del petrolio statunitense non dipendono solo dalla produzione interna, è condizionato dalle importazioni da altre regioni del mondo. Quindi ciò non è utile a comprendere le tendenze del prezzo a livello globale. Ciò che stiamo cercando è una risorsa globale che abbia raggiunto il picco in tutto il mondo o, perlomeno, in una regione economicamente isolata. Dopo aver molto cercato, il miglior esempio che ho potuto trovare non è quello di una risorsa minerale, ma di una biologica: la caccia alle balene del 19° secolo. Le balene sono, naturalmente, una risorsa rinnovabile, ma se vengono cacciate molto più rapidamente di quanto si possano riprodurre, si comportano come una risorsa non rinnovabile, proprio come il petrolio. Abbiamo dei buoni dati sulla caccia alle balene raccolti in libri come “Storia della pesca americana alla balena” di  Alexander Starbuck (1878). Ai tempi di Starbuck non c'era niente di simile ad un “mercato globale” per i prodotti delle balene. Ma la portata delle navi baleniere era mondiale e gli effetti dell'esaurimento delle balene erano percepiti allo stesso modo da tutti i mercati del mondo. Possiamo quindi prendere i prezzi riportati da Starbuck come direttamente condizionati dal comportamento della curva di produzione. Ecco quindi i risultati dei due prodotti della caccia alle balene, l'olio di balena e le “ossa di balena”. L'olio di balena veniva usato come combustibile per lampade, le ossa fungevano da sostegni per gli abiti femminili, alla moda nel 19° secolo. 


Produzione di olio di balena e prezzi (al netto dell'inflazione), secondo i dati di Starbuck.


Produzione di ossa di balena e prezzi relativi (al netto dell'inflazione) secondo i dati di Starbuck.

I risultati sono chiari: la caccia alle balena ha seguito una “curva a campana” in stile Hubbert, approssimata nel grafico con una gaussiana semplice. Le balene si sono comportate come una risorsa non rinnovabile e alcuni studi dicono che alla fine del ciclo di caccia del 19° secolo, negli oceani erano rimaste soltanto circa 50 femmine della principale specie cacciata: le balene franche. Ora, guardando i prezzi storici, vediamo un aumento nella vicinanza del picco di olio di balena e ossa di balena. Per l'olio vediamo un acuto dopo il picco, per le ossa la tendenza è più attenuata. In entrambi i casi, la crescita dolce è quasi esponenziale. Possiamo vedere questa tendenza esponenziale nei dati lisciati. 


Prezzi limati di olio ed ossa di balena (al netto dell'inflazione).

Sembra che ciò che stiamo vedendo ora per il petrolio greggio ripercorra i dati storici dell'olio e delle ossa di balena. Ci sono anche differenze: per esempio, i prezzi dell'olio di balena non sono aumentati tanto quanto quelli del petrolio greggio stanno facendo oggi. Per le ossa di balena, vediamo un aumento molto maggiore, più di un fattore di 10 dall'inizio alla fine del ciclo di caccia. Questo aumento è paragonabile a ciò che stiamo vedendo oggi per il petrolio greggio. C'è una spiegazione ragionevole per queste differenze. Per prima cosa, né l'olio né le ossa di balena erano così cruciali per la vita nel 19° secolo come lo è per noi il petrolio greggio oggi. Esistevano combustibili alternativi per le lampade: grasso animale o olio vegetale, un po' più costosi e considerati prodotti inferiori, ma utilizzabili. Poi, a partire dal 1870, il petrolio greggio ha cominciato ad essere comunemente disponibile come combustibile per lampade. Probabilmente ha avuto un effetto nel mantenere basso il prezzo dell'olio di balena. Per quanto riguarda le ossa di balena, invece, non esisteva veramente un sostituto eccetto l'acciaio, che probabilmente era molto più costoso durante il periodo che stiamo considerando. Ma i sostegni per gli abiti delle signore difficilmente erano una cosa senza la quale le persone non potevano vivere. In confronto, il petrolio greggio è un bene così fondamentale nel nostro mondo che non sorprende che i prezzi siano aumentati così vertiginosamente. Le linee aere, per esempio, non hanno scelta fra il collasso e l'acquisto di petrolio a qualsiasi prezzo. Per altre attività, le condizioni di scelta potrebbero non essere così nette, tuttavia non possiamo sopravvivere senza petrolio. Se l'aumento esponenziale dei prezzi del petrolio dovessero continuare inesorabilmente per qualche anno, potremmo di fatto assistere a un qualche tipo di distruzione della domanda. 

Ma i dati storici della caccia alle balene ci dicono che un aumento esponenziale dei prezzi non è la sola caratteristica del mercato post picco. La caratteristica principale è, piuttosto, la presenza di oscillazioni del prezzo molto forti. Possiamo attribuire queste oscillazioni ad una caratteristica generale dei sistemi dominati da retroazioni e ritardi temporali. I prezzi devono mediare fra offerta e domanda, ma tendono a correggere troppo da una parte o dall'altra. Il risultato è una successione di distruzione della domanda (prezzi alti) e di distruzione dell'offerta (prezzi bassi)”. Ciò che vediamo attualmente col petrolio greggio è che, molto probabilmente, uno di questi acuti del prezzo. Possiamo immaginare come, nella fase di collasso, tutti cominceranno ad gridare che la “crisi petrolifera” del primo decennio del 21° secolo fosse solo una truffa, proprio come si è detto della crisi degli anni 70. Poi, inizierà un nuovo acuto verso l'alto. 

Anche qui, la storia della caccia alle balene ci può insegnare qualcosa riguardo alla difficoltà che le persone hanno a capire l'esaurimento. Nel libro di Starbuck, non troviamo mai un accenno al fatto che le balene cominciavano a scarseggiare. Al contrario, il declino della caccia veniva attribuito a fattori come la “timidezza” delle balene e al declino del “carattere degli uomini coinvolti”. Starbuck sembra pensare che la crisi dell'industria delle balene dei suoi tempi potesse essere risolta con sussidi governativi. Alcune cose non cambiano mai. Alla fine, la storia della caccia alle balene ci dice che quello che sta succedendo ora col petrolio greggio non avrebbe dovuto prenderci di sorpresa. Il futuro non può mai essere esattamente previsto ma, perlomeno, può essere capito dalle lezioni del passato. Una di queste lezioni, tuttavia, sembra essere che non sembriamo mai in grado di imparare dal passato. 
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Ho riportato i risultati di questo studio sulla caccia alle balene per la prima volta alla conferenza di ASPO a Lisbona nel 2005. In seguito, ho pubblicato un saggio completo su “Prezzi dell'energia ed esaurimento delle risorse: lezione dal caso della caccia alle balene nel diciannovesimo secolo” di Ugo Bardi, Energy Sources parte b. Volume 2, Numero 3 luglio 2007, pagine 297 - 304. Lo potete trovare online qui.

Se volete giocare coi dati di Starbuck, qui trovate la serie completa.



lunedì 8 dicembre 2014

Sovrappopolazione e fattore struzzo

DaTransition Voice”. Traduzione di MR



Di Richard Reese

by Richard Reese
by Richard Reese
by Richard Reese
Garrett Hardin è stato un ragazzo che non solo ha pensato molto, ma ha potuto pensare anche bene. Ho recentemente scoperto un libro di Hardin di cui non avevo sentito parlare, Il Fattore Struzzo: la Miopia della Sovrappopolazione (1998). Hardin è stato una miscela interessante fra un conservatore ecologico ed un conservatore politico che odia la crescita che detestava gli economisti. Ho sperato che questo libro avrebbe fornito spunti freschi sul problema difficile ed urgente della sovrappopolazione.

Spaventato

Dopo che è stato pubblicato Vivere entro i Limiti nel 1993, i critici hanno osservato che Hardin si lamentava della sovrappopolazione ma che non forniva un rimedio. Hardin ha ammesso che era stato intimidito dal tabù esplosivo sul tema, che incenerisce qualsiasi sognatore che fa una gaffe su di esso, predicando stupidamente il buon senso. Così,c'è  il fattore struzzo – non toccare mai problemi ad alta tensione circondati da scheletri bruciacchiati. Non si può vincere, quindi seppelliamo la testa nella sabbia e buona giornata! C'è una fantasia diffusa, inculcataci da miti culturali, secondo cui la nostra società è guidata dalla ragione ed elevata da principi morali. E' una sciocchezza, ma ci rimane difficile vederlo. Molta gente passa tutta la vita, triste vittima della tragedia dei consumatori – miti potenti che ci spingono a passare la nostra vita lavorando per muovere quante più cose possibili dalla natura alle discariche, di modo da guadagnare il rispetto del gruppo dei nostri pari, che soffre della stessa isteria di massa. I consumatori ben allenati non mettono mai in discussione i miti ad alta tensione.

La società moderna è concentrata sull'individuo, non sulla comunità o sull'ecosistema. Tutto ciò che importa sono io. Se posso guadagnarmi la posizione e il rispetto annientando le foreste o la pesca, o spingendo il clima del pianeta fuori equilibrio, lo farò. Non mi importa di lasciarmi dietro un deserto per le future generazioni. Naturalmente, se le future generazioni potessero votare oggi, o se fossimo cresciuti in una cultura sana, il nostro mondo sarebbe radicalmente diverso e di gran lunga più sano.

Tabù di ieri e di oggi

Hardin era affascinato dal potere velenoso dei tabù ed ha invitato un marziano immaginario nel suo libro, per osservare la nostra società come una creatura esterna che ragiona in modo oggettivo (avrei voluto che avesse usato un essere umano dal futuro). I due hanno esplorato nozioni imbarazzanti che faranno contorcere e ringhiare alcuni lettori. Ci forniscono lezioni forti sulla potente presa al collo che i tabù hanno sulla nostra capacità di pensare. I tabù rendono molte idee di buon senso inaccessibili, limitando gravemente la nostra libertà di pensare, spingendo molti a vivere come dei bambini di due anni, psicopatici ecologici, o come compratori cronicamente depressi. I tabù variano da luogo a luogo e da tempo a tempo. Mi ha sorpreso vedere che Hardin ha nominato l'aborto solo una volta, riguardo una citazione del 1886, descrivendo una situazione in cui l'aborto era legale, ma la contraccezione no. In quello scenario, molti medici hanno scelto di infrangere la legge fornendo contraccettivi.

E' importante capire che molte culture selvagge avevano costumi che incoraggiavano la stabilità della popolazione. La loro costante sopravvivenza dipendeva completamente dal cibo proveniente dai selvaggi ecosistemi circostanti e troppe bocche portavano a problemi dolorosi. La loro massima preoccupazione era la salute e la stabilità della comunità, non i capricci dei singoli. Condividevano e cooperavano. Era ovvio per loro che la capacità di carico del loro ecosistema avesse dei limiti reali. Per noi, che viviamo in un temporaneo paese delle meraviglie di supermercati, i limiti sono difficili da immaginare – finché non ci andiamo a sbattere. L'emergere dell'agricoltura ha ridefinito la capacità di carico, che variava di anno in anno, a seconda del raccolto. I limiti di procreazione si sono indeboliti o sono svaniti. Hardin citava Tertulliano, un pensatore cristiano tunisino del terzo secolo, che era spaventato dalla miseria della sovrappopolazione (quando la popolazione globale era di 150 milioni):

Mentre le nostre richieste diventano maggiori, le nostre lamentele contro l'inadeguatezza della natura vengono sentite da tutti. I flagelli della pestilenza, della carestia, delle guerre e dei terremoti sono giunte ad essere viste come delle benedizioni dalle nazioni sovraffollate, visto che servono ad allontanare la crescita lussureggiante della razza umana. 

Come Tertulliano, il reverendo Malthus (1766-1834) è anch'esso vissuto in un'era di crescita turbolenta ed è diventato un noto eretico per aver ricordato alla società l'esistenza di una capacità di carico. Duecento anni dopo, resta fortemente detestato, prevalentemente da gente che non lo ha mai letto, perché ha indicato un problema ad alta tensione, un tabù. Mai, mai e poi mai suggerire che ci sono limiti alla crescita! La crescita perpetua su un pianeta finito è ovviamente impossibile, ovviamente folle e follemente distruttiva. La crescita sostenibile è un ossimoro. Ma pochi miti sciocchi sono più potenti. Ci viene costantemente ricordato che la crescita perpetua è lo scopo della vita. Cresci o muori! La nostra religione ufficiale è la Crescita Per Sempre. I credenti fanatici vengono chiamati ottimisti, e l'ottimismo è “buono”. Hardin non era d'accordo: “All'attuale tasso di crescita della popolazione, è difficile essere ottimisti sul futuro”. Riguardo alla popolazione, la nostra cultura afferma due diritti simultaneamente:

  1. Diritto alla vita. L'ONU sentenzia che “ogni uomo, donna e bambino ha il diritto inalienabile di essere libero dalla fame e dalla malnutrizione”. 
  2. Diritto alla libertà riproduttiva senza limiti. “Ogni donna ha il diritto – forse con il consenso del (dei) compagno (i) – di determinare quanti bambini vuole mettere al mondo”. 

Non esistono diritti naturali, i diritti sono invenzioni legali. Notate che questi due diritti sacri non sono accompagnati da responsabilità sacre.

Libertà di sbagliare

Hardin ha concluso che la sovrappopolazione non sarà risolta da scelte volontarie di singole famiglie. In un mondo finito, la libertà incondizionata è intollerabile. La sopravvivenza è obbligatoria, la libertà non lo è. Le soluzioni efficaci dovrebbero essere basate su norme comunitarie sensibili, prodotte idealmente da una politica di “mutua coercizione, sulla quale si concorda mutualmente”. I nostri antenati selvaggi generalmente hanno avuto successo nel fare questo, perché le loro culture vedevano i limiti come perfettamente normali, non come draconiani. Hardin sapeva che “coercizione” è una parola oscena in una cultura che venera l'individualismo, ma ha notato che ci sottomettiamo alla coercizione quando ci fermiamo ad un semaforo o quando andiamo in bici sul lato destro della strada. La coercizione spesso è reciproca. I soldi sono coercizione. Ci sono molte cose che faremmo con entusiasmo per i soldi che non faremmo mai gratuitamente. Veniamo spesso forzati da niente di più di un dolce “mi raccomando”. Hardin pensava che un governo mondiale fosse impossibile, perché non c'è un''unica cultura mondiale. Cercare di far andare d'accordo su tutto culture diverse è una sfida per i sostenitori del multiculturalismo. A causa di questo, Hardin non ha offerto nessuna soluzione facile per il mondo. Ogni cultura dovrà progettare il proprio metodo per limitare la popolazione. I dilemmi non hanno soluzioni, ma i problemi sì. La sovrappopolazione è a malapena un problema temporaneo e ci sono due soluzioni:


  1. Possiamo fare un tentativo di buon senso per vivere al di sotto della capacità di carico.
  2. Possiamo nascondere la testa sotto la sabbia, non fare nessun tentativo per influenzare il futuro e lasciare che la Grande Madre natura faccia impietosamente il lavoro sporco. 


L'approccio di buon senso risparmia un sacco di usura all'ecosistema e rende la vita di gran lunga meno infernale. Viene entusiasticamente appoggiato dagli spiriti delle future generazioni.

Pubblicato originariamente su What Is Sustainable.

– Richard Reese, Transition Voice

Ovviamente, trattasi di fattore struzzo, non di fattore ostrica... (Grazie a Luca per la segnalazione tempestiva) MR

L'era della solitudine ci sta uccidendo

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

Di George Monbiot

Per le creature più sociali, le api mammifere, ora non esiste la società. Questa sarà la nostra rovina


‘L'isolamento sociale è una causa potente di morte prematura come fumare 15 sigarette al giorno. La solitudine è il doppio più mortale dell'obesità'. Foto: Feri Lukas/Rex

Come la chiamiamo stavolta? Non è l'era dell'informazione: il collasso dei movimenti per l'educazione popolare hanno lasciato un vuoto riempito dal marketing e dalle teorie della cospirazione. Come l'età della pietra, del ferro e dello spazio, l'era digitale dice molto sugli oggetti ma poco sulla società. L'antropocene, in cui gli esseri umani esercitano un grande impatto sulla biosfera, non distingue questo secolo dai 20 precedenti. Quale chiaro cambiamento sociale distingue il nostro tempo da quelli che lo hanno preceduto? Per me è ovvio. Questa è l'Era della Solitudine. Quando Thomas Hobbes ha affermato che allo stato naturale, prima che emergesse l'autorità a tenerci sotto controllo, eravamo impegnati in una guerra “di tutti contro tutti”, non poteva sbagliarsi di più. Eravamo creature sociali dall'inizio, api mammifere, e dipendevamo completamente gli uni dagli altri. Gli ominidi dell'Africa orientale non avrebbero potuto sopravvivere una notte da soli. Siamo formati, in misura maggiore di quasi ogni altra specie, dal contatto con gli altri. L'era in cui stiamo entrando, in cui esistiamo separatamente, è diversa da tutto ciò che è successo prima.

Tre mesi fa abbiamo letto che la solitudine è diventata un'epidemia fra i giovani. Ora apprendiamo che è una cosa che affligge grandemente anche i più anziani. Uno studio di Independent Age mostra che la solitudine grave in Inghilterra rovina le vite di 700.000 uomini e 1.100.000 donne oltre i 50 anni e sta aumentando a velocità sorprendente. E' improbabile che Ebola ucciderà mai tante persone quante ne abbatte questa malattia. L'isolamento sociale è una causa potente di morte prematura come fumare 15 sigarette al giorno. La solitudine, suggerisce la ricerca, è il doppio più mortale dell'obesità. Demenza, pressione sanguigna alta, alcolismo ed infortuni – tutte queste cose, come la depressione, la paranoia, l'ansia e il suicidio, diventano più prevalenti quando vengono tagliate le connessioni. Non possiamo farcela da soli.

Sì, le fabbriche hanno chiuso, la gente viaggia in auto anziché in autobus, usa Youtube piuttosto che il cinema. Ma questi cambiamenti da soli non riescono a spiegare la velocità del nostro collasso sociale. Questi cambiamenti strutturali sono stati accompagnati da un'ideologia che nega la vita, che impone e celebra il nostro isolamento sociale. La guerra di tutti contro tutti – competizione ed individualismo, in altre parole – è la religione del nostro tempo, giustificata da una mitologia di guardie solitarie, commercianti in proprio, persone intraprendenti, uomini e donne che si fanno da soli, che fanno da soli. Per le creature più sociali, che non possono prosperare senza amore, non esiste la società, solo l'individualismo eroico. Ciò che conta è vincere. Il resto è un danno collaterale. I bambini inglesi non aspirano più a diventare conduttori di treni o infermiere – più di un quinto dice di “voler diventare solo ricco”: ricchezza e fama sono le sole ambizioni del 40% degli intervistati. Uno studio del governo di giugno ha rivelato che la Gran Bretagna è la capitale europea della solitudine. E' meno probabile che abbiamo amici stretti o che conosciamo i nostri vicini rispetto agli altri europei. Chi se ne sorprenderebbe, quando ovunque siamo sollecitati a combattere come cani randagi per un bidone della spazzatura?

Abbiamo cambiato il nostro linguaggio per riflettere questo cambiamento. Il nostro insulto più mordace è 'perdente'. Non parliamo più di persone. Ora li chiamiamo individui. Questo termine alienante ed atomizzante è diventato così pervasivo che anche gli enti di beneficenza che combattono la solitudine lo usano per descrivere le entità bipedi un tempo conosciute come esseri umani. Difficilmente riusciamo a finire una frase senza andare sul personale (per distinguere me stesso da un pupazzo di un ventriloquo), io preferisco gli amici personali all'impersonale varietà e l'appartenenza personale al tipo che non appartiene a me. Anche se questa è solo la mia preferenza personale, altrimenti conosciuta come la mia preferenza.

Una delle conseguenze tragiche della solitudine è che le persone si rivolgono al proprio televisore per essere consolate: due quinti delle persone anziane riportano che il dio da un occhio solo è la loro compagnia principale. Questo curarsi da soli aggrava la malattia. Una ricerca di economisti dell'Università di Milano suggerisce che la televisione aiuta ad alimentare l'aspirazione competitiva. Rinforza fortemente il paradosso del reddito-felicità: il fatto è che, mentre il redditi nazionali aumentano, la felicità non aumenta con loro.

L'aspirazione, che aumenta con il reddito, assicura che il punto di arrivo, della soddisfazione costante, si ritragga di fronte a noi. I ricercatori hanno scoperto che coloro che guardano molta TV fanno accelerare il tapis roulant edonistico, spingendoci a sforzarci ancora più duramente per sostenere lo stesso livello di soddisfazione. Dovete solo pensare alle aste onnipresenti nella TV durante il giorno, Dragon's Den, l'Apprendista e la miriade di forme di competizione per la carriera che i media celebrano, l'ossessione generalizzata per la fama a la ricchezza, la sensazione pervasiva, nel vederla, che la vita è da qualche altra parte rispetto a dove si è, per capire perché è così. Quindi qual è il punto? Cosa ci guadagniamo da questa guerra di tutti contro tutti? La competizione alimenta la crescita, ma la crescita ormai non ci rende più ricchi. Le cifre pubblicate questa settimana mostrano che, mentre il reddito dei direttori di società è aumentato di più di un quinto, gli stipendi della forza lavoro nel complesso sono diminuiti in termini reali rispetto all'anno scorso. I boss guadagnano – scusate, volevo dire prendono – 120 volte più della media dei lavoratori a tempo pieno. (Nel 2000 era 47 volte). Ed anche se la competizione ci ha resi più ricchi, non ci renderebbe più felici, in quanto la soddisfazione derivata da un aumento del reddito sarebbe minata dagli impatti di aspirazione della competizione.

L'1% possiede il 48% della ricchezza globale, ma nemmeno loro sono felici. Una indagine del Boston College su persone con un netto medio di 78 milioni di dollari ha scoperto che anche loro venivano assaliti da ansia, insoddisfazione e solitudine. Molti di loro hanno riferito di sentirsi finanziariamente insicuri: per raggiungere un terreno di sicurezza, credevano, avrebbero bisogno, in media, di circa il 25% in più di soldi. (E se li ottenesse? Gliene servirebbe senza dubbio un altro 25%). Uno degli intervistati ha detto che non si sentirà a posto finché non avrà un miliardo di dollari in banca. Per questo, abbiamo fatto a pezzi il mondo naturale, degradato le nostre condizioni di vita, sacrificato le nostre libertà e prospettive di appagamento ad un edonismo compulsivo, atomizzante e senza gioia, nel quale, avendo consumato tutto il resto, cominciamo ad essere prede di noi stessi. Per questo, abbiamo distrutto l'essenza dell'umanità: la nostra connessione. Sì, ci sono palliativi, sistemi intelligenti  e gradevoli come Men'n Sheds e Walking Football, sviluppati dagli enti di beneficenza per le persone sole. Ma se vogliamo spezzare questo ciclo e tornare di nuovo insieme, dobbiamo affrontare il sistema magia mondo e mangia carne in cui siamo stati costretti. La condizione pre-sociale di Hobbes era un mito. Ma noi stiamo entrando in una condizione post-sociale che i nostri antenati avrebbero considerato impossibile. Le nostre vite stanno diventando brutte, brutali e lunghe.


domenica 7 dicembre 2014

Discorso felice sul clima

DaClub Orlov”. Traduzione di MR


Mathiole
[Aggiornamento per tutti gli altri: ho avuto insetti che si sono spiaccicati sul mio parabrezza e che sono più intelligenti di questi negazionisti climatici i cui commenti non mi metto nemmeno a leggere. Ignorateli più che potete.]

[Aggiornamento per negazionisti climatici: risparmiatemi per favore il disturbo di segnalare i vostri commenti come spam. Questo blog non è per l'ignorante ostinato o per l'illetterato scientifico, quindi un cordiale addio a tutti voi].

Il patto climatico non vincolante che Stati Uniti e Cina hanno appena firmato permetterà alle concentrazioni atmosferiche di CO2 della Terra di arrivare alle 500 ppm ed oltre per la fine del secolo, ben al di là dell'attuale concentrazione di 400 ppm. Storicamente, questa concentrazione è stata sufficiente per produrre un Artico senza ghiaccio, livelli dell'oceano significativamente più alti e un ambiente che è improbabile sia in grado di sostenere grandi popolazioni umane.

Secondo uno studio del novembre 2011 pubblicato su Science, “Nella nostra attuale direzione delle emissioni, i livelli di CO2 nel 2100 toccheranno livelli visti per l'ultima volta quando la Terra era più calda di 26°F (16°C)”. Gli scienziati che fanno parte del IPCC hanno avvertito che solo un aumento di 4°C significherà che “le persone non saranno in grado di farcela, lasciamo stare il fatto di lavorare produttivamente, nella parte più calda dell'anno”.

In breve, questo accordo non fa niente per prevenire un disastro completo, totale e non mitigato che è probabile che significhi la fine dell'agricoltura, della civiltà urbana e potrebbe condannare gli esseri umani, insieme a gran parte delle altre specie di grandi vertebrati, all'estinzione.

Allo stesso tempo, May Boeve, direttrice esecutiva di 350.org, aveva questo da dire: “Non è una coincidenza che dopo la più grande mobilitazione per il clima della storia, i capi mondiali stiano intensificando la loro ambizione sull'azione climatica. Questo annuncio è un segno che il Presidente Obama sta prendendo seriamente la sua eredità climatica ed è disposto a resistere ai grandi inquinatori”.

Forse è il momento di rinominare 350.org in qualcosa di più vicino alla realtà. Questa organizzazione ha ovviamente perso la propria battaglia per limitare le concentrazioni di CO2 a 350 ppm e il fatto che i suoi capi stiano cantando vittoria e vogliano continuare la battaglia può significare solo una cosa: non c'è mai stata una battaglia, solo qualche solito ed inutile politichese.

Naturalmente, la Casa Bianca è stata anche veloce a prendersi il merito, dichiarando che “il nuovo obbiettivo degli Stati Uniti raddoppierà il ritmo delle riduzione dell'inquinamento da carbonio dal 1,2% all'anno in media durante il periodo 2005-2020 al 2,3-2,8% all'anno in media fra il 2020 e il 2025”.


Su questo sfondo di inconfondibile fallimento dell'ambientalismo, ci sono riduzioni reali delle emissioni di biossido di carbonio che hanno luogo negli Stati Uniti – sicuramente troppo piccole per salvarci, ma ciononostante reali. La ragione per cui hanno luogo è che l'economia statunitense sta diventando sempre più svuotata. A questo tasso, agli Stati Uniti non rimarrà gran parte dell'economia industriale rimasta all'interno del quadro temporale affrontato in questo accordo climatico. La disponibilità di Obama di formare denota, fra le altre cose, un riconoscimento del collasso economico in atto ed un'ipotesi per la quale questo potrà soltanto accelerare. Il suo “2,3-2,8% all'anno in media” stabilisce un limite superiore ottimistico sulla lentezza con la quale gli Stati Uniti collasseranno.

La situazione della Cina è piuttosto diversa. Firmando l'accordo climatico, il governo cinese ha fatto buon gioco rispetto ad un pubblico sempre più irritato dalla devastazione ambientale che non può ignorare, compresa l'aria sporca, i fiumi pieni di maiali morti ed altri miracoli del genere. Allo stesso tempo, la leadership cinese vede ancora la crescita economica come qualcosa che serve per mantenere la stabilità politica e la crescita economica a sua volta richiede di bruciare più combustibili fossili.

Sì, si parlava di “rinnovabili” come l'eolico e il solare, ma le installazioni di eolico e solare vengono costruite e mantenute usando una base industriale che va a combustibili fossili. Fornisco energia solo quando è soleggiato e/o ventoso e sono incapaci di fornire il carico di base costante che una società industriale richiede. Si è parlato anche di fonti di energia “zero carbon” come il nucleare e il piano richiede che la Cina costruisca un terawatt aggiuntivo di generazione di energia nucleare, ma si deve tenere a mente che le centrali nucleari consumano una prodigiosa quantità di energia da combustibili fossili durante la loro fase di costruzione decennale, per poi ripagarla quando entrano in funzione, ma continuano poi a consumare energia da combustibili fossili per un futuro indefinito – o fondono come Fukushima Daiichi in Giappone.

A differenza degli Stati Uniti che, una volta che l'attuale bonaccia dalla vita breve del fracking sia finita, torneranno a destreggiarsi fra esaurimento delle risorse e collasso economico, la Cina sta costruendo due enormi gasdotti per collegarsi alle abbondanti riserve russe che, a differenza del molto costoso “tight gas” prodotto negli Stati Uniti col fracking, può essere prodotto in modo molto conveniente. Ciò potrebbe permettere all'economia cinese di continuare a crescere per un po' e di placare la sua popolazione riducendo il problema dello smog urbano riducendo la propria dipendenza dal carbone.

Così, questo accordo climatico sembra significare le seguenti cose:

1. Gli Stati Uniti continueranno a collassare, persino l'amministrazione Obama dà questo per scontato ed ha stabilito un limite di sicurezza superiore su quanto lentamente si dipanerà questo collasso.

2. La Cina continuerà a crescere, divorando ancora più riserve, finché non si romperà qualcosa (cosa che succederà).

3. Gli attivisti del clima negli Stati uniti continueranno a vantarsi, aspettandosi che abbiano ottenuto qualcosa di diverso dalla sconfitta.

sabato 6 dicembre 2014

Pausa? Quale Pausa?




Addio "pausa": è probabile che il 2014 sarà l'anno più caldo mai registrato

Gli ultimi dati indicano che il 2014 forse non ce la farà per un pelo a fare il record di caldo di tutti i tempi. Comunque, ci è andato molto vicino e la famosa "pausa" del riscaldamento globale si rivela sempre di più una bella bufala. (UB)


Da “Skeptikal Science”. Traduzione di MR

L'analisi globale mensile di ottobre è stata pubblicata al Centro Nazionale dei Dati Climatici del NOAA (NCDC) e rivela che la temperatura globale di superficie di ottobre 2014 è la più calda in 134 anni di registrazioni. Questo a seguito del secondo aprile più caldo e il maggio, giugno, agosto e settembre più caldi mai registrati. Di fatto i primi 10 mesi del 2014, da gennaio ad ottobre, sono i più caldi di tale periodo mai registrati ed è molto probabile che il 2014 finisca per essere l'anno più caldo – soffiando il titolo al precedente anno record, il 2010. Altri gruppi di dati di superficie, come quelli del NASAGISTEMP e della Agenzia Meteorologica del Giappone, dicono a loro volta che il 2014 è sulla strada per infrangere il record annuale.


Figura 1 – Anomalie della temperatura globale di superficie da gennaio ad ottobre dal 1880 al 2014. Come indicato, il 2014 ora è il gennaio-ottobre più caldo mai registrato – che batte il 1998 e il 2010 (insieme) di 0,02°C. Immagine dal NCDC del NOAA.

Con ancora due mesi interi di dati che ci devono pervenire, potrebbe sembrare prematuro dichiarare che il 2014 sia un probabile anno record, ma il 2014 è diverso nella temperatura di superficie dal 2010, il precedente detentore del record. Gli anni di caldo record sono solitamente associati allo sviluppo di eventi di El Niño, mentre nel 2014 El Niño non è ancora nemmeno apparso. El Niño è un fenomeno periodico e che avviene naturalmente nell'Oceano Pacifico, un periodo in cui il calore anomalo viene scaricato dall'oceano tropicale in risposta al rilassamento temporaneo degli alisei. El Niño accumula tipicamente a metà anno, raggiunge il picco a dicembre-gennaio e poi si abbassa l'anno successivo. Il record del 2010 è avvenuto durante il secondo anno di calendario di un evento di El Niño e le temperature di superficie sono diminuite in quell'anno dopo aprile maggio. In confronto, il 2014 ha visto un riscaldamento da marzo in poi. Il 2014 e il 2010 sono su due traiettorie contrastanti: una tendenza prevalentemente al raffreddamento nel 2010 ed una tendenza generale al riscaldamento nel 2014.



Figura 2 – Confronto della anomalia della temperatura di superficie a questa data del 2014 (o, se preferite, la corsa equestre) degli attuali 5 anni più caldi mai registrati. Il 2010, il precedente anno record, qui è l'area chiave di interesse – il 2014 ora ha il naso avanti. Immagine adattate dal NCDC del NOAA.

Così, la ragione principale per cui il 2014 è probabile che infranga il record è che El Niño potrebbe essere appena in via di formazione e pertanto ci si aspetta che le temperature di superficie rimangano alte. Anche se El Niño non prende piede, una notevole onda Kelvin si sta dirigendo verso est attraverso la sub-superficie dell'Oceano Pacifico. Quando questo blob di acqua più calda del normale raggiunge la superficie dell'oceano nel Pacifico orientale, è probabile che mantenga le temperature di superficie elevate su un'area grande.


Figura 3 – Anomalie di volume dell'acqua calda equatoriale dell'Oceano Pacifico del novembre 2010 (quadro superiore) e novembre 2014 (quadro inferiore). A differenza del 2010, quando intensi alisei mantenevano il calore sepolto nella sub-superficie oceanica del Pacifico occidentale tropicale, il novembre/dicembre 2014 sembra assicurato di un incremento del riscaldamento, visto che un bacino di acqua calda (Onda Kelvin) si dirige ad est verso il continente americano e le superfici. Notate che queste sono anomalie (deviazioni dalla norma), non temperature assolute, quindi l'acqua più calda è ancora alla superficie. Immagine adattata dall'Ufficio del Progetto TAO del NOAA

Le emissioni in corso di gas serra che riscaldano il pianeta, come il biossido di carbonio, assicurano che il riscaldamento globale continuerà per decenni in futuro, quindi il (probabile) regno del 2014 come anno più caldo mai registrato avrà vita breve – come è stato per il regno del 2010. La sola questione in sospeso è il margine con cui il 2014 sorpassa il 2010. Per questo dovremo aspettare a vedere.

giovedì 4 dicembre 2014

Il Picco del sapere?

di Jacopo Simonetta

“L’entropia è il prezzo della struttura”, questa famosa frase di Ilya Prigogine  schiude come un vaso di Pandora l’origine di gran parte dei mali che si stanno abbattendo su di un’umanità che credeva di aver oramai acquisito il controllo del Pianeta.  

Perché?   Perché tutte le grandi conquiste di cui andiamo (in molti casi giustamente) orgogliosi sono il prodotto di processi fisici: abbiamo dissipato dell’energia per ottenere un incremento del nostro capitale complessivo.   Che si tratti del numero di persone (popolazione), di infrastrutture ed oggetti materiali di ogni genere (capitale materiale), di denaro (capitale finanziario) di conoscenze (capitale culturale) e quant'altro, la fisica del sistema non cambia: si dissipa energia per aumentare la quantità di informazione contenuta in una parte del meta-sistema, scaricando l’entropia corrispondente su altri sotto sistemi.   Da quando Claude. Shannon  dimostrò  la corrispondenza inversa fra informazione ed entropia, sappiamo che qualcuno o qualcosa deve pagare affinché qualcun altro possa acquisire conoscenze supplementari, così come qualcuno o qualcosa deve pagare perché altri possano realizzare strumenti, case, oggetti e quant'altro.
Perlomeno entro certi limiti, possiamo decidere a chi far pagare questa “bolletta”.   L’entropia può essere infatti scaricata in vario modo su altri territori ed altri popoli, su altre classi sociali, sui propri discendenti o combinazioni fra queste, ma comunque qualcuno perde   Dunque, il progresso culturale di cui andiamo tanto orgogliosi ha un prezzo che può prendere la forma di povertà, consumo di suoli o di biodiversità, inquinamento, disparità sociale e tantissime altre, ma non è mai privo di “effetti collaterali” , come ampiamente documentato da Nicholas Georgescu-Roegen negli anni '70.
Eppure, si potrebbe facilmente obbiettare, proprio il progresso culturale è stata la peculiarità che ha reso la nostra specie così straordinariamente dinamica e vincente; perfino troppo vincente, secondo alcuni.   Anzi, persone intelligenti ed informate sostengono che il progresso tecnologico (quindi la crescita dell’informazione) sia proprio  la chiave che può evitare il cupo futuro pronosticato da “picchisti” e “decrescisti”  (si veda qui per un esempio divulgativo di buon livello). 

Hanno ragione?   Sarebbe bello, ma probabilmente no.

Per quanto ne sappiamo, la cultura in senso attuale compare con la nostra specie non prima di 40.000 anni fa circa.   Molto prima si sapevano fare oggetti utili ed anche accendere il fuoco, ma per quanto possiamo arguire non esistevano forme di arte e dunque non c’erano artisti; tantomeno scienziati e filosofi.   Viceversa, coloro che 17 o 18.000 anni fa dipinsero la grotta di Lascaux erano certamente degli straordinari professionisti che avevano dedicato la loro intera vita a raffinare la propria arte, mentre altri si preoccupavano di provvedere alle loro necessità.   E sicuramente già da molto prima esistevano poeti, musicisti e danzatori.
Molto più costosa è sempre stata la scienza.   E’ probabile che la prima branca scientifica ad essere affrontata da professionisti sia stata la medicina, già nel paleolitico.   La seconda, all'inizio del neolitico, fu l’astronomia, come testimoniato all'antichità e dalla diffusione di imponenti costruzioni che hanno tutta l’aria di essere, in buona sostanza, degli osservatori astronomici.   Non prima, probabilmente perché all’epoca della fioritura delle civiltà del tardo paleolitico la nostra base energetica era costituita dalla mega fauna (elefanti, rinoceronti, uri, bisonti, cavalli) e dunque conoscere il comportamento degli animali era molto più importante che osservare nel dettaglio i movimenti degli astri.   L’estinzione della megafauna e l’avvento dell’agricoltura cambiarono tutto questo in maniera irreversibile.
  
Per costruire strutture come Stonehenge, l’intera popolazione di una vasta zona dovette sobbarcarsi una mole notevole di lavoro supplementare e rinunciare a più di un buon pasto per nutrire i cavatori e gli studiosi.   Parecchia gente è morta per realizzare le meraviglie archeologiche che troviamo sparse in tutto il mondo.   Perché affrontare simili sacrifici?   Per la follia di un sacerdote o di un despota fanatico?   Assai improbabile.   Gli osservatori astronomici consentivano la realizzazione di calendari e di prevedere i movimenti degli astri il che, a sua volta, consentiva di realizzare raccolti mediamente migliori, come ogni buon contadino ancora oggi sa bene.   Un vantaggio che, nel tempo, ripagava ampiamente i sacrifici necessari.
Lo stesso, in ultima analisi, vale ancora oggi: l’arte e la scienza sono degli accumuli di informazione che per essere generati e conservati necessitano di un corrispondente aumento di entropia di cui la società si fa carico sapendo, o sperando, di esserne ripagata.  
Non a caso, l’astronomia costituisce un caso speciale.   Finché le uniche fonti di energia disponibili furono il cibo ed il legname, i campi più battuti rimasero quelli della speculazione logica, della letteratura, della musica e della danza proprio perché consentivano risultati notevoli (in molti casi straordinari) al solo prezzo di mantenere un certo numero di distinti signori in grado di studiare e pensare, anziché lavorare e combattere.   C’erano, è vero, anche attività molto più energivore come la scultura, l’architettura e l’astronomia che, però, davano evidentemente dei risultati tali da essere comunque sviluppate.   Almeno nei periodi di fioritura delle civiltà, per essere poi abbandonate nei periodi di decadenza delle medesime.
La nostra civiltà attuale funziona sostanzialmente alla stessa maniera di quelle che la hanno preceduta, ma ha alcune caratteristiche uniche, a cominciare dalla quantità di energia che è stata in grado di mobilitare a proprio favore.   Questo ha consentito un accumulo di informazione assolutamente senza precedenti e non si tratta solo informazione inedita, sconosciuta alle precedenti civiltà.  

L’archeologia, la storia, il restauro dei monumenti, il recupero e la pubblicazione di documenti antichi sono solo alcuni dei lussi estremi che l’opulenza della società occidentale ha reso possibile nei suoi due secoli di fioritura.   Un fatto questo senza precedenti, se si eccettuano piccole collezioni private, alcune biblioteche e poco più.
Quando sono nate le principali istituzioni scientifiche, i maggiori musei, le grandi biblioteche contemporanee?    Praticamente fra la metà del XIX e la metà del XX secolo, talvolta da zero e talvolta da istituzioni precedenti, molto più modeste.   Un accumulo di informazione stupefacente e giustamente entusiasmante, ma che rischia un drastico ridimensionamento nel giro di pochi decenni, forse di anni.   Disfattismo?   Me lo auguro, ma i segnali di allarme, in questo come in molti altri casi, suonano da un pezzo.
Prendiamo ad esempio l’Università italiana, per non andare lontano.   La “riforma Ruberti” è del 1990.    Sostanzialmente, con la scusa dell’efficienza produttiva, si tagliavano i fondi alla ricerca di base dicendo ai ricercatori che dovevano arrangiarsi a trovare dei finanziatori privati che ritenessero interessanti i loro progetti.   Destino analogo hanno avuto altri cosiddetti “enti esperti” come l’ENEA e, più recentemente, lo stesso CNR.    Cosa significa tutto ciò?   Semplicemente che la struttura sociale in cui queste attività si svolgono comincia a pensare che non vale più la pena di farsene carico o, perlomeno, non completamente.
Non è che non ci siano più mezzi a disposizione; semplicemente non ce ne sono più abbastanza per tutto e si comincia ad abbandonare alcuni settori per rilanciarne altri.   Ma anche in materia di accumulo di informazione vale la fatale legge dei “Ritorni Decrescenti”.   Per fare un esempio, uno dei campi attualmente più avanzati e robustamente finanziati è la fisica delle particelle; penso che un confronto a colpo d’occhio fra l’apparecchio usato da Joseph John Thomson  nel 1896 per dimostrare l'esistenza e valutare la massa dell'elettrone con l’apparecchio utilizzato nel 2012 per dimostrare l’esistenza del Bosone di Higgs sia più convincente di qualunque discorso.    Oppure pensiamo a quello che la società ha investito per consentire a Mendel di zappare il suo orto e riflettere, in confronto con il progetto “Genoma Umano” che è costato circa 3 miliardi di dollari ed ha coinvolto migliaia di ricercatori in 7 paesi diversi.

Molto meno spettacolari, ma dello stesso segno, sono i confronti che si possono fare in tutti gli altri campi della scienza, tranne forse le applicazione dell’informatica.   Semplicemente, quello che poteva essere scoperto con determinati mezzi è stato trovato; per scoprire altro è necessario impiegare mezzi più potenti e dunque dissipare una maggiore quantità di energia.     Si potrebbe ben dire che i “giacimenti di misteri” sono ancora ricchissimi, ma sempre più difficili e costosi da raggiungere.   Vi ricorda niente?  
Sarebbe interessante tentare di calcolare qualcosa come l’ “EROEI  dell’informazione” poiché maggiore è l’energia necessaria per acquisirla e conservarla, maggiore è l’entropia che va a scardinare qualche altra parte del sistema globale.   Probabilmente non sarà possibile farlo, ma anche in termini meramente monetari, sia la ricerca di dati di base, sia la conservazione di buona parte delle informazioni che abbiamo finora acquisito stanno progressivamente mettendo in difficoltà musei, ministeri, università ed istituzioni culturali di ogni ordine e grado, dalla NASA fino alla biblioteca parrocchiale di Qualcheposto di sopra.   E non è questo l’unico pericolo che incombe.

Negli anni fra il 1939 ed il 1945 tutti i paesi coinvolti nella guerra, nei limiti del possibile,  si preoccuparono di proteggere il loro patrimonio culturale: monumenti furono coperti con sacchi di sabbia, collezioni e biblioteche furono spostate in zone rurali o nascoste in tunnel, ecc.   Fra il 1941 ed il 1942 Albert Speer fece costruire una serie di vere e proprie fortezze antiaeree che protessero efficacemente sia alcuni centri storici, che buona parte delle raccolte dei musei di Berlino, Amburgo e Vienna.
Le guerre attuali sono molto diverse, ma abbiamo ben visto quali conseguenze abbiano sul patrimonio culturale dei paesi coinvolti, dall’Afghanistan al Mali, passando per l’Iraq.   Possiamo anche trastullarci con l’idea che sono paesi lontani e turbolenti e che qui non succederà niente del genere, ma le conseguenze sociali ed economiche del prevedibile aggravarsi della crisi in corso stanno aumentando rapidamente il grado di turbolenza in tutto il mondo.  

A quando delleprimavere europee”?    Si spera mai, ma possiamo esserne sicuri?   Fra l’altro, più tempo passa prima che cose del genere accadano in casa nostra, minori saranno i fondi ed i mezzi disponibili per farvi fronte.   
A questo genere di discorsi mi si risponde spesso che Internet può risolvere il problema perché de localizza l’informazione sul mondo intero.   Il che è vero, ma chi la pensa in questo modo non tiene conto di almeno due fattori: il primo è che una parte immensa del nostro patrimonio culturale è fatto di roccia, di legno ed altri materiali solidi che non possono essere delocalizzati in rete.    La seconda è che la rete esiste come prodotto di punta di quella civiltà industriale dal cui collasso ci dovrebbe proteggere.   Si stima che internet oggi assorba circa il 2% dei consumi mondiali di energia, mentre l’intero comparto minerario globale ne assorbe fra il 5 ed il 10% .   

Per non parlare delle infrastrutture (centrali e reti elettriche,  server, ripetitori, ecc.) che devono essere manutenute ed alimentate per consentirci di leggere questo semplice articolo.   Possiamo pensare che duri ancora a lungo?   Solo se pensiamo che non ci sarà nessuna grave crisi del sistema socio-economico, ma se questa fosse la prospettiva, non ci sarebbe nessun bisogno di proteggere il nostro patrimonio culturale.   Anzi lo vedremmo continuare a svilupparsi, come vagheggiano icrescisti”.

A mio avviso, finché ci sono un minimo di mezzi a disposizione, sarebbe bene cominciare a prendere dei provvedimenti pratici del tipo “meglio aver paura che buscarne”, per citare un antico adagio.   Qui mi sento di suggerirne di tre tipi:

- Seppellire le  zone archeologiche.   Non tutte e non subito, naturalmente, ma già oggi l’incuria sta distruggendo oggetti che sottoterra erano rimasti integri per centinaia od anche migliaia di anni. Coprirli con un telo di geotessile e rimetterci sopra la terra li proteggerebbe sia dalle intemperie che dalla violenza. Magari in futuro altri archeologi le riscopriranno per la felicità dei nostri discendenti.

- Predisporre il trasferimento, di parte delle collezioni dei musei in luoghi segreti e protetti.   Molti dei tesori di arte che contribuiscono alla nostra attuale cultura sono giunti a noi perché i loro proprietari del passato ebbero cura di nasconderli.

- Stampare e diffondere il meglio della nostra cultura letteraria, artistica e scientifica su dei supporti resistenti all'usura ed al fuoco, oltre che utilizzabili senza ricorrere a tecnologie che non è affatto certo che in futuro siano disponibili. Quanto del nostro passato oggi sappiamo grazie alle  pergamene?

Ovviamente non sarà fatto niente di tutto ciò. Solo pensare che il futuro potrebbe essere irreparabilmente più povero e meno tecnologico del presente è un’eresia  che pochi condividono, anche nella variopinta “blogsfera” ambientalista e picchista.   L'archetipo di base continua ad essere quello del progresso, come brillantemente illustrato da Ray Kurzweil, teorico dei “Ritorni accelerati”.  
Ritorni decrescenti    versus Ritorni accelerati:    chi arriverà prima?   Il progresso dell’informatica e delle altre tecnologie d’avanguardia riuscirà ad invertire la tendenza attuale prima che il decrescere quali/quantitativo delle risorse ed il crescere della popolazione ne blocchino lo sviluppo?   Il pianeta sopravvivrà ad un ulteriore crescita dell'informazione?   Questioni su cui non ci sarà bisogno di aspettare l’ardua sentenza dei posteri.   Su di una cosa sola, infatti,  simo tutti d'accordo: fra 10, massimo 20 anni il mondo sarà un posto molto diverso da come è adesso.