lunedì 10 marzo 2014

Meno numerosi, più felici

Da “Economie durable”. Traduzione di MR

di Didier Barthes
 

I movimenti in favore di una demografia più ragionevole sono finalmente in probabile crescita. Dopo il libro di Alan Weisman, Conto alla rovescia, adesso è Michel Sourrouille che coordina, per i tipi "di Sang de la Terre", un'opera collettiva intitolata: "Meno numerosi, più felici. L'urgenza ecologica di ripensare la demografia".

Questo vangelo della denatalità ha i suoi dodici apostoli, poiché dopo una prefazione in cui Yves Cochet mette chiaramente il dibattito all'interno della problematica ecologica e descrive tutte le difficoltà di una tale sfida, ci sono dodici autori che ci propongono ciascuno una particolare illuminazione ma  condividendo la stessa convinzione: la soluzione ai problemi ambientali e sociali passerà ineluttabilmente per una diminuzione dei nostri effettivi. E' il momento che cada il tabù su questo tema e che gli ecologisti si facciano carico del dibattito. Prima lo facciamo, meglio andranno le cose, più dolce e democratica sarà la transizione verso un'umanità più sobria in fatto di risorse e soprattutto più rispettosa del pianeta e degli altri suoi abitanti, in tre parole, più duratura, secondo me più morale e certamente più felice.

Per cominciare un approccio ecologico con Michel Tarrier, a cui si devono già diversi libri sull'argomento, mostra che l'espansione continua del nostro numero conduce all'occupazione dell'insieme dei territori a scapito di tutte le specie non umane. Stesso approccio tiene l'analisi scientifica di Alain Gras, autore fra le altre cose di La scelta del Fuoco, che fa un parallelo fra ciò che minaccia noi e il modello di Lotka e Volterra che descrive l'evoluzione delle popolazioni in funzione di quella delle risorse. Théophile de Giraud, autore del pamphlet L’arte di ghigliottinare i procreatori, descrive da parte sua l'impossibilità delle nostre società di far vivere decentemente gli esseri umani e produrre tutto ciò che essi pretendono in un piccolo rettangolo di 100x150 metri dei quali ormai si deve accontentare ogni essere umano sulla Terra. Ricordiamo che gli stessi esseri umani disponevano di uno spazio mille volte più grande 10.000 anni fa quando oltretutto consumavano pochissimi beni e tutto era riciclabile e veniva riciclato.

Philippe Annaba, autore di "Beati gli Sterili", pone l'accento sul pensiero di Malthus e sull'incapacità dei movimenti della decrescita di tenerne conto. Corinne Maier, autrice di No Kid, allo stesso tempo evoca la scala delle politiche nataliste francesi e denuncia l'ostracismo di cui sono vittime coloro fra noi che fanno la scelta di non avere figli. Alain Hervé, fondatore del ramo francese di Amici della Terra e redattore capo di Sauvage, una delle prime riviste ecologiste francesi, descrive l'aberrazione costituita dal volere, da parte degli esseri umani, di volersi riprodurre sempre di più nel mondo di oggi.

Approccio internazionale per un tema sensibile con Michel Sourrouille, che analizza il cambiamento della natura delle migrazioni nel momento in cui hanno luogo in un pianeta saturo. L'emigrazione, che è stata una soluzione, diventa un problema. Dal momento che le religioni sono spesso implicate nel natalismo dell'ambiente, Jean-Claude Noyé propone un riassunto della posizione delle diverse chiese in materia di contraccezione. L'accettazione di una politica di controllo delle nascite è più o meno grande, anche se nei fatti i paesi non seguono tutte le scelte raccomandate dalla religione dominante. Il fenomeno è particolarmente marcato in Europa, dove molte nazioni di fede cattolica hanno tassi di fecondità molto bassi. Riprendendo alcuni elementi dalla sua opera, Il naufragio contadino, Jacques Maret evoca l'interrogativo che per primo viene in mente quando si evoca la sovrappopolazione: riusciremo a nutrire i 9,6 miliardi di abitanti che l'ONU prevede per la metà del secolo? Non è scontato, conclude con queste parole: “Malthus aveva messo il dito dove fa male”.

Pablo Servigne dal canto suo, evocando giustamente queste previsioni demografiche, s'inquieta alla possibilità stessa di raggiungere tali numeri, visto che le risorse del pianeta sono vicine all'esaurimento. In questo si unisce ad una scuola di pensiero che vediamo crescere (si pensi a Franck Fenner o a Jared Diamond, che ha descritto alcuni esempi), secondo la quale un crollo tanto economico quanto demografico è sempre più probabile in questo stesso secolo. Approccio sociale infine, con i due autori di questo sito. Didier Barthès, portavoce di Demografia Responsabile evoca l'impossibile conciliazione fra diritto ad essere numerosi e tutti gli altri diritti umani. Come non vedere che il pensiero ecologista dominante, a forza di negare la componente demografica, ci conduce inevitabilmente all'abbandono di tutti i nostri diritti e più in generale del piacere di vivere su un pianeta la cui bellezza dovrebbe essere la cosa che dovremmo salvaguardare come preoccupazione principale? Jean-Christophe Vignal s'interroga sulla difficoltà di pensare una società in decrescita demografica, visione contraria all'espansionismo soggiacente a quasi tutte le rappresentazione che l'umanità ama farsi del proprio destino.

C'è materiale per una rivoluzione mentale che non costituisce la minima delle difficoltà. Non esitando a prendere contro corrente il “moralismo natalista”, possa quest'opera apportare un contributo e gli uomini cominciare a tenere conto di questa osservazione di Alain Gras, uno degli autori: “l'avvenire dell'umanità passa per la creazione di un rapporto più umile col pianeta”. La questione del nostro numero costituisce uno degli elementi primari di questa necessaria umiltà.



domenica 9 marzo 2014

Effetto Risorse: il vero problema

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Tavola per gentile concessione di Steven Rocco. E' impressionante come il costo del combustibile sia quasi raddoppiato in pochi anni a fronte di una diminuzione della produzione.


di Ugo Bardi

L'immagine sopra è una delle migliori illustrazioni del vero problema che abbiamo con l'estrazione mineraria. Come è già stato detto nello studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo”, NON finiremo nessun minerale. La cosa che finiremo sono le risorse necessarie per l'estrazione mineraria, a fronte di costi dei combustibili in aumento e della diminuzione della densità dei minerali. "

Nella tavola di Steven Rocco si vede che il costo del combustibile diesel usato per l'estrazione dell'oro è quasi raddoppiato negli ultimi quattro anni, arrivando a rappresentare, al momento, circa il 10% del prezzo di mercato dell'oro. Possiamo ancora permetterci di estrarre l'oro, ma il suo destino è segnato. E non solo il suo. Il costo dell'estrazione sta aumentando per tutti i beni minerali, compresi i combustibili fossili, risultato inevitabile dell'esaurimento progressivo. Ovviamente, questa non è una buona notizia per l'economia e le sempre maggiori psese necessarie per l'estrazione sono una delle ragioni degli attuali problemi economici.

La questione dell'esaurimento è il tema principale del mio nuovo libro “Extracted”, pubblicato (solo in inglese) da Chelsea Green e che dovrebbe essere disponibile da Aprile di quest'anno.





La Grande Dissonanza

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


Di Antonio Turiel


- Come va? Sei a casa coi bambini, giusto? Ti vedo sempre coi tuoi figli qui in giro, molto bene, tu...

Ci eravamo incontrati uscendo dalla stazione ferroviaria ed entrambi andavamo di fretta, pensando di arrivare a casa e fare le faccende del tardo pomeriggio, probabilmente.

- Quando non lavoro sto sempre coi miei figli – gli ho risposto io.

- Questo è molto bello – mi ha risposto – Sono ancora molto piccoli, no? Ma poi crescono e prima che te ne rendi conto vanno già all'università... 

Ho abbozzato un sorriso fra il triste e lo stanco e gli ho detto:

- Non so se i miei figli andranno all'università.

Deve aver pensato che scherzassi ed ha insistito un po', al che gli ho detto, con un po' più di fermezza:

- Non credo che i miei figli andranno all'università.

Un tale atteggiamento da parte mia è, ovviamente, difforme, dissonante rispetto al sentire sociale, si potrebbe dire. Il fatto che io, che ho una formazione universitaria superiore, non dia per scontato che anche i miei figli avranno una formazione universitaria, è anche peggio di un'eccentricità: è un sovvertimento dell'ordine naturale delle cose ed una barbarie. Tuttavia, il mio modo di vedere le cose è perfettamente coerente con ciò che vedo intorno a me: alti tassi di disoccupazione (26%) che sono alle stelle quando si parla di disoccupazione giovanile (più del 50% dei minori di 25 anni che vogliono un lavoro non riescono a trovarne uno), una situazione economica melmosa, un alto indebitamento pubblico e privato che fanno presagire un recupero economico lento, una diminuzione progressiva dei salari pubblici e privati... e tutto questo senza tenere conto del fatto che la mancanza di risorse garantisce che questa crisi non finirà mai. Non fraintendete le mie parole, non è che io desideri che i miei figli non vadano all'università, è che non so se quando dovranno prendere quella decisione lo considereranno conveniente. Inoltre non so se per allora il mio potere d'acquisto mi permetterà di pagargliela. Più che altro, il fatto è che credo che sarà difficile che accada un cosa del genere. Naturalmente,, se loro vogliono ed io posso ci proveremo, ma nutro molti dubbi su questo possibile futuro. Dubbi fondati nei più di sei anni di crisi che abbiamo alle spalle nella mia conoscenza del nostro inesorabile declino energetico. Declino che non implica necessariamente la distruzione della classe media, ma la nostra mancanza di reazione di fronte ad esso sì che la implica.

Perciò, la mia mancanza di fede in un brillante futuro (mancanza di fede in realtà che motiva lo scrivere questo blog, nella speranza che alla fine mi sbagli riguardo alle mie magre prospettive rispetto alla razza umana e che possiamo invertire la situazione)è una posizione perfettamente logica e razionale. Peggio ancora, è la posizione più logica e razionale che si possa assumere vedendo i dati e la scarsa azione della politica per combattere la crisi che abbiamo visto finora. Pertanto, questo ottimismo implicito che la maggioranza proietta sul futuro (accettando che c'è una crisi, ma nonostante questo fa piani per un futuro in continuità col passato, coi figli che vanno all'università o che si comprano un mini-appartamento), in realtà è una dissonanza cognitiva sociale, collettiva anche se tale dissonanza è curiosamente il comportamento sociale accettabile e il mio quello disadattato.

Questa Dissonanza Cognitiva Collettiva non è, naturalmente, niente di nuovo, ma sta alla base stessa del nostro sistema economico, a cominciare dalla psicopatia della teoria economica convenzionale nelle sue diverse versioni. Che il nostro sistema abbia bisogno di una crescita infinita del proprio consumo di risorse, che non solo sono scarse ma sono per di più esauribili, fino a giungere allo spreco delle stesse come vera essenza del valore economico dei giorni nostri e che la distruzione dell'ecosistema, del nostro habitat e il degrado dell'ambiente in generale sia la cosa socialmente accettabile, mostra non solo il suo carattere lunatico e suicida, ma quanto sia profondamente squilibrato ed ingiusto (visto che molte volte si estenalizzavano ad altri paesi gli squilibri di questo malcostume, fino ad arrivare all'epoca in cui non resta altro rimedio che 'internalizzarle' qui). E nonostante le prove schiaccianti dei fatti, denunciare le barbarie che si commettono in nome del nostro sistema economico è considerato come infantile e persino da disadattati.

La psicopatia che ci inculca il nostro sistema è così profonda che la gente è già giunta ad accettare senza battere ciglio le peggiori aberrazioni possibili, come strappare il futuro ai figli. La predicazione generale è che ci dobbiamo preoccupare soltanto del presente, anche se questo implica essere in competizione coi figli o addirittura distruggere il loro futuro. In alcune occasioni mi trovo che, parlando della gravità del cambiamento climatico o della crisi delle risorse (e particolarmente del picco del petrolio) a volte qualcuno dica, per tranquillizzarsi di fronte a notizie tanto inquietanti: “per fortuna di questo se ne dovranno preoccupare i nostri figli e i nostri nipoti”. Mi corre sempre un brivido lungo la schiena nell'ascoltare cose del genere, perché per me la mia vita sono i miei figli (a volte quando qualcuno mi chiede perché mi complico la vita facendo quello che faccio, dico che ho due buoni motivi). E', di nuovo, un altro aspetto della Grande Dissonanza in cui vive tronfia la nostra società, forse la peggiore: la noncuranza per la discendenza. Nella cultura che ha preceduto questa desolazione morale, limitata ed ignorante com'era, e nella maggior parte delle occasioni atavicamente ingiusta, c'era come valore sociale la conservazione di almeno una parte della discendenza (anche era solo per il proprio interesse). Col progresso materiale e sociale i figli sono passati dall'essere un investimento per il futuro all'essere un vero e proprio motivo di gioia e di continuità della propria esistenza oltre l'inesorabile morte di ognuno. Ma qualcosa è andato storto in questo percorso ed ora siamo giunti alla demenza attuale, per cui per non privarci di un piccolo piacere in più siamo capaci di immolare i nostri propri figli. Prima i genitori davano una spintarella ai propri figli. Anche adesso, ma all'indietro.

Il grado di conformismo alle contraddizioni multiple del nostro sistema economico è talmente elevato che, nonostante l'inutilità di cercare di mantenere un sistema che cresce esponenzialmente nel proprio consumo materiale e di energia in particolare, si pone l'enfasi nel trovare più materia prima e più energia per alimentare la bestia, essendo la crescita per la crescita il fine ultimo, invece di renderci conto che ciò che serve è ripensare il problema.


E così quando parliamo di crisi energetica di solito gli interlocutori informati si concentrano sulla mera ricerca di nuove fonti di energia, ciò non è altro che un'ulteriore forma di Grande Dissonanza: anche se riuscissimo a raddoppiare la nostra disponibilità di energia, se mantenessimo il tasso di crescita del consumo energetico adeguato (il 2,9% all'anno come da media storica) ci ritroveremmo che in soltanto due decenni si ripresenterebbe la scarsità l'energia: praticamente è un sospiro in termini storici, nonostante l'impresa che implicherebbe il duplicare l'energia consumata rispetto ai livelli attuali. E come spiegava Tom Murphy, per poter continuare a crescere a questo ritmo in meno di 400 anni dovremmo assorbire tutta la radiazione che giunge alla Terra dal Sole, in 1300 anni dovremmo assorbire tutta l'energia emessa dal Sole e in 2500 anni (poco meno del tempo trascorso dalla fondazione di Roma) dovremmo assorbire tutta la radiazione di tutte le stelle della nostra galassia. In realtà ci sono limiti invalicabili prima: in “soli” 450 anni il calore dissipato dalle nostre macchine farebbe bollire gli oceani. E' chiaro pertanto che la nostra folle corsa per l'energia illimitata è condannata a finire entro alcune generazioni, costretta da limiti che neanche il più illuso può pensare che siano superabili, tuttavia anche persone molto intelligenti si lasciano prendere dalla Grande Dissonanza Collettiva e sono facile preda della notizia del giorno, di una nuova promessa di energia illimitata ben pubblicizzata da media, esagerazioni che non si traducono mai in pratica (l'ultima delle quali potrebbe essere la notizia di un grande successo nella National Ignition Facility, secondo la quale si sarebbe ottenuto per la prima volta che una reazione di fusione nucleare a confinamento inerziale producesse più energia di quella consumata – niente di più lontano dalla realtà, come si è già spiegato quando l'esperimento era venuto alla luce lo scorso ottobre: in realtà l'energia prodotta è circa l'1% dell'energia consumata dai laser, cosa che pochi media hanno riportato correttamente).

L'Astuzia dell'Idea di Hegel si è trasformata, per nostra disgrazia, nella Stupidità dell'Idea; l'inconscio collettivo è più inconscio che mai. La grande Dissonanza porta a chiudere gli occhi, a volte serrandoli come fanno i bambini, di fronte le realtà scomode e alle decisioni improrogabili. E' molto difficile combattere questa Grande Dissonanza che pervade tutto, che pervade tutti, alla quale siamo stati tutti indottrinati. In questi giorni mi sono sorpreso vedendo come un paio di autori della blogosfera il cui lavoro e sforzo divulgativo nell'ambito della Scienza e dell'Economia, rispettivamente, apprezzo ed ammiro, mi criticano personalmente per la divulgazione che faccio, in qualche occasione con denigrazioni piuttosto gravi ma non per questo meno generiche. Non esiste una cosa come la crisi energetica, mi dicono, esagero, mi lascio trasportare da teorie della cospirazione, non ho nessuna idea di cosa sia la Fisica o la Geologia, i miei dati provengono da fonti dubbie (ma non so quali siano le fonti migliori che hanno loro), che in realtà il fracking sta cambiando il mondo, che gli Stati Uniti producono più petrolio che mai (dipende da cosa chiami petrolio, chiaro) o che i reattori autofertilizzanti ci forniranno energia nucleare infinita (chi se ne frega se in 60 anni di sperimentazione sono stati costruiti solo una decina di prototipi con un'infinità di problemi; questa tecnologia ce l'abbiamo dietro l'angolo, come quella della fusione, come l'auto elettrica...). Ancora e ancora la stessa cecità, la stessa mancanza di prospettiva, la conoscenza sommaria di quello che succede che non resiste alla minima analisi critica che so che queste persone potrebbero fare se solo gli dedicassero un pomeriggio. Ma non solo non si vede, c'è un desiderio inconscio di non vedere, un terrore implicito di quello che si potrebbe vedere, che barcollino le basi delle nostre convinzioni. E' meglio pensare che la scarsità di energia non ha niente a che vedere con l'attuale crisi economica, nonostante che secondo EuroStat nell'Europa dei 28 paesi il consumo di energia primaria è scesa di più del'8% fra il 2006 e il 2012:


E' meglio non guardare troppo nei dettagli e sperare che si troverà una soluzione a tutto. Allo stesso modo, è meglio pensare che del tema del cambiamento climatico se ne stia esagerando l'importanza e credere che le gravi alterazioni climatiche che stiamo vivendo quest'inverno (soprattutto nel Nord Atlantico, negli Stati uniti e in Giappone) non abbiano nulla a che vedere con la destabilizzazione della Corrente a Getto (Jet Stream) polare frutto dell'indebolimento della stessa in conseguenza del riscaldamento dell'Artico (questione che ho sicuramente spiegato nel post un anno senza estate e che mi valse parecchie critiche da parte di molti che mi hanno accusato di dire che nel 2013 non ci sarebbe stata l'estate – e che ovviamente hanno letto solo il titolo).

1. Con un Artico freddo e sano la corrente a getto polare è forte e veloce, ma con l'Artico riscaldato la corrente a getto perde forza.
2. E' quando le ciclogenesi ti mangiano e nevica alle canarie. 
Viñera de Ramón su elpais.com. 17 febbraio 2014

Tornando alla conversazione con la quale ho aperto il post, da qualche tempo ho trovato un modo adeguato di compensare le mie risposte brusche e socialmente inaccettabili.

- L'unica cosa che mi interessa è che i miei figli siano felici.

- – mi ha detto dopo qualche secondo – perché siano felici non c'è nessuna necessità di andare all'università – e dopo una breve pausa – e in realtà è quello che importa.

E' che in un momento di crisi ed incertezza come quello attuale, nel quale in fondo più di uno percepisce dentro di sé che la melodia sociale forse è una cacofonia, una posizione tanto dissonante come la mia si può far accettare solo facendo appello ai valori semplici, primari, fondamentali. La felicità, il benessere non materiale. Una melodia semplice per scappare da tanto frastuono.

Forse ciò di cui abbiamo bisogno non è di complicare i discorsi, ma di semplificarli.

Antonio Turiel, Febbbraio 2014.


sabato 8 marzo 2014

IPCC: Gli impatti climatici "sono molto evidenti, sono diffusi" e "noi non siamo preparati"

Da “Climate Progress”. Traduzione di MR

La scelta dell'umanità (via IPCC, 2013): l'azione climatica aggressiva (immagine a sinistra) minimizza il riscaldamento futuro. La continua inazione (immagine a destra) porta a livelli di riscaldamento catastrofici, con +7°C su gran parte degli Stati Uniti.

Il prossimo grande rapporto dei maggiori scienziati del clima sarà sugli impatti, atteso per la fine di marzo e non sarà gradevole. Quando AP ha riassunto la bozza del rapporto su “Impatti, adattamento e vulnerabilità” del IPCC, “fame, povertà, alluvioni, ondate di calore, siccità, guerra e malattie è probabile che peggiorino mentre il mondo si scalda a causa del cambiamento climatico antropogenico”. Chris Field di Stanford, che co-presiede il lavoro che sta redigendo il rapporto, ha detto lunedì ai giornalisti che “gli impatti del cambiamento climatico già avvenuti sono molto evidenti, sono diffusi, hanno conseguenze”. Un punto chiave posto da Field è che non siamo preparati per il tipo di meteo estremo peggiorato dal riscaldamento – come alluvioni e siccità – che stiamo già sperimentando: “Penso che se si guarda nel mondo ai danni subiti a causa di una vasta gamma di eventi, è molto chiaro che non siamo preparati per il tipo di eventi cui stiamo già assistendo”. A novembre, Climate Progress ha riferito, su una prima bozza trapelata del rapporto, che in un passaggio dice: “Durante il 21° secolo, gli impatti del cambiamento climatico rallenteranno la crescita economica e la riduzione della povertà, eroderanno ulteriormente la sicurezza alimentare innescando nuove trappole di povertà, la seconda in particolare nelle aree urbane e nelle punti caldi emergenti della fame”. Il rapporto avverte che il cambiamento climatico pone una estrema minaccia alla sicurezza alimentare e a quella dell'acqua per miliardi di persone da metà secolo. Ho chiesto all'eminente climatologo dottor Michael Mann un suo commento. Il direttore del Centro per la Scienza del Sistema Terrestre dell'Università di Stato della Pennsylvania ha detto:

I più recenti rapporti sugli impatti del cambiamento climatico del IPCC rafforzano ciò che già sapevamo: Che il cambiamento climatico sta già avendo un impatto dannoso su di noi e sul nostro ambiente, sia che parliamo di cibo, acqua, terra, sicurezza nazionale o salute dell'ecosistema dal quale dipendiamo in modo cruciale. Il rapporto chiarisce anche che quello che abbiamo visto è solo la punta di un vero e proprio iceberg. Se continuiamo con le emissioni da combustibili fossili come se nulla fosse nei prossimi decenni, come mostra il rapporto, il riscaldamento risultante e il cambiamento del clima infliggerà impatti di gran lunga più pericolosi e potenzialmente irreversibili su di noi e sul pianeta.

La buona notizia è che un mondo in cui gli esseri umani tagliano drasticamente l'inquinamento da carbonio il prima possibile ha impatti sostanzialmente inferiori di uno in cui le emissioni rimangono alte. Field ha notato che, “C'è una differenza davvero molto grande fra quei due mondi”. Potete vederlo nella figura in alto, che proviene dal rapporto di settembre del IPCC “La Scienza Fisica di Base”. La finestra per raggiungere lo scenario  RCP2.6 — cioè una concentrazione atmosferica di biossido di carbonio di 421 ppm – si sta chiudendo rapidamente ma non è ancora chiusa del tutto. Ha una riscaldamento generale modesto rispetto al devastante scenario RCP 8.5, di circa 936 ppm di CO2, che è dove siamo diretti nel nostro attuale percorso del fare poco. Mann aggiunge che il meteo estremo peggiorato dal riscaldamento è qui adesso e è molto costoso:

Non c'è dubbio, quando guardiamo all'aumento del pedaggio che il cambiamento climatico si sta prendendo sotto forma di super tempeste più devastanti, siccità più prolungate e più gravi, eventi alluvionali più estremi, agricoltura e allevamento decimati e massicci incendi, che stiamo già percependo gli impatti avversi del cambiamento climatico. Gli economisti hanno stimato che i danni collegati al clima ci stanno già costando più di un trilione di dollari in tutto il mondo in PIL globale. Quei costi aumenteranno soltanto se non facciamo nulla per questo problema.

Per approfondire sulla stima del trilione di dollari, vedi qui. La IEA ha informato non più tardi del 2009 che “Il mondo dovrà spendere 500 miliardi di dollari per tagliare le emissioni di carbonio per ogni anno di ritardo nell'attuare un grande assalto al riscaldamento globale”.

Il momento di agire è ora.

venerdì 7 marzo 2014

Il riscaldamento globale spiegato a mia nonna





Di Paolo de Luca

Nota introduttiva: questo breve testo divulgativo parla dell’effetto serra, delle sue cause e dei possibili rimedi. Può essere letto, come state appena facendo, o rappresentato magari a margine o introduzione di un dibattito sul tema.


PREMESSA

Mia nonna Maria Allegretti era nata a Mazzano Romano nel 1903, aveva vissuto l'esperienza di due guerre mondiali, della febbre “spagnola”, e nonostante fosse diventata vedova nel '36, aveva “tirato su” cinque figli. Io, il più piccolo dei suoi nipoti, sono nato nel 1972 figlio di suo figlio Benedetto. Conserviamo una foto in cui nonna Maria tiene in braccio con una tenerezza infinita la figlia, della figlia del figlio di sua figlia, cinque generazioni! In che condizioni sarà il pianeta quando la nostra quinta generazione nascerà ?

Come se fosse qui con noi, con un dialogo immaginario voglio sentire cosa ne pensa la mia nonna Maria del riscaldamento della Terra. quello che quando se ne parla in televisione chiamano effetto serra. Trascorrevo a Mazzano con lei le mie vacanze, sapevo che ascoltarla le faceva piacere; e a me piaceva ascoltare le sue storie di vita vissuta, si sedeva di fronte al caminetto e cominciava a parlare, Pavolè …



INIZIO della parte teatrale

Nonna Maria: Pavolè, vie’ un pò qua, che tò da racconta un pezzetto.. 

Il nipote: Onò (nonna) stavolta un pezzetto de storia te lo racconto io! Te ricordi quanno a fine Ottobre “cojessivo le liva” (raccoglievate) te ricordi che freddo che faceva ? E come è che dicevi? lo focherello è bono d'estate e d'inverno! Adesso non è più così passiamo da lunghe e calde estati di colpo a inverni a volte lunghi e freddi, magari con la neve a volte a inverni inesistenti (come questo attuale).

Nonna Maria: Eh, stamo sotto a questo celo, ce tocca prenne quello che arriva. Però te vojo ascortà perché prima fijo mio nun capissimo gnente, mo siete tutti scienziati, sapete dì se domani piove o c’è il sole noi invece guardassimo verso Nepi e se vedessimo le nuvole subito a corre a casa. Ma nisciuno sapeva dì lo tempo de domani.

Il nipote: è vero però la scienza piace alle persone solo quando gli parla di cose belle (telefonare gratis ad una persona dall'altra parte del mondo, curare malattie, mandare l'uomo sulla Luna) però quando gli parla di cose meno belle e più faticose nessuno crede alla scienza.

Nonna Maria: Tutto er monno è cambiato mo a Mazzano ho visto che stanno addirittura a fa la raccolta differenziata. ‘na vorte c’essimo casa co’ lo butto tutto giù ar fiume, ma ‘na vorta mica c’era la prastica che c’è oggi,a quelli tempi pure trova ‘n foglio de giornale era ‘na bellezza. Oggi tutti c’hanno la carta genica e mannano via co lo sciaqquò, ‘na vorta c’era un secchietto e tutte le mattine evi d’annallo a buttallo fora. (dovevi andare a buttarlo via, al fiume)

Il nipote: Essì la raccolta differenziata è arrivata anche a Mazzano è facile da fare, sarà un po’ faticoso abituarsi ma la facciamo per vivere in un mondo migliore.Gli scienziati sono anni che ci parlano del riscaldamento globale ma nessuno li vuole ascoltare, io sono nato 42 anni fa e già allora gli scienziati ne parlavano ora dopo tanti anni  gli effetti sono visibili a tutti. Il mondo sta cambiando così tanto che ho paura per i figli dei miei figli. Voglio che anche la mia quinta generazione abbia per se un mondo bello ed accogliente come ce l’ho avuto io.

Nonna Maria: Certo bello de nonna, certo che sì. Io e padrito ve guardamo e ve proteggemo dall’alto.

Il nipote: lo so ! Ma purtroppo non basta. Onò, tu le conosci le serre?

Nonna Maria: Certo che le conoscio! Quelle pe fa li pummidori pure d'inverno, steveno dalle  suore a Vicarello a Bracciano

Il nipote: Il mondo sta diventando una serra! Il caldo che c'è in una serra è lo stesso effetto di un’automobile lasciata al sole: i raggi entrano e il calore è intrappolato la dentro, basta poi aprire il finestrino, partire e il calore esce fuori, ma con la Terra questo non si può fare, non c'è un finestrino da aprire. La Scienza ci dice che sono le attività dell'uomo che stanno provocando  il riscaldamento globale. E’ l’anidride carbonica provoca l’effetto serra. La CO2 o anidride carbonica, la sentiamo nominare tante volte, che si produce quando si brucia l’ossigeno, con il fuoco di legna, con il riscaldamento delle case, con le auto.

Sai nonna, quando fa caldo si sta “meglio”, ma quando fa troppo caldo la terra diventa un deserto! I californiani stanno sperimentando una siccità prolungata, come non vedevano da centinaia di anni. L’anno prossimo in estate al Polo Nord  è prevista una gara ciclistica noi qui staremo dentro casa con il condizionatore acceso per il gran caldo e vicino al Polo Nord faranno una gara ciclistica. Uno degli effetti del riscaldamento è quello di aumentare l’intensità dei fenomeni: grandi siccità, alluvioni, ondate di calore, ondate di freddo. L’Italia circondata da mari e non da oceani è afflitta da piogge torrenziali.
        Il polo nord si scioglie e le nazioni cieche pensano solo a fare a gara per accaparrarsi quelle terre ora coltivabili, si comportano come Re Mida che morì di fame per aver trasformato il pane in oro.Ma noi abbiamo una grande responsabilità, oltre a garantire il pane in tavola ai nostri figli dobbiamo agire in modo che i figli di domani possano mettere in tavola ancora il pane.

Nonna Maria:  Pavolè a li tempi nostri dicessimo “cemo lo pà, lo vino e li zocchi, dinne che fiocchi, dinne che fiocchi!!” ma mica era vero, c’era la fame, il freddo e la malattia ma voi che siete tanto istruiti nun riuscite a salvà sto mondo?

Il Nipote: Cara nonna, è la scienza che ci può salvare. Oggi la Scienza ci dice alcune cose, e in TV parlano, poco, solo di una di queste: (con enfasi) primo: l’effetto serra può distruggere la vita del pianeta – e questo (a bassa voce), lo dicono anche “in TV”, o sui giornali secondo: l’effetto serra è sicuramente dovuto, e sottolineo sicuramente, alle attività umane, al consumo di petrolio da parte di sette miliardi di persone. Sette miliardi! – e, di nuovo, questo a bassa voce, lo dicono “anche in TV” Terzo, e di questo ne parlano pochissime persone: a forza di consumare petrolio, lo stiamo esaurendo!
      Però cara nonna io non voglio tornare al 1910 quando eri bambina, non voglio spegnere tutte le luci in casa e illuminare con qualche candela, non voglio riscaldarmi solo col camino, non sono capace di coltivare da solo tutto il cibo che mangerò e non posso spostarmi col carretto. Voglio vivere bene e far vivere bene i figli dei figli dei miei figli

Nonna Maria: Pavolè allora ascoltame bene: quello che m'hai raccontato raccontelo a tutti, perché tutti lo devono sapé che 'er munno nun è più quello de prima e pò diventà un deserto. Se voi che site scienziati pensate che qualcosa se pò fa', dinnelo a tutti, perché 'sto munno è troppo bello pe fanne del male.







giovedì 6 marzo 2014

Picco del cibo: il drammatico declino dell'agricoltura industriale

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Gran parte dei modelli di predizione convenzionali non tengono conto della realtà, dicono alcuni ricercatori statunitensi.

I cereali di prima necessità come il riso affrontano un declino senza precedenti. Foto: George Osodi


L'agricoltura  industriale potrebbe aver raggiunto dei limiti di fondo nella sua capacità di produrre raccolti sufficienti a sfamare una popolazione globale in espansione, secondo una nuova ricerca  pubblicata su Nature Communications. Lo studio di alcuni scienziati dell'Università del Nebraska-Lincoln sostiene che ci sono stati declini improvvisi o plateau nel tasso di produzione dei principali cerreali che minano le proiezioni ottimistiche di rendimenti dei raccolti in continuo aumento. Il “31% del totale globale della produzione riso, grano e mais” ha visto “un livellamento del rendimento o delle diminuzioni improvvise del miglioramento del rendimento, compreso il riso nell'Asia orientale e il grano nell'Europa nordoccidentale”. I declini e i plateau della produzione sono diventati prevalenti nonostante gli aumentati investimenti in agricoltura, il che potrebbe significare che i rendimenti massimi potenziali del modello industriali di agricoltura commerciale sono già superati. "I rendimenti dei raccolti nelle maggiori regioni produttrici di cereali non sono aumentati per lunghi periodi di tempo a seguito di un periodo precedente di costante crescita lineare”.

Il saggio è una lettura inquietante. I livelli di produzione si sono già livellati con “nessuna possibilità di tornare alla precedente tendenza alla crescita” per le regioni chiave che ammontano al “33% della produzione di riso globale e il 27% del grano”. I ricercatori statunitensi hanno concluso che questi plateau del rendimento potrebbero essere spiegati dalla deduzione secondo la quale “i rendimenti medi agricoli si avvicinano ad un tetto di rendimento biofisico per le colture in questione, il che è determinato dal loro potenziale di rendimento nelle regioni dove la coltura è prodotta”. Scrivono:

“... abbiamo trovato una diffusa decelerazione nel tasso relativo di aumento dei rendimenti medi delle maggiori colture di cereali durante il periodo 1990-2010 in paesi con la più grande produzione di queste colture e prove solide di plateau di rendimento o un improvviso calo nel tasso di aumento del rendimento nel 44% dei casi che, insieme, assommano al 31% della produzione totale globale di riso, grano e mais”. 

Le tendenze passate degli ultimi 5 decenni di aumento continuo dei rendimenti delle colture erano “guidate dalla rapida adozione delle tecnologie della rivoluzione verde che erano in gran parte innovazioni del passato” e che non possono essere ripetute. Queste comprendono le grandi innovazioni industriali come “lo sviluppo delle specie di grano e riso semi nane, il primo uso diffuso di fertilizzanti commerciali e pesticidi e grandi investimenti per espandere le infrastrutture di irrigazione”.

Anche se l'investimento in agricoltura in Cina è aumentato del triplo dal 1981 al 2000, i tassi di aumento dei rendimenti del grano sono rimasti costanti, diminuiti del 64% per il mai e sono trascurabili per il riso. Analogamente, il tasso di rendimento del mais è rimasto ampiamente piatto nonostante un 58% di aumento dell'investimento nello stesso periodo. Lo studio avverte:

“Una preoccupazione è che nonostante l'aumento dell'investimento in ricerca e sviluppo agricolo ed educazione durante questo periodo, il relativo tasso di guadagno del rendimento nelle maggiori colture alimentari  è diminuito nel tempo insieme con l'evidenza di plateau di rendimento in alcuni dei domini più produttivi”.

Lo studio critica prevalentemente altri modelli di proiezione dei rendimenti che prevedono aumenti in proporzione geometrica o esponenziale nei prossimi anni e decenni, anche se questi “non avvengono nel mondo reale”. Lo studio nota che “tali tassi di crescita non sono sostenibili sul lungo termine perché i rendimenti agricoli medi alla fine si avvicineranno ad un tetto potenziale di rendimento determinato da limiti biofisici ai tassi di crescita ed ai rendimenti delle colture”. I fattori che contribuiscono ai declini o ai plateau della produzione di cibo comprendono il degrado delle terre e dei suoli, il cambiamento climatico e dei modelli ciclici meteorologici, l'uso di fertilizzanti e pesticidi e l'inadeguato o inappropriato investimento.

La nuova ricerca solleva domande cruciali sulla capacità dei metodi dell'agricoltura industriale tradizionale di sostenere la produzione globale di cibo per una popolazione in crescita. La produzione di cibo dovrà aumentare di circa il 60% per il 2050 per soddisfare la domanda. Un rapporto uscito questo mese da parte della banca olandese Rabobank raccomanda di tagliare gli sprechi di cibo del 10%, in quanto oltre un miliardo di tonnellate – metà delle quali collegate all'agricoltura – finisce per essere sprecato. Un uso dell'acqua più efficiente è necessario, dice il rapporto, come la micro irrigazione, per affrontare un potenziale deficit di disponibilità di acqua del 40% per il 2030. Attualmente, l'agricoltura utilizza il 70% della domanda globale d' acqua. Il rapporto invita anche a ridurre la dipendenza dai fertilizzanti usando metodi di “ottimizzazione degli input” progettati per ridurre la quantità di energia ea acqua necessarie. Visto che il 53% dei nutrienti dei fertilizzanti rimangono nel terreno dopo il raccolto, i fertilizzanti contribuiscono al degrado del suolo nel tempo a causa della contaminazione delle acqua di falda, alla lisciviazione, all'erosione e al riscaldamento globale.

L'ossessione di Rabobank col focus sul miglioramento degli attuali metodi industriali – senza proprio afferrare la scala dei problemi che affronta l'agricoltura industriale – è, tuttavia, una deficienza grave. Due anni fa, un rapporto di riferimento del Relatore Speciale dell'ONU sul Diritto al Cibo dimostrava che l'agroecologia basata su metodi biologici sostenibili e su piccola scala potrebbero potenzialmente raddoppiare la produzione di cibo di intere regioni che affrontano la fame persistente nell'arco di 5-10 anni.






mercoledì 5 marzo 2014

Il ritorno del picco del petrolio




Da “PennEnergy”. Traduzione di MR

Di Colin Chilcoat

Il picco del petrolio è entrato nel nostro lessico nel 1956 e da allora ha dato vita a infinite discussioni sulla natura finita degli idrocarburi della nostra Terra. Nel mondo dell'energia, nessun altro fenomeno ha attraversato più di frequente il terreno fra rilevanza e obsolescenza. Tuttavia, l'idea in sé ha diverse interpretazioni. Il picco del petrolio è relativamente indipendente dal volumetotale delle riserve, che di fatto sono aumentate. Piuttosto, M. King Hubbert, il geologo americano che ha coniato il termine, si preoccupava dei tassi di produzione, che sono a loro volta influenzati da limiti politici, tecnologici ed economici. Mentre le previsioni di estrazione di Hubbert sono superate, il suo principale contributo (la curva di Hubbert) rimane ancor oggi significativo. La curva presuppone che la produzione regionale e/o globale di combustibile fossile segue nel tempo una curva a campana. Più specificamente, a seguito di una scoperta, la produzione aumenta esponenzialmente e infine raggiunge un picco, dopo il quale la produzione subisce un declino esponenziale analogo. Hubbert ha correttamente previsto il picco della produzione negli Stati Uniti, che è avvenuto all'inizio degli anni 70. Tuttavia, i progressi tecnologici hanno fatto strada ad un secondo picco statunitense ed ha aperto la porta ad un picco globale ritardato.

La rivoluzione dello scisto negli Stati Uniti ha riportato in auge la credenza diffusa nella longevità degli idrocarburi ed ha bloccato la crescita del settore dell'energia rinnovabile. La produzione di petrolio greggio statunitense è aumentata tutti gli anni dal 2008 ed alcuni attori dell'industria hanno sognano un occidente come l'Arabia Saudita. Ciononostante, una tale rinascita è probabilmente un'eccezione e non la regola.

Figura 1: Produzione di petrolio greggio statunitense


Globalmente, la produzione di petrolio greggio sta diminuendo ad un tasso di circa 3,5 milioni di barili all'anno. Fra le 34 economie ad alto reddito che fanno parte dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), la produzione ha visto una crescita modesta, in gran parte grazie a Stati Uniti e Canada. Tuttavia, a parte l'America, la produzione è scesa sia nell'area OCSE di Asia e Oceania, sia in quella dell'Europa, del 18,1 e del 7,4 rispettivamente se confrontata all'anno precedente. Ad oggi, la rivoluzione dello scisto deve ancora decollare dall'altra parte dell'Atlantico, ma non certo per mancanza di volontà. I giganti dell'energia hanno trovato potenziali pretendenti in paesi come Polonia, Francia e Regno Unito, ma la gente, e finora anche i governi, hanno espresso la loro preferenza per uno sviluppo più verde di fronte alla reputazione meno pulita della fratturazione idraulica. In ogni caso, un'Europa alimentata dallo scisto offre poco in direzione di una spinta alla produzione globale. Rispetto ai pozzi convenzionali, i pozzi del fracking declinano in modo iperbolico. Il ritorno iniziale è alto, ma il flusso declina rapidamente prima di livellarsi. I pozzi possono essere re-fratturati diverse volte nell'arco della loro vita. Tuttavia, i risultati, sia in termini di flusso sia in termini di impatto ambientale, sono molto variabili ed ognuno rappresenta un caso a sé.

Tassi di declino a parte, non abbiamo visto il livello di esplorazione e sviluppo richiesto per compensare i declini di produzione della fonti convenzionali. Parlando di più di considerazioni finanziarie, le attuali condizioni dell'economia globale semplicemente non supportano l'intensificazione dello sviluppo di fonti convenzionali e non convenzionali. Molte aree del globo sono ancora nella morsa della recessione e di conseguenza la domanda i combustibili fossili costosi è stagnante. Prezzi sostenuti di circa 110 dollari al barile manterranno probabilmente tale domanda relativamente piatta nel prossimo futuro. In aggiunta, questi prezzi, e qualsiasi prezzo inferiore, garantiscono praticamente che le compagnie lavorino in rosso una volta che i frutti più a portata di mano saranno stati raccolti. I prezzi vicini ai 150 dollari al barile sosterrebbero sicuramente un nuovo sviluppo e, nel tempo, una crescita della produzione. Tuttavia, le economie nazionali avrebbero difficoltà a sostenerne i costi. Un esame del ritorno dall'investimento (EROEI) spiega ulteriormente la relazione fra energia e crescita economica. L'EROEI è riferito alla quantità di energia prodotta di fronte alla quantità di energia spesa per estrarre, trasportare e fare uso di quella energia. L'EROEI è espresso come rapporto. Mentre questo rapporto si avvicina ad 1, il guadagno netto di energia diminuisce. Globalmente, l'EROEI è di circa 15; l'EROEI delle fonti non convenzionali è inferiore, di circa 10. Mentre l'EROEI di una fonte diminuisce, la stessa fonte di energia diventa più preziosa; la risorsa è più difficile da ottenere e la tensione sull'economia per ottenerla è a sua volta maggiore. La dipendenza della crescita economica globale dal petrolio a buon mercato non è un segreto e, in assenza di un combustibilke alternativo, la crescita economica a lungo termine sarà sempre più difficile da realizzare. A questo proposito, considerando i limiti economici e della domanda, la produzione di petrolio greggio ha probabilmente già raggiunto il proprio picco.

Figura 2: Energia e PIL


Nel mondo post picco ci sono ancora giochi da fare ed utili da realizzare. Diverse di queste si trovano nella Federazione Russa che, nonostante si trovi di fronte al declino delle sue gigantesche aree industriali dismesse, di recente ha superato l'Arabia Saudita come primo produttore di petrolio greggio del mondo. Per mantenere gli ambiziosi obbiettivi di produzione di Putin, la Russia affronterà costi di sviluppo sempre più esorbitanti, in quanto stanno testando l'Artico e magari prova a cimentarsi nel non convenzionale. Mentre non è particolarmente aperto alla collaborazione estera, Putin e la Russia avranno bisogno di aiuto estero se vogliono mantenere il loro passo da leader sia per il petrolio che per il gas. La IEA stima che serviranno investimenti, da parte dei produttori russi di gas, che ammontano a 730 miliardi di dollari per sostenere l'attuale produzione di circa 655 miliardi di metri cubi. La situazione riguardo alla sostituzione dei liquidi è forse ancora più terribile, in quanto circa il 50% del bilancio federale russo viene bilanciato con i proventi del petrolio. In aggiunta, la Russia rimane un price taker, soggetta alla volatilità intrinseca del prezzo. Non potendosi permettere uno scivolone del prezzo, la Russia deve appoggiarsi alla propria produzione per assicurarsi stabilità.

E qui si inserisce il recente, e in qualche modo inaspettato, rilascio dell'ex magnate del petrolio ed ex uomo più ricco della Russia, Mikhail Khodorkovsky. Khodorkovsky ha passato l'ultimo decennio dietro le sbarre per un lungo elenco di crimini facilmente attribuibili praticamente a tutti i suoi confratelli oligarchi. A differenza degli altri, tuttavia,  Khodorkovsky sembra che abbia dimenticato, o piuttosto sfidato, le regole del gioco. In un sistema di limiti legali deboli, i diritti di proprietà perdono il loro valore e, bene che vada, riflettono un privilegio garantito da coloro che controllano i diritti. Dopo aver messo saldamente il piede nell'arena politica, violando un accordo non scritto fra Putin e gli oligarchi, Khodorkovsky è stato improvvisamente incarcerato nel 2003 e la sua azienda multi miliardaria in dollari è stata sottratta al suo controllo, andando in seguito a formare la spina dorsale del gigante petrolifero nazionale Rosneft. Le conseguenze sono state immediate in quanto le fughe di capitali sono quadruplicate l'anno successivo. Nel 2010, Khodorkovsky è stato condannato a pene aggiuntive per appropriazione indebita e riciclaggio di denaro, allontanando la data del suo rilascio al 2014.

Il 19 dicembre 2013, Putin ha sorpreso tutte le parti coinvolte annunciando che intendeva perdonare Khodorkovsky ed ha dato seguito all'annuncio con la sua liberazione il giorno successivo. L'improvviso cambiamento di atteggiamento genera molte domande, le cui risposte arrivano solo dalla speculazione. Il perdono arriva sulla scia di pesanti critiche sui diritti umani mentre il mondo anticipa il giochi olimpici invernali di Sochi. Tuttavia, il rilascio comporta implicazioni finanziarie, che probabilmente non sono sfuggite al presidente Putin. Per gli investitori stranieri e, forse più importante, per quelli interni, l'arresto di Khodorkovsky è servito come richiamo costante delle insicurezze finanziarie e contrattuali che caratterizzano l'attuale trappola istituzionale russa. L'investimento straniero diretto sta crescendo, ed è cresciuto in tutti gli ultimi tre anni, ma le cooperazioni internazionali significative si sono materializzate lentamente. Agli investitori interni manca la fiducia e la ricchezza sta ancora scorrendo via dal paese rapidamente. Come parte del suo rilascio, Khodorkovsky ha presumibilmente acconsentito di stare lontano dalla politica di tutti i giorni e di non cercare di recuperare le sue attività di Yukos perse. Evitando il suo esperto di affari e forse spaventato dal suo potenziale politico, Putin crede che il simbolismo, rappresentato dalla sua mera libertà, porti anche dei benefici.

Qualsiasi picco globale imminente è il prodotto di picchi di produzione a livello nazionale. Mentre l'arrivo esatto dei picchi globali e/o nazionali sono fortemente soggetti alle condizioni economiche dell'estrazione, il mondo puù star sicuro che l'era del petrolio a buon mercato è una cosa del passato. Fra le nazioni che troveranno difficile rimpiazzarlo, figuriamoci di aumentare la produzione, gli Stati Uniti e la Russia si classificano vicini alla vetta. Inoltre, la Russia continua ad essere una terra piena di burocrazia in cui l'efficienza è tutt'altro che la norma. Se si aggiungono i già alti costi di sostituzione e le spese di ricerca ed esplorazione in aumento, la Russia è proprio all'angolo. In questo contesto, la recente amnistia e specificatamente il rilascio di Khodorkovsky non sorprende del tutto, ma è invece un passo ben calcolato verso una nuova immagine e forse la più sottile delle ammissioni che, dopo anni di ostentazione, la Russia, soltanto probabilmente, potrebbe non essere in grado di farcela da sola.

Riferimenti bibliografici:

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Chilcoat, Colin. n.p. “Petroli non convenzionali in una trappola istituzionale: lo sviluppo di idrocarburi alternativi nella Federazione Russa”  M.A. Università Europea di San Pietroburgo.
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Fitzgerald, Timothy. 2013. “Fracknomics: un po' di economia della fratturazione idraulica”. Case Western Reserve Law Review. 63 (4): 1337-1362.
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Khodorkovsky, Mikhail. 2014. “Trascrizione della conferenza stampa di Mikhail Khodorkovsky a Berlino”. <http://www.khodorkovsky.com/transcript-of-mikhail-khodorkovskys-open-press-conference-in-berlin/>.
Myers, Steven e David Herszenhorn. 2013. “Putin, sicuro al potere, dice che potrebbe liberare il suo rivale incarcerato”. New York Times. <http://www.nytimes.com/2013/12/20/world/europe/mikhail-khodorkovsky.html?hp&_r=1&>.
The Economist. 2013. “Gazprom: il gigante ferito russo”. <http://www.economist.com/news/business/21573975-worlds-biggest-gas-producer-ailing-it-should-be-broken-up-russias-wounded-giant>.
The Economist. 2013. “Mikhail Khodorkovsky: ritorno dal freddo” <http://www.economist.com/blogs/easternapproaches/2013/12/mikhail-khodorkovsky-0>.
Smirnova, Lena. 2013. “Medvedev parla chiaro con gli amministratori delegati stranieri”. The Moscow Times. <http://www.themoscowtimes.com/business/article/medvedev-talks-straight-with-foreign-ceos/488262.html>.

Tverberg, Gail. 2013. “Come gli alti prezzi del petrolio portano alla recessione”. OilPrice. <http://oilprice.com/Energy/Oil-Prices/How-High-Oil-Prices-Lead-to-Recession.html>.